Strehler privato
A Trieste nel punto in cui il canale - che passa sotto un ponte dove
occhieggia la statua "in cammino" di James Joyce quasi ripreso da
un'ideale cinepresa durante una passeggiata - si trova di fronte il
mare, c'è un palazzo civettuolo vagamente "veneziano" diverso dalla
straordinaria architettura mitteleuropea che rende Trieste unica. È
palazzo Gopcevich, fra l'altro sede del Museo teatrale Carlo Schmidt. Qui
- lungo le piccole, intime sale a pianterreno - è possibile vedere fino
al 2 marzo una mostra che mi ha molto colpito e che mi ha riscaldato il
cuore per la sua dolcezza e profondità. L'esposizione che ha avuto un
vero e proprio successo e che meriterebbe di essere vista anche
altrove, curata con intelligenza da Roberto Canziani, si intitola Strehler privato: carattere, affetti, passioni. Idealmente è con questa mostra che
Giorgio Strehler,
scomparso dieci anni fa, ritorna a dialogare con la sua città, dove le
sue ceneri riposano al cimitero di Sant'Anna, un cimitero pieno di
gatti, accanto a quelle del padre mitizzato, all'amatissima mamma, al
nonno, alla nonna.L'abbraccio ideale si ripete lungo le strade
dove il pannello manifesto della mostra ad altezza d'uomo, mette in
sequenza tre istantanee: quasi un piccolo film dove Strehler ci appare
ancora giovane, i capelli ricci solo lievemente striati di grigio,
mentre parla, ascolta e beve un caffè. E se prendi una macchina a vai
appena fuori Trieste, a Barcola, dove è nato, uno striscione che
attraversa la strada ti ricorda anche lui quel rapporto fatto d'amore:
un amore difficile ma profondo di Strehler per la sua città e della sua
città piena d'orgoglio per questo figlio andatosene da bambino e
diventato uno dei registi più famosi del mondo. L'itinerario
dell'esposizione che mette in mostra alcuni reperti - libri, lettere,
foto, giochini infantili, quaderni, disegnini, i moltissimi dischi, la
sua voce registrata, la sua immagine in movimento, la sua firma
ripetuta all'ossessione - sono solo una parte del Fondo Strehler che è
stato donato dalle sue eredi al Museo che lo conserva e che lo ha
pazientemente catalogato e ripristinato. Ma sono sufficienti per
metterci sotto gli occhi il senso di una vita vissuta sotto il segno
della vocazione teatrale, ma anche il romanticismo, la sostanziale
ingenuità di Strehler, le dediche amorose alla prima moglie Rosita
Lupi, sposata prima dei trent'anni, i suoi miti. Fra questi senza dubbio
Brecht, la cui voce gracchiante canta la Moritat dell'Opera da tre soldi e le sue lettere, ma anche quello che ho sempre creduto sia stato il suo maestro più segreto: quel
Max Reinhardt
che tanto gli somiglia con i suoi capelli ricci e la sua aria di
affascinante, incontentabile stregone. Al muro o sparse qua e là ci
sono alcune fotografie storiche mescolate ad altre mai viste oppure
tenute segrete come quella di un giovanissimo Strehler impomatato per
avere ragione dei suoi ricci ribelli mentre appese a sottili fili che
scendono dal soffitto ti vengono incontro lettere sue o di altri, quasi
un bosco di parole nel quale è possibile perdersi.E mentre si
ascolta la voce di Milva che racconta il suo rapporto con il Maestro e
si leggono i telegrammi che gli inviava una giovanissima e innamorata
Ornella Vanoni e quelli lussureggianti di Valentina Cortese, ecco
all'improvviso il suo pianoforte, la concertina, suonata da lui nel
ruolo di Alioscia in un lontano, mitico Albergo dei poveri del 1947, che ha segnato la nascita del
Piccolo Teatro
e il violino della madre Alberta, violinista famosa proprio vicino alla
foto di lei, bella e giovanissima, ma anche la cartolina inviata dal
padre, che morirà poco, al suo pupo adorato di un anno che con la nonna
stava a Budapest. E i suoi pensieri scritti in forma di diktat a se
stesso, dove fra le cose da fare ci sono nell'ordine un figlio, la
rivoluzione, un teatro, il cinema. E i suoi mocassini neri e i
pantaloni anch'essi neri con i quali provava...Scrive
giustamente Canziani nel bel saggio contenuto nel catalogo (dove hanno
scritto anche, fra gli altri, Roberto Alonge, Furio Bordon, Paolo Puppa
e dove vengono indagate anche le origine delle famiglie di Strehler
(gli slavi Lovric, gli austriaci Strehler, i francesi Firmy) che tutto
quanto noi vediamo appartiene idealmente a quella valigia, a quella
cesta che i comici di un tempo portavano sempre con sé e che conteneva
il loro mondo più segreto. Cose dalle quali Strehler non si separava
mai: i fucilini e gli animali di latta, il cavallo a dondolo... E le
copie delle lettere che scriveva a Grassi, per
esempio, a Mutio aFellini, con la sua scassata macchina per scrivere
Olivetti, oppure a mano, con una scrittura alta e piena di punti
esclamativi... E le centinaia che riceveva, conservate
puntigliosamente. Da questa mostra si esce interessati e contenti e
anche convinti (ma forse non è vero) di saperne qualcosa di più sullo
Strehler privato ma anche segreto. Strehler privato: carattere, affetti, passioni. Trieste, Palazzo Gopcevich, Museo teatrale Carlo Schmidt. Fino al 2 marzo. Tel. 040.6758114 - Www: triestecultura.itdi
maria grazia gregori