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Cineforum 2016/2017 | 11 aprile 2017

FIORE

Regia: Claudio Giovannesi
Soggetto: Claudio Giovannesi, Filippo Gravino
Sceneggiatura: Claudio Giovannesi, Filippo Gravino, Antonella Lattanzi
Fotografia: Daniele Ciprì
Musiche: Claudio Giovannesi, Andrea Moscianese
Montaggio: Giuseppe Trepiccione
Scenografia: Daniele Frabetti
Costumi: Olivia Bellini
Suono: Angelo Bonanni (presa diretta)
Interpreti: Daphne Scoccia (Daphne), Josciua Algeri (Josh), Laura Vasiliu (Stefania), Aniello Arena (padre di Gessica), Gessica Giulianelli (Gessica Di Nardo), Klea Marku (Irene Mancini), Francesca Riso (Brenda Russo), Valerio Mastandrea (Ascanio Bonori), Tatiana Lepore
Produzione: Rita Rognoni, Beppe Caschetto per Pupkin Production/IBC Movie, con Rai Cinema
Distribuzione: BIM
Durata: 110'
Origine: Italia, 2016 

Carcere minorile. Daphne, detenuta per rapina, si innamora di Josh, anche lui giovane rapinatore. In carcere i maschi e le femmine non si possono incontrare e l'amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh vive solo di sguardi da una cella all'altra, brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere non è più solo privazione della libertà ma diventa anche mancanza d'amore. Racconto del desiderio d'amore di una ragazza adolescente e della forza di un sentimento che infrange ogni legge.
Probabilmente firmando la regia di due tra i più tosti episodi di “Gomorra 2. La serie”, Giovannesi ha incrementato il credito riscosso dal recente passaggio di “Fiore” alla Quinzaine del festival di Cannes. In questo film scabro ma tutt’altro che naif, magari un minimo accomodato sulla scia degli hit giovanil-ribellistici d’ogni nazione ed epoca, però sospinto da un’empatia con i personaggi davvero spasmodica, mette in scena l’amore duramente contrastato tra detenuti in un carcere minorile: i rapinatori adolescenti Daphne e Josh, separati dal regolamento, sono costretti a proteggere il proprio rapporto sempre più intenso attraverso il fragile reticolo sospeso tra sguardi fuggitivi, battute scambiate al volo dietro le sbarre e avventurose missive clandestine.
Come in ogni prison-movie che si rispetti, la metafora risulta semplice eppure strenuamente coerente: qualunque sia la natura del crimine commesso, qualunque sia l’identità del segregato, l’ossessione della libertà è il sentimento più forte, oseremmo dire più “spettacolare” comunicato al mondo esterno. Tenendo a bada gli ambigui impulsi pietistici, il regista romano definito con qualche approssimazione pasoliniano lavora egregiamente con la macchina da presa, s’inventa un cinema tattile, decritta i sentimenti a forza d’inquadrature aderenti come tatuaggi, lascia intravedere l’anima anziché la scheda psicosociologica dei suoi ragazzi. Nel cast non mancano alcuni detenuti dell’Istituto penale di Casal di Marmo, aspetto che aiuta il coté naturalistico dell’operazione, ma dal modo in cui Giovannesi pedina la non professionista ed ex cameriera ventunenne Daphne Scoccia non trasuda l’odore asettico del laboratorio educativo, bensì la condivisione totale, dolorosa, pressoché fisica degli impulsi e degli istinti. Aggiungendo che Mastandrea, nella parte disorientata e tragica del padre Ascanio è straordinariamente bravo come sempre, si capisce che la qualità del cast rappresenta il valore più alto di questo ulteriore segnale dei prodromi di una grande carriera. Infine, com’era del resto indispensabile, Fiore è basato su una perlustrazione accuratissima degli spazi e della loro migliore collocazione per la resa del racconto nelle singole inquadratura e le relative sequenze.
Valerio Caprara, Il Mattino

Fiore”, il nuovo film di Claudio Giovannesi, è sopra ogni cosa una dichiarazione d’amore davanti alla cui trasparente sincerità lo spettatore non sa (non può e non vuole) resistere. L’amore del regista per la sua protagonista, Daphne, ragazzina rinchiusa in un carcere minorile per rapina, e contemporaneamente l’amore (che esonda da ogni inquadratura) dello stesso Giovannesi per la straordinaria attrice che la interpreta, Daphne Scoccia. Ed è una dichiarazione d’amore che dura il tempo del film, dalla prima scena all’ultima: un abbraccio prolungato, una carezza di quelle che a Daphne non sono concesse da sveglia e che sogna di ricevere di notte.
Fin dalla prima sequenza, che mostra la ragazza puntare un coltello alla gola di una sua coetanea per rubarle il cellulare, è già chiaro come Giovannesi pedinerà la sua protagonista affidandosi al suo sguardo (e affidando a lei il proprio). Perché l’autore sa che quello della giovanissima attrice - carisma di un’Asia Argento a inizio carriera e una bellezza dalle parti di Irène Jacob e Kristen Stewart - è uno sguardo in grado di sostenere l’ampio ventaglio di emozioni che lui intende veicolare: rabbia, orgoglio, amore, disillusione, speranza. Che poi sono tutti i sentimenti attraverso i quali passa Daphne nel corso del film: la rabbia di chi è relegata ai margini della società, senza una madre (di cui non sapremo mai nulla) e con un padre appena uscito di galera (un Mastandrea a cui bastano venti minuti in scena per riconfermarsi come il migliore attore italiano della sua generazione) e che, in una scena curiosamente speculare a quella tra Marco Messeri e Micaela Ramazzotti ne “La pazza gioia” di Virzì, rifiuta la responsabilità di prenderla con sé in affidamento; l’orgoglio di chi lotta per preservare la propria dignità nonostante tutto e tutti; l’amore per un detenuto suo coetaneo, Josh, che sembra schiuderle un futuro su cui non pensava di poter contare; la disillusione che segue la notizia del trasferimento di Josh in un altro istituto di pena; la speranza, infine, di una (impossibile) fuga finale. Una tempesta emotiva che il regista trasferisce sul volto della sua attrice in una scena bellissima e arrischiata (e che Giovannesi ha la bravura di troncare bruscamente), durante la quale Daphne ascolta in cuffia “Sally” di Vasco Rossi sul lettore mp3 regalatole dal padre. Assodata questa rara simbiosi tra regista e protagonista/interprete, non stupisce che il film sia perfettamente a fuoco quando lo sguardo di Giovannesi può coincidere e sovrapporsi a quello di Daphne (come avviene nei primi due terzi del film, quelli ambientati nello spazio concentrazionario del carcere), mentre sembra sfocarsi e perdere lucidità quando si allarga, aprendosi all’esterno, al mondo ‘fuori’. Non è un caso, allora, che nell’ultima parte le sequenze si facciano improvvisamente più veloci e concitate, che gli eventi si moltiplichino e si affastellino, come se si volesse ancora dire troppe cose nel poco tempo rimasto a disposizione per raccontarle (perché non concedersi un’altra mezz’ora?) o, meglio, per narrarle con l’esattezza (di toni e, appunto, di tempi) mostrata nell’ora e mezza precedente.
Resta comunque un gran film, “Fiore”, come resta il miracolo di un’attrice debuttante di impressionante presenza scenica, che lascia l’impressione di avere occhi troppi grandi e pieni di dolore per il suo corpo da bambina.
Andrea Pirruccio, Cineforum

CLAUDIO GIOVANNESI
Filmografia:
Welcome Bucarest (2007), La casa sulle nuvole (2009), Fratelli d'Italia (2009), Alì ha gli occhi azzurri (2012), Wolf (2014), Fiore (2016)

Fuori abbonamento:
Giovedì 27 aprile 2017:
LA MORTE CORRE SUL FIUME di Charles Laughton, con Robert Mitchum, Shelley Winters, Peter Graves, Lillian Gish, Evelyn Varden

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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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