Troia's Discount
Nicolas Bourriaud, critico d'arte e curatore, qualche anno fa ha
definito così "l'estetica
relazionale": una tendenza, un gusto
creativo, emersa negli anni Novanta, che si fonda sull'assemblage,
su una pratica di montaggio o di commistione di forme preesistenti,
spregiudicata e intelinguistica. Diversi linguaggi, codici, stili,
messi assieme non senza ironia, con lo scopo di creare ambienti
alternativi. Dal Dj con le sue "playlist" originali a Cattelan con la Z
di Zorro fatta a mo' dei tagli di Fontana: abbiamo a che fare, dice
Bourriaud, con delle "postproduzioni": in questo senso l'artista
contemporaneo è un "semionauta che inventa traiettorie tra i diversi
oggetti della realtà", che opera in termini di riciclaggio delle forme,
secondo proprie ed individualissime prospettive.La prospettiva può sembrare complessa, ma spiega bene certe suggestioni teatrali dell'oggi: come quelle di Ricci e Forte, drammaturghi e registi di gran voga. Hanno presentato, nella stagione del Piccolo Eliseo, il loro
Troia's Discount,
lavoro che attraversa miti classici omerici e miti d'oggi con
irriverente forza. Lo spettacolo mantiene tutti i presupposti di quella
"postproduzione" cara a Bourriaud: l'assemblaggio dei frammenti
classici si incastra alla perfezione con sonorità tecno e rumorismo
postindustriale, con sconfinamenti semantici gergali o con iconografie
della postmodernità liquida, dove l'oggetto e il simbolo del benessere
entra a connotare e strutturare il linguaggio tribale. Ponendo
al centro della loro indagine quella che è la figura tragica del nostro
tempo, ossia il travestito, Ricci e Forte aprono un simbolico sipario
su marginalità squassate, su violenze periferiche e sensualità
esasperate. Il racconto trasporta Eurialo e Niso in un centro
commerciale, alle prese con Bmw, orologi d'oro e cellulari strappati a
guardie notturne russe: amore consumato in fretta, in logorree liriche
e pulsioni fisiche sadomaso. Accanto a loro Didone, regina della notte,
poi Creusa e Lavinia. Ma sono solo nomi, entità: forme preesistenti,
appunto, sui cui gli autori agiscono con scratching, con
derive di navigazione che sconfinano in una iperrealtà materica e
consumistica, premiando una certa estetica ed etica gay, non esente da
glamour o dolente marginalità. Non mancano momenti di grande intensità,
di aspra e feroce ironia, di inquietante attualità: nel centro
commerciale, vero cuore pulsante delle nostre esistenze sperse, la
solitudine si declina in amari sproloqui tra imprecazione e
autocommiserazione. L'impianto di Troia's Discount,
dunque, è facilmente riconoscibile ed inquadrabile in questa "estetica
relazionale" dell'oggi. Certo, sono passati già degli anni da Phedra's Love di Sarah Kane o dall'Agamennone di Rodrigo Garcia, da Shopping and Fucking
di Ravenhill piuttosto che dalle performance di Matthieu Laurette o dai
collage di Jakob Kolding; ma Ricci e Forte cercano di aprire una strada
"europea" alla drammaturgia italiana: arrivano a questo tentativo in
palese ritardo rispetto alle pulsioni continentali, ma hanno il merito
di provare. Stesso discorso vale per gli interpreti. Attori di
"scuola", bravi nelle loro attuazioni, ma che devono confrontarsi con
impianti linguistici e scenici che stridono con la tradizione attorale
(anche giovane) del Bel Paese: sono bravi e generosi Fausto Cabra, Enzo Curcurù, Anna Gualdo, Alberto Onofrietti e Angela Rafanelli. Non esitano a mettersi a nudo (anche letteralmente) e a correre sulle impervie volute di monologhi lunghi e torridi. L'impressione che si ha, dunque, di fronte a Troia's Discount
è di aver a che fare con un volenteroso tentativo, un primo passo, con
una seria ipotesi di adeguamento nazionale agli standard dell'Unione
europea.
di Andrea Porchedd