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Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 14 Settembre 2005 da berlusconmavafanculo
Foto di berlusconmavafanculo

Assenza di pluralismo, conflitto di interessi, parzialità dell’informazione; questi sono, nell’Italia degli ultimi anni, consueti argomenti di polemica nel dibattito politico interno. Il tenore sovente becero e confuso di questo dibattito non ha, però, favorito lo sviluppo di una riflessione avvertita sullo stato dell’informazione nel nostro Paese e, quel che é peggio, ha assuefatto i cittadini sui problemi e i nodi che esistono in materia di libertà di espressione e di opinione.

Può pertanto essere utile, in questi casi, cambiare prospettiva e considerare come gli stranieri giudichino l’Italia.

Durante la sessione della Conferenza sui Diritti dell'Uomo, che sì è tenuta lo scorso marzo a Ginevra, è stato presentato il rapporto ONU sul rispetto di un diritto umano fondamentale, come la libertà di parola. Il capitolo sull’Italia osserva che la televisione esercita un potere egemonico sulla nostra opinione pubblica e considera preoccupante il controllo diretto o indiretto di 6 canali TV da parte del Presidente del Consiglio.



Un altro rapporto, quello dell’associazione statunitense Freedom House, colloca l’Italia al 77° posto nella classifica delle libertà di stampa e definisce il nostro sistema d’informazione « parzialmente libero ». Il documento (reperibile al sito www.freedomhouse.org) é una asciutta relazione di 173 pagine che fotografa lo stato della libertà di stampa in tutti i paesi del mondo, dall’Afghanistan allo Zimbabwe. Il sistema italiano é giudicato “partly free” come la Bolivia e la Mongolia. Un giudizio affrettato e impreciso? Forse, ma non é questo il punto . Il punto é su quali elementi una delle associazioni più autorevoli al mondo nella difesa dei diritti umani, fondata nel 1945 da Eleanor Roosvelt, reputi il nostro sistema non libero. Gli elementi sui quali Freedom House basa il suo giudizio sono obiettivamente sintomi di un sistema non sano : le iniziative della magistratura inquirente nei confronti di giornalisti, le interferenze politiche sulla linea editoriale degli organi di informazione, il potenziale controllo, da parte del Primo Ministro, di otto giornali nazionali e di sei dei sette network televisivi, l’assenza di norme efficaci per risolvere il conflitto di interessi del capo del governo e l’emanazioni di leggi del sistema radiotelevisivo che ne rafforzano il potere egemonico.

Il controllo dei mezzi di informazione da parte di chi detiene il potere é considerato, da chi ci guarda dal mondo, come un’anomalia per una democrazia forte e matura come quella italiana.

Il rispetto della professionalità e indipendenza degli operatori della comunicazione da parte di chi detiene il potere é, dunque, un punto cruciale.

Illuminanti, al proposito, sono i rapporti annuali 2004 e 2005 di Reporters sans frontières , l’associazione internazionale che da anni si batte per difendere la libertà di stampa; alcuni estratti sono riportati in chiusura di questo articolo.

Occorre una seria e forte mobilitazione dei fruitori dell’informazione, prima ancora che degli operatori della medesima, per sostenere l'attuazione del principio costituzionale previsto dall'articolo 21 che garantisce la libertà di espressione.

Organi di diffusione minore e alternativa – come i siti di controinformazione - trovano, su questo terreno, la migliore giustificazione alla loro esistenza.

Quale é il loro valore aggiunto rispetto ai media tradizionali? Il primo elemento di differenza, rispetto alla comunicazione mediatica di massa, sta nel prodotto che confezionano, svincolato dall’obbligo di rincorrere la notizia-evento per privilegiare l'approfondimento.

Il secondo fattore risiede nella situazione di indipendenza, che permette spazi di libertà nella critica e la capacità di curare la completezza e la correttezza dell'informazione nonché di riuscire a parlare di cose che gli altri non affrontano.

L’ultimo, importate elemento di differenza rispetto alla comunicazione di massa é la proposta di letture alternative dei fenomeni sociali, basati su altri valori e nuove prospettive, con l’aspirazione di operare un cambiamento culturale della società.

Rapporto 2004 di Reporters sans frontières

Il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, capo dell’esecutivo e padrone di un impero mediatico, non è ancora risolto e continua a rappresentare una minaccia per il pluralismo dell’informazione. Peraltro, la giustizia italiana ha moltiplicato le azioni giudiziarie contro i giornalisti e le perquisizioni di redazioni, mettendo in pericolo il principio della protezione delle fonti.

Silvio Berlusconi, che detiene, in quanto presidente del Consiglio, una capacità d’influenza considerevole sulla televisione pubblica italiana (RAI) tramite i componenti del suo Consiglio d’amministrazione, è anche proprietario della Mondadori, uno dei principali gruppi editoriali del paese, e di Mediaset, che raggruppa tre canali televisivi privati nazionali. L’anomalia italiana del conflitto tra gli interessi privati di Silvio Berlusconi e le sue funzioni governative ha sollevato, anche quest’anno, l’inquietudine dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo.

Se le critiche ripetute del presidente del Consiglio verso la stampa nel 2003 non hanno avuto le conseguenze paragonabili a quelle del 2002, con il licenziamento dei giornalisti più ostili al governo e delle ingerenze anticostituzionali nella gestione della RAI, il comportamento di Silvio Berlusconi non ha contribuito a risolvere la crisi istituzionale e di identità che attraversa il servizio pubblico.

Il disagio in seno alla professione è aumentato con due proposte di legge utili evidentemente agli interessi di Silvio Berlusconi. Il progetto di legge, che si presume possa risolvere il conflitto di interessi, non offre alcuna soluzione reale, in quanto permette al presidente del Consiglio di rimanere proprietario del suo impero mediatico a condizione che ne affidi la gestione a un terzo. Fatto eccezionale, Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, ha rifiutato, il 15 dicembre, di firmare la legge “Gasparri”, votata dal Parlamento il 2 dicembre, e ha chiesto alle due Camere un nuovo esame del testo che contiene, secondo lui, degli elementi contrari alla Costituzione. L'obiettivo ufficiale della legge “Gasparri” era di preparare il passaggio alla televisione digitale terrestre, ma il testo permetteva anche il possesso di interessi in più settori mediatici e riformava sia i limiti antitrust che la composizione del consiglio di amministrazione della televisione pubblica RAI. Il progetto di legge eliminava il divieto fatto a una sola persona di detenere più di due canali nazionali. Silvio Berlusconi avrebbe potuto così conservare la proprietà dei suoi tre canali nazionali Italia1, Canale 5 e Retequattro. Si noti che la Corte Costituzionale, in nome del rispetto delle leggi sulla concorrenza, aveva preteso, il 20 novembre 2002, il passaggio su satellite del canale Retequattro a partire dal 1° gennaio 2004. Il testo permetteva anche ai proprietari di televisioni di acquisire la proprietà di quotidiani, e viceversa. Ma, nella pratica, la situazione finanziaria della stampa scritta non permette una tale reciprocità. [...]

La legge “Gasparri” riformava inoltre i limiti antitrust. Se il testo stabiliva che un proprietario non avrebbe potuto detenere più del 20% degli introiti della pubblicità, il fondamento del calcolo di questi introiti veniva considerevolmente aumentato; esso, infatti, comprendeva non solo gli spot televisivi, ma anche l’editoria, il cinema e la stampa. La televisione pubblica RAI e Mediaset si dividono il 93% degli investimenti pubblicitari della televisione, di cui il 63% per il gruppo Mediaset. La riforma prevedeva infine una privatizzazione progressiva e parziale della RAI, così come una modifica della composizione del suo Consiglio d’amministrazione. La privatizzazione della RAI avrebbe dovuto cominciare prima del 31 gennaio 2004, ma con la clausola che gli azionisti non potevano detenere più dell’1% delle partecipazioni, lasciando così il controllo al Ministero dell’Economia. Il Consiglio d’amministrazione del servizio pubblico sarebbe passato da cinque membri nominati dai presidenti del Senato e della Camera dei deputati, a nove membri di cui sette sarebbero stati nominati dalla Commissione parlamentare di vigilanza e due dal Ministero dell’Economia.

La risposta di Silvio Berlusconi al rinvio alle Camere del testo da parte del Capo dello Stato è stato immediato: il 23 dicembre, il presidente del Consiglio ha firmato un decreto legge che concede una proroga al suo canale Retequattro, che doveva passare su satellite prima della fine del 2003 con la conseguenza di una perdita importante del suo valore commerciale. Retequattro potrà conservare la sua rete fino al 30 aprile 2004, data entro la quale l’autorità delle telecomunicazioni dovrà prendere una nuova decisione.

Inoltre, la giustizia italiana ha ostacolato il lavoro dei giornalisti e messo in pericolo il principio della protezione delle fonti procedendo ad azioni giudiziarie contro alcuni giornalisti e a delle perquisizioni di redazioni, in particolare per “violazione del segreto istruttorio”. Infine, l’anno è stato marcato da un sensibile aumento del numero di violenze e di tentativi di intimidazione verso giornalisti che indagavano sul crimine organizzato.

Rapporto 2005 di Reporters sans frontières

Il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi resta un’anomalia unica in Europa. Ma nel 2004, è la giustizia ad essere responsabile della maggioranza degli attentati alla libertà di stampa, con delle condanne in carcere pronunciate contro alcuni giornalisti e un moltiplicarsi di attentati contro il segreto delle fonti.

Il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, che concentra nelle sue mani il potere politico e un impero mediatico, continua a minacciare l’indipendenza dei media. Malgrado diverse manovre volte a dare l’illusione di una volontà del governo di regolare questa questione, il problema non ha ancora trovato una soluzione. Il “Cavaliere”, contemporaneamente presidente del Consiglio e proprietario di tre canali privati nazionali così come del primo gruppo editoriale del paese, non ha esitato, per esempio, a fare votare una legge tagliata su misura per i suoi interessi privati. La legge “Gasparri” sulla riforma del sistema audiovisivo è stata definitivamente adottata il 29 aprile 2004. Autorizza il possesso di interessi in diversi settori mediali, riforma i limiti antitrust e la composizione del Consiglio di amministrazione della televisione pubblica RAI: tante disposizioni che servono con evidenza gli interessi del gruppo Mediaset, proprietà di Silvio Berlusconi. Altro esempio flagrante del conflitto d’interessi, il Senato ha impedito, con un decreto legge approvato il 28 gennaio, che Retequattro, il terzo canale di Silvio Berlusconi, fosse trasferito su satellite prima del 31 dicembre 2004, come esigeva la Corte costituzionale.

Le intromissioni dirette di Silvio Berlusconi nella vita dei media, come la messa al bando di giornalisti del servizio pubblico giudicati troppo critici nei suoi confronti, sono state tuttavia meno numerose nel 2004.

Quest'anno, è la giustizia italiana ad essere la responsabile delle principali violazioni della libertà di stampa.

Il Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, il Relatore speciale per la promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione, il Consiglio d’Europa o ancora l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) raccomandano la soppressione delle pene del carcere per i reati di stampa. Mentre queste istituzioni si sforzano di inculcare questi principi nel mondo, in particolare ai nuovi Stati membri dell’Unione Europea (UE) e ai candidati, uno dei paesi fondatori dell’UE ha condannato due giornalisti alla pena del carcere. La giustizia aveva già pronunciato delle pene alla prigione per diffamazione nel 2001 e nel 2002. In Italia, nessun giornalista è attualmente incarcerato.

 
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