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Narrazione di avvenimenti anche accaduti

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FATTI ATTORNO AD UN ASCENSORE - SETTIMO: Un lungo mare di pontili in memorie circolari.

Post n°7 pubblicato il 31 Luglio 2016 da THOalex
 

Passeggiavo sul lungo mare. 

Il profumo dell'acqua portato dal vento era quanto di meglio avessi bisogno in quel momento. E' rilassante e distoglie l'attenzione da se stessi.
Incrocio un gruppetto di giovani adolescenti e dal mezzo qualcuno, sì è la voce di un ragazzo, sovrasta il chiacchiericcio della compagnia quel tanto che quanto sta dicendo mi giunga alle orecchie, anche se non subito. "Jesus Christ!". Solo quando avverto le risatine sommesse del gruppetto, mi accorgo che l'esclamazione è rivolta a me. Assopito dalla quiete della brezza, il mio flusso di coscenza si riversa allora sulla realtà e quella che avevo avvertito come una esclamazione, viene rielaborata e si presenta per quello che è, uno scherno nei miei confronti. Le risate, penso. Sono quelle a farmi realizzare il fatto. E rido anche io, rispetto la loro ingeniutà.
Altre volte avevo udito quella frase e sempre mi ero soffermato a pensare come fosse un noioso luogo comune quello di accostare il mio aspetto a quello del figlio del Signore. Noioso, sbagliato. Sbagliato perché i soli capelli lunghi e barba non bastano. Sbagliato perché sono di carnagione piuttosto chiara. Noioso perché è stancante. Ma è un problema mio. Nessuno dei vari comici improvvisati poteva sapere quante altre volte avessi sentito proferire la battuta, però avrebbero potuto, se non informarsi, intuirlo proprio perché è un luogo comune e pertanto abusato da tutti. E quindi forse non è un problema mio. E siate originali, per Dio, che tanto non batterete cassa comunque, almeno abbiate un po' di orgoglio.
Ma tutto ciò non ha importanza. Le battute dozzinali, i luoghi comuni, le risatine di gruppo, le chiacchiere giusto perché "almeno non sono solo a casa, datemi aggregazione", non mi interessano. Io sto solo percorrendo il lungo mare come sempre. Cammino a fianco del mare e la sua risacca. Il mare vede la riva, gli scogli, il muraglione e la città di lustrini al di là. Le luci, il traffico, il chiasso, la musica che esce dai locali attraverso le porte e le finestre aperte. Ode il tintinnìo dei bicchieri, le urla euforiche dei turisti. I passi sull'asfalto di mille persone, il clacson che rimprovera. E ancora gli artisti, giocolieri, saltimbanchi. Le donne vestite d'abiti leggeri con pizzi raffinati. C'è uno sputafuoco che fiammeggia veloce dalle labbra. Dall'altra parte, verso il porto, avverte botti fragorosi e il cielo si illumina di colori. Poi il vociare rude di giovinastri arroganti dai denti bianchi e la divisa e sa che cercano divertimento nell'abbraccio delle belle signore.
Ma tutto ciò per il mare non ha importanza. E non ne ha nemmeno per me. Cammino a fianco a lui finchè non raggiungo la mia svolta e mi addentro tra le pareti di mattoni a vista e calcestruzzo, lasciandomi il mare alle spalle.
Il silenzio si avvicina dal fondo della via per incontrarmi pian piano. Lo sento incrociarsi lentamente con i rumori della festa alle mie spalle. Lento, ma inesorabile, il silenzio domina, quanto più mi allontano dalla festa. Finchè vince ed io con lui. E ci godiamo questo sodalizio.
Ce lo godemmo per breve. Ma il silenzio mi sorrideva perché mi conosce e approva. Approva quello che sa di me.

Lontano dal fragore del pease in festa vivo io.
Mi basta aprire, spalancare il balcone e vedere le stelle. Il profumo del patanegra sale dal locale sotto il mio appartamento, misto a quello del vino (oh quel vino rosso, così profumato di agrumi e botte di frassino, ma dal colore denso, porpora, sangue, ebbrezza, serenità) e del pane arrostito spalmato d'olio d'oliva, aspro e dolce. Ma ecco la musica, quella che desidero. Che mi avvampa dentro e brucia poi sulla pelle, scatena il delirio, la passione. Il sudore che vola dai capelli. I corpi si scatenano e gli abiti di lei danzano attorno al suo corpo. Ora folleggiano le nacchere al ritmo perfetto, i piedi battono secchi e precisi in contrattempo. E le urla e le risate e le mani che suonano e applaudono. Ma non sono io, io ascolto e basta. Loro, quella coppia che vidi anni addietro, erano loro che facevano impazzire gli avventori. Rappresetavano quella che per me era la coppia perfetta, la coppia per la vita. Quale intesa nei loro occhi; la scorgevi nella profondità vitale che soltanto gli anni trascorsi assieme avevano reso così profonda. Magnifici, leggeri e potenti; disinibiti e aggraziati. Ed avevano sessant'anni.

Ora tutto ciò non c'è più.
Non vivo più in quella casa. Non esiste più quella vita. La vita è ora al di qua prima della svolta che conduce tra le pareti di mattoni a vista e calcestruzzo. Qua sul lungomare del paese in festa. Che festeggia e non sa più per cosa. Festeggia e basta.

Passeggio ancora sul lungomare che disconosco, passeggio in quanto sono un passante e sto tornando all'albergo dove alloggio. Dovrebbero dirmi che posso riprendere la mia stanza, oppure che me ne affittano un'altra o che, alla peggio, mi trovano un'occupazione in un altro albergo.
Poche ore prima ero seduto sul davanzale della finestra della mia camera. La finestra dà su un tetto piatto, perciò potevo starmene comodamente seduto sul davanzale con i piedi ben saldi sul tetto che è molto ampio e contornato a semicerchio dal resto dei piani dell'albergo alle mie spalle. In fronte a me vedevo la parte di tetto libera da pareti e finestre se non quelle degli altri alberghi più avanti. Però potevo fumare e bere.
Quindi sono lì a fumare e bere quando un corpo precipita e si schianta a due metri dalle mie gambe. Avete mai sentito il sibilo di un corpo che cade? Io sì.
Il corpo, che era caduto contro il bordo di uno dei lucernari a cupola aveva braccio e scapola piegati orribilmente verso l'interno, la gamba destra era torta e si vedeva distintamente un porzione di tibia spezzata che aveva trapassato il pantalone. La testa era innaturalmente girata verso di me ricoperta di sangue e muco. Il corpo muoveva le labbra. Non capii cosa, o meglio, se stava cercando di esprimersi. Era palesemente un pesce, ai miei occhi. Risi male e chiamai subito aiuto.
Depositata la mia testimonianza (salvo il particolare del pesce, che per decenza omisi) mi chiesero di lasciare la stanza per alcune ore. In realtà mi avevano proposto di spostarmi altrove subito, evidentemente pensavano, anzi, erano certi, che la cosa mi avesse turbato. Ma io dissi "vado a fare due passi" e così me ne andai sul lungomare, che non era come ricordavo.
Tornato allora in albergo la Signora al bancone d'ingresso mi dice che sì, la stanza sarebbe libera. Insomma la stanza in sé non era coinvolta, il corpo era stecchito sul tetto. Ora il corpo è stato rimosso e al tetto potevano se necessario accedere da fuori...

Quindi prendo la chiave e torno in camera.
Rimango così un po' fuori sul davanzale a fumare e bere. Sì il paesaggio fa schifo. C'è il tetto piatto con i lucernari a cupola, alle mie spalle si stagliano le pareti e relative finestre di questo albergo. Alle mie spalle e sul lato sinistro. Anche alla mia destra a dire il vero. Pareti alte, saranno 25 piani. Di fronte a me, oltre il tetto piatto, si vedono altri alberghi e condomini sparpagliati qua e là, divisi da strette aperture. Insomma sono lì sul davanzale a bere e fumare, quando un corpo precipita e si schianta a due metri dalle mie gambe. La testa del corpo era innaturalmente girata verso di me e ricoperta di sangue e muco. Il corpo muoveva le labbra. Non capii cosa, o meglio se, stava cercando di esprimersi. Era palesemente un pesce a miei occhi. Risi male e chiamai subito aiuto.
Poco dopo mi dissero che mi avrebbero dato un'altra camera, visto che ci sarebbe stato un via vai di persone addette. Rifiutai. Era palese che pensavano che la cosa mi avesse turbato. Ma io dissi "vado a fare due passi" e così me ne andai sul lungomare.
Il profumo dell'acqua portato dal vento era quanto di meglio avessi bisogno in quel momento. E' rilassante e distoglie l'attenzione da se stessi. Incrocio un gruppetto di giovani adolescenti e dal mezzo qualcuno, sì è la voce di una ragazza, sovrasta il chiacchiericcio della compagnia quel tanto che quanto sta dicendo mi giunga alle orecchie. "Jesus Christ!"...
Mi unisco mentalmente alle loro risatine.
Sollevo il braccio destro mostrando la mano con l'indice e il medio alzati assieme, uniti. "Pace ragazzi!" e proseguo sul lungo mare.
Il paese è in festa e la festa non mi interessa, pertanto cammino molto finché non raggiungo il porto, scendo sulla scogliera e percorro il lungo frangiflutti, spingendomi fino alla sua fine dove a malapena le luci della città creano ombre sommesse. Di questi frangiflutti ce n'è uno ogni duecentocinquanta metri circa, servono a non consumare la poca spiaggia.
Li chiamavamo pontili, quando all'epoca frequentavo la zona per le vacanze estive. Quell'anno in particolare lo ricorderò credo per sempre, certo non tutti i dettagli, ma ben chiara nella mia mente rimarrà quella sensazione di sospensione tra la giovinezza e gli anni delle responsabilità. Tanto era alle spalle e tutto doveva ancora accadere e in quelle settimane abbandonai il futuro che mi spaventava a morte all'oblio, ad una infanzia indimenticata e ad una adolescenza che non volevo se ne andasse. Quindi ogni giorno, ogni notte fiumi di bevande inebrianti scorrevano e quante sigarette di artigianale fattura, preparate con l'esperienza altrui sciolta dalla fiamma di un accendino, furono consumate. E quante parole che suonavano di tribuna colta vennero sprecate in un crogiolo di autocompiacimento ebbro.
Non fu la fine delle vacanze a stroncare la mia volontà di rimanere sospeso nel tempo e nello spazio.
Su uno di quei pontili conobbi l'amore puro di un'intesa scaturita dal nulla; le notti sobrie passate a chiacchierare e a sorriderci, a dormire assieme in un abbraccio ingenuo e casto. Svegliandoci assieme alle prime luci dell'alba con nella mente le immagini chiare di un'intera vita passata assieme. E invece furono solo pochi giorni. Lei da quei pontili amava tuffarsi e quel giorno in cui venni a cercarla tra gli ombrelloni seppi che da uno di quei pontili aveva incontrato la morte sparendo tra i flutti. E corsi via disperato e piansi lacrime di whisky dalla notte all'alba fino alla fine dei miei giorni in quel posto di mare che è lo stesso dove sono ora. Lo stesso, ma diverso. Io sono diverso; come ho detto quell'evento mi strappò via dalla vita che sognavo.
Diventare improvvisamente adulti e voler morire.
Invece non morii. Andai avanti a tentoni negli anni che seguirono fino ad oggi. Fino a questo momento in cui mi trovo sulla fine di questo frangiflutti vicino al porto a guardare il blink delle navi all'orizzonte oscuro. E mi viene l'istinto di buttarmi tra i flutti.

Poco dopo sono nuovamente sul lungo mare verso l'albergo. Mi fermo per una bevuta, prima, però.
Giungo alla reception dove dovrebbero dirmi che posso riprendere la mia stanza, oppure che me ne affittano un'altra o che, alla peggio, mi trovano un'occupazione in un altro albergo.
La stanza è libera, ringrazio, prendo la chiave e con l'ascensore salgo al primo piano dove si trova la mia camera.
Ho bisogno di una doccia fredda e di una bella dormita.La doccia ha la tendina, odio la tendina. Si appiccica addosso, trasmette ansia e tutto il contrario di quello che una doccia dovrebbe trasmettere. Fanculo la doccia e mi fumo una sigaretta sul davanzale, decido.
Quindi sono lì che non penso a nulla quando un corpo precipita e si schianta a due metri dalle mie gambe. Il corpo muove le labbra: aperte, chiuse, aperte, chiuse, aperte, chiuse. È palesemente un pesce a miei occhi. Rido male. Mi guardo attorno un attimo cercando di capire se qualcuno possa aver visto la scena da una delle altre finestre che si affacciano su quel tetto. Tutto sembra tranquillo.
Guardo il pesce un altro paio di secondi, credendo di vedere me stesso. Ma è impossibile, ovviamente. Non volli sapere, non volli indagare; piano, piano me ne tornai dentro la mia camera, abbassai la tapparella facendo il minimo rumore possibile e tirai le tende. Mi coricai sotto il lenzuolo, vestito e subito mi addormentai. Era ora di finirla con quel loop temporale.

Quando mi svegliai era sera. Ed ero su una panchina del lungo mare. Dovevo essermi appisolato da pochi minuti, pensai. Sapevo di dover rimanere fuori alcune ore prima di tornare all'albergo. Sicché decisi di passeggiare sul lungo mare, verso il porto o verso...

THOalex 29/06/2016

Disegno di Valeria Zuccato 

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Commenti al Post:
aldogiorno
aldogiorno il 31/07/16 alle 17:48 via WEB
CIAO THOALEX, COMPLIMENTI PER IL POST. UNA BUONA DOMENICA ED UN CARO SALUTO ALDO.
 
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