Creato da: la.luna.piena1 il 15/03/2014
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21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr13

Post n°298 pubblicato il 07 Aprile 2024 da la.luna.piena1

Il povero Frà Anselmo non sapeva più che cosa pensare. Si rendeva conto che più il tempo passava e più era facile che l'assassino la facesse franca cristiano o ebreo che fosse. Non voleva lasciare impuniti questi 2 omicidi, anche se le vittime erano ebrei, perchè solamente il buon Dio poteva togliere ciò che nella sua bontà aveva donato: la vita. Tutto questo pensò mentre si era ritirato nei suoi alloggi e  seduto ad un tavolaccio, cercava di stilare alcune righe per farle poi mandare, tramite un messaggero, a Roma. Non sapendo che cosa scrivere per spiegare la situazione e per evitare, soprattutto, le sfuriate a Roma decise di coricarsi, di aspettare l'alba e sperare nel buon Dio che lo aiutasse , dopotutto non si diceva che la notte porta consiglio? Le prime luci dell'alba videro Frà Anselmo già in piedi e senza nessuna idea in testa. La notte non portò consiglio, ma una inattesa sorpresa, questo si. Infatti c'era un piccolo servitore della vedova Rachele in attesa e lo doveva accompagnare a casa di costei per alcune cose che voleva dire e si raccomandava di non dire a nessuno dove era diretto se gli premeva la sua e la vita della vedova. Si stupì di tutta questa segretezza, ma non gli costava nulla a seguirla anche perchè in questo modo si era risparmiato di minacciarla di farla interrogare sotto tortura. Il piccolo "ambasciatore" gli disse di non camminare troppo svelto per  non far notare la premura di arrivare e di seguirlo in assoluto silenzio. Non si diressero verso la casa situata ai confini del ghetto con la città cristiana, ma si inoltrarono in alcune vie sempre più inserite del ghetto stesso. Arrivarono davanti ad un portone e dopo una serie di bussare, come se fosse un segnale pre stabilito, entrarono in un corridoio mal illuminato. La vedova Rachele li stava aspettando seduta su una panchina pieni di cuscini damascati, piluccando dell'uva posata su un vassoio vicino a lei e con enorme sorpresa, Frà Anselmo vide che vi era una bambina di 7-8 anni. Gli adulti si salutarono cordialmente e prima che il frate potesse pronunciare una parola fu zittito con una mano e la vedova iniziò una specie di monologo. < Prima che ci sia una terza vittima, perchè ci sarebbe stata e volendo avere la coscienza pulita la prego di ascoltarmi e senza farmi troppe domande. Come sa benissimo prima mio marito e adesso io imprestiamo scudi alle famiglie che ne hanno bisogno, ma non li diamo così facilmente come potrebbe sembrare. Chiediamo un qualcosa come un pegno che rimane di mia proprietà fino a quando la somma intera non viene restituita. Meno di un mese fa è venuto un servitore a chiedere soldi in prestito e come pegno mi offriva alcuni manoscritti scritti nella notte dei tempi. Ovviamente nessun servitore può avere dei manoscritti importanti e di valore e incuriosita gli chiesi di farmi vedere alcune pergamene per sapere se mentiva o meno. In quel momento che stavo trattando l'affare con costui, entrò una mia domestica e vedendola impallidire capii che lei lo conosceva. Il servitore disse che sarebbe ritornato al tramonto con il materiale chiesto e si congedò. Appena rimasi da sola chiamai la domestica e con mio enorme stupore mi disse che quel servitore era al servizio dell'Inquisitore di Ferrara e di stare ben attenta perchè non era escluso una trappola per essere arrestata come proprietaria di libri eretici. Ero molto incerta se trattare ancora questo affare o con una scusa rifiutare il tutto, ma la curiosità era tanta che decisi di rischiare. Al tramonto il servitore ritornò e mi fece vedere alcune pergamene. Mi feci il segno della croce perchè quelle pergamene non erano altro che il Deuteronomio. Le parole che ogni ebreo deve sapere fin dalla giovane età.

Questo fece cadere le mie ultime perplessità e gli dissi che si poteva fare benissimo l'affare. Quando rimasi sola feci chiamare il  rabbino ucciso e le feci vedere a lui per capire se effettivamente erano vere o copiate. Il rabbino disse che erano autentiche e che bisognava  assolutamente avere le altre pergamene. Gli dissi che alla fine non potevano rimanere nel ghetto per sempre perchè appena venivo rimborsata le dovevo restituire come nei patti. Il rabbino disse che vi erano due possibilità: la prima era quella di farle ricopiare e dare indietro quelle false, oppure essere rimborsata dalle famiglie del ghetto e far si che rimanessero nelle mie mani. Che cosa fare? Decisi di lasciare fare al rabbino perchè non volevo che si sapessero certe cose per non rovinare la mia nomea e quindi trovarmi a non fare più affari come stavo facendo. Ammetto che mi sono comportata molto male, forse pure in modo egoistico, ma non mi potevo immaginare che quelle pergamene non erano importanti per i miei fratelli ebrei, ma anche per un "gentile" in particolare. Talmente importanti che pur  di ottenere certi importanti affari  non si era tirato indietro ad uccidere il rabbino prima e poi un povero frate che forse era ignaro di tutto. Frà Anselmo disse che il suo ragionamento era molto chiaro, ma quella bambina che  si era seduta vicina a lei chi era? Rachele, guardò prima il frate e poi la bambina facendole un dolce sorriso. Si voltò di nuovo e gli disse che quella bambina era la figlia del primo rabbino ucciso e per un piccolo caso non era stata uccisa anche lei, ma lei era l'unica che aveva visto tutto. Lo fermò immediatamente aggiungendo che per il forte trauma da quella notte non aveva proferito più una  parola.
 
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21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr12

Post n°297 pubblicato il 24 Marzo 2024 da la.luna.piena1

Frà Anselmo, al suo ritorno dalla casa della vedova, fu informato da uno dei due chierici che il magister aveva finito il suo lavoro e che voleva parlare con lui per ciò che aveva trovato, ma solamente a lui e nessun altro. Sebbene l'ora si era fatta tarda e che il povero frate iniziava ad avere un po' di appetito la curiosità prese il sopravvento e senza indugi si incamminò verso le aule della università che non erano a breve distanza. Dire che camminò era quasi un eufemismo perchè mancava poco che si fosse messo a correre. Intuiva dentro di se che c'era una svolta e forse, molto forse la soluzione non era tanto lontana. Appena arrivò chiese ad uno studente dove era l'aula del magister e con sorpresa l'alunno gli rispose che il magister lo stava aspettando. Entrò e lo vide piegato su un tavolo dove vi era adagiato un povero cadavere semi sezionato. Sapeva che queste lezioni erano semi proibite e per questo le si faceva alla sera tarda. Il magister sentendo i suoi passi in avvicinamento si alzò come un fuso, lo guardò e lo salutò . Prima che Frà Anselmo gli rivolgesse la domanda, lo fermò con un gesto della mano e con una campanella chiamò un inserviente per far sparire il cadavere e dare una pulita per le lezioni del giorno dopo. Uscirono  dall'aula e e si ritrovarono in un piccolo studio colmo di libri appoggiati in qualsiasi spazio e alcuni aperti su tavole del corpo umano. Il magister disse che una cosa così non l'aveva  mai vista. Una ferocia  così disumana non era da esseri umani, ma da demoni. Disse che entrambi i due omicidi erano avvenuti usando la stessa arma e la stessa ferocia. L'assassino o gli assassini non avevano esitato a colpire con un bastone, probabilmente, prima di dare la stilettata definitiva. Frà Anselmo iniziò a capire che non si doveva più cercare nel ghetto, ma bensì nella città cristiana perchè solamente i "gentili" come erano chiamati i cristiani dagli ebrei potevano portare con se armi da difesa senza incappare in guai pesanti. Quindi  si doveva ritornare a torchiare la vedova Rachele sui suoi affari e assolutamente bisognava che dicesse tutto ciò che sapeva. Caso mai facendole paventare l'idea  di un interrogatorio fatto non più fra le sue mura domestiche, ma in una segreta del tribunale dell'inquisizione. Con questo pensiero semi abbozzato si congedò dal magister e uscendo si incamminò verso il palazzo che lo ospitava. Appena arrivò chiese ad un domestico di portargli qualcosa da mangiare, ma che fosse frugale. Aveva bisogno di riposarsi senza avere incubi causati dal troppo cibo che poteva  aver ingerito.  Per il povero frate era destino che quella sera non andasse niente come desiderava lui. Infatti era intento a mangiare un po' di formaggio con delle olive quando gli fu detto che il Cardinale di Ferrara aveva l'urgente necessità di parlare con lui e che lo aspettava immediatamente a palazzo e per far prima fuori c'era la carrozza ad aspettarlo. A malincuore lasciò nel piatto le ultime olive e i pezzi di formaggio e dopo un po' era al cospetto del Cardinale che non era tanto di buon umore. Il cardinale gli chiese se era stato necessario tutto quel via vai fatto in questo giorno. Far indagare a un magister le ferite mortali per capire il tipo dell'arma usata. Non bastava sapere che la morte delle due vittime era da pugnale? Un banalissimo pugnale che qualsiasi criminale poteva portare con se, magari nascondendolo fra le pieghe degli abiti che indossava. Poi a cosa era servita la visita alla vedova? Non era necessario far sapere che quella vedova continuava a fare affari al posto del marito, pace all'anima sua. Frà Anselmo ascoltò a capo chino la sfuriata del cardinale, aspettando il momento migliore per dire il suo pensiero. Aveva già capito che il Cardinale aveva messa una spia a controllare i suoi movimenti e quindi tanto meglio che si potesse giocare  a carte aperte. La filippica del Cardinale durò una 15 ina di minuti, camminava avanti indietro, le mani unite dietro la schiena e sempre più nervoso. Frà Anselmo, vedendolo calmo e fermo in cerca della sua risposta, fece un bel respiro e iniziò a controbattere. In primis non era un volgare pugnale, ma bensi' uno stiletto  con lama fatta a Toledo (si capiva dal taglio di entrata) quindi un'arma non per tutti. Si aveva bisogno del magister per vedere se i colpevoli erano uno solo, come sospettava, o i delitti erano scollegati tra loro. Infine le domande fatte alla vedova servivano per restringere il campo di ricerca e con le ultime scoperte aveva ragione a pensare che l'assassino non era un ebreo, ma un cristiano e forse di buona famiglia. Il Cardinale lo guardò meravigliato e gli chiese se voleva andare avanti alla ricerca. Il frate disse che non era lui a decidere, ma bensì il Santo Padre che lo aveva mandato apposta. Si sarebbe ritirato nei suoi alloggi, avrebbe scritto una lettera a Roma e poi avrebbe atteso gli ordini su come procedere. Il Cardinale disse: Sia fatta la volontà di Nostro Signore e poi lo congedò  

 
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23 ottobre 1630 UNA TRAGICA VERITA' capitolo n.11

Post n°296 pubblicato il 10 Marzo 2024 da paolaassisi

Reply non riusciva a prendere sonno. Si rigirava sul pagliericcio e ne ascoltava il fruscio. La candela sulla scranna baluginava gli ultimi bagliori. Yael ascoltava sdraiata dalla parte opposta di quella stanza comune. Infine si mosse, si alzò e avvicinatosi a Yael la scosse e disse: Yael, lo so che tu pure non dormi. Orsù, alzati. Il pallido volto estenuato di Yael si illuminò di nuova speranza, si scosse: Padre, si, io pure non riesco, L’angoscia mi invade. Dica, che faccio? Come posso aiutare? 
Alzati e prima d’ogni altra cosa, recati da Isacco e comandagli di venir teco che bisogna agire.
Di nuova speranza accesa nel volto, capendo che infine il padre aveva forse trovato la via, Yael a piedi nudi corse verso la porta, poi ricordandosi tornò indietro e svelta infilò ai piedi gli asmasin e finalmente si diresse veloce in fondo a via Vignatagliata bussando impetuosa all’uscio ove sapeva abitare Isacco. 
L’uscio come timoroso si socchiuse, un volto nel buio fu scorto e subito una esclamazione accolse Yael e la porta si spalancò. 
Ella si guardò intorno e vista la strada deserta, avvolta ancora dalle ultime ombre della notte, entrò sussurrando: Isacco, Isacco, credo mio padre si arrovelli in un sogno che mai lo fece dormire stanotte. Ti vuole, ti vuole subito Isacco, vieni meco! Isacco comprese l’urgenza e voltosi verso il buio della stanza abbracciò una forma che pure abbracciò e giratosi chiuse l’uscio. Si sentì subito il suono della spranga dietro d’esso e un singhiozzo. Insieme corsero e presto raggiunsero la casa di Yael. Il selciato fu pieno del suono degli asmasin e prima ancora di arrivare all’uscio, questi s’aprì e Isacco nella casa entrò, chinando il capo, accompagnato dalla ragazza. Isacco vide il volto agitato di Reply e comprese quanto poco egli avesse dormito. Isacco, Isacco, mormorò il Rabbino. La sventura ci avvolge eppure qualcuno ancora ci è vicino. Ieri una donna mi si accostò silenziosa e mi porse quest’oggetto, dicendomi averlo trovato presso il corpo dell’ucciso sconosciuto. Isacco lo prese, lo guardò: era un semplice anello di legno, ma di squisita fattura. Al suo colmo vi era incastonata una pietra azzurra nella quale era incisa una croce. Isacco meravigliato lo prese mentre Reply veloce gli disse: Isacco, corri, corri perché bisogna sapere chi è l’ucciso e perché. Un ebreo non porta anelli così… corri dal buon Padre Francesco, unico cristiano amico del ghetto e chiedi. Padre Francesco stava recandosi a Santa Chiara quando incrociò Isacco, che trafelato si dirigeva verso la chiesa del monastero. Veloce Isacco gli disse del desiderio del Rabbi, porgendogli l’anello. Padre Francesco lo rigirava fra le dita, guardando la pietra e senza parole disse: Isacco, taci. Tornati. Vedendo questo anello ricordo dove altri simili ne vidi. Va’ e taci. Quando saprò al Rabbino dirò. Nel saio s’avvolse e nelle luci dell’alba scomparve, non visto. All’alba, la corriera che dal castello ogni mattina s’appresta verso Codigoro, era in partenza allorquando Fra Francesco chiese al cocchiere di farlo salire: doveva recarsi all’abbazia di Pomposa. Ben oltre il mezzodì la corriera giunse dinanzi all’abbazia. Fra Francesco discese e rapito da quella bellezza che lo accolse monello, attraversò l’atrio sperando incontrare fratelli. Non v’era nessuno eppure, entrando nella chiesa, un sommesso canto nasceva dal fondo della navata di destra. Inginocchiatosi, si terse gli occhi polverosi e verso il fondo si diresse. Un gruppo di monaci in ginocchio sommessamente cantava quando, all’improvviso, dal gruppo si alzò il più vecchio, certo l’Abate e verso lui guardava allargando le braccia al sorriso. Padre Francesco parve illuminarsi e chinatosi fin quasi in ginocchio egli pure allargò le braccia dicendo: padre Gregorio, Dio ti accompagni! E felice accolse l’abbraccio. Padre Gregorio stupito guardava quel volto da tanti anni celato dal corso del tempo e subito comprese che un fatto assai grave doveva avere spinto Fra Francesco a recarsi a Pomposa; subito s’affrettarono verso la biblioteca deserta. Vedendo l’apprensione, il volto incanutito dal tempo ammirando, le mani stringendo le mani, subito chiese quale ambascia avvolgesse Ferrara. E presto fu noto. E presto padre Francesco pose nelle mani di padre Gregorio l’anello. Questi lo prese, fra le dita lo rigirò, poi disse: lo riconosco. Quest’anello io stesso donai ad un monaco al momento della sua ordinazione. Questo è l’anello benedettino che ornava un dito di frate Edmondo. Egli ormai dieci giorni or sono si è allontanato da Pomposa per incontrarsi con il Cardinale, a Ferrara, per rappresentare le necessità dell’Abbazia della quale sono indegno Abate e alle quali non riesco a supplire per le inclemenze del tempo e le infermità che affliggono tanti fratres qui….La notizia sconvolse Fra Francesco. Il cadavere sconosciuto ritrovato apparteneva al un monaco di Pomposa che si era incontrato con il Cardinale. L’ora era tarda e le ombre della sera si avvicinavano. Dopo il vespro ed il desinare, la notte accolse preghiere e sonno e le prime luci dell’alba accolsero padre Francesco sulla via del ritorno. Era ormai vicino il tramonto quando il cocchiere fece scendere dalla carrozza padre Francesco, vicino al castello.

 
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21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr 10

Post n°295 pubblicato il 18 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Fra' Anselmo lasciò in fretta e furia il magister con i due chierici e si diresse verso l'entrata del ghetto ebraico. Non gli interessava  delle voci che sarebbero nate appena si sarebbe saputo della sua visita, lui voleva trovare il bandolo della matassa e fare, finalmente, luce su questo omicidio, anzi duplice perchè era sempre più convinto che le due vittime fossero collegate tra loro. Si diresse verso Via Sabbioni dove  abitava la persona che senza ombra di dubbio lo poteva aiutare . La persona, anzi la vedova di un ricco commerciante( imprestava pure denaro a chi ne aveva bisogno, senza fare differenza fra ebrei e cristiani) abitava in una casa talmente maestosa che poteva ospitare tranquillamente una sinagoga all'interno del cortile. Sviluppata in un palazzo maestoso e quasi facendo confine tra il ghetto e la città cristiana, si apriva su un lussuoso ingresso dove ad attenderlo vi era colei che lo poteva aiutare. Non erano sconosciuti Fra' Anselmo e la vedova perchè la loro conoscenza era nata a Roma, e si scambiarono un affettuoso abbraccio appena furono vicini. La vedova fece strada attraversando un cortile che era circondato da vari accessi. In uno di questi, l'inquisitore, vide una stanza con un camino scoppiettante e con degli affreschi che coprivano senza ombra di dubbio tutte le pareti, dando un senso di calore a chi aveva la fortuna di entrare in quella stanza. La vedova ( Rachele Dafermo, questo era il suo nome)si indirizzò verso una stanza e dopo aver fatto accomodare l'inquisitore gli chiese qual buon vento lo portava a Ferrara che non era tanto vicina alla città eterna. Il nostro inquisitore  le rispose che era stato mandato a Ferrara per i lutti che vi erano stati. L'inquisitore , guardandosi intorno, disse che un'idea già si era fatta nella sua mente ed era li proprio per chiedere conferma alle sue supposizioni. La vedova con finta aria stupita gli chiese a che supposizioni intendeva dire. Le disse che la sua casa era ai limiti  estremi del ghetto e dalla finestra si potevano vedere i cancelli che separavano il ghetto dal resto della città. La vedova confermò quello appena detto e aggiunse che era una esigenza del suo povero marito per i suoi affari.

 Disse inoltre che tutta la città sapeva che in quella casa si concludevano affari sia con cristiani e ebrei; bastava solamente chiedere udienza e si concludevano affari con un profitto equo per le due parti. La vedova Rachele, guardandolo gli chiese seriamente se la voleva denunciare alle guardie papali dato che era un reato molto grave e a volte si veniva condannati e requisite tutte le proprietà. Fra' Anselmo la rassicurò, dicendole che era ben lungi da lui l'idea di denunciarla, ma gli servivano alcune informazioni proprio inerenti all'attività del marito e che sicuramente non era stata abbandonata dopo la sua morte. Sicuramente vi erano famiglie più o meno nobili che si rivolgevano a lei per avere un prestito di scudi in attesa di tempi migliori . Ecco, lui voleva sapere quali erano chi si trovava in difficoltà. Rachele disse che non era una cosa fattibile e anzi molto pericolosa per la sua incolumità. Quale famiglia si sarebbe rivolta ancora a lei sapendo che poi tutta la città o il tribunale dell'Inquisizione sarebbero stati informati?. Disse che era una cosa troppo pesante da chiedere, anche nel nome della loro vecchia amicizia e caso mai l'avrebbe aiutato o cercato di aiutarlo in altri modi. Fra' Anselmo non disse nulla per farle cambiare idea anche perchè sapeva che ciò che aveva appena sentito era la nuda e cruda verità. La vedova  gli disse solamente una frase sibillina: Si farebbe prima a menzionare chi non è mai entrato in questa casa a chiedere denari......  

 
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21 0TTOBRE 1630 Una tragica verità capitolo9

Post n°294 pubblicato il 04 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Mentre , nel ghetto ebraico, si poneva domande su domande, supposizioni su supposizioni senza venirne a capo minimamente, nella città, il domenicano Fra' Anselmo iniziava a fare le sue indagini personali. Per prima cosa, volendo vedere la ferita mortale e come era stata inferta, decise di vederla con i propri occhi e quindi decise che il cadavere della prima vittima doveva essere riesumato.  Fra' Anselmo, si diresse verso il palazzo sede del tribunale dell'Inquisizione per chiedere alcune cose all'Inquisitore di Ferrara, ma senza far trapelare la vera ragione per non destare sospetti o contrasti, anche se lui aveva avuto dal Papa, carta bianca e doveva rendere conto delle sue azioni solamente al Pontefice in persona. Arrivato in tribunale, Fra' Anselmo si diresse verso l'ufficio del suo "collega", ma a metà strada gli fu detto che lo poteva trovare di sotto a bruciare libri in odore di stregoneria e di eresia. Fra' Anselmo, odiava questa cosa di bruciare libri che contenevano sapienze del tempo passato e che l'unica memoria per poterle tramandare erano proprio i libri. Che delitto  nefasto e quanta ignoranza fra gli uomini di fede. Non si doveva avere paura di parole solamente scritte perchè non recavano nessun male , a differenza degli atti compiuti da esseri umani. Fra' Anselmo si ritrovò in una stanza semi buia dove l'unica luce era dovuta al bruciare dei libri che l'Inquisitore guardava con aria soddisfatta. Quando si accorse della presenza estranea, si girò e chiese il perchè di questa visita e se per caso era poco soddisfatto degli alloggi messi a sua disposizione. Non erano lamentele che voleva fare, anzi i suoi alloggi erano troppo sontuosi, ma bensì erano delle piccole curiosità che lo avevano portato in quelle stanze. L'inquisitore capo , credendo che volesse chiedere  il perchè del rogo dei libri, disse che non si dovevano far circolare libri eretici e che potessero minare la fede della povera gente, analfabeta e credulona. Talmente credulona che era facile potesse cadere nelle tentazioni del maligno. Fra' Anselmo voleva ribattere, ma si morse la lingua per tacere e piano piano portò il discorso sugli argomenti che interessavano a lui. Dopo due ore di discorsi, a volte inutili e a volte preziosi, si era convinto che la cosa necessaria da fare era riesumare. Congedandosi si indirizzò verso l'università per cercare un magister in medicina e per mettersi d'accordo per l'operazione. Trovò un magister che prima fu stupito per la strana richiesta di un uomo della chiesa, ma poi accettò anche per il bene della scienza e della giustizia. Nelle prime ore del pomeriggio si trovarono nel luogo prestabilito e insieme a loro due vi erano due chierici adibiti al trasporto del cadavere al laboratorio del magister, caso mai questo dovesse aver bisogno di approfondire meglio l'esame. Non essendoci il guardiano del cimitero,( meglio così perchè meno testimoni presenti, meno si sarebbe saputo poi) l'onere della dissepoltura toccò ai due chierici. Sbuffando, manovrando con poca maestria le pale, alla fine arrivarono a far sbattere  la pala contro la misera cassa che conteneva il corpo del rabbino e furono interrotti dal magister immediatamente. Questo disse che prima di aprire la cassa era meglio proteggere naso e bocca per evitare di respirare i miasmi della decomposizione e in fretta e furia spiegò a loro come fare. La visione che si presentò a loro, appena ruppero il coperchio fu da ricordarsi per un bel po'. La pelle era diventata nera, gli occhi non erano più presenti nelle orbite e i muscoli della bocca avevano causate smorfie da brivido. Furono investiti da miasmi fetidi e che si sentirono lo stesso pur avendo le vie respiratorie protette.

Il magister era impaziente di esaminare il corpo e pungolò i due chierici a muoversi con molta più lena per arrivare  a destinazione.
Il corpo fu deposto su un tavolaccio di freddo marmo, un marmo ancora sporco del sangue e delle interiora di alti cadaveri sezionati in quel posto, sia per lezione, sia per voglia di conoscere a fondo il funzionamento della macchina chiamata corpo umano. Esaminarono a fondo la ferita all'addome, videro che aveva leso organi vitali, ma con enorme stupore di Fra' Anselmo, il magister disse che il rabbino  era già morto quando fu accoltellato. Per confermare ciò che aveva appena detto fece girare la testa dell'uomo e mostrò un enorme bernoccolo dietro. Anticipando la domanda sul bernoccolo che forse poteva essere stato causato dalla caduta a terra della vittima. indicò la posizione di questo e disse che una persona cadendo non poteva mai cadere in quel modo e quindi il colpo era stato dato quando la vittima era ancora in piedi o al massimo seduto su una sedia. Fra' Anselmo chiese di fare tutte le sezioni possibili e disse ai due chierici di soddisfare tutte le richieste del magister in sua assenza. Doveva fare alcune domande e queste erano per una persona che molto probabilmente la si poteva trovare nel ghetto.

 
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