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57. ::: SATIRA ::: L'AGENTE E' CON ME' !

Post n°61 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21
 
Tag: satira

57. ::: SATIRA :::

L'AGENTE E' CON ME' !
-

massimo_gariano
 
 
 

56. ::: VIDEO ::: Berlusconi e la Mafia

Post n°60 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

56. ::: VIDEO ::: Berlusconi È la Mafia


 
 
 

55. ::: La Cocaina invade l' Europa - L'Italia al top per...

Post n°59 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21

55. :::







Ecco il Rapporto 2009 dell'Osservatorio europeo sulle droghe. Lo spinello perde popolarità. Allarme per le sostanze "nascoste".La Cocaina invade l'Europa
L'Italia al top per il consumo
La Cocaina invade l'Europa L'Italia al top per il consumo


ROMA
- Una coltre di cocaina avvolge l'Europa. Oltre 13 milioni di europei adulti hanno provato la polvere bianca nella loro vita. Di questi, 7,5 milioni sono giovani (15-34 anni): tre milioni di questi l'hanno usata negli ultimi 12 mesi. Nel dettaglio l'Italia si conferma uno dei Paesi a più alta prevalenza, insieme a Danimarca, Spagna, Irlanda e Regno Unito. La polvere bianca si conferma così la sostanza stimolante illegale più popolare in Europa, mentre diminuisce "la popolarità dello spinello". Lo dice il Rapporto 2009 dell'Osservatorio europeo sulle droghe presentato oggi a Bruxelles, che conferma la diffusione costante della cocaina e rivela come il mix di droghe e alcool sia il responsabile della maggior parte dei problemi legati alle sostanze stupefacenti.

Cocaina.
In Italia, Danimarca, Spagna, Irlanda e Regno Unito, nell'ultimo anno, l'uso tra i giovani si è attestato tra il 3,1% e il 5,5%, mentre nella maggior parte degli altri Paesi europei si registra una tendenza alla stabilizzazione o all'aumento del consumo nella fascia d'età 15-34 anni. Tra i pazienti che entrano per la prima volta in terapia per disintossicarsi, il 22% ha indicato la cocaina come sostanza primaria. Nel 2007 sono stati segnalati circa 500 decessi associati al consumo di questo potente stimolante. Accanto alla cocaina prende piede anche la metamfetamina che sfrutta la facilità con cui può essere prodotta. Storicamente, l'uso di questa sostanza si concentra nella Repubblica ceca, anche se la disponibilità sta aumentando in alcune zone dell'Europa del Nord, come Svezia e Norvegia.

Spinello. Resta la droga preferita dai giovani, ma la sua diffusione è in calo. Sono circa 74 milioni gli
europei, uno su cinque degli adulti, che hanno provato hashish o marijuana nella loro vita, 22,5 milioni (6,8%) ne hanno fatto uso nell'ultimo anno e 12 milioni (3,6%) nell'ultimo mese. Pur restando la sostanza illecita più comunemente usata in Europa i nuovi dati segnalano un calo di popolarita' dello spinello una tantum, in particolare tra i giovani. L'uso uso quotidiano, invece, continua a coinvolgere circa 4 milioni di europei.

Nonostante il calo la cannabis continua ad essere la droga preferita dai più giovani. Tra 15-24 anni, il 15,9% l'ha usata nell'ultimo anno, l'8,3% nell'ultimo mese. Cifre che però, se rapportate con i primi anni del 2000, sono in diminuzione. Dei 4 milioni di europei che fuma ogni giorno a quasi (l'1% della popolazione adulta), circa 3 milioni ha un'età compresa fra 15 e 34 anni (2,5%). L'Italia si colloca tra i Paesi dove il consumo è più alto: al primo o secondo posto tra gli adulti che l'hanno usata una tantum, nell'ultimo anno o nell'ultimo mese, lo stesso tra i giovani (15-34 anni) ed è tra i Paesi a più alta prevalenza anche nella fascia 15-24.

Le nuove droghe. Sulle confezioni c'è scritto che contengono una miscela di innocue piante o erbe, ma in realtà contengono cannabinoidi sintetici, cioè sostanze create in laboratorio che provocano effetti simili a quelli di hashish e marijuana e per lo più non sono state testate sugli uomini. Sono i prodotti "Spice", venduti su internet e negli smart shop, sui quali l'Osservatorio europeo delle droghe lancia oggi l'allarme. Fino all'ottobre 2009, sono stati individuati ben nove cannabinoidi sintetici nei prodotti Spice, tra i quali il JWH-018, una sostanza che se fumata produce effetti simili alla cannabis. Ingredienti che, però, non compaiono nelle informazioni sui prodotti e sulle etichette. L'Italia non compare nella lista dei Paesi dove è possibile trovarli.

Per aggirare i tentativi di bandire gli Spice, sono spuntate una trentina di miscele di erbe alternative, simili agli Spice ('Smoke', 'Sense', etc). Sempre online si possono comprare le "party pills' (droghe ricreative), contenenti alternative legali alla benzilpiperazina.

(5 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/rapporto-droga/rapporto-droga/rapporto-droga.html

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Italiani nella "polvere" nessuno sniffa come noi

 

6 novembre 2009
Secondo i dati europei consumiamo la più alta quantità di coca.

In Italia si vendono ogni anno 100 tonnellate di cocaina, per un giro d’affari da 30 miliardi di euro. Solo nelle fogne di Torino, ogni giorno, finisce un chilo e mezzo circa di polvere bianca. L’Italia, secondo i dati dell’Osservatorio europeo sulle droghe (Oedt), pubblicati ieri, è il paese in Europa che consuma più cocaina. Il comandante provinciale dei carabinieri, Vittorio Tomasone, conferma il trend: “A Roma ne abbiamo sequestrata, dall’inizio dell’anno, 333 chili; un dato in crescita rispetto al 2008 quando erano 215”. E aggiunge: “E’ diminuita l’età del primo consumo, i ragazzi iniziano a sniffare a soli dodici anni”.

Torna a crescere anche il consumo di eroina e aumentano le morti per overdose di coca: 502 nel 2008. “Monopolista della cocaina all’ingrosso – spiega il sociologo e saggista Guido Blumir – è la ’Ndrangheta calabrese. La Camorra si occupa della vendita al dettaglio. La Calabria fa arrivare la droga dal Sudamerica e ne gestisce il traffico in Italia e in nord Europa”. Per mezzo secolo la cocaina è stata la droga delle élite. Il consumo di massa esplode negli anni Ottanta, con gli yuppies, negli Stati Uniti. L’Italia ci arriva qualche anno dopo, in un clima da Milano da bere, inseguendo lo slogan americano “soldi, sesso, successo”. Rispetto al passato i prezzi sono crollati, rendendo la coca accessibile a tutti. Ecco perché: l’aumento della domanda a cui è corrisposto un aumento dell’offerta (con sequestri, in crescita, pari a 710 tonnellate confiscate nel mondo, equivalenti a 412 tonnellate di cocaina pura); la spinta dei trafficanti a prediligere il mercato europeo, concentrandovi maggiori quantità di droga che fanno scendere la quotazione. E ancora il consumo crescente, che assieme alla forza della valuta europea rispetto al dollaro “ha costituito un importante fattore di attrazione” spiega l’Oedt. L’ultima “Relazione annuale sullo stato della tossicodipendenza in Italia” presentata in Parlamento a giugno, parla di un milione di consumatori tra i 14 e gli 80 anni. Secondo altre stime potrebbero essere almeno il doppio: “I giovani di solito ammettono di prendere la coca, gli adulti no. Quindi è ragionevole pensare che in Italia i consumatori siano addirittura due milioni”.

Due le motivazioni principali che spingono la gente a sniffare: innanzitutto il divertimento. “C’è una vera filosofia del weekend, del ristorante alla moda, della barca, delle donne, del privé in discoteca”, continua Blumir. Poi c’è un altro aspetto, quello dell’efficienza: la “bamba” elimina il sonno, la fatica, l’appetito. Per questo si diffonde anche tra gli operai o i professionisti in carriera che devono reggere gli straordinari. Nella classifica dell’Osservatorio europeo delle droghe, l’Italia è seguita a distanza ravvicinata da Danimarca, Spagna , Irlanda e Regno Unito. Sono 12 milioni le persone che nell’Unione europea consumano o hanno consumato la cocaina. Ogni anno la droga provoca fino a 8 mila morti: ogni ora, in media, qualcuno muore di overdose. Dal 1973 a oggi in Italia ce ne sono state oltre 22 mila. Oltre sette milioni e mezzo di giovani nel Vecchio continente l’hanno provata almeno una volta, anche se la percentuale europea è scesa del 13 per cento. Aumenta invece dell’11 per cento, tra i ragazzi, l’uso di cannabis. Bassi invece i consumi di coca negli Stati in cui dominano le anfetamine. Spiega Blumir: “Dal 2002 ci sono state diverse campagne governative per dimostrare che le droghe, senza distinzioni, sono dannose. Purtroppo però ha coinciso con la campagna di marketing fatta dalla ’Ndrangheta che mandava i pusher in strada a spiegare ai ragazzi che fumare marijuana o tirare coca è la stessa cosa”. La cocaina è particolarmente pericolosa anche perché non ha effetti collaterali evidenti: non ci sono mal di testa del giorno dopo e si può sniffare per mesi, diventando dipendenti, senza notare (e mostrare) sintomi particolari.

da Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2009

antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx


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L'altra cocaina

 

6 novembre 2009

Sì, c’è un’altra cocaina che somiglia tantissimo a quella di cui si parla riferita agli sniffatori Vip, ai parlamentari da sottoporre a test, agli uomini di potere e a quelli di spettacolo, a quella dei video di Marrazzo ma anche della storiaccia di Lapo Elkann, senza neppure risalire troppo indietro per li rami della beneamata dinastia a quattro ruote… Somiglia tantissimo fino a sembrare la stessa. E invece no, è alla lettera la stessa ma anche un’altra cocaina. Nello tsunami di polvere bianca che ha scosso l’Europa inondandola stando all’ultimo dossier dell’Osservatorio continentale sulle droghe, con l’Italia tra i paesi in testa alla speciale classifica, c’è molta di questa “altra cocaina”. Abbastanza lontana da quell’idea di privilegio, di vizio, di proibito che da sempre si associa a una certa sfera sociale. Sono ricchi, si annoiano…

No qui sono anche poveri, e si drogano per tirare avanti come fossero degli atleti del successo o anche solo della sopravvivenza, si dopano per “essere all’altezza” e non rimanere indietro in una competizione esistenziale che travolge di frequente tutto, sentimenti, famiglie , professioni e qualunque tipo di valore tradizionale. L’importante è “farcela”, e per farcela si fanno. Curioso paradosso: è una specie di gara sportiva senza niente di sportivo, mentre lo sport troppo spesso ricorre al doping e alla mancanza di regole esattamente come il resto che vorrebbe/dovrebbe sublimare. Oggi consuma cocaina a prezzi quasi stracciati un numero esorbitante di italiani, quasi fosse una specie di “aiutino” come dice la mammana televisiva. Sniffano artisti, pseudoartisti e muratori, impiegati e operai, manager e sottomanager in una scala quasi senza censo, giovani e vecchi con tutte le classificazioni del caso, uomini e donne. E troppo spesso gli incidenti stradali smascherano la dipendenza di chiunque sia al volante da alcool e droghe, cocaina appunto in primis.

Un’umanità affidata all’euforia del momento, i freni inibitori che non frenano, una sensazione di onnipotenza estemporanea e soprattutto l’idea di essere in grado di continuare sotto un peso sempre più opprimente. E questo consumo avviene nella conoscenza di tutti a partire dai periodici ed evidentemente “recitativi” gridi d’allarme dei vari ministri degli Interni delle due sponde, ma nella mancanza di consapevolezza di ognuno. Travolti. Una sniffata collettiva ci seppellirà?

da Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2009

Leggi anche:
Italiani nella "polvere" nessuno sniffa come noi.
di Beatrice Borromeo

Secondo i dati europei consumiamo la più alta quantità di coca.
In Italia si vendono ogni anno 100 tonnellate di cocaina, per un giro d’affari da 30 miliardi di euro. Solo nelle fogne di Torino, ogni giorno, finisce un chilo e mezzo circa di polvere bianca. L’Italia, secondo i dati dell’Osservatorio europeo sulle droghe (Oedt), pubblicati ieri, è il paese in Europa che consuma più cocaina. Il comandante provinciale dei carabinieri, Vittorio Tomasone, conferma il trend: “A Roma ne abbiamo sequestrata, dall’inizio dell’anno, 333 chili; un dato in crescita rispetto al 2008 quando erano 215”. E aggiunge: “E’ diminuita l’età del primo consumo, i ragazzi iniziano a sniffare a soli dodici anni”. (leggi tutto)


antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx

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Ore 10, lezione di cocaina
di Tommaso Cerno

I liceali di Treviso si erano organizzati per spacciare. Ragazzi che tiravano prima di entrare in classe: "Così mi concentro e faccio meglio i compiti". Uno spaccato della diffusione degli stupefacenti tra gli studenti minorenni di tutta Italia

 

Liceo classico Canova, scuola dei rampolli della Treviso bene. Giuseppe è alla lavagna. "Disegna un triangolo", chiede il prof di matematica. Ma il ragazzo non lo fa. Anzi, si schiarisce la voce e risponde cantando a squarciagola il refrain di Renato Zero: "Il triangolo no, non l'avevo considerato... d'accordo ci proverò, la geometria non è un reato". La scolaresca applaude. Volano foglietti di carta, qualcuno fischia: "Beppe è su di giri!". In effetti, è rosso in faccia. Prima di entrare in aula s'è chiuso in un gabinetto e ha tirato cocaina. L'ha fatto altre volte per il compito in classe o l'interrogazione. "Con la coca mi concentro, ascolto, sto anche due ore senza fare casino... e mi vengono le parafrasi perfette". Questa non è solo la storia di Giuseppe, però. Ci sono anche Matteo, Francesco, Valentina. Nomi di fantasia, perché molti sono ancora minorenni. Una dozzina di studenti annoiati, nella cittadina veneta più ricca e laboriosa del Nord- Est. Le fabbriche le hanno cambiato il volto, gli "schei" fai-da-te il carattere: invocano ronde e dialetto. In giro vedi auto di lusso, ville e benessere. È qui che a un gruppo di liceali viene un'idea: "Perché non facciamo anche noi gli imprenditori?". Con una differenza rispetto ai capannoni attorno: loro commerciavano droga. E sono finiti a deporre in un processo, dove hanno raccontato al giudice che a Treviso sniffare a quell'età è normale.

VIDEO ESCLUSIVO Spaccio choc al liceo milanese

Il meccanismo che avevano studiato ricalca il modello azienda: ogni studente versa una quota (si partiva da 30 euro a testa per arrivare anche a 200), si fa l'investimento, cioè si comprano le sostanze, poi si divide. A procurarsela ci pensava il boss del gruppo, liceale anche lui. L'accordo era che guadagnasse il 10 per cento in più per "il fattore rischio". Una parte della droga veniva rivenduta con un sovrapprezzo e l'incasso ripartito in quote proporzionali ai soldi versati. Proprio come fra i soci delle Spa.

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Dai serial televisivi avevano imparato un'altra cosa: mai parlare al cellulare, gli sbirri ascoltano. E per ridurre il rischio al minimo, usavano un codice anche sulle chat: la coca era la "bamba", l'ecstasy si abbreviava "b", "snift" o "half" era l'hashish, il "ceppo" lo spinello, "ganza" la marjuana. L'unità di misura era il "cd", acronimo di compact disc, che sta per un grammo. Girava anche la ketamina, abbreviata "k", la droga del momento. È un anestetico per cavalli, dà la sensazione di uscire dal corpo e può causare la lesione di Olney, cioè mangiarti il cervello. Ti senti invincibile, quello che se le porta a letto tutte, che non gli basta mai. Per loro "è un'esperienza normalissima, che tutti fanno alla nostra età, anzi anche prima ormai ", racconta uno del gruppo, maglietta col teschio, al giudice che lo interroga come testimone. Scarpe di Gucci, giaccone da 2 mila euro addosso, Rolex a 16 anni: gli appuntamenti per spartirsi droga e denaro li prendevano a ricreazione, via sms, oppure da casa, sempre sulla chat di Messanger.

Lo scambio di solito avveniva nei locali del centro, all'ora dell'aperitivo, mimetizzati fra la folla di trevigiani con lo spritz in mano, la bevanda simbolo della movida veneta. "Chi è ricco lo fa per sentirsi grande. Chi ha meno soldi per potersi permettere le stesse cose dei ricchi", spiega Nicola. Lavora in un'osteria piuttosto battuta e ne conosce di gente. "I nostri genitori sono cresciuti facendosi il mazzo, e ci hanno regalato molto: Treviso è bella, pulita, tutto funziona, la gente sta bene. Poi è ovvio che se hai tutto, arrivino anche gli eccessi. Ma mica siamo tutti così...". Vero. Anche se l'ultima ricerca della Società di psicologia delle dipendenze assegna proprio a Treviso il record nazionale di psicofarmaci e droghe diffusi fra i giovanissimi. Ne fa uso il 6,3 per cento degli adolescenti fra i 15 e i 19 anni, il doppio del resto d'Italia. E fra queste sostanze c'è anche la cocaina: quattro adolescenti trevigiani su cento l'hanno provata almeno una volta. I medici studiano da tempo il fenomeno: "In questa città si è diffusa una cultura del commercio e del profitto che i giovani assorbono in maniera distorta: la regola è dare dieci per avere cento. Prima valeva solo per il lavoro, adesso vale per tutto, addirittura per la droga. Quei ragazzi la vendevano con questo stesso spirito, come se si trattasse di un affare, un guadagno facile e degno di rispetto", spiega lo psicologo Germano Zanusso, direttore del Dipartimento dipendenze dell'Asl trevigiana: "Il fenomeno si allarga. E anche l'assunzione è smodata.



(28 ottobre 2009)

 

 
 
 

54. ::: Famiglia che viene, famiglia che va'

Post n°58 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

54. ::: Famiglia che viene, famiglia che va'

di Carlo Cornaglia

 

Quando al Manzoni Silvio la incontrò,
nella pièce Il magnifico cornuto
la Lario recitava. Lo trovò
nel camerino e in meno d’un minuto

sbocciò fra loro un vero, grande amore.
Il Cavaliere, perso il comprendonio,
dimostrò tali doti da amatore
da arrivar con tre figli al matrimonio.

Dopo trent’anni Silvio è sempre eguale:
quando vede un bionda diciottenne
si scorda d’esser tutto artificiale
ed attacca drizzando…le sue antenne.

A Portici ha incontrato una famiglia,
Anna la mamma, il babbo Benedetto
e Noemi, la diciottenne figlia,
che deve avergli fatto un certo effetto.

La fanciulla che vuol fare l’attrice
un album di sue foto gli ha mandato
su esortazione della genitrice
che da valletta ha un nobile passato.

Berlusconi, sentendo un non so che,
si presenta alla festa di Noemi
e le dona un magnifico collier,
della moglie attirando gli anatemi.

La sua avvocata convoca la Lario:
“Non sto con chi frequenta minorenni,
è tempo di tirare giù il sipario
dopo aver sopportato tre decenni!

Sulle vergini che si danno al drago
per la fama, il successo ed il denaro
e sull’imperator che cerca svago
c’è sol da inorridire, mi separo!

Ho offerto sempre aiuto a mio marito,
ho chiesto lo aiutassero i lacché
come si fa con uno un po’ bollito…,
ma ora basta, divorzio dal premier!”

Mentre il Berlusca ciancia di un complotto
col quale hanno ingannato la Signora,
per aumentare ancora un po’ il casotto
di ascoltare i Letizia è giunta l’ora.

Anna Palumbo inizia, la mammà:
“Come conobbi Silvio? Per favore…,
la privacy, mi chiedo, dove sta?”
“Veronica la tengo nel mio cuore,

ma se la prende troppo, non è il caso…”
“Le mie fotografie? Non ve le do,
siete proprio dei grandi ficcanaso.
Solo papi, se vuol, mostrarle può.

So qual sarà la strada da seguire
il dì che decidessi di mostrarle:
litigherò con Berlusconi e il Sire
a Libero dirà di pubblicarle.”

“Quanto a Noemi, cucciolo stupendo,
è cresciuta alla luce del Vamgelo…”
Parla il papà: “La privacy difendo:
perché di Silvio amico? Non lo svelo.”

“Se sono separato? Non lo dico,
il tempo è galantuomo e spiegherà.”
“Le sintonie col Cavaliere? Amico,
ci uniscon per lo men tre affinità:

l’affinità politica per cui
io sto del Pdl nelle schiere,
il fatto che amo il bello, come lui
e son galante come il Cavaliere.”

Infine parla il biondo bocconcino:
“Corro a trovarlo a Roma ed a Milano
poiché lavora tanto, poverino,
e da Napoli sta sempre lontano…”

Il succo della storia è una domanda:
“Dei tre della famiglia dei Letizia,
l’ex valletta, il sodale e l’educanda,
qual è che al Cavaliere tanto sfizia?

La dama della qual tiene le foto,
la fanciulla alla qual dona i collier
o il babbo dal passato oscuro e ignoto?
Su, San Gennaro, faccelo sapé!”

Il Santo tace, parla il presidente
che si è precipitato a Porta a porta:
“Veronica si è fatta ingenuamente
turlupinar da una sinistra accorta

che manovra cronisti in malafede.
Se vuol la verità, si legga Chi,
vedrà che non son certo un ganimede,
anche perché, con quell’affare lì,

io sono duro solo nei divorzi.
Sono pur sempre un over settantenne
e le assicuro che, benché mi sforzi,
non ce la fò con una minorenne.”

(6 maggio 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/famiglia-che-viene-famiglia-che-va/

 
 
 

53. ::: Segreto di Stato sul rapimento dell' Imam...

Post n°57 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

53. ::: Segreto di Stato sul rapimento dell'imam di Milano. Tre anni a Pompa e Seno
Non luogo a procedere per l'ex direttore
del Sismi e il suo vice.

Abu Omar, Pollari e Mancini non giudicabili
Condanne per la Cia, e gli Usa protestano.
Un milione di euro di risarcimento in via provvisionale alla vittima, mezzo milione alla moglie.

Abu Omar, Pollari e Mancini non giudicabili Condanne per la Cia, e gli Usa protestano

Il procuratore aggiunto Armando Spataro

MILANO - Il giudice di Milano Oscar Maggi ha deliberato il non luogo a procedere per l'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e per il suo vice Marco Mancini, a processo per il sequestro dell'ex imam di Milano Abu Omar. Sono stati invece condannati gli agenti della Cia che parteciparono all'operazione: in gran parte a cinque anni di reclusione, mentre Robert Seldon Lady, capo della Cia a Milano all'epoca dei fatti, è stato condannato a otto anni. I funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno accusati di favoreggiamento sono stati condannati a tre anni. Assolto invece l'ex responsabile della Cia in Italia Jeff Castelli. Tutti gli imputati ritenuti colpevoli dovranno risarcire un milione di euro all'ex imam. Alla moglie Nabila Ghali dovranno invece essere versati 500 mila euro. Queste somme sono state decise dal giudice a titolo di provvisionale, mentre l'entità del risarcimento verrà stabilito in un separato giudizio civile.

Una sentenza destinata a far discutere, mentre già arriva la protesta degli Usa: "Siamo rimasti delusi dal verdetto contro gli (agenti) americani e italiani a Milano", dice il portavoce del dipartimento di Stato Ian Kelly. E "forte disappunto" arriva anche dal portavoce del Pentagono per la condanna del tenente colonnello Joseph Romano: "Il nostro punto di vista resta che i tribunali italiani non hanno alcuna giurisdizione su Romano e avrebbero dovuto archiviare le accuse".

Pollari, alcuni suoi uomini e i 26 agenti Cia erano accusati di aver prelevato il religioso islamico Abu Omar, indagato dalla Procura di Milano per terrorismo internazionale, nel febbraio del 2003. Abu Omar fu poi portato in Egitto, dove fu torturato, tanto da subire lesioni permanenti. Per i dirigenti del Sismi l'accusa aveva chiesto una pena di 13 anni di reclusione.

Per Pollari il non doversi procedere è stato disposto dal giudice sulla scorta dell'articolo 202 del Codice di procedura penale: "Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal Segreto di Stato il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato". Pollari ha così commentato la sentenza: "Senza il segreto di Stato avrei dimostrato la mia innocenza". Il procuratore Armando Spataro ha a sua volta dichiarato: "La sentenza dimostra che la nostra azione è stata legittimamente promossa".

Spataro, in fase di replica, aveva ribadito la linea dell'accusa: "Pollari e Mancini non hanno assicurato la sicurezza in Italia ma, con il loro comportamento, l'hanno compromessa". Per circa due ore il pm ha replicato alle conclusioni difensive degli avvocati e, in particolare, ha negato di aver aggirato la sentenza della Corte costituzionale sul segreto di Stato rivendicando, invece, quello che a suo giudizio era "un dovere e un diritto di interpretazione". Alle affermazioni di Spataro avevano replicato i difensori degli imputati. Prima di ritirarsi in camera di consiglio, il giudice Maggi aveva rigraziato tutti, "soprattutto gli avvocati d'ufficio degli imputati latitanti che hanno reso possibile con la loro presenza la celebrazione del processo".

Nelle scorse udienze, la pubblica accusa aveva chiesto per l'ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari, 13 anni di carcere, così come per l'ex responsabile Cia in Italia Castelli. I pm avevano chiesto la condanna a 10 anni per l'ex numero due del Sismi, Marco Mancini e per una serie di agenti Cia coinvolti nel sequestro, avvenuto il 17 febbraio del 2003 nei pressi della moschea di viale Jenner a Milano. I difensori dei funzionari o ex del Sismi avevano tutti chiesto l'assoluzione per non aver commesso il fatto dei loro assistititi oppure, in subordine, la sentenza di non luogo a procedere - che è poi stata la scelta finale del giudice.

Fu il governo Prodi ad apporre per primo il segreto di Stato, poi confermato da Berlusconi. E proprio sull'interpretazione della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha fissato i criteri dell'estensione del segreto e, di conseguenza, dell'utilizzabilità degli atti processuali, in aula si è dibattuto. Per l'accusa, non vi può essere segreto di Stato riguardo notizie relative a un "fatto reato", come, per l'appunto, il rapimento di Abu Omar. "Nulla esiste, nulla può esistere in tema di un accordo istituzionale riguardo la commissione di un reato", avevano detto più volte Spataro e il suo collega Ferdinando Pomarici che, nel corso della loro requisitoria, avevano usato quelle prove che non riguardavano, a loro dire, "i rapporti" tra il Sismi e altre intelligence straniere, come chiarito dalla Consulta. Gli imputati, per i pm, hanno fatto "grave scempio del proprio dovere di fedeltà ai principi della democrazia".

(4 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/09/sezioni/cronaca/processo-abu-omar/sentenza-abu-omar/sentenza-abu-omar.html

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La registrazione che incastra Pollari

 

6 novembre 2009

di Gianni Barbacetto e Peter Gomez

Il documento audio che qui presentiamo è cruciale per la comprensione del sequestro Abu Omar. Il 2 giugno 2006, Marco Mancini, capodivisione del Sismi sotto inchiesta per il rapimento, incontra a Roma il collega Gustavo Pignero, che nel 2003, all’epoca del sequestro, era il suo diretto superiore. Con un microfono nascosto, registra la conversazione. Pignero (in seguito deceduto) parla apertamente con Mancini e gli racconta che l’ordine per l’operazione era partito dal direttore del Sismi, Nicolò Pollari, che a fine 2002 gli aveva consegnato «una lista in inglese» ricevuta «da Jeff Castelli, il capo della Cia di Roma».

Era l’elenco delle persone da «portar via», una decina di nomi tra cui quello di Abu Omar.  Pignero dice anche che nei suoi interrogatori davanti ai magistrati di Milano aveva scagionato Pollari: «Il direttore l’ho tirato fuori completamente», «altrimenti qui crolla tutto».

Frammenti di questa registrazione furono mandati in onda da Enrico Mentana a Matrix, ma questa è la prima volta che il documento integrale è messo a disposizione del pubblico.

Registrazione - data 2 giugno 2006

Ecco le foto dell'incontro tra Mancini e Pignero mentre parlano di Pollari, scattate a loro insaputa a Roma dagli agenti della Digos che li pedinavano.




Antefatto Link
Abu Omar, pagano solo gli americani


antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx

 
 
 

52. ::: Video ::: Docufilm - Aldila' del Muro...

Post n°56 pubblicato il 07 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

52. ::: VIDEO :::

- Docufilm - Aldilà del Muro

- In questo spazio in seguito cerchero

di "Ricaricare il Video-Clip"

il quale non ho potuto in alcun modo

"Traslocare" dal vecchio sitoweb

a questo mio "NUOVO... SITOWEB" -

Merkel, Walesa e Gorbaciov
sul luogo della caduta del Muro

Dalle 15 dal ponte della "Bornholmer strasse" le celebrazioni in occasione del ventesimo anniversario. I tre leader attraversano il primo varco che fu aperto nel 1989. La cancelliera: "Riunificazione incompiuta" Il presidente Napolitano: "Segnò uno spartiacque per i diritti di libertà". Il presidente russo Vladimir Putin: "Tappa fondamentale per la riunificazione europea"

La caduta del muro di Berlino ha permesso al popolo tedesco di "cancellare un passato doloroso", ha dichiarato oggi il primo ministro russo, Vladimir Putin, mentre la Germania celebra il 20esimo anniversario

Il premier Silvio Berlusconi è arrivato da pochi minuti a Berlino, dove oggi prenderà parte ai festeggiamenti

Oggi "non è solo un giorno di celebrazioni per la germania, ma per tutta l'europa". Lo ha affermato oggi la cancelliera tedesca Angela Merkel parlando in occasione della cerimonia di avvio dei festeggiamenti

"E' stato il risultato di una lunga storia di oppressione e della lotta contro questa oppressione": così Angela Merkel, attraversando i luoghi del Muro.

In un'intervista televisiva, Angela Merkel ha invitato la nazione a fare uno sforzo per equiparare il tenore di vita tra est e ovest del Paese, poiché "la riunificazione tedesca non è ancora compiuta".

"Questo mondo non sarà un mondo pacifico se non troveremo un ordine più globale e una maggiore collaborazione multilaterale": lo ha detto oggi a Berlino la cancelliera tedesca, Angela Merkel.

Il cancelliere tedesco Angela Merkel, l'ex presidente di Solidarnosc ed ex presidente polacco Lech Walesa e Mickhail Gorbaciov stanno attraversando simbolicamente il luogo in cui fu aperto il primo varco nel Muro di Berlino.

Il sindaco di Milano Letizia Moratti, Il ministro della Difesa Ignazio La Russa e quello della Gioventù Giorgia Meloni hanno aperto un varco in una barriera allestita a Palazzo Reale milanese e fatta di tanti sacchi d'aria, per ricordare il ventennale della caduta del muro di Berlino. La performance è stata ideata dal creativo Dario Milana, in arte Dtao, che ha realizzato un grande muro, alto 5,30 metri e lungo 20, composto con sacchi d'aria legati a lunghe fascette con su scritto "Freedom".

Il 50% del successo simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino è dovuto al Papa Giovanni Paolo II. Lo ha affermato oggi Lech Walesa, il fondatore del sindacato polacco Solidarnosc, in un'intervista per la televisione polacca Tvp info.

"Il messaggio è che bisogna lavorare in un modo tenace, intransigente per la pace perché con la pace le cose si aggiustano più o meno rapidamente, e senza la pace si aprono nuove difficoltà e non si aggiustano quasi mai le difficoltà precedenti". E' questo, per Giulio Andreotti, presidente del Consiglio nel novembre dell'89, il messaggio principale che la caduta del Muro ha lasciato in eredità alle nuove generazioni. Andreotti è stato intervistato sull'argomento da Sky.

l presidente della Repubblica ha affermato che alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in Italia e nella Germania, paesi in cui erano stati sconfitti il fascismo e il nazismo, si aprì la strada per l'affermazione di principi democratici fino allora negati, fra i quali la libertà di espressione, principi che nella nostra Costituzione in particolare sono espressi dall'articolo 21, "uno dei principi da
tener sempre cari, da preservare e far vivere in Italia e ovunque".

Non fu Michail Gorbaciov a dare l'impulso decisivo alla caduta del Muro, ma furono papa Giovanni Paolo II e il movimento di Solidarnosc. Lo ha dichiarato oggi, in un'intervista alla tv polacca, l'ex presidente e leader storico del sindacato di Danzica.

"Questo evento si è rivelato uno dei cambiamenti più importanti avvenuti nel mondo, e per il popolo tedesco è un giorno storico che ha posto fine definitivamente al passato doloroso, e che in sostanza ha segnato una tappa fondamentale verso la riunificazione dell'Europa", ha detto il presidente russo Vladimir Putin. Alle celebrazione di Berlino è rappresentata oggi dal presidente Dmitri Medvedev.

Il sindaco-governatore di Berlino, Klaus Wowereit, ha visitato la cappella della Riconciliazione nella chiesa di Gethsemane, non lontano dall'antica postazione di frontiera della Bernauer Strasse, dove sono state accese decine di candele in memoria di quelli che persero la vita nel tentativo di attraversare il Muro. Sul posto, è stato inaugurato un nuovo centro di informazione che fornirà documentazione e video sulla barriera che divise la città dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Parlando ai ragazzi che affollano piazza di Spagna davanti alla ricostruzione del Muro di Berlino, il sindaco di Roma ha detto: "Oggi c'è la speranza di abbattere ogni muro, dell'intolleranza, dell'incomprensione tra le diverse identità, quello che ancora di impedisce di essere fino in fondo una grande realtà europea unita".

Centinaia di studenti si sono radunati a Roma, in piazza di Spagna, davanti a una ricostruzione del muro di Berlino, per commemorarne la caduta.

Il capo della Chiesa protestante tedesca, Wolfgang Huber, nel corso delle celebrazioni nella chiesa di Gethsemane, ha ricordato l'impresa di chi contribuì alla caduta del Muro: "All'epoca, le persone hanno compreso i segni e si sono ribellate senza violenza ma con candele e preghiere". Circa 700 persone assistono alla messa

"La caduta del Muro di Berlino di cui ricorre in questi giorni l'anniversario, nel 1989 segnò uno spartiacque nella storia europea e mondiale del XX secolo come già un'altra tappa aveva segnato, il 9 maggio 1945 la caduta di Berlino", ha commentato il capo dello Stato italiano Giorgio Napolitano.

Celebrazioni cominciate sotto un cielo grigio di una capitale intasata dalla pioggia, nella chiesa di Gethsemane, a Prenzlauer Berg, un quartiere a est della città. Angela Merkel hanno assistito alla messa organizzata dalla Chiesa evangelica e dalla Conferenza episcopale dei vescovi tedeschi.

A vent'anni dalla caduta del muro di Berlino e del comunismo, l'opinione pubblica mondiale è delusa dal capitalismo. Lo rivela un sondaggio realizzato in 27 paesi dalla bbc.

Berlino ''al centro del mondo''. A vent'anni dalla caduta del Muro, la stampa tedesca sottolinea con forza il significato che quel crollo ebbe per la Germania e per la comunita' internazionale. ''Oggi Berlino e' ancora una volta la citta' piu' felice del mondo'', titola il quotidiano Bild mentre il Berliner Zeitung, dell'ex Berlino Est, scrive: ''Berlino celebra vent'anni di liberta'''.

La caduta del muro di Berlino è stata ricordata stamane anche sul versante opposto del pianeta, in Corea del Sud, dove un gruppo di attivisti per la difesa dei diritti umani ha manifestato lungo il confine che divide la penisola dalla Corea del Nord.

Stasera l'appuntamento è alla Porta di Brandeburgo dove un altro ''muro'' verra' fatto crollare. Piu' di mille tessere di domino (alte due metri e mezzo) colorate e dipinte da artisti e giovani berlinesi verranno fatte cadere in un lungo tragitto che tocchera' anche il memoriale dell'Olocausto.

Nicolas Sarkozy ha rivelato su Facebook che, in quello storico giorno, il 9 novembre del 1989, nella capitale tedesca a prendere a picconate il Muro c'era anche lui. Una fotografia, pubblicata sempre sul suo profilo, mostra l'allora 34enne giovane deputato francese intento a martellare la parete di cemento.

Nella lunga lista di leader che prenderanno parte alla celebrazione manca il nome di Barack Obama, impegnato in un viaggio in Asia, ma spiccano altre presenze celebri e significative come il premier polacco Donald Tusk, il presidente russo Dmitri Medvedev, il presidente della Commissione europea Manuel Barroso.

Prenderanno il via ufficialmente alle 15 di oggi dal ponte della "bornholmer strasse" le celebrazioni in occasione del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. La cancelliera Angela Merkel, esponenti dei movimenti per i diritti civili, testimoni dell'epoca, rappresentanti degli organi costituzionali, il sindaco di Berlino Klaus Wowereit, l'ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov e Lech Walesa, ex leader sindacale di Solidarnosc e premio nobel per la pace, attraverseranno il ponte di Boesebruecke, fermandosi a metà percorso.


www.repubblica.it/2009/11/dirette/sezioni/esteri/muro-berlino/muro-berlino/index.html

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Il capo dello Stato: "Da Berlino il cambiamento già avviato a Est"
"I diritti, come l'articolo 21 della Costituzione, vanno tenuti cari"
Napolitano: "Caduta Muro, uno spartiacque"
"Ma la libertà d'espressione va preservata"

 

Napolitano: "Caduta Muro, uno spartiacque" "Ma la libertà d'espressione va preservata"

Giorgio Napolitano

ROMA - "L'evento della caduta del Muro di Berlino, di cui oggi si celebra l'anniversario, è una data che al pari di quella del 9 maggio 1945 ha segnato uno spartiacque nella storia europea e mondiale del XX secolo". Parla così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso della presentazione, al Quirinale, dei premi Eti per il teatro e del Premio De Sica per il cinema, una cerimonia alla quale erano presenti anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e del ministro per i Beni culturali Sandro Bondi.

Ricorda il capo dello Stato: "Si aprì allora la strada nella Germania dell'est, ma il cambiamento era già iniziato in Polonia e in tutti i Paesi dell'Europa centro-orientale, in direzione dell'affermazione dei diritti di libertà, che erano già stati sanciti, subito dopo la seconda guerra mondiale, in particolare con l'adozione della Costituzione a Roma e a Bonn, nei Paesi in cui erano stati sconfitti il nazismo e il fascismo".

Il presidente Napolitano avverte quindi che questi "diritti di libertà, a cominciare dall'articolo 21 della Costituzione sulla libertà d'espressione, sono principi democratici da tenere sempre cari, da preservare e da far vivere, in Italia e ovunque".

(9 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/10/sezioni/politica/napolitano-3/napolitano-muro-libert-/napolitano-muro-libert-.html

 
 
 

51. ::: Joan Miro'

Post n°55 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

51. ::: Joan MiróDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

(Reindirizzamento da Joan Mirò)
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Joan Miró a Ferrà

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Joan Miro' (ChicasBond)




El gran Joan Miro'


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Joan Miro' el pintor poeta

Joan Miró i Ferrà (Barcellona, 20 aprile 1893Palma di Maiorca, 25 dicembre 1983) è stato un pittore, scultore e ceramista spagnolo, esponente del surrealismo.

Indice[nascondi]
Biografia [modifica]Infanzia e studi [modifica]

Figlio di un orefice e orologiaio, Joan Miró cominciò a disegnare dall’età di 8 anni. Su consiglio del padre, Miró intraprese studi commerciali ma in parallelo frequentò lezioni private di disegno; dal 1910 al 1911 lavorò come contabile, finché un esaurimento nervoso non lo convinse a dedicarsi all’arte a tempo pieno. Fu il lungo periodo di convalescenza passato nella casa di famiglia a Montroig del Camp a consolidare definitivamente la sua vocazione; lo stesso Miró riconobbe in seguito in Montroig e Maiorca i due poli della sua ispirazione.

Tornato a Barcellona nel 1912, frequentò l’Accademia Galí fino al 1915, dopodiché passò al Circolo Artistico di Sant Lluc. Furono questi gli anni in cui Miró scoprì il fauvismo e in cui tenne la sua prima esposizione personale alle Galeries Dalmau (1918).

Il periodo parigino [modifica]

Attirato dalla comunità artistica che si riuniva a Montparnasse, nel 1920 si stabilì a Parigi, dove conobbe Picasso e il circolo dadaista di Tristan Tzara. Già in questo periodo, in cui disegnava nell’accademia La Grande Chaumière, cominciò a delinearsi il suo stile decisamente originale, influenzato inizialmente dai dadaisti ma in seguito portato verso l’astrazione per l’influsso di poeti e scrittori surrealisti.

Nel 1926 collaborò con Max Ernst per la scenografia di Romeo e Giulietta e realizzò il celebre Nudo. L’anno successivo, dopo la morte del padre, Miró si trasferì alla Cité des Fusains ed ebbe come vicini, oltre ad Ernst, anche Jean Arp e Pierre Bonnard. Sempre a Parigi, nel 1928, la sua esposizione nella galleria Georges Bernheim lo rese famoso.

La maturità surrealista [modifica]

Il 12 ottobre 1929 Miró sposò Pilar Juncosa a Palma di Maiorca; la coppia ebbe una unica figlia di nome María Dolores (nata il 17 luglio 1931 e morta nel dicembre 2004).

Iniziò in questi anni la sperimentazione artistica di Miró, che si cimentò con le litografie, l’acquaforte e la scultura, nonché con la pittura su carta catramata e vetro.

Con lo scoppio della guerra civile spagnola (1936) tornò a Parigi, ma fece ritorno in Spagna al momento dell’invasione nazista della Francia. Da questo momento visse stabilmente a Maiorca o a Montroig.

Miró fu uno dei più radicali teorici del surrealismo, al punto che André Breton, fondatore di questa corrente artistica, lo descrisse come “il più surrealista di noi tutti”. Tornato nella casa di famiglia, Miró sviluppò uno stile surrealista sempre più marcato; in numerosi scritti e interviste espresse il suo disprezzo per la pittura convenzionale e il desiderio di “ucciderla”, “assassinarla” o "stuprarla" [1] per giungere a nuovi mezzi di espressione. La prima monografia su Miró fu pubblicata da Shuzo Takiguchi nel 1940.

Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1944, Miró iniziò a dedicarsi a lavori sfuni di ceramica e a sculture di bronzo.

Gli anni della celebrità [modifica]

Nel 1954 Miró vinse il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e nel 1958 il Premio Internazionale Guggenheim. In questi anni fece molti viaggi ed esposizioni negli Stati Uniti.

Fin dal 1956 si stabilì definitivamente a Palma di Maiorca in una casa progettata e costruita dal cognato, cui aggregò in seguito un laboratorio e uno studio di pittura grazie all’aiuto dell’amico Josep Lluís Sert. Al fine di preservare la proprietà così delineatasi, per lui luogo creativo per eccellenza, Miró ne donò parte alla cittadinanza, che nel 1981 vi allestì la Fundació Pilar e Joan Miró.

Già nel 1972, d’altronde, Miró aveva creato la Fundació Joan Miró a Barcellona.

Nel 1978 si dedicò alla scenografia per uno spettacolo teatrale, nonché alla scultura monumentale. Risale a questo periodo la sua celebre scultura Dona i ocell (Donna e uccello), che si trova nel parco Joan Miró a Barcellona.

Gli ultimi anni [modifica]

Per i riconoscimenti in patria Miró dovette attendere gli anni della vecchiaia e la caduta del franchismo: nel 1978 ricevette la Medalla d'Or de la Generalitat de Catalunya; nel 1979 l'Università di Barcellona gli conferì la laurea honoris causa (l'Università di Harvard aveva già provveduto nel 1968); nel 1980 ricevette la medaglia d’oro delle Belle Arti dal re di Spagna Juan Carlos; nel 1981 fu premiato con la medaglia d'oro di Barcellona.

In età avanzata Miró accelerò il suo lavoro, creando ad esempio centinaia di ceramiche, tra cui il Muro della Luna e il Muro del Sole presso l'edificio dell'UNESCO a Parigi. Si dedicò pure a pitture su vetro per esposizione.

Negli ultimi anni di vita Miró concepì le sue idee più radicali, interessandosi della scultura gassosa e della pittura quadridimensionale.

Joan Miró morì a Maiorca all'età di 90 anni e venne sepolto a Barcellona, nel cimitero di Montjuïc.

Opere parziale [modifica]
  • Nude with a Mirror, 1919[1]
  • Animal Composition
  • La fattoria, 1921-1922
  • Il carnevale di Arlecchino, 1924-1925
  • Ballerina II, 1925 [2]
  • Bleu II, 4.3.61
  • Ceret
  • Portrait, 1938
  • Femmes et Oiseau la nuit, 1945
  • Femmes et oiseaux devant la lune
  • Peinture, 1954
  • Famille d'oiseleurs, 1955
  • Salon De Mai, 1966
  • Juillet, 1968
  • Daybreak Tagesanbruch, 1968
  • Dona en la nit, 1973
  • Personnage Etoile, 1978
  • Pintura, 1978
  • Femme, 1981
  • Femme assise, 1983
  • Constellations-Seibu, 1984
  • Fixe les Cheveux D'une Etoile
  • L'oiseau Solaire
  • Litho V (LE)
  • Nightv
  • Ode To Miro
  • Personnage et oiseau
  • Portrait of a Young Girl
  • The singing fish
  • Vladimir
  • Vuelo de pajaros
Immagini [modifica]

 
 
 

50. ::: L'attrice sta per girare il film tratto...

Post n°54 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

50. :::

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tv.repubblica.it/copertina/placido-vallanzasca-come-robin-hood/38734

tv.repubblica.it/copertina/placido-racconta-vallanzasca/38735

tv.repubblica.it/copertina/placido-racconta-vallanzasca/38736

it.wikipedia.org/wiki/Renato_Vallanzasca

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L'attrice sta per iniziare a girare il film tratto dall'autobiografia del bandito
condannato a quattro ergastoli,
che sarà interpretato da Kim Rossi StuartVallanzasca Story, al via le riprese
Solarino: io, la pupa del gangster
di ANTONELLA GAETA
BARI - Il bel René dei tempi d'oro se ne sarebbe di certo innamorato. Occhi neri, sguardo orientale, sinuosa e felina, Valeria Solarino interpreterà Ripalta Pioggia, detta Consuelo, la prima donna di Renato Vallanzasca e madre del suo unico figlio, Massimiliano. L'attrice annuncia il suo prossimo ruolo al "Mediterrante film festival" di Bari: il film è "Vallanzasca", regia di Michele Placido; Kim Rossi Stuart interpreterà l'ex boss della Comasina. A ispirare il film, dalla lunga gestazione, è stato essenzialmente il libro "Il fiore del male" scritto da Carlo Bonini con lo stesso Vallanzasca. Si attraverserà tutta la vita del criminale milanese sin dalla sua infanzia. Riprese tra due settimane tra Milano, Roma e Puglia.

Valeria Solarino chi è Consuelo Pioggia?
"Una donna, figlia di emigranti del sud, molto appassionata. L'ho capito la prima volta che ne ho parlato con Michele Placido. So ancora poco di lei, la incontrerò leggendo prima la sceneggiatura e poi il libro".

Aveva mai sentito parlare di Vallanzasca prima?
"Non lo conoscevo, lo confesso, ma ho cominciato a informarmi. Ho visto le sue foto. Un uomo molto bello, magnetico".

Teme il ruolo?
"No, anzi, non vedo l'ora di cominciare a girare e di lavorare con Kim. Arrivo con tutto l'entusiasmo e la disponibilità a costruire il personaggio che vuole il regista, fondamentale regola per me. Nei primi incontri con Michele, ha insistito perché gli parlassi molto di me. Mi piace questo approccio, è un attore, sa come fare e poi vuole appiccicarmi addosso Consuelo, ridefinirla su di me".

Placido la dirige per la prima volta.

"Ne sono onorata e felice. Ogni volta che ho visto i suoi film ho sentito forza e passione in ogni sequenza. E' un regista che crede profondamente in quello che fa. Da spettatrice di "Romanzo criminale" mi son detta che sarebbe stato bello far parte di quel cast, ma non era il momento, ero troppo giovane".

Due giorni fa ha compiuto trent'anni: piccolo bilancio?
"Soltanto uno. Mi ripetevo che se fossi arrivata ai trent'anni senza un ruolo significativo, avrei smesso di fare questo lavoro. Ho interpretato undici film secondo me importanti, ho seguito progetti sempre diversi, impegnati, persino video musicali. Oggi mi guardo indietro e, certo, questo non è un punto d'arrivo ma credo di poter continuare su questa strada".

Come si è innamorata del cinema?
"In realtà il primo amore è stato il teatro, mia madre ci portava sempre a vedere spettacoli. Il cinema ho cominciato a seguirlo lavorandovi ma una folgorazione, sì l'ho avuta ed è stata per il film "Boys don't cry". Una splendida Hilary Swank interpretava una donna che fingeva di essere un uomo".

Ovvero la sua Angela in "Viola di mare" di Donatella Maiorca, in questi giorni nelle sale.
"Mi è sembrato un segno importante interpretare proprio questo film. Angela, tuttavia, si sente una donna sempre".

Solarino, attrice sempre e solo per il cinema, ma c'è anche la televisione all'orizzonte?
"Non la escludo, per me non conta il mezzo ma il valore del progetto. Per il momento c'è il cinema che, del resto, è tutta la mia vita".


(6 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/11/sezioni/spettacoli_e_cultura/vallanzasca-story/vallanzasca-story/vallanzasca-story.html

 
 
 

50. ::: Il premier e le 10 domande...

Post n°53 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

50. ::: Il premier e le 10 domande: nel libro di Vespa altre menzogne e tanti silenzi
Come dimostra oggi il premier,
gli interrogativi erano del tutto legittimi

Le risposte di Berlusconi
e le verità che mancano

di GIUSEPPE D'AVANZO
Le risposte di Berlusconi e le verità che mancano

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi risponde alle dieci domande di Repubblica, dopo 175 giorni, 10 ore e 18 minuti (il paziente computo è di un nostro lettore, Michele De Luca). Domande che il capo del governo ha giudicato così diffamanti da richiedere un risarcimento milionario per l'offesa ricevuta. Gli interrogativi erano, come dimostra oggi Berlusconi, del tutto legittimi. Facevano tesoro, peraltro, di una sua convinzione. Questa: credo che chi è incaricato di una funzione pubblica, come il presidente del Consiglio, debba dar conto dei suoi comportamenti, anche privati. (Porta a Porta, 5 maggio 2009).
Repubblica concorda con Silvio Berlusconi. È evidente che, nonostante il frastuono mediatico di questi mesi, non si mai discusso di un divorzio, affare privato di due coniugi, né di pettegolezzi o di vita privata. Come ha avuto subito chiaro il premier, la questione interroga le condotte di "un incaricato di una funzione pubblica".
Berlusconi non ha ritenuto opportuno rispondere direttamente alle nostre domande. Ha affidato le sue risposte a Bruno Vespa, un giornalista della televisione pubblica, collaboratore di un settimanale di proprietà (Panorama) del presidente del consiglio, in un libro edito dalla Mondadori, proprietà di Berlusconi. Qui ricordiamo le domande, diamo conto delle risposte del premier. Si scorge qualche menzogna, più d'una contraddizione, le dissimulazioni e i silenzi cui il capo del governo ci ha abituato.

LO SPECIALE

1) Quando ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo di incontrarla e dove? Ha frequentato o frequenta altre minorenni?
Berlusconi, oggi: "Non ho avuto alcuna relazione con signorina Noemi. Al riguardo si sono dette e scritte soltanto calunnie". Berlusconi sostiene "di avere incontrato la ragazza soltanto quattro volte". Dove e quando? Il premier autorizza Vespa a raccontare: "La prima, il 19 novembre, quando Noemi fu ospite a Villa Madama... la seconda il 15 settembre alla festa di Natale del Milan... La terza a Villa Certosa, dove la ragazza fu invitata a trascorrere con alcune amiche le feste di fine d'anno... la quarta, alla sua festa di compleanno".
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Repubblica ha documentato, con una testimonianza mai smentita, come il premier abbia conosciuto Noemi Letizia attraverso un book fotografico. Berlusconi dice invece di aver incontrato Noemi in quattro occasioni, dunque nelle uniche circostanze già scovate da Repubblica. Quel che il premier dice oggi è in contraddizione con quanto hanno detto, nel corso del tempo, Elio Letizia, Noemi e lo stesso Berlusconi. Il padre della minorenne ha ricordato che decide di presentare la sua famiglia al presidente del consiglio nel "dicembre del 2001": "A metà dicembre, io e mia moglie andammo a Roma per acquisti e, passando per il centro storico, pensai che fosse la volta buona per presentare a Berlusconi mia moglie e mia figlia". (il Mattino, 25 maggio). Nello stesso giorno il capo del governo ha un altro ricordo. "La prima volta che ho visto questa ragazza è stato a una sfilata" (Corriere, 25 maggio), dunque né a Villa Madama né presentata dal padre. Noemi non racconta quando ha visto per la prima volta "Papi", ma confessa di averlo incontrato in più occasione, in forma privata e non in pubblico. "Gli faccio compagnia. Lui [Berlusconi] mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me". (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile).

2) Qual è la ragione che l'ha costretta a non dire la verità per due mesi, fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi?
Berlusconi non risponde a questa domanda. Come si deduce dalla risposta al primo interrogativo, non è in condizione di raccontare la verità a meno di non contraddirsi.

3) Non trova grave che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità le ragazze che la chiamano "papi"?
Berlusconi: "Ho proposto incarichi di responsabilità soltanto a donne con un profilo morale, intellettuale, culturale e professionale di alto livello".
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La risposta del premier non corrisponde alla verità nota a tutti e peraltro, per la prima volta, svelata dai fogli della destra e addirittura dal giornale di famiglia.
Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una "velina" alle elezioni europee è, infatti, il Giornale. Il 31 marzo, a pagina 12, nella rubrica Indiscreto a Palazzo si legge che "Barbara Matera punta a un seggio europeo". "Soubrette, già "Letterata" del Chiambretti c'è, poi "Letteronza" della Gialappa's, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri", la Matera, scrive il Giornale, "ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. "Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto"". "E si vede", commenta il giornale di casa Berlusconi.
Libero (22 aprile) è il secondo giornale che dà conto della "carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare". Notizia e foto di prima pagina con "Angela Sozio, la rossa del Grande Fratello e le gemelle De Vivo dell'Isola dei famosi, possibili candidate alle elezioni europee". A pagina 12, le rilevazioni: "Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore" è il titolo. "Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl" è il sommario.
I nomi della candidate che si leggono nella cronaca di Libero sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e "una misteriosa signorina" lituana, Giada Martirosianaite. Le scelte del premier furono apprezzate con entusiasmo nel suo "campo". "Meglio la Sozio di Zagrebelsky" titolò il Foglio (24 aprile).
Molte candidate-veline, una volta escluse, protesteranno con vivacità pubblicamente. Il padre di Emanuela Romano arriverà a darsi fuoco dinanzi al portone di Palazzo Grazioli. La stessa Noemi non nasconde che, avuto accesso a Berlusconi, potrà avere spazio in politica. "[Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronto a cogliere qualunque opportunità. (...) Preferisco candidarmi alla Camera, al Parlamento. Ci penserà Papi Silvio" (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile).

4) Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008. Sono decine le "squillo" secondo le indagini, condotte nelle sue residenze. Sapeva fossero prostitute?
Come si ricorderà è stata la prostituta Patrizia D'Addario a raccontare (e a documentare con registrazioni sonore e visive) di aver fatto sesso con Berlusconi a palazzo Grazioli. Il premier replica: "C'era una cena con molte persone organizzata dalle militanti dei club 'Forza Silvio' e 'Meno male che Silvio c'è' alla quale "all'ultimo momento si infilò anche Tarantini con due sue ospiti".
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Berlusconi inciampa in poche righe in tre frottole, che possono essere documentate. Non è vero che Tarantini porta con sé soltanto due ospiti. Le ospiti sono tre: Barbara Montereale, Lucia Rossini e Patrizia D'Addario. La circostanza è confermata dallo stesso Tarantini. Interrogato l'8 settembre, dice: "Confermo che il 4 novembre 2008 mi recai a palazzo Grazioli unitamente a Patrizia D'Addario, Barbara Montereale e Lucia Rossini". Non è vero che in quella serata c'erano molte persone e nessuno ricorda la presenza delle militanti dei club "Forza Silvio" e "Meno male che Silvio c'è". Lo racconta subito Patrizia D'Addario: "Quella sera non c'erano altre ospiti. Abbiamo trovato un buffet di dolci e il solito pianista [Apicella]" (Corriere della sera, 17 giugno) Lo conferma anche oggi Barbara Montereale. Gli unici altri protagonisti della serata furono le guardie del corpo del presidente. La loro presenza è agli atti dell'indagine di Bari. In un colloquio registrato, si sente la D'Addario chiedere alla Montereale: "Ti ricordi come ti corteggiava?". L'altra risponde: "Tutto davanti alle guardie del corpo. Uno schifo. Tu sei un'altra come Noemi che gli può fare male". Non è vero che Tarantini si infilò "all'ultimo momento". L'imprenditore barese pianifica la visita almeno 24 ore prima, come risulta dalle dichiarazioni delle ragazze e dalle intercettazioni telefoniche. Le ragazze dei club, come ha riferito ancora ieri la Montereale a Repubblica, erano presenti non a Palazzo Grazioli ma a Villa Certosa il 6 gennaio, quando lei tornò con Tarantini a incontrare Berlusconi.

5) E' capitato che "voli di Stato" senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?
Berlusconi: "La magistratura ha già archiviato la pratica al riguardo. Io non ho mai utilizzato "voli di Stato" in modo non lecito. Inoltre ho cinque aerei privati che posso utilizzare in qualunque momento".
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La risposta è soltanto parzialmente corretta. E' vero che il 20 ottobre il tribunale dei ministri di Roma ha archiviato le accuse di abuso d'ufficio e peculato contro Berlusconi. Va ricordato però che le regole per quei "viaggi di Stato" sono state modificate il 25 luglio 2008 dalla presidenza del consiglio e consentono molta discrezionalità nella composizione della delegazione che accompagna il capo del governo. Ne possono far parte, come accade, come è accaduto, anche musicisti e ballerine. La replica di Berlusconi è soltanto parzialmente corretta perché dimentica che il tribunale amministrativo del Lazio ancora indaga e ha chiesto, il 28 ottobre, a Palazzo Chigi i documenti relativi a cinque voli tra Roma e Olbia (24, 25, 31 maggio, 1 giugno, 17 agosto 2008), la lista delle persone ammesse al volo, le ragioni della loro presenza. Un procedimento è aperto anche presso la Commissione Europea "per verificare la sussistenza di illeciti compiuti dalle nostre istituzioni".

6) Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiano compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto?
Berlusconi: "La risposta vale per oggi come per il passato, in quanto io non mi sono mai lasciato ricattare da nessuno, né mi sono mai comportato in modo per cui un simile evento si potesse verificare. Quando nei miei confronti sono state avanzate richieste che, secondo il giudizio mio e dei miei legali, si configuravano come ricattatorie, mi sono immediatamente rivolto all'autorità giudiziaria".
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La replica del capo del governo è gravemente insincera per il presente e per il passato. Anche trascurando il recentissimo "caso Marrazzo" (vede il video ricattatorio - "corpo del reato" - avverte Marrazzo, gli consiglia di acquistarlo e distruggerlo), è stato lo stesso premier a denunciare, a La Maddalena, come la notte di sesso con la prostituta Patrizia D'Addario lo abbia esposto a un'imbarazzante e pericolosa vulnerabilità. "Sono stato vittima di una persona che ha voluto creare artatamente uno scandalo. La signora ha commesso quattro reati e rischia una pena edittale di 18 anni, ma non ho ancora deciso se dare il via a queste cause" (Ansa, 10 settembre, 21,01). Per il passato, la sfiducia per l'autorità giudiziaria e la diffidenza per ogni denuncia è addirittura documentata e fragorosa. Nel 1975 esplode un ordigno contro la sua abitazione in via Rovani a Milano. Berlusconi non ne fa cenno alle polizie. Nel 1986, scoppia un'altra bomba contro il palazzo di via Rovani. Berlusconi confessa ai carabinieri di sospettare il mafioso Vittorio Mangano, fattore di Villa San Martino ad Arcore. Aggiungerà: "Se mi avesse chiesto cinquanta, sessanta milioni glieli avrei dati...". Il 7 febbraio 1988, Berlusconi conversa al telefono (intercettato) con un suo amico (l'immobiliarista Renato Della Valle). Dice: "C'ho tanti casini in giro, a destra, a sinistra. Ce n'ho uno abbastanza grosso, per cui devo mandare via i miei figli, che stanno partendo adesso per l'estero, perché mi hanno fatto estorsioni... in maniera brutta". Berlusconi spiega che si tratta di "una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa, e... sono ritornati fuori". Poi racconta: "Sai, siccome mi hanno detto che, se entro una certa data, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio a me e espongono il corpo in piazza del Duomo...". Anche dinanzi a questo terribile ricatto, Berlusconi non si è rivolto né alle polizie né alla magistratura.

7) Le sue condotte sono in contraddizione con le due politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?
Il premier non risponde.

8) Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E ,se lo esclude, ritiene di poter adempiere alla funzione di presidente del Consiglio?
Berlusconi: "Come molti ricorderanno ho ripetutamente indicato a titolo di suggerimento, affinché dal Parlamento possa essere compiuta la scelta migliore, un candidato (Gianni Letta) che ritengo sia il migliore in assoluto".
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In questo caso, la menzogna è sorprendente. Non c'è chi non sappia che il capo del governo abbia come obiettivo l'ascesa alla presidenza della Repubblica. Lo ha detto lui stesso: "Se passerà la riforma presidenziale, come quella sul modello francese o americano, dovrei automaticamente presentarmi come candidato alla presidenza della Repubblica" (19 luglio 2002). "Uno con la mia storia perché non dovrebbe pensarci " (3 ottobre 2008). Qualche giorno prima Bossi aveva detto: "Berlusconi al Quirinale, noi lo voteremo" (28 settembre 2008).

9) Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Puo' garantire di non aver usato nè di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?
Berlusconi: "I violenti attacchi contro di me, sempre avulsi da ogni attinenza alla realtà e frutto solo di preconcetta ostilità, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non ho certo mai pensato di impiegare queste risorse contro alcuno".
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E' già accaduto nella precedente legislatura (2001/2006) che l'intelligence militare, governata da Berlusconi, si mettesse al lavoro contro gli avversari veri o presunti del capo del governo e del suo partito. Il 5 luglio 2006, in un ufficio riservato del direttore del Sismi (Niccolò Pollari), furono sequestrati centinaia di report, dossier su politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, alti funzionari delle burocrazie della sicurezza. E soprattutto "un appunto" di 23 pagine che elaborava un programma per "disarticolare con mezzi traumatici" l'opposizione al governo. Il testo spiega come e perché "disarticolare", "neutralizzare", "ridimensionare" e "dissuadere" anche con "provvedimenti" e "misure traumatiche" ogni dissenso, autentico o ipotetico. L'appunto fu trovato nelle carte del braccio destro (e riservato) del direttore del Sismi - Pio Pompa. Pompa, il 21 novembre 2001, aveva inviato un fax a Palazzo Grazioli: " (...) Sarò, se Lei vorrà, il suo uomo fedele e leale...". Il progetto di "disarticolazione" fu attuato "fin dalla prima quindicina di settembre (2001)". Ne faranno le spese, magistrati, giornalisti e, alla vigilia delle elezioni del 2006, il competitore di Berlusconi, Romano Prodi. Contro di lui, e con la collaborazione di giornalisti pagati dagli "spioni", il Sismi scatenerà una campagna di discredito con documenti falsi.

10) Alla luce di quanto emerso in questi mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?
Berlusconi: "A questa domanda rispondono i fatti. Da quella data a oggi le mie condizioni di salute, a parte un fastidioso torcicollo ormai debellato e la scarlattina che ho avuto a fine ottobre, sono infatti quelle che mi hanno permesso di proseguire e completare sedici mesi di fittissimi impegni che per brevità così riassumo: 170 incontri internazionali, 25 vertici multilaterali, 9 vertici bilaterali, 80 conferenze stampa, 66 consigli dei ministri 91 interventi e discorsi pubblici a braccio. Cosa avrei fatto se non fossi stato ammalato?".
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La notizia dell'energico e ottimo stato di salute del presidente del consiglio non può che farci piacere, naturalmente. Tuttavia, è necessario qualche ricordo. E' stata la moglie del premier, Veronica Lario, a dire: "Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. È stato tutto inutile" (Repubblica, 3 maggio). La signora si riferiva alla frequentazione delle minorenni, al vortice di giovani donne (secondo Veronica Lario, "figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica") che rallegrava e rallegra le notti dell'"imperatore". La moglie del premier si riferiva alla sexual addiction che affligge il presidente del consiglio. Della satiriasi, Berlusconi non parla. Parlano per lui il "caso D'Addario" e le conversazioni (intercettate) con l'imprenditore Giampaolo Tarantini.

(6 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/11/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-31/dopo-risposte/dopo-risposte.html

 
 
 

49. ::: Nel nome di Eva la rivolta dei ciclisti urbani

Post n°52 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

49. ::: IL CASO

Nel nome di Eva la rivolta
dei ciclisti urbani

Tornava a casa dal lavoro in bici, uccisa a Roma ai Fori Imperiali. Una fiaccolata e proteste. "Il 40% delle vittime della strada non è in auto" di CECILIA GENTILE
Nel nome di Eva la rivolta dei ciclisti urbani

Eva Bohdalova


ROMA - L'ultima si chiamava Eva, tornava in bici a casa. Investita da un taxi ai Fori Imperiali. Nel suo nome, è partito un tam-tam via web. Bisogna ricordarla e fare il modo che non sia morta invano. Una fiaccolata che diventa una forma di pressione.

In Italia muoiono 352 ciclisti all'anno, quasi uno al giorno. Chi prende la bicicletta per spostarsi in città rischia la vita. Non basta che faccia un favore ai concittadini liberando spazio prezioso dalle auto e muovendosi a inquinamento zero. Paga la sua scelta con un'esposizione costante al pericolo. Pedoni e ciclisti costituiscono il 40% del totale delle vittime per incidenti stradali in città. Un dato che ci discosta anni luce dall' Europa, dove la percentuale è del 20%.

"E non è colpa del ciclista - dichiara Edoardo Galatola, responsabile della Sicurezza per la Fiab, la Federazione italiana amici della bicicletta - Chi va in bicicletta muore per la velocità incontrollata delle macchine. E' la velocità il grande problema degli spazi urbani, non ci sono regole adeguate né controlli".

Oggi a Roma, ciclisti, ma non solo, manifestano con una fiaccolata ai Fori Imperiali per ricordare Eva Bohdalova, 28 anni. Travolta e uccisa nella notte tra il 29 e il 30 ottobre mentre tornava a casa dal lavoro in bicicletta. "Vogliamo giustizia e verità", dice il tam tam dei blogger e delle associazioni, che tornano a chiedere "misure non più rinviabili per la sicurezza di ciclisti e pedoni".

"I ciclisti, come i pedoni - dice Eugenio Galli, presidente di Fiab-Ciclobby di Milano - sono poco più che degli ospiti nel paesaggio urbano, dove esistono solo le macchine. Le auto occupano spazi che non competono loro: scivoli per disabili, piste ciclabili, marciapiedi, spazi pedonali. Investono i ciclisti alle spalle, come sembra sia successo ad Eva. E l'investimento alle spalle non si può proprio evitare.

Però si possono prendere delle precauzioni, come luci e gilet catarifrangenti. Ma il grande problema è quello del ripristino delle regole, che vuol dire rispetto dell'utenza debole: ciclisti, pedoni, anziani, bambini. In città non c'è più spazio per loro".

Altre cifre: 14.535 ciclisti feriti nel 2007, 20.525 pedoni.

"E stiamo attenti - aggiunge Paolo Bellino, uno dei più attivi nella rete delle ciclofficine romane e di critical mass - quest'emergenza non si risolve con le piste ciclabili. Le macchine devono prima di tutto
rallentare, devono dare spazio alle biciclette, che sono una componente del traffico urbano". "Ci vuole un mix di provvedimenti - riprende Galatola - zone a velocità 30, interventi di moderazione del traffico e percorsi ciclabili. Dove la velocità supera i 30 chilometri all'ora serve una separazione dei flussi".

In Italia la percentuale degli spostamenti in bicicletta è ferma al 4%. In Olanda è del 25%. La carta europea della mobilità sostenibile prescrive alle città di raggiungere almeno la quota del 15% sul totale degli spostamenti. E c'è una ragione. "Se si arriva al 15% gli incidenti in bicicletta cominciano a decrescere - spiega Galatola - perché le macchine si abituano
alla loro presenza in strada e il regime di velocità cambia".

È un po' il principio di Critical Mass, la massa critica dei ciclisti che una volta al mese pedala in città: "Noi non blocchiamo il traffico, noi siamo il traffico".

(6 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/ciclisti-in-citta/ciclisti-in-citta/ciclisti-in-citta.html

 
 
 

48. ::: Antonio Ligabue - Pittore Naif

Post n°51 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

48. ::: Antonio LIGABUE -

Nome all' anagrafe:- Antonio LACCABUE -

- Pittore Naif

http://www.youtube.com/watch?v=u6aH3DImUPs&feature=related


http://www.youtube.com/watch?v=m-3YpWMmWRg&feature=related


www.youtube.com/watch?v=b_MDkgihUeE

Antonio Ligabue, il cui vero cognome è Laccabue, nasce in Svizzera a Zurigo il 18 dicembre del 1899.

Figlio di un'emigrante italiana, fu dati in adozione ad una famiglia svizzera tedesca che lo affidò a sua volta ad un Istituto per ragazzi difficili da dove fu espulso a sedici anni.

Selvaggio, imprevedibile per il suo rapporto con il mondo e la realtà, per tutta la vita fu considerato un matto e venne espulso in manette dalla Svizzera ed istradato in Italia.

La sua pazzia era solo il suo essere istintivo ed autentico nella vita, come nel suo essere pittore.

Riconosciuto, come il più alto esponente dei Naif italiani, riempie la realtà della campagna lombarda di alberi e foglie di una fantastica giungla popolata di animali domestici e selvaggi.

Antonio Ligabue - Autoritratto

Antonio Ligabue - Autoritratto

Antonio Ligabue - Particolare

www.windoweb.it/guida/arte/biografia_antonio_ligabue.htm

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Antonio Ligabue.jpg

Antonio Ligabue

Antonio Ligabue, vero nome Antonio Laccabue (Zurigo, 18 dicembre 1899Gualtieri, 27 maggio 1965), è stato un pittore italiano, tra i maggiori esponenti del genere naïf nel XX secolo.

Biografia [modifica]

Nato da Elisabetta Costa, originaria bellunese e da padre ignoto, la madre sposò nel 1900 Bonfiglio Laccabue, originario di Reggio Emilia che legittimò il figlio Antonio dandogli il proprio cognome, che nel 1942 il pittore cambierà in Ligabue. Nel 1901 fu affidato ad una famiglia affidataria, gli Hasserman. Nel 1913 morirono tragicamente la madre, Elisabetta, e 3 fratellastri. Entrò in un collegio di ragazzi portatori di handicap, ma nel 1915 ne fu espulso. Iniziò a lavorare saltuariamente come contadino e condusse una vita errabonda. Dopo un vivace alterco con la madre affidataria fu ricoverato in una clinica psichiatrica.

Nel 1919, su denuncia della Hasserman, fu espulso dalla Svizzera. Da Chiasso fu condotto a Gualtieri, paese d'origine del padre adottivo, ma, non sapendo una parola d'italiano, fuggì dal paese tentando di tornare in Svizzera. Riportato nel paese, visse del soccorso del Comune nell'Ospizio di mendicità Carri. Nel 1920 gli fu offerto un lavoro agli argini del Po e proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Nel 1928 incontrò Renato Marino Mazzacurati il quale ne comprese l'arte genuina e gli insegnò l'uso dei colori ad olio guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. In quegli anni si dedicò completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta lungo il fiume Po.

Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall'ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla, vicino a Reggio Emilia. Durante la guerra fece da interprete per le truppe tedesche. Nel 1945 fu internato in manicomio per aver picchiato un militare tedesco e vi rimase per tre anni.

Nel 1948 iniziò a dipingere più intensamente, e giornalisti, critici e mercanti d'arte iniziarono a interessarsi a lui. Nel 1957 Severo Boschi, "firma" de Il Resto del Carlino, e il noto fotoreporter Aldo Ferrari si recarono a Gualtieri per incontrarlo: ne scaturì un servizio sul quotidiano e immagini tuttora notissime. Nel 1961 fu allestita la sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Ebbe un incidente di motocicletta e l'anno successivo fu colpito da paresi. Guastalla gli dedicò una grande mostra antologica. Chiese di essere battezzato e cremato, morì il 27 maggio 1965. Riposa nel cimitero di Gualtieri, sulla sua lapide la maschera funebre in bronzo ad opera di Mozzali.

Fu denominato Al Matt (il matto) o Al tedesch (il tedesco).

Nel 1965, all'indomani della sua morte, gli venne dedicata una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.

Sulla sua vita, il regista Salvatore Nocita realizzò nel 1977 per la RAI uno sceneggiato, Ligabue, con Flavio Bucci nella parte dell'artista.

Al Palazzo Reale di Milano si è svolta una mostra monografica sul pittore. Iniziata il 20 giugno 2008, è terminata il 4 novembre 2008.

Curiosità [modifica]

Augusto Daolio gli dedicò una canzone intitolata Dammi un bacio.


it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Ligabue

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Antonio Ligabue. Espressionista tragico.

Antonio Ligabue. Espressionista tragico. Catalogo della mostra (Reggio Emilia, 21 maggio 2005-15 agosto 2005) 
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Antonio Ligabue. Percorsi pittorici tra

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47. ::: Ciliegio in fiore - (( Stella53 ))

Post n°50 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

47. ::: Ciliegio in fiore - (( Stella53 ))

ciliegio in fiore

www.splinder.com/mediablog/stella53/album/601610

 
 
 

46. ::: Redazione Radio Citta' Aperta

Post n°49 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

46. ::: Redazione Radio Città Aperta

Il manifesto della campagna per il ritiro dall'Afganistan04-11-2009/9:25 --- Oggi 4 Novembre – festa delle forze armate e della retorica militarista – sarà una giornata di mobilitazione nazionale per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, il taglio delle spese militari, per non dimenticare le centinaia di migliaia di civili ignoti morti in Afghanistan, Iraq, Palestina, effetti non collaterali  della guerra di cui il nostro paese è complice e non spettatore. In quattordici città italiane diverse realtà internazionaliste, antimilitariste e del movimento contro la guerra stanno organizzando per oggi diverse iniziative: Torino, Genova, Novara, Vicenza, Pisa, Livorno, Pontedera, Bologna, Roma, Napoli, Colleferro, Trieste, Taranto, Catania.
Il consiglio dei ministri ha appena votato il rifinanziamento delle missioni militari all’estero compresa quella dell’Afghanistan, e il ministro della guerra La Russa prevede che le truppe italiane resteranno in Afghanistan per altri 5 anni.
Affermano i promotori della giornata di mobilitazione nazionale di oggi: “A otto anni dall’inizio dei bombardamenti su Kabul, la resistenza all’occupazione si è notevolmente rafforzata mettendo in crisi gli obiettivi politici e militari della Nato e delle potenze occidentali alleate degli Usa. Le recenti elezioni presidenziali si sono rivelate una farsa con un milione di schede annullate su 5 milioni di votanti, e la commedia del voto si è conclusa con la farsa dell’annullamento del ballottaggio e la riconferma del fantoccio Karzai. Intanto sono circa 40.000 i morti civili che nessuno commemora, e dal 2001 ad oggi c’è stata una progressiva crescita, anno dopo anno, dei soldati stranieri morti. Nell’opinione pubblica internazionale è cresciuta la convinzione che la cosa giusta da fare è porre fine alla guerra.”
A Roma l’appuntamento è oggi pomeriggio dalle 15 alle 19 per un’iniziativa a Piazza Navona con presidio informativo, interventi dal microfono, volantinaggio e mostre. Promuovono l’iniziativa Un ponte per…, Statunitensi per la pace e la giustizia, le reti Disarmiamoli e Sempre contro la guerra e le organizzazioni che aderiscono al Patto permanente contro la guerra.

www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2518&Itemid=9

www.radiocittaperta.it/

 
 
 

45. ::: Fiorella Mannoia a Gianfranco Fini : E' possibile...

Post n°48 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

45. ::: Lettera aperta della cantante al Presidente della CameraFiorella Mannoia a Gianfranco Fini: È possibile una destra onesta e civile?

di Fiorella Mannoia, da ambasciatateatrale.com

Onorevole Fini,

(mi sono chiesta a lungo come cominciare una lettera come questa, non ho mai scritto ad un parlamentare prima d’ora, mi sembra che questo possa andare bene: diretto e conciso).

Non le nascondo, per onestà, che non mi sono mai trovata d’accordo con lei, anzi spesso le sue opinioni mi irritavano, le nostre posizioni, evidentemente e naturalmente distanti, mi impedivano di trovare qualche argomento condivisibile.

Ma da un po’ di tempo a questa parte alcune sue dichiarazioni mi sorprendono, mi pare di trovare in lei quel buon senso di cui abbiamo così tanto bisogno, i suoi interventi spesso lasciano trasparire una volontà di dialogo, un’apertura su temi che ci hanno visti contrapposti per così tanto tempo.

Mi chiedo: che cosa sta succedendo??? Ed ecco che la diffidenza riprende il sopravvento: è una strategia? Lei è un uomo intelligente, uno dei pochi politici puri di quel panorama, me lo lasci dire, desolante che è la sua coalizione di governo.

Sicuramente ha capito (e ahinoi non ci vuole molto) che a sinistra c’è un vuoto, e che gli elettori sono giustamente disorientati, arrabbiati, disillusi e allora forse cerca di blandirli con dichiarazioni più vicine al pensiero di sinistra per indurli a dirottare i voti degli indecisi su di lei.

Ecco mi dico: sarà così, sta preparando il terreno per una nuova coalizione! E rimango, sempre per onestà, più propensa per questa teoria, non per diffidenza ideologica, ma perché ho sempre pensato che le persone cambiano raramente.

Tuttavia voglio lasciare uno spiraglio all’ottimismo e voglio pensare che anche per lei la misura è colma e che anche lei comincia, come noi, a vergognarsi di essere rappresentato così male agli occhi del mondo intero e che, come noi, è stanco di questo populismo da quattro soldi, di questa retorica da bar, di questo senso dell’umorismo da caserma, di questo clima di intolleranza e di violenza che si respira, di questa decadenza culturale, etica, storica.

Onorevole Fini, io non lo so, ma la prego, se lei è davvero in buona fede, ci aiuti a venirne fuori. Si liberi della sua attuale coalizione, vada avanti, formi un partito conservatore di gente onesta, e ce n’è tanta che non si riconosce in questa destra, con la quale si possa dialogare in maniera democratica e civile, come in tutti i paesi europei.

Magari ci scontreremo ancora sui temi che ci vedranno in contrapposizione, come in tutte le democrazie, in un clima appassionato sì, (la politica è passione), ma civile.

Dia il suo contributo a restituire dignità a questo paese che non si merita di essere rappresentato in questo modo, e da sinistra, (facendo anche noi il nostro dovere di pulizia laddove ce ne sarà bisogno), le daremo il benvenuto.

Distinti saluti,
Fiorella Mannoia

(30 ottobre 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/e-possibile-una-destra-onesta-e-civile-lettera-aperta-di-fiorella-mannoia-a-gianfranco-fini/

 
 
 

44. ::: La decisione, contraria all'ordine della procura...

Post n°47 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

44. :::


La decisione, contraria all'ordine
della procura di Salonicco, è stata
presa per non scatenare una rivolta
incontrollabile

La polizia non arresterà gli studenti che occupano scuole e università di Salonicco. La decisione è arrivata per il timore che una simile azione scateni una rivolta incontrollabile. Lo ha affermato Tues Metafidis, dirigente del sindacato insegnanti Olme: la polizia ritiene che gli arresti in massa farebbero precipitare la situazione, provocando "imprevedibili reazioni" da parte dei ragazzi.
L'Olme appoggia la decisione della polizia, arrivata nonostante l'ordine del procuratore capo di Salonicco, Dimitri Papageorgiou, che aveva chiesto indagini e arresti per gli studenti coinvolti nell'occupazione. Il movimento studentesco protesta ormai da un mese contro la riforma in senso privatistico dell'università.
La decisione del procuratore aveva innescato il timore di un allargamento della tensione a tutta la Grecia: da giorni infatti anche ad Atene sono in corso numerose occupazioni. Solidarietà studentesca nei confronti degli anarchici, che nei giorni scorsi sono stati attaccati nella capitale da attentatori ancora sconosciuti. Ma accusati dagli studenti stessi di essere "forze parafasciste" vicine al nuovo ministro dell'ordine pubblico, Michalis Chrisochoidis.

it.peacereporter.net/articolo/18756/Grecia%2C+polizia+si+rifiuta+di+arrestere+studenti+che+occupano+scuole+e+universit%E0

 
 
 

43. ::: Sindacati o' "Caporalato del consenso" ?

Post n°46 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

43. :::

Sindacati o "caporalato
del consenso"?
di Pierfranco PellizzettiDagli Stati Uniti alla Germania i sindacati riappaiono sulla scena. Non in Italia, dove le varie botteghe che monopolizzano la rappresentanza dei lavoratori appaiono più impegnate a farsi concorrenza nelle loro nicchie di sopravvivenza.
Sindacati o “Caporalato del consenso”?

di Pierfranco Pellizzetti, da "Il Fatto Quotidiano", 28 ottobre 2009

Trade Unions come back? I sindacati sono ritornati?
Segni in cielo annunciano come nel mondo, insieme al riemergere dell’economia reale, stia passando ‘a nuttata pure per i lavoratori e le loro rappresentanze.
Considerati un reperto archeologico di una modernità giurassica nei lunghi decenni in cui la finanza globale aveva sottomesso la politica e fatto a brandelli il lavoro (anche grazie alla martellante propaganda di un Liberismo ideologico al seguito), oggi i sindacati riappaiono di prepotenza sulla scena: Angela Merkel rilancia l’economia sociale di mercato (irrisa dal socialismo-cachemire dei terzaviari alla Schröder) quale alternativa al “modello Wall Street”, selvaggiamente speculativo e responsabile della crisi che ha messo con la bocca per terra l’intera economia planetaria; in questi mesi le organizzazioni sindacali USA hanno visto riprendere ad aumentare i loro iscritti (circa mezzo milione di nuove entrate). Del resto il presidente Obama sta dimostrando nei fatti di cogestire la fuoriuscita della crisi dell’auto insieme alle rappresentanze dei lavoratori.
Dunque, qualcosa che assomiglia molto all’antica politica industriale, seppure declinata in questa nostra età postindustriale.
Una tendenza che - tuttavia - non sembra minimamente toccare l’Italia. A cui nessuno presta attenzione. Tanto per dire, nel G8 londinese di primavera l’unico fatto che qui da noi è apparso significativo è stata la giullarata del premier Berlusconi - nella solita gag imbarazzante e guittesca del signor Porconi, finito per sbaglio al Gran Ballo della Croce Rossa - che gridava «Obama! Mister Obama!» e la regina Elisabetta sbottava «what is it?». Nel frattempo i leader del mondo discutevano se la priorità fosse quella di rilanciare gli investimenti con iniezioni di liquidità (tesi americana) o di rimettere in funzione i meccanismi di regolazione (tesi franco-tedesca). Ossia, due ipotesi strategiche di governo dell’economia, diverse ma non necessariamente alternative.
Dunque, mentre ritornano il lavoro e le sue politiche, lascia totalmente basiti come la notizia in Italia non sembri riguardare il soggetto che trova la propria ragione d’essere nel lavoro e nelle politiche di rappresentanza sociale: i nostri sindacati.
L’unica faccenda che si direbbe contare riguarda la concorrenza tra le varie botteghe che monopolizzano tale rappresentanza. Più ancora: la piccola corporazione che ci campa, asserragliata nelle nicchie di sopravvivenza che sussistono nel mondo del reddito garantito; nell’affannosa ricerca di trarre il massimo vantaggio diretto dalla congiuntura. Guarda caso, per attuare qualche regolamento di conti ai danni del concorrente più grosso. Sicché, se alla CGIL è precluso il dialogo di scambio con l’attuale governo, CISL e UIL potranno migliorare le rispettive posizioni negoziali in quanto contraenti autoreferenziali.
In altre parole, candidandosi a un ruolo di “caporalato del consenso” che i vari ministri Sacconi o Tremonti potrebbero reputare di una certa utilità. E magari, elargire in cambio qualche strapuntino. Come si è visto il 15 ottobre scorso, alla chiusura del contratto dei metalmeccanici, sottoscritto da UIL e CISL (ma non dall’odiata CGIL): un po’ di spiccioli ai lavoratori (110 euro) e l’accettazione di una contrattazione aziendale decentrata che rompe il fronte unitario disarmando le rivendicazioni.
Nel frattempo si moltiplicano le “morti bianche” e dipendenti in procinto di perdere il posto si appendono alle gru o ai ballatoi degli uffici; per rompere la congiura del silenzio che grava nei loro confronti e rendere pubblica la disperazione.
Infatti, se pronunci la parola “conflitto” nei pressi di qualche leader sindacale collaborazionista, l’espressione furbetta gli si trasforma immediatamente in una smorfia di disappunto. Lo stesso se gli ricordi che furono le lotte del lavoro nella “fase laborista” degli anni sessanta a far diventare il sindacato un “soggetto significativo”; costrinsero la stessa controparte confindustriale a rettificare il tiro e mettere in campo i cosiddetti (presunti) “imprenditori illuminati”. Quelli che firmavano accordi (perfino azzardati) con i Lama, i Vanni e gli Storti; tipo “punto unico di contingenza”.
Non che i Lama-Vanni-Storti fossero propriamente dei descamisados, visto che si limitavano a gestire insorgenze montanti dal basso. Ma almeno conoscevano il mestiere. Oggi - invece - la genia dei berluscones alligna dappertutto: gente tanto improvvisata quanto incapace di oltrepassare la sfera della avidità più bulimica. Traendo il massimo da ogni vantaggio posizionale. Bruno Trentin li chiamava “tappetari”. L’altra faccia di un personale politico di lacché.
Usando l’antico gergo sindacalese, pare davvero problematico individuare “il punto archimedico” su cui far leva per aggregare un personale dirigente in grado di guidare il Paese fuori dalla crisi in cui ci hanno cacciato trent’anni di mediocrità mannara.
«Dio, rendici la lotta di classe» diceva Albert Hirschman.

(28 ottobre 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/sindacati-o-%E2%80%9Ccaporalato-del-consenso%E2%80%9D/

 
 
 

42. ::: Il Dna della socialdemocrazia

Post n°45 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

Socialdemocrazia in crisi. Le speranze deluse, gli errori storici, la politica come casta. Libertà civili e giustizia sociale gli ingredienti per un vero progetto riformista.

di Paolo Flores d'Arcais, da "Il manifesto", 28 ottobre 2009


Credo di aver scritto il primo articolo su «la crisi della socialdemocrazia» circa un quarto di secolo fa, e molti mi avevano preceduto. Questo per dire che il tema non è nuovo, che la socialdemocrazia in un certo senso è stata sempre in crisi (tranne quelle scandinave, che non hanno mai fatto scuola). La radice della sua crisi sta infatti nello scarto (spesso un abisso) tra dire e fare. La socialdemocrazia doveva costituire un'alternativa al comunismo nella difesa dell'eguaglianza contro il sistema del privilegio. L'alternativa al comunismo è restata (giustamente) ma la battaglia per l'eguaglianza (dunque la lotta contro il privilegio) è regredita a flatus vocis. Anche nella forma minimalista delle «eguali chance di partenza», che pure fu teorizzata da tanti liberali come corollario della meritocrazia individuale.

È perciò più facile ricordare i rari momenti in cui la socialdemocrazia ha davvero alimentato speranze: il laburismo dell'immediato dopoguerra, che realizza con Attlee il welfare teorizzato da Beveridge; gli anni di Brandt, che il 7 dicembre 1970 si inginocchia nel ghetto di Varsavia; la stagione di Mitterrand, che interrompe la lunghissima egemonia gollista che pesava sulla Francia ormai come destino (o dannazione). Realizzazioni riformiste, cui quelle stesse socialdemocrazie non hanno dato seguito.

Il carattere di casta

La politica di welfare si è fermata poco oltre il servizio sanitario nazionale (che si è oltretutto rapidamente burocratizzato). La de-nazificazione radicale della Germania, che i governi democristiani avevano trascurato, non viene radicata in altrettanti mutamenti dei rapporti di forza sociali. E l'unità delle sinistra di Mitterrand, dopo la stagione promettente e brevissima dei «club», si risolve in compromessi fra apparati di partito, non in accrescimento del potere effettivo dei cittadini.

Perché questo è il punto - niente affatto secondario - che le analisi della «crisi della socialdemocrazia» non affrontano mai. Il carattere di apparato, di burocrazia, di nomenklatura, di casta, che sempre più hanno assunto anche a sinistra coloro che, per dirla con Weber, «vivono di politica» e della politica hanno fatto un mestiere. La trasformazione della democrazia parlamentare in partitocrazia, cioè in partiti-macchine autoreferenziali e sempre più simili fra loro, ha vanificato ogni giorno di più il rapporto di rappresentanza tra deputati e cittadini. La politica è diventata sempre più una attività privata, come qualsiasi altra attività imprenditoriale. Ma se la politica, cioè la sfera pubblica, diventa privata, diviene tale in un duplice senso: perché per il politico il proprio interesse (di ceto, di casta) prescinde ormai dagli interessi e valori dei cittadini che dovrebbe rappresentare, e perché il cittadino è ormai privato della sua quota di sovranità, anche nella forma delegata.

Il politico di destra e di sinistra finiscono per avere interessi di ceto fondamentalmente comuni - mediamente: il ragionamento trova sempre eccezioni sul piano delle singole persone - poiché fanno entrambi parte dell'establishment, del sistema del privilegio. Contro cui avrebbe invece dovuto combattere la socialdemocrazia, in nome dell'eguaglianza. Perché, si badi, era la «eguaglianza» il valore in base al quale si giustificava l'anticomunismo: il dispotismo politico è infatti la prima negazione dell'eguaglianza sociale, e il totalitarismo comunista la calpesta dunque a dismisura.

Senza la bussola dell'eguaglianza

La partitocrazia (di cui la socialdemocrazia è parte), poiché costituisce la pratica e crescente vanificazione del cittadino sovrano, la negazione dello spazio pubblico agli elettori, costituisce l'alambicco per ulteriori degenerazioni della democrazia parlamentare, cioè per più radicali sottrazioni di potere al cittadino: nella politica-spettacolo e nelle derive populiste che oggi sempre più attecchiscono in Europa. Ma è vero che la vicenda attuale delle socialdemocrazie sembra manifestare qualcosa di più: interi gruppi dirigenti non solo in crisi ma allo sbando, avvitati (nel senso degli aerei quando precipitano) in un vero e proprio cupio dissolvi. Il fatto è che la colpa originaria, aver dimenticato la bussola del valore «eguaglianza», senza il quale una sinistra diventa priva di senso, presenta ora il conto. Ragioniamo con ordine.

È paradossale che la socialdemocrazia conosca l'acme della crisi proprio quando più favorevoli sono le condizioni per la critica dell'establishment e per proposte di riforme radicali sul piano finanziario ed economico, poiché è sotto gli occhi di tutti, e anzi patito e sofferto da grandi masse, il disastro sociale prodotto dalla deriva del privilegio senza freni e dal dominio senza controlli e contrappesi del liberismo selvaggio, degli «spiriti animali» del profitto.

Ma la crisi produce incertezza per il futuro e la paura spinge le masse a destra, si dice. Solo perché la socialdemocrazia non ha saputo dare risposte in termini di riformismo, cioè di crescente giustizia sociale, al bisogno di sicurezza e di «futuro» di questi milioni di cittadini. Facciamo qualche esempio concreto. La paura rispetto al futuro prende facilmente le sembianze dell' «altro», l'immigrato che ci «ruba» il lavoro. Ma l'immigrato può «rubare» il lavoro solo perché accetta salari più bassi. La socialdemocrazia ha mai provato a fare una politica di sistematica punizione degli imprenditori, grandi e piccoli, che hanno impiegato gli immigrati a salari più bassi, e senza le altre costose garanzie normative ottenute da decenni di lotte sindacali? Analogamente per la de-localizzazione delle imprese, il fenomeno più vistoso della globalizzazione. L'imprenditore tedesco, o francese, o italiano, o spagnolo, spostando le attività produttive verso il terzo mondo, lucrava super-profitti sfruttando manodopera a salari infimi e senza tutela sindacale (per non parlare della libertà di inquinare in modo devastante). Ma i governi hanno strumenti potenti, se vogliono, per «sconsigliare» ai propri imprenditorie la corsa alla de-localizzazione, strumenti che la politica della Comunità europea può rendere ancora più convincenti e rafforzare a dismisura.

La socialdemocrazia si è invece piegata alla mondializzazione, quando non l'ha osannata, ma se l'imprenditore può pagare meno il lavoro, de-localizzando la fabbrica o pagando in nero il clandestino, si creano le condizioni di un «esercito salariale di riserva» potenzialmente infinito, che porterà i salari sempre più in basso, restituendo attualità a categoria marxiste che il welfare - e lotte di generazioni (non la spontaneità del mercato) - aveva rese obsolete. Eppure la socialdemocrazia è organizzata addirittura in una «Internazionale», e nelle istituzioni europee ha avuto a lungo un peso preponderante. Non è dunque che non potesse fare una politica diversa. È che non ha voluto. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Anche la socialdemocrazia ha accettato le più «tossiche» invenzioni finanziarie, e nulla di concreto ha fatto per distruggere i «paradisi fiscali» e il segreto bancario, strumenti dell'intreccio affaristico-mafioso a livello internazionale, col risultato che il potere delle mafie in Europa dilaga, da Mosca a Madrid, dalla Sicilia al Baltico, e neppure se ne parla. E lasciamo stare il problema dei media, assolutamente cruciale, visto che «un'opinione pubblica bene informata» dovrebbe costituire per i cittadini «la corte suprema», a cui potersi «sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l'indifferenza popolare o gli errori del governo», come scriveva Joseph Pulitzer (oltre un secolo fa!), mentre nulla le socialdemocrazie hanno fatto per approssimare questo irrinunciabile ideale.

Un progetto riformista
La socialdemocrazia doveva distinguersi dal comunismo nel metodo, per la rinuncia alla violenza rivoluzionaria, e nell'obiettivo, per la rinuncia alla distruzione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Non era certo nel suo Dna, però, l'abdicazione a condizionare riformisticamente (cioè pesantemente) la logica del mercato, rendendola socialmente «virtuosa», piegandola agli imperativi di una costante redistribuzione del surplus in direzione dell'eguaglianza. Tradendo sistematicamente la sua unica ragion d'essere, la socialdemocrazia è stata in crisi anche quando ha vinto le elezioni e ha governato. Di quanto si sono ridotte le diseguaglianze sociali sotto i governi Blair? Di nulla, semmai il contrario. E con Schroeder? A che può servire una sinistra che fa una politica di destra, se non a preparare il ritorno dell'originale?
Non è difficile perciò delineare un progetto riformista, basta avere come stella polare l'accrescimento congiunto di libertà e giustizia (libertà civili e giustizia sociale). È impossibile però realizzarlo con gli attuali strumenti, i partiti-macchina. Perché appartengono strutturalmente al «partito del privilegio». Non possono essere la soluzione perché sono parte integrante del problema.

(28 ottobre 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/il-dna-della-socialdemocrazia/

 
 
 

41. ::: Altrachiesa - Mons. Bottoni contro il governo...

Post n°44 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

41. :::


Altrachiesa

Mons. Bottoni contro il governo: “La democrazia sta morendo”

All'annuale cerimonia organizzata dall'Anpi in memoria dei caduti partigiani al Campo della gloria del cimitero Maggiore di Milano, l'intervento più applaudito è stato quello di monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della Diocesi di Milano. Ha spiegato che «si assiste in questo periodo a una caduta senza precedenti della democrazia e dell'etica pubblica» e ha parlato di «continui colpi al sistema democratico» oltre che di «uno stato padrone a gestione personale». «È in corso - ha aggiunto - una morte lenta e indolore della democrazia, una progressiva eutanasia della repubblica nata dalla Resistenza».
L’intervento di don Gianfranco Bottoni ha provocato la reazione ringhiosa della destra fascista di Milano con una aggressione verbale virulenta. Chi volesse comunicare il proprio sostegno a don Gianfranco Bottoni - in un momento in cui nella «chiesa gerarchica» rifulge invece il silenzio come metodo - può scrivere a: ecumenismo@diocesi.milano.it


Il testo integrale dell'intervento di Mons. Gianfranco Bottoni

La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza.

È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata” (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare.

La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L’elenco dei fatti che l’attestano sarebbe lungo ma è noto. Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti…

Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista.

Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa democratica mondiale.

Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente.

Ci attendiamo non una politica che dica “cose nuove ma non giuste”, secondo la prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete “cose giuste ma non nuove”. È invece indispensabile che “giusto e nuovo” stiano insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace.

Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà.

Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede, dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica democratica. L’appello è invito a dialogare al di là della dialettica e conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo.

L’attuale emergenza e la memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica, il bene supremo di un’Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo “libera e democratica”.

(3 novembre 2009)

temi.repubblica.it/micromega-online/mons-bottoni-critica-il-governo-la-democrazia-sta-morendo/

 
 
 

40. ::: Il segretario di Stato Vaticano torna a criticare...

Post n°43 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

40. ::: Il segretario di Stato Vaticano torna a criticare il pronunciamento
della Corte europea diritti dell'uomo.
"Ci lasciano solo Halloween"Crocifisso in aula, Bertone ringrazia "Apprezzo il ricorso del governo"Berlusconi: "E' una delle decisioni che ci fa dubitare del buon senso di questa Europa"
Gelmini: "Stiamo preparando tutto l'incartamento
giudiziario per procedere"

 

Crocifisso in aula, Bertone ringrazia

ROMA - Il segretario di Stato Vaticano torna a criticare la sentenza della Corte Europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo
, che ha accolto l'istanza di un genitore italiano contro il crocifisso in classe. Tarcisio Bertone esprime apprezzamento per il ricorso presentato dal governo italiano, e si augura che altri esecutivi europei facciano altrettanto.

"Io dico - dice il prelato - che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita. Dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede".

Il governo. "Per noi è una sentenza assolutamente inaccettabile", commenta il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, parlando con i giornalisti durante una visita alle zone terremotate di Fossa vicino a L'Aquila. "Che l'Italia sia un Paese in cui il cristianesimo è la sua stessa storia lo sappiamo da sempre. Non abbiamo fatto ancora ricorso perché non c'è stata una riunione del Consiglio dei Ministri dopo la sentenza. Ce ne occuperemo venerdì mattina - aggiunge - E' una delle decisioni che, molto spesso, ci fanno dubitare del buon senso di questa Europa".

"Già in sede di formazione della nuova Costituzione europea - prosegue Berlusconi - mi ero battuto per il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane dell'Europa. I paesi estremamente laici come la Francia, nella persona dell'allora presidente Chirac, si erano opposti e non eravamo riusciti a convincerli. Oggi si è fatto un ulteriore passo in avanti, negando che l'Europa abbia radici cristiane. Questo non è accettabile da noi italiani, paese nel quale tutti non possiamo non dirci cristiani".


Dal canto suo, il ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, precisa che il ricorso contro la sentenza "sarà pronto nell'arco di pochi giorni". Un ricorso che definisce "necessario perché per noi è una scelta davvero incomprensibile".

Il leader leghista Umberto Bossi bolla la sentenza come "una stronzata". All'uscita del Duomo di Milano, dove si sono svolti i funerali di Stato della poetessa Alda Merini, afferma che "l'Europa va forse bene per l'economia, ma non per molte altre cose".

Formigoni. Secondo il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, i "'soloni' o presunti tali della Corte di Strasburgo dovrebbero tornare sui banchi di scuola elementare per capire cosa è la storia dell'Europa in nome della quale pontificano".

Vendola. Per il governatore della Puglia, Nichi Vendola, quella della Corte europea "è una sentenza che merita una discussione, un approfondimento, spero senza spirito di crociata, senza anatemi reciproci".

Sindaci all'attacco. Intanto se c'è chi i crocefissi li vuole togliere, c'è anche chi li compra e li regala. E' il caso del sindaco di Sassuolo Cuca Caselli. Il comune in provincia di Modena ha infatti acquistato 50 crocifissi e il primo cittadino intende portarli in ogni scuola. Stessa iniziativa da parte del sindaco di Ardea (in provincia di Roma), Carlo Eufemi: "Il crocifisso nelle scuole non si tocca perché rappresenta le radici della nostra civiltà, uno dei simboli dell'unità del nostro Paese". Il sindaco di Sanremo Maurizio Zoccarato ha scritto ai dirigenti scolastici degli istituti operanti sul territorio comunale di sua competenza invitandoli ad apporre il crocefisso laddove già non ci fosse. E sui tabelloni luminosi del Comune di Montegrotto Terme, in provincia di Padova, per iniziativa del sindaco è apparsa la scritta: "Noi non lo togliamo".

(4 novembre 2009)

www.repubblica.it/2009/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/crocefissi-aule/bertone-su-sentenza/bertone-su-sentenza.html

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Crocefisso, Odifreddi: simbolo anacronistico di un paese clericale
Piergiorgio Odifreddi commenta la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha definito la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche "una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni".

(4 novembre 2009)

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http://temi.repubblica.it/micromega-online/crocefisso-odifreddi-simbolo-anacronistico-di-un-paese-clericale/

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4 novembre 2009

La Croce che non s’impone

di Marco Politi


La croce non si impone. E’ il messaggio che viene da Strasburgo, dove la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che i crocifissi nelle aule scolastiche rappresentano una doppia violazione. Perché negano la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose o filosofiche e al tempo stesso violano la libertà degli alunni. Il governo italiano, tanto attento alla fede cristiana nei suoi proclami quanto a-religioso nei comportamenti del suo leader, ha subito deciso di presentare ricorso. Agitazione al centro e a destra, dove il ministro Frattini paventa un “colpo mortale all'Europa”, mentre l'Udc Rocco Buttiglione parla di “sentenza aberrante da respingere”. Prudenza nel centrosinistra: il neo-segretario Pd Bersani si limita a definire la presenza del crocifisso nella aule una “tradizione inoffensiva”. Eppure la Corte europea dei diritti dell’uomo è solo responsabile di chiarezza. Non è la sua una scelta antireligiosa, come si affrettano a diffondere le prefiche che lamentano continuamente la perdita delle «radici cristiane d’Europa». Al contrario è il limpido riconoscimento che i simboli religiosi sono segni potenti, che incidono sulle coscienze.

Da tempo l’Italia pseudo-religiosa della cattiva coscienza, per sfuggire alla questione della laicità delle istituzioni, si è inventata la spiegazione che il crocifisso sia soltanto un simbolo della tradizione italiana, un’espressione del suo patrimonio storico e ideale, un incoraggiamento alla bontà e a valori di umanità condivisibili da credenti e non credenti. Non è così. O meglio, tutto questo insieme di richiami è certamente comprensibile ma non può cancellare il significato profondo e in ultima istanza esplicito di un crocifisso esposto in un ambiente scolastico o nell’aula di un tribunale. Il crocifisso sulla cattedra è il richiamo preciso ad una Verità superiore a qualsiasi insegnamento umano. Il crocifisso sovrastante le toghe dei magistrati è il monito a ispirarsi e non dimenticare mai la Giustizia superiore che promana da Dio. È accettabile tutto ciò da parte di chi non crede in “quel” simbolo? E’ lecito imporlo a quanti sono diversamente credenti sia che seguano un’altra religione sia che abbiano fatto un’opzione etica non legata alla trascendenza? La risposta non può che essere no.

Già negli anni Novanta nel paese natale di papa Ratzinger la Corte Costituzionale tedesca sancì con parole pregnanti che nessuno può essere costretto a studiare “sotto la croce”, perché la sua esposizione obbligata è lesiva della libertà di coscienza. Persino la cattolicissima Baviera – lo riferì a suo tempo anche l’Avvenire non disdegnando la soluzione – ha affrontato il problema. In quel Land tedesco il crocifisso è di norma esposto nelle aule scolastiche: se però degli studenti obiettano, le autorità scolastiche aprono un confronto che può condurre alla rimozione del simbolo.

Il messaggio di Strasburgo porta in Italia una ventata di chiarezza. Non nega affatto la vitalità di una tradizione culturale. Non “colpisce”, come lamenta l’Osservatore Romano, una grande tradizione. Strade, piazze, monumenti continueranno a testimoniare il vissuto secolare di un’esperienza religiosa. Edicole, crocifissi, statue di santi, chiese e oratori continueranno a parlare di una storia straordinaria. (Ma meglio sarebbe che gli alfieri della difesa delle «radici cristiane» si chiedessero perché tante chiese vuote, perché tanta ignoranza religiosa negli alunni che escono da più di dieci anni di insegnamento della religione a scuola, perché sono semivuoti i seminari e deserti i confessionali). Né viene toccato il diritto fondamentale dei credenti, come di ogni altro cittadino di diverso orientamento, di agire sulla scena pubblica. La Corte europea dei diritti dell’uomo afferma invece un principio basilare: nessuna istituzione può essere sotto il marchio di un unico segno religioso. Laicità significa apertura e neutralità, rifiuto del monopolio. Ci voleva la tenacia di una madre finlandese trasferita in Italia, Soile Lautsi, per intraprendere insieme al marito Massimo Albertini la lunga marcia dal consiglio di classe di una scuola di Abano al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale, alla Corte di Strasburgo perché l’Italia fosse ammonita a rispettare questo elementare principio. Se si chiede alla coppia cosa le ha dato la tenacia di non arrendersi al conformismo delle autorità, la riposta è sobria: “L’amore per i figli, il desiderio di proteggerli. E loro, cresciuti nel frattempo, ci hanno detto di andare avanti”.

Sostiene la conferenza episcopale italiana che la sentenza di Strasburgo suscita “amarezza e perplessità”, perché risulterebbe ignorato il valore culturale del simbolo religioso e il fatto che il Concordato riformato del 1984 riconosce i principi del cattolicesimo come “parte del patrimonio storico del popolo italiano”. È questa parola “parte” che i vescovi dovrebbero non dimenticare. Il cattolicesimo non è più religione di Stato né esiste nella Costituzione repubblicana un attestato di religione speciale, rispetto alla quale altre fedi o orientamenti filosofici sono di seconda categoria.

da Il Fatto Quotidiano n°37 del 4 novembre 2009


http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2372361&title=2372361

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Dario Fo: croce via

di Dario Fo, da Il manifesto, 4 novembre 2009

Suona scandalo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che, accogliendo la denuncia di una cittadina italiana, dichiara che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Scandalizza enormemente i cattolici apostolici romani. Ma non i cristiani. Perché ci sono anche i cristiani non apostolici romani che non fanno del predominio del simbolo della croce il loro valore essenziale. Naturalmente è tutt'altro che offensiva per chi è ateo e non ha religione come me, e tantomeno la sento offensiva per chi professa un'altra religione.

L'elemento straordinario della sentenza, destinata a destare non solo scandalo ma dibattito e scontro, sta nel fatto che precipita sullo schermo piatto della realtà italiana che vive - vivrà? - nei millenni all'ombra del potere della Chiesa romana. Da questo punto di vista è la critica profonda al simbolo per eccellenza, la croce. Proposto finora come una simbologia imposta, affisso ovunque in scuole, ospedali, uffici come il connotato forte della nostra cultura. Una onnivora cultura di stato. E i cattolici difficilmente molleranno l'idea di essere i gestori della religione di stato.

Non a caso però la Corte europea ha aggiunto che proprio la presenza dei crocefissi nelle aule può facilmente essere interpretata dai ragazzi di ogni età come un evidente segno religioso e dunque potrebbe condizionarli: se incoraggia i bambini già cattolici, può invece essere di condizionamento e disturbo per quelli di altre religioni e per gli atei.

Esplode l'ira del Vaticano, il governo di centrodestra accusa, balbettano dall'opposizione democratica: «È una questione di cultura, di tradizione». Allora apriamo anche il libro nero di queste cultura e tradizione. Il cattolicesimo della Chiesa romana nasconde dietro il crocifisso interpretato come riscatto, una cultura e una storia di violenze, sopraffazioni, guerre. In nome della croce sono stati commessi grandi misfatti, Crociate, Inquisizioni, la rapina e i massacri del Nuovo mondo, la benedizione degli imperi e degli uomini della provvidenza. Pensate che il cattolicesimo ha proibito fino all'Ottocento di tradurre in volgare la Bibbia e il Vangelo.

In nome di quel «segno» si sono commessi i crimini più efferati. E si commettono, con le proibizioni contro il diritto degli uomini a gestire la conoscenza e la libertà individuale e sessuale. Se è la «nostra cultura», come dichiarano l'intrepida ministra Gelmini e il «pontefice» Buttiglione che accusa la sentenza di Strasburgo di essere «aberrante», perché non raccontare il lato oscuro della croce come simbologia di potere? Invece è come se continuassero a dire: lo spazio del visibile, dell'iconografia quotidiana della realtà è mio, lo gestisco io e ci metto le insegne che voglio io. È questo che è sbagliato.

La Conferenza episcopale strilla che si tratta di sentenza «ideologica». Racconti della violenza nella cultura storica della Chiesa romana apostolica, dei roghi contro la ragione eretica che da sola ha fatto progredire l'umanità. Se è l'origine salvifica per tutti che si vuole difendere, allora va accettato e relativizzato al presente, perché in origine esso era solo un segno di riconoscibilità dei luoghi clandestini di preghiera e culto. Non un simbolo imposto, che rischia di richiamare un rituale comunque di morte, contro gli altri, le altre culture, storie, religioni.

Che la realtà che ci circonda, in primo luogo quella formativa della scuola, torni ad essere spazio creativo oltre le religioni, libero per tutti dagli obblighi oppressivi dei valori altrui.


(4 novembre 2009)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/dario-fo-croce-via/

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Crocefisso, nessuna legge lo prevede

di Michele Ainis, da La Stampa, 4 novembre 2009

Doveva arrivare un giudice d’Oltralpe per liberarci da un equivoco che ci portiamo addosso da settant’anni e passa. In una decisione che s’articola lungo 70 punti (non proprio uno scarabocchio scritto in fretta e furia) ieri la Corte di Strasburgo ha messo nero su bianco un elenco di ovvietà.

Primo: il crocifisso è un simbolo religioso, non politico o sportivo. Secondo: questo simbolo identifica una precisa religione, una soltanto. Terzo: dunque la sua esposizione obbligatoria nelle scuole fa violenza a chi coltiva una diversa fede, o altrimenti a chi non ne ha nessuna. Quarto: la supremazia di una confessione religiosa sulle altre offende a propria volta la libertà di religione, nonché il principio di laicità delle istituzioni pubbliche che ne rappresenta il più immediato corollario.

Significa che fin qui ci siamo messi sotto i tacchi una libertà fondamentale, quella conservata per l’appunto nell’art. 9 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo? Non sarebbe, purtroppo, il primo caso. Ma si può subito osservare che nessuna legge della Repubblica italiana impone il crocifisso nelle scuole.

Né, d’altronde, nei tribunali, negli ospedali, nei seggi elettorali, nei vari uffici pubblici. Quest’obbligo si conserva viceversa in regolamenti e circolari risalenti agli Anni Venti, quando l’Italia vestiva la camicia nera. Fu introdotto insomma dal Regime, ed è sopravvissuto al crollo del Regime. Non è, neppure questo, un caso solitario: basta pensare ai reati di vilipendio, agli ordini professionali, alle molte scorie normative del fascismo che impreziosiscono tutt’oggi il nostro ordinamento. Ma quantomeno in relazione al crocifisso, la scelta normativa del Regime deve considerarsi in sintonia con la Costituzione all’epoca vigente. E infatti lo Statuto albertino, fin dal suo primo articolo, dichiarava che «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato». Da qui figli e figliastri, come sempre succede quando lo Stato indossa una tonaca in luogo degli abiti civili.

Ma adesso no, non è più questa la nostra divisa collettiva. L’art. 8 della Carta stabilisce l’eguale libertà delle confessioni religiose, e stabilisce dunque la laicità del nostro Stato. Curioso che debba ricordarcelo un giudice straniero. Domanda: ma l’art. 7 non cita a sua volta il Concordato? Certo, e infatti la Chiesa ha diritto a un’intesa normativa con lo Stato italiano, a differenza di altre religioni (come quella musulmana) che ancora ne risultano sprovviste. Però senza privilegi, neanche in nome del seguito maggioritario del cattolicesimo. D’altronde il principio di maggioranza vale in politica, non negli affari religiosi. E d’altronde la stessa Chiesa venne fondata da Cristo alla presenza di non più di 12 discepoli. Se una religione è forte, se ha fede nella sua capacità di suscitare fede, non ha bisogno di speciali protezioni.

(4 novembre 2009)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/crocefisso-nessuna-legge-lo-prevede/

 
 
 

39. ::: Omaggio ad Alda MERINI...

Post n°42 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

39.::: Omaggio ad Alda Merini...

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