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Post n°8 pubblicato il 06 Gennaio 2010 da Pi_Lucie
 

Bidoni

I BIDONI E LA SERIE A

STRANIERI AI "BROCCHI" DI PARTENZA

Una carrellata di personaggi, storie, disavventure e risate. I chili di troppo di Mário Jardel. Darko Pancev, il “Cobra” senza veleno. Il “Dottore” Socrates, poca corsa ma in compenso tante sigarette, birra e politica. Renato Portaluppi e la dolce vita romana. Jorge W. Caraballo: da centrocampista del Pisa a tassista tra Caracas e Montevideo. Da Pistoia a Pistoia: da presunto talento in campo a venditore di gelati allo stadio e attore porno: la leggenda di Luis Silvio Danuello. E poi Gustavo Neffa, dalla Cremonese a personal trainer della moglie… Un viaggio nel “sacro” universo dei bidoni.

Strutture fatiscenti, Calciopoli, fiscalità stringente, diritti televisivi, mancanza di stadi di proprietà. Il campionato italiano, da sempre considerato il più affascinante e competitivo del mondo, perde terreno e credibilità nei confronti di Premier League inglese e Liga spagnola. Le partenze di Kakà ed Ibrahimović lo hanno ulteriormente impoverito, relegandolo al livello di Bundesliga tedesca e Ligue 1 francese. Un tempo però, la massima serie era considerata l’eldorado del calcio mo ndiale, con ricchi ingaggi e grande visibilità per i calciatori d’oltrefrontiera. La sfilza dei campioni che hanno dato lustro al campionato italiano e fatto la fortuna di società e tifosi è lunga. Zico, Falcão, Platini, Van Basten, Zidane, Batistuta, Gullit e Ronaldo rappresentano la punta dell’ iceberg, sulla cui cima svetta Diego Armando Maradona, considerato di diritto il più forte di tutti i tempi. Ma la serie A è anche la terra dei cosiddetti “bidoni”, presunti talenti esotici poi rivelatisi incredibili bufale. La storia del calcio italiano è zeppa di meteore, colpi di mercato deflagrati in autentici flop, sviste degli osservatori e aspettative tradite. Una girandola di nomi e racconti che ci riportano indietro nel tempo. Pancev, L. Blissett, Socrates, Luis Silvio Danuello, Neffa, Vampeta, Portaluppi, Eneas de Camargo, Sliskovic, Al Saadi Gheddafi, Alexi Lalas e tanti altri. Una girandola di storie e personaggi che possono suscitare ilarità, o al contrario disperazione  tra i tifosi che ne ricordano le imprese maldestre. Campioni farlocchi che hanno fatto la fortuna degli amanti delle statistiche e degli appassionati del genere ma di  certo non dei presidenti, degli allenatori e dei tifosi stessi. Rivaldo, Sforza, Tomic, Beto, Rambert, Andrade, Anastopoulos e Gresko: come (non) fare affari e gettare i soldi nel bidone.

Immaginate di avere in mano un mazzo di figurine sbiadite dal tempo, spiegazzate, integre. Vive. Un gioco nostalgico di facce e casacche. Niente campioni però. Qui non c’è posto per il viso austero di Platini, per i riccioli neri di Maradona, per le treccine di Gullit, per la chioma fluente di Batistuta e per le teste pelate di Zidane e Ronaldo. Qui si mercanteggia solo con le “schiappe”. Un gioco perverso fatto di fallimenti e delusioni  sportive. Prendetene una a caso. Ecco che appare lo sguardo intriso di saudade del centrocampista carioca Luis Silvio Danuello. Arrivato in Italia nel 1980 dal Ponte Preta e accasatosi  alla corte della neopromossa Pistoiese, disputa appena 6 partite senza mettere a segno alcuna rete. La conseguenza? A fine anno i dirigenti toscani lo rispediscono in Brasile. L’arrivo del brasileiro  genera notevoli entusiasmi nella piazza arancione della Pistoiese. Ma le prime amichevoli e apparizioni in Coppa Italia mettono a nudo le sue carenze tecniche. Le ragioni di questo misero fallimento vanno ricercate in un grottesco equivoco: la società toscana cercava una punta mentre Luis Silvio era una “ponta”, in portoghese ala. Rovinato da una vocale. Un’icona smarrita nella nostra Serie A, sulla quale aleggiano diverse leggende sul viale del tramonto: venditore di gelati allo stadio di Pistoia, attore porno, barista.
Da Ponte Preta a San Paolo il passo è breve. Capelli lunghi e barba incolta.  Dalla vostra fisarmonica di figurine fa capolino l’immagine di Socrates. Dal Corinthians alla Fiorentina. Stagione 1984-1985, 25 presenze e 6 reti per quello che veniva definito “Il tacco di Dio”, per via dell’uso smodato di preziosismi. “Il Dottore”, così soprannominato per  la  Laurea in Medicina, mal sopportava sacrifici,  allenamenti ed  imposizioni. In campo passeggiava  letteral
mente. Morale della favola? Nella sua infelice parentesi viola, ai duri allenamenti ed al sudore preferì sigarette, birra e nottate tirate fino all’alba a discutere di politica. Oggi vive in Brasile e si specializza in medicina sportiva e giornalismo. E’ anche opinionista per la rivista “Carta Capital” di S.Paolo.
Carioca non è sempre sinonimo di garanzia. Specie quando i presunti campioni si rivelano eccellenti soltanto tra le lenzuola. E’ il caso di Renato Portaluppi, sbarcato dal Flamengo sulle rive del Tevere, sponda giallorossa (1988-1989), assieme al connazionale Andrade, ribattezzato  dai   tifosi romanisti “Er moviola” per via  dell’andatura compassata. “E’ secondo solo a Gullit”,  il pensiero di Niels Liedholm. Previsione inesatta quella del “Barone” perché Portaluppi disputa 23 partite con la maglia della Roma senza lasciare il segno. Fisico scultoreo, zazzera e temperamento caliente, il centrocampista si immerge totalmente nella dolce vita romana, tra innumerevoli amanti e notti insonni.
I tifosi lo contestano. Lui litiga con Massaro e critica il calcio italiano. Restiamo in Sud America ma ci spostiamo in Uruguay.  Nell’estate del 1982, il Pisa di Romeo Anconetani acquista dal Danubio Montevideo il centrocampista Jorge Washington Caraballo. La giovane promessa giunge in Italia tra fanfare e tromboni, proclamandosi “Il nuovo Schiaffino”. Finisce ben presto nel dimenticatoio della panchina. L’emblema della sua disavventura neroazzurra è racchiusa in una partita di Coppa Italia,  Pisa – Bologna. Nei minuti finali l’arbitro concede un calcio di rigore in favore dei toscani. Sul dischetto si presenta Caraballo che spedisce in curva. Apriti cielo. Una leggenda vuole che oggi, per tirare avanti, faccia il tassista tra Caracas e Montevideo.
Una meteora, un fuoco fatuo che non è riuscito ad incendiare la passione dei tifosi grigiorossi.  Sul vostro tavolo ecco apparire l’effigie di Gustavo Alfredo Neffa, un passato con la maglia della Cremonese, condito da tre stagioni (1989-1992), tra massima serie e cadetteria. Tra poche luci e tante ombre. Il ragazzo, scuola Olimpia Asuncion, non riuscì mai ad imporsi, con prestazioni deludenti e reti al lumicino (3). A fine carriera finì per svernare in Sud America, per poi improvvisarsi personal trainer della moglie, la tennista Rossana De Los Rios.
Se è vero che l’Inter con i suoi Rambert, Sforza, Gresko, Bergkamp, Jonk, Sorondo, Brechet, Vampeta, è la regina indiscussa dei mercati malriusciti e delle promesse non mantenute, anche l’altra faccia di Milano ha non pochi scheletri nell’armadio.  Beloufa, Ba, Dhorasoo, Bogarde, Reiziger, J.Mari e Kluivert. Una batteria di pentole rossonere senza coperchio. Un inferno di diavoli senza corna, capo né coda, capitanati dalla punta spuntata Luther Blissett. Voluto dall’allora presidente milanista Giuseppe Farina, l’attaccante anglo-giamaicano si dimostrò tutt’altro che un infallibile cecchino.
Prelevato dal Watford (1983-1984), si mormora che gli emissari rossoneri furono tratti in inganno, confondendolo con l’altra punta di colore, quel John Barnes poi protagonista nel Liverpool. Per lui presto rientro in Inghilterra e ritorno al Watford. Dopo una breve permanenza nel club di proprietà di Elton John, si lancia in una nuova avventura, fondando la scuderia automobilistica “Team 48 Motorsport”.
Rimanendo in tema di gol sbagliati, come non citare il bidone per antonomasia: “Il Cobra” Darko Pancev, giunto a Milano, casa Inter, sprovvisto di veleno. La faccia stralunata, i gol mangiati da due passi, le “ciabattate” in curva, lo hanno  consacrato nel gotha dei “brocchi”,  a dispetto della Scarpa d’Oro vinta con la Stella Rossa di Belgrado.
Queste righe costituiscono una coperta troppo corta per tentare di coprire il nutrito campionario  di grandi cantonate e pseudo-fenomeni.
Ci restituiscono però, un punto di vista smarrito negli anni, quando con occhi da adolescenti guardavano a questo  magico mondo e i personaggi citati diventavano i compagni di pomeriggi assolati o rigidi inverni.
Storie di fratelli che non si somigliano affatto.
Hugo Maradona (Ascoli) brutta copia del Pibe de Oro,  Sergio Zarate (Ancona), “El Raton” meno talentuoso del fratello Mauro. Mário Jardel, i chili di troppo e la tartaruga rovesciata. François Oman Biyik, fotocopia sbiadita del campione ammirato ai Mondiali del 1990.
Se è vero che il romanzo del calcio lo scrivono i grandi interpreti ed i gregari, gli artisti illuminati e gli umili faticatori, le prime donne ed i rincalzi, c’è spazio anche per coloro che hanno fallito miseramente.
In fondo il calcio è metafora della vita. Le fortune si alternano alle sventure, gli insuccessi fanno il paio con le vittorie, i fallimenti quotidiani possono tradursi in successi.
A tutti capita la stagione da “bidoni”. Per questo, la loro storia è anche un pò la nostra.

 

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