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Post n°61 pubblicato il 25 Aprile 2016 da azzurraio26

Entrò nella stanza che a quell'ora era libera, pensando di non trovare quello che cercava..pensava di stare a profanare un altare ma. in realtà doveva essere semplicemente evidente che non lo era.Aveva avuto la triste esigenza di dover chiedere aiuto, e sicuramente glielo avevano dato, certo a proprio modo e con le opportunità del caso. Solo che chi l'aveva aiutata poi, aveva lasciato la cartella clinica custodita come le altre, da un nemmeno tanto squallido armadio metallico, poggiata in ordine alfabetico tra altre cartelle, forse appartenenti a pazienti poco frequenti o poco esigenti.In quel momento pensò di aver fatto bene, nelle sedute iniziali, a non aver confidato l'origine di tutti i suoi problemi, pensò quanto fosse importantte avere la possibilità di poter raccontare il proprio dolore in uno studio privato, dove sicuramente le sue parole avrebbero lasciato traccia dentro una cartella,sistemata in uno schedario di un primo piano di uno stabile di un bel quartiere;era contraria a che la gente si facesse curare privatamente,anche se ci potessero essere delle eccezioni,come lei, si guardò intorno e vide dei pastelli colorati..era la prima volta che su una scrivania di uno psichiatra trovavava dei pastelli e per giunta di una buona marca..fece dei cerchi, usò tutti i colori su un foglietto per gli appunti che poi accartocciò..ritornò a pensare che i fatti non la stavano smentendo.In testa tante domande, mentre prendeva le chiavi dal cassetto e apriva l'armadio metallico, tutto con molta naturalezza, non aveva bisogno nè di non farsi vedere, nè di fare piano.La sua cartella stava lì, insieme alle altre, se tutti potevano sapere, quindi anche lei poteva,del resto, era la sua. La prese, la guardò fissandone il numero, era un numero tutto sommato accettabile,quasi simpatico, non come quei numeri che sembrano incomprensibili e a pensarlo nella testa e ripeterlo, non aveva un suono cupo o angoscioso..adesso sapeva di essere un numero, un numero bello, pieno..aveva un qualcosa, un retrogusto.Una volta, gli fece una domanda, gli chiese se delle sue sedute rimaneva qualcosa di scritto...dalla sua non risposta e dal sorriso schivo e cordiale con cui le rispose..di quei sorrisi che ti fanno sentire come se avessi messo un cappotto caldo ma senza collo,che sei tutta coperta ma in realtà senti tanto freddo proprio lì, dove manca il collo..in poche parole una deficiente, solo che lei non lo era. Sfogliò la cartella, le terapie annotate in modo ordinato e chiuse dentro una foderina di plastica sottile, la scrittura limpida, essenziale e poi la scheda coi suoi dati, e in ultimo la relazione.Aveva bisogno di giustificare. Giustificare per non cedere alla rabbia, anche se leggittima, agli sguardi delle colleghe che, di cui non si saprà mai niente delle loro sedute dal neurologo, come lo chiamano.Alla fermata del mezzo, che non passava mai, roma è anche questo.. così a ciel sereno una collega le disse a mò di solidarietà che lei aveva avuto bisogno dello psichiatra e che al lavoro nessuno lo sapeva... e nessuno doveva saperlo..lei non rispose, accennò un vago sorriso che però decollò in una triste smorfia e dovette girarsi, guardare dall'altra parte, farsi catturare dalla scena che in quel preciso momento si presentava davanti ai suoi occhi, per non sentire la nausea, lo schifo.. un ciclista stava passando, imprecando su una ragazzina che in quel momento nel separarsi dalla madre, stava attraversando il viale,e non accorgendosi del suo passaggio, e che sicuramente avrebbe dato origine a uno scontro che fortunatamente non avvenne,per la manovra che il ciclista prontamente riuscì a fare, dando alla ragazza, un sonoro:STUPIDA. Qualcuno in strada si girò verso il ciclista, qualcun altro guardò la madre che smarrita, accompagnò con lo sguardo la ragazza, fino a quando quest'ultima si addentrò in un strada alberata, diventando un puntino lontano.Ritornò a quello che un minuto prima stava pensando, mentre l'altra che era insieme a lei,le parlava, parlava...di problemi, cucine a gas scoppiate,e il mezzo non passava... E'chiaro che durante il percorso qualcosa può sfuggire.Forse pensò, non tutto capita a caso, però a lei appariva evidente che senza quell'aiuto, non sarebbe stato lo stessa cosa.Era critica, anche se una persona di sua conoscenza le avrebbe detto di essere solo  polemica, un'ingrata.. e che non doveva importarle se c'era una cartella, con tanto di nome e cognome e numero progressivo.Appena lei sarebbe stata fuori dalla stanza,l'avrebbe definita così.. Farsi scivolare tutto addosso...solo che nello scivolamento,le cose le si spalmavano addosso, un pò qua e un pò la.. rimanendo attaccate, un pò alle braccia, un pò a un seno, e anche sulle cosce, le gambe..ecco si fermavano ai piedi, per poi proseguire verso le unghie gialle e spesse e lì rimanevano.Pazienza, ci voleva pazienza, aspettare proiettandosi verso altri lidi, verso cose più importanti? In quei giorni di caldo inaspettato, perchè era solo marzo, pensava a quante volte, le sue colleghe avessero visto la sua cartella, prima che lei arrivasse in quella nuova sede, commentato, buttando lì, quanto lei fosse più o meno pazza e quanto loro fossero più o meno preparate a fronteggiare il tutto.Forse sarebbe bastato non essere scritta negli elenchi alfabetici, non dare modo agli altri di poterla conoscere senza essere prevenuti, o forse era solo lei che si stava facendo troppe domande.La relazione si concludeva, dicendo che, in lei non vi fossero nè contenuti persecutori, nè allucinanti.Quindi poteva star tranquilla!Magari pensare di aver aperto la strada alla riabilitazione tracciabile, del personale.Forse anche questo fa parte del cambiamento.Ricordando la mattina, quando la curiosità la spinse a conoscere le future colleghe e che incontrando qualcuna,già vista, disse loro che era conosciuta dal servizio in veste di utente, e mentre la guardavano con una naturalezza finta, lei disse che aveva avuto bisogno e aveva chiesto aiuto...,poi uscendo dalla porta a vetri, nel girare la maniglia, si accorse che aveva detto la cosa giusta, sorrise di niente, e pensò che in quel posto doveva lavorarci sei ore al giorno, forse anche dodici, pensò a chi diceva che il conflitto ci deve essere, e guardò avanti, oltre la nebbia, oltre chi ha bisogno di etichettare il paziente psichiatrico TIPO, perchè un paziente psichiatrico tipo non c'è..tutti possono esserlo e non tutti lo sono, si diventa matti per mancanza di rete sociale, per non appartenenza a un ceto elevato o a una categoria, per paura di sbagliare ancora,e per timore di uscire allo scoperto.O semplicemente perchè si sapeva in partenza di dover ingrossare le fila dei perdenti, degli sfigati.Senza dignità, senza amore e senza modelli di riferimento è facile perdersi dentro la propria pelle, andare verso l'annullamento del proprio essere.Rimane impressa una frase, detta con semplicità ma, accolta e messa in pratica tutti i giorni: diamo ancora fiducia. Darsi fiducia per poter credere ancora e, poter essere un riferimento, un ascolto, un telefono, una semplice voce che accoglie, soprattutto se stessi.

Chiedere aiuto, nel momento del bisogno è essere forti, rialzarsi dopo essere più e più volte scivolati,un atto di dignità verso se e verso le persone a cui vogliamo bene.Verso la persona più importante,Noi.Stando comunque attenti ai colpi bassi..così, tanto per schivarne qualcuno.

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Commenti al Post:
tony.marcoffio
tony.marcoffio il 25/04/16 alle 16:31 via WEB
Buongiorno Caterina, Sereno pomeriggio. Bellissimo post, cpmplimenti!! Un Caro e dolce saluto per te. Affettuosamente Tony
 
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