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Cineforum 2014/2015 | 3 marzo 2015

Post n°223 pubblicato il 02 Marzo 2015 da cineforumborgo
 

NEBRASKA

Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Fotografia: Phedon Papamichael
Musiche: Mark Orton
Montaggio: Kevin Tent
Scenografia: J. Dennis Washington
Arredamento: Fontaine Beauchamp Hebb
Costumi: Wendy Chuck
Interpreti: Bruce Dern (Woody Grant), Will Forte (David Grant), June Squibb (Kate Grant), Bob Odenkirk (Ross Grant), Stacy Keach (Ed Pegram), Mary Louise Wilson (zia Martha), Rance Howard (zio Ray), Tim Driscoll (Bart), Devin Ratray (Cole), Angela McEwan (Peg Nagy), Glendora Stitt (zia Betty), Elizabeth Moore (zia Flo), Kevin Kunkel (cugino Randy), Dennis McCoig (zio Verne), Ronald Vosta (zio Albert), Missy Doty (Nöel), John Reynolds (Bernie Bowen), Neal Freudenburg (George Westendorf), Eula Freudenburg (Jean Westendorf), Ray Stevens (II) (Dale Slaasted), Lois Nemec (Kathy Slaasted), Scott Goodman (Mark), Colleen O'Doherty (Janice), Franklin Dennis Jones (zio Cecil)
Produzione: Albert Berger, Ron Yerxa per Paramount Vantage, Filmnation Entertainment, Blue Lake Media Fund, Echo Lake Entertainment, Bona Fide Production
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 121’
Origine: U.S.A., 2013
Premio per la miglior interpretazione maschile a Bruce Dern al 66. Festival di Cannes (2013)

Già sul piano visivo “Nebraska” si caratterizza come un film retrospettivo, che guarda indietro, al passato del cinema e a quello dei personaggi. Tutto farebbe pensare ad un’elegia, ad un omaggio all’America che fu, ma “Nebraska” non è “L’ultimo spettacolo”, cui pure è stato frettolosamente paragonato. Parte anzi da una prospettiva opposta: il passato non è migliore del presente, ne costituisce semplicemente, se guardato con gli occhi degli anziani, una versione più vitale e spudorata.
Su questi ultimi il cinema recente punta parecchio, almeno da quando ha realizzato che gli ultrasessantenni sono rimasti pressoché gli unici spettatori al mondo a non saper scaricare un film per vederselo comodamente sul divano di casa. Per fortuna “Nebraska” canta fuori dal coro, perché qui i vecchietti non sono arzilli e simpatici (Dio ci scampi e liberi da “Irina Palm” e “Philomena”), ma appesantiti e inaciditi dagli anni. Quando si voltano indietro, all’orizzonte non vedono nulla di buono: la gioventù non è stata migliore della vecchiaia.
Una volta che il protagonista approda nella cittadina dove ha trascorso buona parte della sua esistenza, scopriamo come in passato della sua buona fede si siano approfittati tutti, esattamente come avviene ora che è invecchiato. Infischiandosene dei toni vellutati propri del cinema della nostalgia, Payne costruisce un film memoriale caustico e feroce, solcato da una retrospettività piena di sgradevolezza e rancore. I ricordi sollevano il velo su un passato meschino, fatto di piccoli dispetti e soprusi inutili, che il presente peraltro non ha emendato né sopito. Un repertorio di negatività assortite che - nelle mani di uno sceneggiatore di talento come Payne - genera una comicità surreale, sempre sull’orlo della crudeltà.
E’ per questo che “Nebraska” a tratti sembra il doppio comico e stralunato di “Una storia vera”, con cui ha diversi punti in comune, in primo luogo un protagonista anziano e un viaggio nel midwest che sa di rimpianto e occasioni perdute. Ma laddove in Lynch il road movie contemplava un atto d’amore per il paesaggio americano, qui il tragitto si inceppa quasi subito, per fare spazio alla rappresentazione di una provincia gretta, meschina e addormentata, fatta di tinelli e tanta, troppa televisione.
Col sorriso sulle labbra, venando d’ironia la sua furia iconoclasta, Payne fa a pezzi due cardini della mitologia americana: la small town come culla dei valori comunitari e la strada come luogo di rivelazione/riscoperta del paesaggio. Allo stesso principio obbedisce il finale, struggente e memorabile, che rivisita in chiave comica la figura - fondamentale nel road-movie - dell’uomo alla guida solitaria della propria automobile. Riuscendo miracolosamente a far scaturire dalla situazione un’altra forma di lirismo, legata alle condizioni particolari del suo ‘eroe’. Un eroismo residuale, un residuo di eroismo: l’unico possibile in un film nel quale sono stati precedentemente azzerati gli orizzonti della comunità e l’utopia di un passato migliore del presente. 
Leonardo Gandini, Cineforum

Nel nome del padre. Un film che sembra fare a pugni con una società moderna dove i genitori, anziani e malati, rappresentano, per i figli, più un peso che una ricchezza. A rendere, però, strepitoso “Nebraska” è l'interpretazione di Bruce Dern, meritatamente premiato come miglior attore protagonista all'ultimo Festival di Cannes, sorta di rivincita verso chi lo ha sempre etichettato come un bravo caratterista e nulla più. Nella pellicola, sapientemente diretta da Alexander Payne, è Woody, un anziano scorbutico e testardo che scappa continuamente da casa per raggiungere, a piedi, con la sua camminata dinoccolata, il Nebraska, allo scopo di ritirare quella che lui considera una vincita milionaria. A nulla servono gli ammonimenti della famiglia, in particolare del figlio David (Will Forte), sul fatto che il volantino ricevuto, in realtà, sia solo un escamotage pubblicitario per sottoscrivere abbonamenti a riviste. (...) saranno i sentimenti ad emergere in maniera devastante, sullo sfondo di una provincia americana ormai messa inginocchio dalla crisi monetaria, restituitaci con un suggestivo bianco e nero, quasi a non voler disturbare lo spettatore da quello che è il centro di gravità permanente del film. Un rapporto padre-figlio che prima si frantuma e poi si rinsalda, minacciato dagli avvoltoi (famigliari e amici) che volteggiano sulla coppia nella speranza di ghermire un brandello di questo Eldorado inesistente. Le signore faranno fatica a trattenere le lacrime davanti ai gesti amorevoli di questo figlio verso un padre che non è sempre stato un modello esemplare (beve). Eppure, la pietas si fa strada tra malinconia e ineluttabilità. Un grande film baciato da interpreti magistrali. Il cinema allo stato puro, come, purtroppo, si vede sempre più di rado.
Maurizio Acerbi, Il Giornale

ALEXANDER PAYNE
Filmografia  
La storia di Ruth donna americana (1996), Election (1999), A proposito di Schmidt (2002), Sideways - In viaggio con Jack (2004), Paris, je t'aime (1 ep.) (2006), Paradiso amaro (2011), Nebraska (2013), Downsizing (2015)

Martedì 10 marzo 2015:          
DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Vallée, con Matthew McConaughey, Jennifer Garner, Jared Leto, Denis O'Hare, Steve Zahn

 

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Commenti al Post:
PaceyIV
PaceyIV il 02/03/15 alle 19:03 via WEB
Ti suggerisco di aggiungere il link al trailer dei film presenti su youtube o incorporare direttamente il video nel post. https://www.youtube.com/watch?v=Wo4CRHJqRPw
 
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Data di creazione: 29/09/2007
 

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