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Cineforum 2014/2015 | 24 febbraio 2015
Post n°222 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da cineforumborgo
C’ERA UNA VOLTA A NEW YORK
Titolo originale: The Immigrant Arredamento: David Schlesinger
C'è un grande regista americano da liberare dalla nicchia e da mettere in cornice. Si chiama James Gray. Ha alla spalle quattro film: “Little Odessa”, “'The Yard”, “I padroni della notte” e “Two Lovers”. Il quinto, “C'era una volta a New York” (......). Non è un caso che la denominazione originale, “The Immigrant”, echeggi l'omonimo capolavoro di Chaplin datato 1917: “C'era una volta a New York” è impastato e modellato di quel qualcosa che folgorava le pellicole mute. Già, il melodramma, che è poi, con la famiglia come tema e pendolo ispirativo, il fondamento del cinema di Gray: mélo, contaminato in passato dal thriller o dalla bizzarria di una commedia da alienazione comportamentale, che può, in questa dimensione totalizzante, esplodere e implodere, di emozioni, di dolore, di acuta sofferenza e dissipazione morale dove l'individuo e le regole della comunità non possono non entrare in conflitto. Attraverso una ricostruzione d'epoca esaltante, la macchina da presa arpeggia sui personaggi tuffandoli in un ingranaggio di depravazione, turpitudine, corruzione e sorprendenti scatti di generosità e non immacolato romanticismo. L'occhio di Gray commuove tra pietà, commiserazione e specchio di una normalità abietta dove le 'tortorelle' di Bruno sono in vetrina per i clienti sotto un tunnel di Central Park dopo la cacciata dall'Eden puzzolente del teatro bordello. E per la prima volta Gray sceglie un'eroina come metronomo della storia, come modello di chi lotta per sconfiggere un destino miserando: per Ewa l'interpretazione di Marion Cotillard è uno scandaglio recitativo di valenza indimenticabile con un volto-schermo sul quale scorre la linfa, l'essenza e l'umana cognizione del tradimento, della caduta e del riscatto. Joaquin Phoenix, l'attore feticcio di Gray, è un Bruno bipolare, aggressivo, disarmante, imprevedibile, innamorato, disposto al sacrificio grazie ad un talento che carica l'alter ego di un'energia ad orologeria, alla quale risponde il mago di un Jeremy Renner folletto intenso e dalla duplice marcia tra il seducente e l'ambiguo. La messa in scena di Gray, come nella sequenza dell'epilogo che cita ancora i finali del vagabondo chapliniano ma non con l'ausilio della tendina a cerchio che cattura l'immagine sino a farla sfumare bensì sdoppiando l'inquadratura e la sorte, possiede una maestria così rara nell'Hollywood del Terzo Millennio. “C'era una volta a New York” affascina e turba come l'Ellis Island che i migranti scambiavano per la porta del paradiso per entrare, invece, nei triboli di un inferno da poveracci.
Molto intelligente, forse troppo, James Gray nei quattro lungometraggi passati ci ha abituato a film che di fatto non erano che il loro scheletro, uno scheletro segnatamente letterario. Di carne intorno non se n'è mai vista, nemmeno nel caso di “Two lovers” che pure tentava di rimpolparsi in qualche maniera.
JAMES GRAY
Martedì 3 marzo 2015: NEBRASKA di Alexander Payne, con Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach
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