Creato da: la.luna.piena1 il 15/03/2014
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23 ottobre 1630 UNA TRAGICA VERITA' capitolo n.11

Post n°296 pubblicato il 10 Marzo 2024 da paolaassisi

Reply non riusciva a prendere sonno. Si rigirava sul pagliericcio e ne ascoltava il fruscio. La candela sulla scranna baluginava gli ultimi bagliori. Yael ascoltava sdraiata dalla parte opposta di quella stanza comune. Infine si mosse, si alzò e avvicinatosi a Yael la scosse e disse: Yael, lo so che tu pure non dormi. Orsù, alzati. Il pallido volto estenuato di Yael si illuminò di nuova speranza, si scosse: Padre, si, io pure non riesco, L’angoscia mi invade. Dica, che faccio? Come posso aiutare? 
Alzati e prima d’ogni altra cosa, recati da Isacco e comandagli di venir teco che bisogna agire.
Di nuova speranza accesa nel volto, capendo che infine il padre aveva forse trovato la via, Yael a piedi nudi corse verso la porta, poi ricordandosi tornò indietro e svelta infilò ai piedi gli asmasin e finalmente si diresse veloce in fondo a via Vignatagliata bussando impetuosa all’uscio ove sapeva abitare Isacco. 
L’uscio come timoroso si socchiuse, un volto nel buio fu scorto e subito una esclamazione accolse Yael e la porta si spalancò. 
Ella si guardò intorno e vista la strada deserta, avvolta ancora dalle ultime ombre della notte, entrò sussurrando: Isacco, Isacco, credo mio padre si arrovelli in un sogno che mai lo fece dormire stanotte. Ti vuole, ti vuole subito Isacco, vieni meco! Isacco comprese l’urgenza e voltosi verso il buio della stanza abbracciò una forma che pure abbracciò e giratosi chiuse l’uscio. Si sentì subito il suono della spranga dietro d’esso e un singhiozzo. Insieme corsero e presto raggiunsero la casa di Yael. Il selciato fu pieno del suono degli asmasin e prima ancora di arrivare all’uscio, questi s’aprì e Isacco nella casa entrò, chinando il capo, accompagnato dalla ragazza. Isacco vide il volto agitato di Reply e comprese quanto poco egli avesse dormito. Isacco, Isacco, mormorò il Rabbino. La sventura ci avvolge eppure qualcuno ancora ci è vicino. Ieri una donna mi si accostò silenziosa e mi porse quest’oggetto, dicendomi averlo trovato presso il corpo dell’ucciso sconosciuto. Isacco lo prese, lo guardò: era un semplice anello di legno, ma di squisita fattura. Al suo colmo vi era incastonata una pietra azzurra nella quale era incisa una croce. Isacco meravigliato lo prese mentre Reply veloce gli disse: Isacco, corri, corri perché bisogna sapere chi è l’ucciso e perché. Un ebreo non porta anelli così… corri dal buon Padre Francesco, unico cristiano amico del ghetto e chiedi. Padre Francesco stava recandosi a Santa Chiara quando incrociò Isacco, che trafelato si dirigeva verso la chiesa del monastero. Veloce Isacco gli disse del desiderio del Rabbi, porgendogli l’anello. Padre Francesco lo rigirava fra le dita, guardando la pietra e senza parole disse: Isacco, taci. Tornati. Vedendo questo anello ricordo dove altri simili ne vidi. Va’ e taci. Quando saprò al Rabbino dirò. Nel saio s’avvolse e nelle luci dell’alba scomparve, non visto. All’alba, la corriera che dal castello ogni mattina s’appresta verso Codigoro, era in partenza allorquando Fra Francesco chiese al cocchiere di farlo salire: doveva recarsi all’abbazia di Pomposa. Ben oltre il mezzodì la corriera giunse dinanzi all’abbazia. Fra Francesco discese e rapito da quella bellezza che lo accolse monello, attraversò l’atrio sperando incontrare fratelli. Non v’era nessuno eppure, entrando nella chiesa, un sommesso canto nasceva dal fondo della navata di destra. Inginocchiatosi, si terse gli occhi polverosi e verso il fondo si diresse. Un gruppo di monaci in ginocchio sommessamente cantava quando, all’improvviso, dal gruppo si alzò il più vecchio, certo l’Abate e verso lui guardava allargando le braccia al sorriso. Padre Francesco parve illuminarsi e chinatosi fin quasi in ginocchio egli pure allargò le braccia dicendo: padre Gregorio, Dio ti accompagni! E felice accolse l’abbraccio. Padre Gregorio stupito guardava quel volto da tanti anni celato dal corso del tempo e subito comprese che un fatto assai grave doveva avere spinto Fra Francesco a recarsi a Pomposa; subito s’affrettarono verso la biblioteca deserta. Vedendo l’apprensione, il volto incanutito dal tempo ammirando, le mani stringendo le mani, subito chiese quale ambascia avvolgesse Ferrara. E presto fu noto. E presto padre Francesco pose nelle mani di padre Gregorio l’anello. Questi lo prese, fra le dita lo rigirò, poi disse: lo riconosco. Quest’anello io stesso donai ad un monaco al momento della sua ordinazione. Questo è l’anello benedettino che ornava un dito di frate Edmondo. Egli ormai dieci giorni or sono si è allontanato da Pomposa per incontrarsi con il Cardinale, a Ferrara, per rappresentare le necessità dell’Abbazia della quale sono indegno Abate e alle quali non riesco a supplire per le inclemenze del tempo e le infermità che affliggono tanti fratres qui….La notizia sconvolse Fra Francesco. Il cadavere sconosciuto ritrovato apparteneva al un monaco di Pomposa che si era incontrato con il Cardinale. L’ora era tarda e le ombre della sera si avvicinavano. Dopo il vespro ed il desinare, la notte accolse preghiere e sonno e le prime luci dell’alba accolsero padre Francesco sulla via del ritorno. Era ormai vicino il tramonto quando il cocchiere fece scendere dalla carrozza padre Francesco, vicino al castello.

 
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21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr 10

Post n°295 pubblicato il 18 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Fra' Anselmo lasciò in fretta e furia il magister con i due chierici e si diresse verso l'entrata del ghetto ebraico. Non gli interessava  delle voci che sarebbero nate appena si sarebbe saputo della sua visita, lui voleva trovare il bandolo della matassa e fare, finalmente, luce su questo omicidio, anzi duplice perchè era sempre più convinto che le due vittime fossero collegate tra loro. Si diresse verso Via Sabbioni dove  abitava la persona che senza ombra di dubbio lo poteva aiutare . La persona, anzi la vedova di un ricco commerciante( imprestava pure denaro a chi ne aveva bisogno, senza fare differenza fra ebrei e cristiani) abitava in una casa talmente maestosa che poteva ospitare tranquillamente una sinagoga all'interno del cortile. Sviluppata in un palazzo maestoso e quasi facendo confine tra il ghetto e la città cristiana, si apriva su un lussuoso ingresso dove ad attenderlo vi era colei che lo poteva aiutare. Non erano sconosciuti Fra' Anselmo e la vedova perchè la loro conoscenza era nata a Roma, e si scambiarono un affettuoso abbraccio appena furono vicini. La vedova fece strada attraversando un cortile che era circondato da vari accessi. In uno di questi, l'inquisitore, vide una stanza con un camino scoppiettante e con degli affreschi che coprivano senza ombra di dubbio tutte le pareti, dando un senso di calore a chi aveva la fortuna di entrare in quella stanza. La vedova ( Rachele Dafermo, questo era il suo nome)si indirizzò verso una stanza e dopo aver fatto accomodare l'inquisitore gli chiese qual buon vento lo portava a Ferrara che non era tanto vicina alla città eterna. Il nostro inquisitore  le rispose che era stato mandato a Ferrara per i lutti che vi erano stati. L'inquisitore , guardandosi intorno, disse che un'idea già si era fatta nella sua mente ed era li proprio per chiedere conferma alle sue supposizioni. La vedova con finta aria stupita gli chiese a che supposizioni intendeva dire. Le disse che la sua casa era ai limiti  estremi del ghetto e dalla finestra si potevano vedere i cancelli che separavano il ghetto dal resto della città. La vedova confermò quello appena detto e aggiunse che era una esigenza del suo povero marito per i suoi affari.

 Disse inoltre che tutta la città sapeva che in quella casa si concludevano affari sia con cristiani e ebrei; bastava solamente chiedere udienza e si concludevano affari con un profitto equo per le due parti. La vedova Rachele, guardandolo gli chiese seriamente se la voleva denunciare alle guardie papali dato che era un reato molto grave e a volte si veniva condannati e requisite tutte le proprietà. Fra' Anselmo la rassicurò, dicendole che era ben lungi da lui l'idea di denunciarla, ma gli servivano alcune informazioni proprio inerenti all'attività del marito e che sicuramente non era stata abbandonata dopo la sua morte. Sicuramente vi erano famiglie più o meno nobili che si rivolgevano a lei per avere un prestito di scudi in attesa di tempi migliori . Ecco, lui voleva sapere quali erano chi si trovava in difficoltà. Rachele disse che non era una cosa fattibile e anzi molto pericolosa per la sua incolumità. Quale famiglia si sarebbe rivolta ancora a lei sapendo che poi tutta la città o il tribunale dell'Inquisizione sarebbero stati informati?. Disse che era una cosa troppo pesante da chiedere, anche nel nome della loro vecchia amicizia e caso mai l'avrebbe aiutato o cercato di aiutarlo in altri modi. Fra' Anselmo non disse nulla per farle cambiare idea anche perchè sapeva che ciò che aveva appena sentito era la nuda e cruda verità. La vedova  gli disse solamente una frase sibillina: Si farebbe prima a menzionare chi non è mai entrato in questa casa a chiedere denari......  

 
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21 0TTOBRE 1630 Una tragica verità capitolo9

Post n°294 pubblicato il 04 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Mentre , nel ghetto ebraico, si poneva domande su domande, supposizioni su supposizioni senza venirne a capo minimamente, nella città, il domenicano Fra' Anselmo iniziava a fare le sue indagini personali. Per prima cosa, volendo vedere la ferita mortale e come era stata inferta, decise di vederla con i propri occhi e quindi decise che il cadavere della prima vittima doveva essere riesumato.  Fra' Anselmo, si diresse verso il palazzo sede del tribunale dell'Inquisizione per chiedere alcune cose all'Inquisitore di Ferrara, ma senza far trapelare la vera ragione per non destare sospetti o contrasti, anche se lui aveva avuto dal Papa, carta bianca e doveva rendere conto delle sue azioni solamente al Pontefice in persona. Arrivato in tribunale, Fra' Anselmo si diresse verso l'ufficio del suo "collega", ma a metà strada gli fu detto che lo poteva trovare di sotto a bruciare libri in odore di stregoneria e di eresia. Fra' Anselmo, odiava questa cosa di bruciare libri che contenevano sapienze del tempo passato e che l'unica memoria per poterle tramandare erano proprio i libri. Che delitto  nefasto e quanta ignoranza fra gli uomini di fede. Non si doveva avere paura di parole solamente scritte perchè non recavano nessun male , a differenza degli atti compiuti da esseri umani. Fra' Anselmo si ritrovò in una stanza semi buia dove l'unica luce era dovuta al bruciare dei libri che l'Inquisitore guardava con aria soddisfatta. Quando si accorse della presenza estranea, si girò e chiese il perchè di questa visita e se per caso era poco soddisfatto degli alloggi messi a sua disposizione. Non erano lamentele che voleva fare, anzi i suoi alloggi erano troppo sontuosi, ma bensì erano delle piccole curiosità che lo avevano portato in quelle stanze. L'inquisitore capo , credendo che volesse chiedere  il perchè del rogo dei libri, disse che non si dovevano far circolare libri eretici e che potessero minare la fede della povera gente, analfabeta e credulona. Talmente credulona che era facile potesse cadere nelle tentazioni del maligno. Fra' Anselmo voleva ribattere, ma si morse la lingua per tacere e piano piano portò il discorso sugli argomenti che interessavano a lui. Dopo due ore di discorsi, a volte inutili e a volte preziosi, si era convinto che la cosa necessaria da fare era riesumare. Congedandosi si indirizzò verso l'università per cercare un magister in medicina e per mettersi d'accordo per l'operazione. Trovò un magister che prima fu stupito per la strana richiesta di un uomo della chiesa, ma poi accettò anche per il bene della scienza e della giustizia. Nelle prime ore del pomeriggio si trovarono nel luogo prestabilito e insieme a loro due vi erano due chierici adibiti al trasporto del cadavere al laboratorio del magister, caso mai questo dovesse aver bisogno di approfondire meglio l'esame. Non essendoci il guardiano del cimitero,( meglio così perchè meno testimoni presenti, meno si sarebbe saputo poi) l'onere della dissepoltura toccò ai due chierici. Sbuffando, manovrando con poca maestria le pale, alla fine arrivarono a far sbattere  la pala contro la misera cassa che conteneva il corpo del rabbino e furono interrotti dal magister immediatamente. Questo disse che prima di aprire la cassa era meglio proteggere naso e bocca per evitare di respirare i miasmi della decomposizione e in fretta e furia spiegò a loro come fare. La visione che si presentò a loro, appena ruppero il coperchio fu da ricordarsi per un bel po'. La pelle era diventata nera, gli occhi non erano più presenti nelle orbite e i muscoli della bocca avevano causate smorfie da brivido. Furono investiti da miasmi fetidi e che si sentirono lo stesso pur avendo le vie respiratorie protette.

Il magister era impaziente di esaminare il corpo e pungolò i due chierici a muoversi con molta più lena per arrivare  a destinazione.
Il corpo fu deposto su un tavolaccio di freddo marmo, un marmo ancora sporco del sangue e delle interiora di alti cadaveri sezionati in quel posto, sia per lezione, sia per voglia di conoscere a fondo il funzionamento della macchina chiamata corpo umano. Esaminarono a fondo la ferita all'addome, videro che aveva leso organi vitali, ma con enorme stupore di Fra' Anselmo, il magister disse che il rabbino  era già morto quando fu accoltellato. Per confermare ciò che aveva appena detto fece girare la testa dell'uomo e mostrò un enorme bernoccolo dietro. Anticipando la domanda sul bernoccolo che forse poteva essere stato causato dalla caduta a terra della vittima. indicò la posizione di questo e disse che una persona cadendo non poteva mai cadere in quel modo e quindi il colpo era stato dato quando la vittima era ancora in piedi o al massimo seduto su una sedia. Fra' Anselmo chiese di fare tutte le sezioni possibili e disse ai due chierici di soddisfare tutte le richieste del magister in sua assenza. Doveva fare alcune domande e queste erano per una persona che molto probabilmente la si poteva trovare nel ghetto.

 
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23 ottobre 1630 UNA TRAGICA VERITA' capitololo n.8

Post n°293 pubblicato il 25 Gennaio 2024 da paolaassisi

 Notte. Le porte del ghetto erano chiuse. Nessuno entrava, nessuno usciva. Ma quella notte il ghetto non viveva: vibrava di sussurri. Timore, speranza, paura. Silenzio. Nel ghetto la voce si era sparsa. Era giunto l’investigatore Papale. Si chiamava Fra’ Anselmi da Palestrina. Null’altro si sapeva salvo l’agitazione che aveva scatenato nell’Inquisitore e nelle guardie. Il ghetto aveva saputo che il padre di Yael, Reply, la notte stessa dell’omicidio del rabbino era stato nominato Rabbino Capo ma si era anche saputo che vicino alle porte  del Ghetto, di notte, era stato commesso un nuovo omicidio. Nessuno conosceva il nome del morto ma certo non si trattava di un ebreo. Ma chi era? Perché?

Lanotte incombeva sul ghetto. La taverna era semivuota pochi boccali di vino Kosher erano poggiati sui tavoli fra mani immobili e capi silenziosi.

Nella casa vi era luce. Era l’unica casa ove lumi fossero accesi. Nella sala grande quattro uomini erano seduti attorno al tavolo scuro ed ognuno indossava il Tallit.  Reply si alzò: prese il Kippal bianco, lo pose sul capo e disse: So. 

Isacco: parla e spiega.

Isacco sedeva silenzioso, le labbra strette. Gli occhi avevano come perso la loro luminosità, le palpebre abbassate, la fronte corrugata. Sembrava  essere improvvisamente invecchiato mentre teneva le dita incrociate sul petto, il capo chino. Alle parole di Reply si scosse. Sembrò per la prima volta vedere gli astanti. Si guardò intorno e come svegliatosi all’improvviso da un sogno tormentoso, pose le mani sul tavolo, alzò il volto, si guardò intorno e disse. Si, il Rabbino Capo sa. La persecuzione ci sovrasta. Il nuovo assassinio non è stato perpetrato su ebreo, ma su cristiano. Chi sia, non so. Nel ghetto vi è solo una voce amica. Fra Francesco del convento di via della Morte. Yael lo ha incontrato nel ghetto e dopo avere chinato il capo e sorriso, gli ha lasciato il passo. Fra Francesco ha finto non vederla ma vicino le ha sussurrato: seguimi. 

Yael ha compreso e fatti pochi passi si è girata come per tornare a casa ma girato l’angolo in un angolo buio ha visto che Fra Francesco l’attendeva. Accostatasi, Yael reverente si è inchinata, Frate Francesco ha alzato la mano come benedicente e le ha detto: Yael, l’assassinato vicino al corpo aveva una collanina d’oro, con la stella di David. L’inquisitore cercherà incolpare il ghetto. Vai, e riferisci.

Poi Isacco sedette nel silenzio.

          Reply si alzò: la sventura incombe sul ghetto. Il Papa cerca di imporre il suo dominio su Ferrara e cerca il modo per sollevare il Cardinale dal suo seggio. Il delegato papale è giunto, ma non per permetterci di vivere chiusi nel ghetto. Vuole spogliarci dei beni e si è aperta la lotta fra chi attribuisce a noi ebrei le colpe. Prima uccidono il Rabbino Capo, poi uccidono uno sconosciuto cattolico fingendo essere stato assassinato da mano giudea, lasciando come indizio la nostra stella.

          Il Cardinale finge sapere che un ingresso segreto unisce la città al ghetto. Ma noi non sappiamo dove sia. Eppure sappiamo che Fra Francesco, pur vivendo nel convento all’interno del ghetto, sa di una traccia rinvenuta sul cristiano assassinato che incolpa noi, innocenti, di delitti che aborriamo. Si, fratelli, il passaggio segreto certo esiste anche se non sappiamo dove sia.

Ma per esserci, deve giungere in casa giudea, all’interno del ghetto: dobbiamo scoprire dove sia. Fra noi vi è un giudeo convertito, che aiuta il Cardinale, l’Inquisitore ed il Delegato Papale a lottare fra loro per il loro interesse incolpando i giudei.

Dobbiamo vigilare.

A quelle parole calò il silenzio. La lotta del Clero e dell’Inquisitore avrebbero scatenato persecuzioni e torture all’interno del Ghetto.

          Isacco, che assorto aveva ascoltato Reply, lentamente si scosse. Fratres, i giudei nei millenni sono stati sottomessi, piegati, torturati, resi schiavi. I giudei non usano armi ma offrono solo ulivi. A Ferrara, ulivi non fioriscono ma se vogliamo salvare la nostra comunità dalla persecuzione, non possiamo che offrir loro l’unica cosa che abbiamo. Oro.

          Reply insorse. Alzatosi, gettò sul tavolo il Kippal e gridò: Isacco, che dici! I giudei mai hanno torto un capello ad un cattolico, mai! Vuoi la nostra rovina? Vuoi privarci dell’unico bene che abbiamo per pagare la nostra fuga? A chi vuoi chiedere di permetterci di fuggire dal ghetto versando l’oro? A chi? E dopo quale lotta contro noi scateni fra l’Inquisitore, il Cardinale, Il Papa perché non abbiamo versato l’oro ad almeno uno di loro?

 Il sussurro non era più sussurro, ma voci alterate. Dietro la porta Yael sentì le voci, si alzò, spense il lume, aprì la porta, si inchinò e un dito pose su labbra tremanti. Calò il silenzio. Di nuovo si inchinò, La porta richiuse.

          Nella stanza il silenzio era calato. Il buio incombeva come una cappa dolorosa.

          Rayel accostò i palmi agi occhi, sedette, ripose silenzioso il Kippal sul capo, alzò le mani e disse: andate. Lanotte porti consiglio. Gli astanti in silenzio scostarono le sedie, silenziosi sfiorarono le mani di Rayel, aprirono la porta. Yael si inchinò tacendo e scomparvero nel vicolo buio ascoltando il silenzio ed il suo rumore.

 
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21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr7

Post n°292 pubblicato il 14 Gennaio 2024 da la.luna.piena1

Oramai erano passati 7 giorni dall'omicidio del Rabbino e nessuna novità era comparsa all'orizzonte. Le spie del braccio destro dell'Inquisitore passavano ore e ore all'interno del ghetto, domandavano discretamente in giro, m nessuno apriva bocca e quando l'apriva non diceva cose che non si sapevano già. All'esterno del ghetto ,Bartholomeo  mandava le sue guardie in giro ad indagare, ma con la massima precauzione possibile. Il timore era quello di trovarsi un ghetto in piena rivolta, quasi come era successo, alla sua instaurazione. Il Cardinale chiedeva, anzi esigeva che gli si facesse rapporto ogni giorno e anche lui si comportava come se fosse sui carboni ardenti. La sua paura non era inerente ai giudei, anzi  nessun interessamento verso di loro, ma si preoccupava che da Roma non mandassero persone strettamente legate al papato. Allo scoccare della settimana  successero due fatti che sconvolsero la vita di alcuni personaggi potenti della città. Il primo fatto fu la scoperta , al mattino presto, di un nuovo cadavere. Fu trovato  dalla ronda delle guardie che perlustravano le vie, i vicoli confinanti con il ghetto. Infatti , dopo alcuni ragionamenti, si supponeva l'esistenza di un passaggio segreto che permettesse l'uscita e/o l'entrata nel ghetto. Già che l'uscita dopo il coprifuoco,da parte dei giudei, era un reato; figuriamoci poi se erano i cristiani ad entrare  nel ghetto per fare affari con alcune famiglie di loro. Naturalmente non si poteva interrogare le famiglie  più potenti della città e quindi si cercava  questo passaggio segreto. Quando Barholomeo fu avvisato di questo nuovo crimine rimase un attimo interdetto: avvisare immediatamente il Cardinale o aspettare un po' e andando, prima, a vedere di persona questo secondo crimine? Al diavolo! Si disse in se per se Barholomeo e intimo' alla guardia di portarlo immediatamente sul luogo del delitto, prima che il ghetto lo venisse a sapere. Un cerino acceso davanti ad un barilotto di polvere nera non era l'ideale. Il secondo fatto fu l'arrivo di una carrozza in città. Una carrozza che doveva appartenere ad una famiglia benestante o nobile vedendo la fattura del veicolo. Da essa scesero 3 persone e tutte e tre religiose.Un prelato accompagnato da una suora e da un religioso con il tipico saio dei domenicani. Costui chiese dove si trovava il tribunale dell'Inquisizione e la sede del Cardinale. Da queste richieste si capì che da Roma il Papa aveva preso in mano la questione spinosa e che la voleva concludere al più presto..Si fece indicare la strada e rifiutò di essere accompagnato. Disse che voleva vedere con i suoi occhi la situazione che si era creata e s'incamminò verso la sede del tribunale dell'Inquisizione. Camminò con un passo tranquillo, guardava le vie della città e si poneva delle domande e quasi non si accorse che stava superando il palazzo. Si fece avvisare e disse che voleva parlare con colui che abitava li. Quando fu al cospetto dell'inquisitore disse di chiamarsi Fra' Anselmi da palestrina e che era in qualità di investigatore papale. Disse che lui non doveva rendere conto del suo operato a nessuno tranne al Papa in persona. Mentre ascoltava la cronistoria dei fatti camminava avanti e indietro per la stanza, ascoltava attentamente, ma mai si permise di interrompere chi gli parlava. Alla fine disse che il tutto era molto grave e questa cosa doveva essere chiusa al più presto.

 
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