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23 gennaio 1933

Post n°38 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da acidomuriatico69

L’IRI, acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale, fu un ente pubblico italiano, istituito in epoca fascista nel 1933 per iniziativa dell’allora presidente del Consiglio Benito Mussolini al fine di evitare il fallimento delle principali banche italiane (Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma) e con esse il crollo dell’economia, già provata dalla crisi economica mondiale iniziata nel 1929.

Le originiNasce come un ente temporaneo con lo scopo prettamente di salvataggio delle banche e delle aziende a loro connesse. Il nuovo ente è formato da una "Sezione finanziamenti" e una "Sezione smobilizzi". Nel 1930 la crisi di liquidità del Credito Italiano porta alla fusione con la Banca nazionale di credito. Il Credito Italiano assume le attività e le passività a breve scadenza della Banca nazionale del credito (BNC), cedendole gran parte degli investimenti a lunga scadenza. In un secondo momento la BNC cede le sue partecipazioni in società industriali alla Società Finanziaria Italiana (Sfi), mentre le partecipazioni immobiliari e le partecipazioni in aziende di pubblica utilità vengono trasferite alla Società elettrofinanziaria. Sfi e Società elettrofinanziaria vengono messe in liquidazione nel 1934 dopo essere passate sotto il controllo dell'IRI.

Nel 1931 l'intervento pubblico riguarda la Banca Commerciale Italiana, che di fronte alla crisi del 1929 aveva aumentato la propria esposizione verso il sistema industriale. Il crollo delle quotazioni richiede l'intervento statale che consiste nella cessione dalla Comit alla Sofindit (Società finanziaria industriale italiana) la totalità delle azioni possedute.

Nel pieno della crisi la Banca d'Italia si trova esposta verso l'Istituto di liquidazioni, un ente pubblico creato nel 1926 per sostenere finanziariamente le imprese in crisi, e verso le banche, per oltre 7 miliardi, ovvero oltre il 50% del circolante.

Dunque lo stato assorbe le partecipazioni delle banche in crisi, finanziandole affinché non falliscano. Le partecipazioni vengono poi trasferite all'IRI, la cui principale preoccupazione divenne rimborsare alla Banca d'Italia il capitale ricevuto.

In questo modo l'IRI, e quindi lo Stato, smobilizza le banche miste e diventa proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale e di fatto il maggiore imprenditore italiano, con aziende come Ansaldo, Ilva, Cantieri Riuniti dell'Adriatico, SIP, SME, Terni, Edison. Si trattava in effetti di aziende che già da molti anni erano vicine al settore pubblico, sostenute da politiche tariffarie favorevoli e da commesse belliche. Inoltre l'IRI possedeva le tre maggiori banche italiane.

Inizialmente era previsto che l'IRI fosse un ente provvisorio il cui scopo era limitato alla dismissione delle attività così acquisite; ciò in effetti avvenne con la Edison, che fu ceduta ai privati, ma nel 1937 il governo trasformò l'IRI in un ente pubblico permanente; in questo probabilmente influirono lo scopo di mettere in atto la politica autarchica lanciata dal governo e di tenere sotto controllo del governo le aziende navali ed aeronautiche, mentre era in corso la guerra d'Etiopia.

Per finanziare le sue aziende l'IRI emise negli anni Trenta dei prestiti obbligazionari garantiti dallo stato, risolvendo in questo modo il problema della scarsità di capitali privati. L'IRI si diede una struttura che raggruppava le sue partecipazioni per aree merceologiche: l'Istituto sottoscriveva il capitale di società finanziarie (le "caposettore") che a loro volta possedevano il capitale delle società operative; così nel 1936 nacque la Finmare, nel 1937 la Finsider e la STET, poi nel dopoguerra Finmeccanica, Fincantieri e Finelettrica.

E l'IRI effettivamente faceva grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'Italsider di Taranto e quella dell'AlfaSud di Pomigliano d'Arco; altri furono programmati senza essere mai essere realizzati, come il centro siderurgico di Gioia Tauro e un altro stabilimento Alfa Romeo in Irpinia. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della Motta e dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari dalla Montedison; questo portò ad un incremento progressivo di attività e dipendenti dell'Istituto.

Gruppo IRI – andamento numero dipendenti[3]

AnnoDipendenti
1938201.577
1950218.529
1960256.967
1970357.082
1980556.659
1985483.714
1995263.000

Nel 1982 il governo affidò la presidenza dell'IRI a Romano Prodi. La nomina di un economista alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi portò a:

  • la cessione di 29 aziende del gruppo, tra le quali la più grande fu l'Alfa Romeo, privatizzata nel 1986;
  • la diminuzione dei dipendenti, grazie alle cessioni ed a numerosi prepensionamenti, soprattutto nella siderurgia e nei cantieri navali;
  • la liquidazione di Finsider, Italsider ed Italstat;
  • lo scambio di alcune aziende tra STET e Finmeccanica;
  • la tentata vendita della SME al gruppo CIR di Carlo De Benedetti, che venne fortemente ostacolata dal governo di Bettino Craxi. Fu organizzata una cordata di imprese, comprendente anche Silvio Berlusconi che avanzarono un'offerta alternativa per bloccare la vendita. L'offerta non venne poi onorata per carenze finanziarie, ma intanto la vendita della SME sfumò. Prodi fu accusato di aver stabilito un prezzo troppo basso (vedi vicenda SME).

Il risultato fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò:

«  (Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti. 
( S.Bocconi, I ricordi di Cuccia. E quella sfiducia sugli italiani, Corriere della Sera, 12 novembre 2007)

È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente, e per la prima volta i governi cominciarono a parlare di "privatizzazioni".

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TRIBUTO AD ETTORE MUTI

Hanno ammazzato Ettore Muti
fascista tra i fascisti,
vendetta, sì vendetta
farem sui comunisti.

Hanno ammazzato Ettore Muti,
la pagheranno cara,
col sangue partigiano
gli laverem la bara!


Riposa in pace, Ettore Muti,
dormi tranquillo il sonno:
ti vendicheremo un giorno,
ti vendicheremo un giorno.

Hanno ammazzato Ettore Muti
fascista tra i fascisti,
vendetta, sì vendetta
farem sui comunisti.

Hanno ammazzato Ettore Muti,

la pagheranno cara,

col sangue partigiano
gli laverem la bara!


La nostra patria è Italia bella
La nostra fede è Mussolini
E noi vivremo, con un sol pensiero:
quello di abbatere i comunisti!

 
 

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