Creato da Kimayra il 02/05/2009

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E se guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare in te. (Nietzche)

 

 

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Le parole della Sindone

il volto della SindoneSul lino della Sindone, custodita a Torino, sono state identificate tracce di scrittura che, secondo Barbara Frale, studiosa di temi medioevali, appartengono ad un testo derivato indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani.
Bruno Barberis, direttore del Centro Internazionale di Sindologia di Torino, invita alla cautela, sostenendo che prima di ogni cosa bisogna accertare l'esistenza di queste scritte e poi capire esattamente a cosa si riferiscono.
Nessuno scritto menziona lo scriba che, all'atto della sepoltura del Cristo, vergò delle parole sul lenzuolo che avvolgeva il corpo del nazareno. Probabilmente - se l'ipotesi sarà suffragata ulteriormente da prove concrete - si trattava di un funzionario dell'Impero romano, un impiegato ebreo dell'allora camera mortuaria. Barbara Frale afferma di essere riuscita a leggere il certificato di sepoltura di Gesù il Nazareno e che quello che ha letto conferma quanto esposto nei vangeli. Il volume che ha scritto in proposito si intitola "La sindone di Gesù il Nazareno" (Ed. Il Mulino - 375 pagine - € 28).
La presenza di scritte sul lenzuolo sindonico è nota da oltre trent'anni. Si tratta di righe in caratteri latini, greci ed ebraici che circondano il volto impresso sul sudario. Macchie chiare che sono visibili solo dove si sovrappongono al colore rossastro che disegna l'immagine che turba e divide non solo chi ha fede. Il primo ad accorgersi dell'esistenza di lettere e scritte fu, nel 1978, il chimico Piero Ugolotti, esaminando alcuni negativi fotografici del telo. Non potendo decifrarli, interpellò il classicista Aldo Marastoni. Studiosi francesi ed italiani, poi, recuperarono altri frammenti di vocaboli mettendo insieme notizie che sembrarono interessanti.
Copertina libroInnanzitutto un "iber" che poteva essere un moncone di Tiberios, nome dell'imperatore che governava l'Impero romano quando Gesù fu condannato a Morte. Poi un vocabolo che, apparentemente, si legge "neazare" e che può essere collegato a "nazarenos" e un "innece(m)" che probabilmente alludeva alle circostanze di una morte. Ma il senso di tutto l'insieme non era ben chiaro. Gli studiosi si chiesero come potessero essere rimaste impresse sul lino quelle lettere. Forse il metallo contenuto nell'inchiostro di un foglio venuto a contatto con la Sindone. Ma che foglio era? Un'etichetta, la cedola di uno dei reliquiari che aveva contenuto il sacro telo quando era già un oggetto di culto? Nel 1988, comunque, la datazione al radiocarbonio stabilì che il telo poteva essere datato al massimo ad epoca tardomedioevale, il che annullò completamente l'interesse per le scritture che vi erano impresse.
Barbara Frale, però, non ha mai prestato fede a quella "comoda" datazione. Per la studiosa la Sindone non è altro che il Mandylion di Edessa, trafugato durante il sacco di Costantinopoli del 1204 e poi adorato clandestinamente dai Templari. Questo potrebbe retrodatare le scritte ai primi secoli dell'era cristiana. Barbara Frale sostiene, però, che non si tratta di scritte cristiane, innanzitutto perchè l'uso di chiamare Gesù "il Nazareno" era praticamente un'eresia, per i cristiani dei primi secoli, perchè troppo legato alla dimensione umana del Cristo. Da ciò la Frale deduce che chi tracciò quelle lettere operava in un ambiente pre-cristiano e laico.
Cavaliere TemplareIl confronto con sepolture coeve, lo studio delle procedure giudiziarie romane e dei regolamenti necrofori giudaici porta a pensare che il corpo di un crocefisso poteva essere riconsegnato ai parenti solo dopo un anno di "purificazione" nella fossa comune. Per idenficare i poveri resti deposti nel caos del sepolcreto di Gerusalemme, i necrofori utilizzavano cartigli incollati con colla di farina all'esterno del sudario avvolto attorno al cadavere, a incorniciarne il volto nascosto dalla tela.
Un funzionario al servizio dell'amministrazione romana avrebbe, pertanto, redatto, con mano incerta e calligrafia antica, una sorta di "bolla di accompagnamento necroforo", come i cartelli che - ancora oggi - vengono apposti all'alluce dei corpi negli obitori. Un certificato di sepoltura informale che poteva essere steso su papiro di seconda qualità, rimediato da altri documenti, non esente da errori ortografici.
Barbara Frale non si limita a formulare quest'ipotesi, ma ne offre altre, corregge quelle vecchie, ricorre ai vocabolari greco, latino ed ebraico per proporre una sua lettura. Il testo, secondo la studiosa, si riferisce ad un certo (I)esou(s) Nnazarennos che nell'anno 16 dell'impero di (T)iber(iou), una volta "deposto sul far della sera", (o)psè kia(tho), dopo essere stato condannato "a morte", in nece(m), da un giudice romano "perchè trovato", mw ms', secondo la denuncia di un'autorità che parlava ebraico, colpevole di qualcosa, viene avviato a sepoltura con l'obbligo di essere consegnato ai parenti solo dopo un anno esatto, ossia nel mese di ada(r). C'è, infine, la formula "io eseguo", pez(o), del burocrate che ha stilato il documento.
L'anno 16 di Tiberio è l'anno 30 d.C., il periodo è la primavera, l'ora è la  nona, quella del Golgota, le parole superstiti potrebbero essere quelle della copia del verbale del processo (un testo greco, lungo ma illegibile, appare sotto il mento dell'uomo della Sindone) che corrisponde con le espressioni che nei Vangeli vengono attribuite al Senato di Caifa.
Ora si aprono nuovi orizzonti da confutare e da esplorare, ovviamente.

 
 
 
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