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San Silvestro

Post n°256 pubblicato il 16 Giugno 2010 da zut_alors

Oggi, per me, è San Silvestro. Si chiude un anno incredibile, e stavolta ho la sensazione che si tratti davvero di un momento di passaggio.

Un anno fa cominciavo a studiare per l'ultimo esame, il cui programma comprendeva la prima parte della bibliografia della mia tesi. Dal 15 luglio 2009 ho cominciato quell'opera titanica di progressivo svuotamento meglio nota con il nome di "tesi magistrale". 

Verso fine agosto mi sono messa in testa che volevo andare a tutti i costi a vivere a Madrid, dove avrei potuto reperire agevolmente tutti i testi che mi servivano per la tesi: credo di aver trascorso un paio di settimane di fila su tutti i siti e blog di italiani in Spagna per reperire informazioni pratiche sulla faccenda. Ho anche mandato il mio curriculum a tutte le scuole di lingue della città; volevo andare sì a Madrid, ma non volevo perderci soldi: avrei lavorato là, semplice! E mica come umile cameriera: no, io avrei insegnato l'italiano a Madrid, e nel frattempo avrei scritto la tesi laggiù!
Com'è chiaro, nessuna scuola ha minimamente cagato il mio curriculum e così, con la coda tra le gambe, ho dovuto ripensare al mio progetto di espatrio. Non so se abbia vinto la codardia o il buon senso: fatto sta che ho deciso di restare in patria. I testi per la tesi li avrei richiesti con il prestito interbibliotecario.

In preda alla confusione, e per l'ansia di restare senza lavoro, verso i primi di settembre ho accettato un progettino di facilitazione linguistica da 20 ore, credo, alle medie.

Nel frattempo, non contenta, ho deciso di cercarmi un lavoro "vero", uno di quelli da otto ore, ufficio, scrivania, computer, telefono e pausa pranzo. L'ho trovato grazie ad un'amica: cercavano personale nel suo ufficio. Ovviamente, ho prontamente abbandonato i ragazzini delle medie al loro destino, con buona pace della cooperativa con cui collaboravo da ormai due anni.

Là in ufficio sono riuscita a resistere circa quattro mesi: il clima umano, là dentro, mi è risultato da subito insopportabile. Non era il momento migliore per mettermi ad imparare un lavoro nuovo: la mia testa fuggiva costantemente verso il calcolo di quanti articoli o testi avrei dovuto ancora leggere per completare la tesi. La pressione era alle stelle e mi rendeva intollerante verso tutto: mi alzavo presto, prendevo il treno, andavo al lavoro, dove mal sopportavo di stare inchiodata alla scrivania per quasi nove ore al giorno, e dove mal sopportavo capo e colleghe. Soprattutto, rimpiangevo costantemente il vecchio lavoro: rimpiangevo il fatto di averlo voluto lasciare in modo così impulsivo, rimpiangevo il clima umano della scuola dove avevo lavorato per i due anni precedenti, rimpiangevo il contatto con altri esseri umani, rimpiangevo il fatto di avere degli alunni. Dopo il lavoro riprendevo il treno e, durante il viaggio di ritorno, studiavo. Una volta a casa, continuavo a scrivere la tesi.

La cosa ha retto finché, attorno a gennaio, la coordinatrice della cooperativa per cui lavoravo prima non mi ha chiesto se mi andasse di tenere un corso di italiano ad una coppia di brasiliani di passaggio in Italia per un paio di mesi. Lui era amico del marito della suddetta coordinatrice.
Al lavoro avevo appena chiesto ed ottenuto il part-time causa studio: il tempo pieno non mi avrebbe permesso di concludere la tesi in tempo.
L'occasione era però ghiottissima: come potevo farmi sfuggire la possibilità di riallacciare i rapporti con la cooperativa che tanto mi aveva dato nei due precedenti anni scolastici? Ovviamente ho accettato, cosciente di trovarmi di fronte ad una scelta. O meglio, alla scusa buona che attendevo da tre mesi. Sono andata dal capo e gli ho detto: "Se vi state attrezzando per rinnovarmi il contratto, fermatevi! Io cambio lavoro".

Segue parte delirante in cui i sensi di colpa mi divorano corpo e anima: come potevo mollare un lavoro che prometteva prospettive in tempi di cronica penuria occupazionale? Era come sputare in faccia a tutti quelli che un lavoro non l'avevano, a tutti quelli che si disperavano per cercarlo. Ho messo a tacere i sensi di colpa dicendomi che la mia infelicità poteva essere un buon motivo per mollare, crisi  economica o no. Fatto sta che ho cominciato a dare lezioni di italiano a 'sti due brasiliani. Per un paio di settimane ho fatto entrambi i lavori, giusto per rispettare minimamente i tempi di preavviso ai quali mi avevano ancorata in ufficio.

Finita la collaborazione in ufficio, vengo a sapere che la cooperativa chiamava tutti i suoi docenti alla prima riunione plenaria dell'anno scolastico: nonostante gestissi solo un miserrimo corso da 30 ore, ho voluto partecipare anche io. Fa sempre piacere rivedere le care vecchie colleghe.
Dalla riunione, come da tutte le riunioni a cui ho partecipato là dentro (riescono sempre ad incastrarmi, sanno che corde toccare), sono usita con in tasca un nuovo progetto: 130 ore di facilitazione linguistica nella storica scuola dove avevo lavorato durante i due anni scolastici precedenti, e dove sarebbe stato spiacevole annunciare che io non ci sarei più stata. Come una scema, ho accettato. La tesi continuava ad incombere alle mie spalle, e ormai era già febbraio.

Ci sono stati nuovi alunni, nuovi inizi, nuovi piccoli e adorabili bambini a riempire le mie giornate. Ma non era più la stessa cosa: anche qui, la tesi continuava ad inseguirmi. Mi trascinavo per i corridoi della scuola come uno zombie, stanca e pensierosa. Facevo il conto alla rovescia delle ore che mancavano alla fine del progetto. Da impiegata, avevo idealizzato il lavoro di facilitatrice linguistica. Da facilitatrice linguistica, avevo capito che avrei fatto meglio a darmi una seria calmata.

La tesi è stata data alle stampe agli inizi di aprile. Nove mesi dopo il suo inizio. Nel frattempo, tra febbraio e aprile, avevo accettato altri due corsi di italiano per stranieri: in totale lavoravo quattro mattine e cinque pomeriggi alla settimana.

Il calendario delle discussioni di laurea, dopo essersi fatto attendere per lungo tempo, ha rivelato una notizia che non mi è piaciuta per niente: avrei discusso a fine maggio, il 24. Un mese e mezzo dopo il termine della tesi. In altre parole, un'eternità.

Ho continuato il mo tran tran come se non fosse niente, e alla fine è arrivato il 24 maggio. Ho presentato il lavoro di nove mesi in dieci, frettolosi minuti,  durante i quali la presidente della commissione, nonché mia relatrice, ha continuato ad interrompermi per la premura di passare al candidato successivo.

Il giorno dopo la discussione sono andata a lavorare come se nulla fosse. O meglio. Il 17 aprile, giusto una settimana prima della laurea, avevo fatto un colloquio in un posto dove era chiaro che non mi avrebbero mai assunta (senza esperienza).  Avevo mandato il curriculum un po' per caso, rispondendo ad un annuncio un po' vago pensando "tanto 90 su 100 mi scartano senza finire di leggere la lettera di presentazione". Il 25 maggio mi chiamano per fissare un secondo colloquio. Va beh, alla fine risulta che mi hanno presa per lavorare lì. Con un contratto stage e l'obbligo di seguire incontri di formazione interna, eh, però mi assumono. Per sei mesi so cosa succederà. E stavolta non mi concederò ripensamenti. Almeno non per questi primi sei mesi.

Oggi darò l'ultima lezione dell'ultimo corso di italiano per donne straniere ancora attivo. Domani comincio il nuovo lavoro.
Oggi, per me, è San Silvestro.
Finisce un anno intenso e molto faticoso. Ma finisce anche un'epoca: ho come la sensazione che non tornerò a lavorare per quella cooperativa. Ma stavolta non lo rimpiango: è acqua passata, sono stati tre splendidi anni della mia vita che mi hanno dato tanto. Ma c'è un tempo per tutto, e ora tempo per quel lavoro non è più. Questo ormai è chiaro.

Domani comincia un nuovo anno, un nuovo lavoro. Un lavoro che sembra davvero interessante. Lo affronterò senza l'ansia perenne della tesi, senza il nervosismo di chi vuole essere lì ma anche altrove, per esempio a casa a studiare, o su una spiaggia assolata di Capo Verde, o a svolgere il caro, vecchio, confortante lavoro di prima.

Buon San Silvestro a tutti.

 
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