Un classico «triangolo» borghese: Giulia tradisce il marito, Andrea Fabbri, con l'avvocato Antonio Serra; e quando Andrea le rivela che sa tutto, si uccide con un colpo di rivoltella.
Non contiene molto più che questo, «La morsa». Databile intorno al 1892, è, se non la prima, una delle prime prove drammaturgiche di Pirandello. Eppure, si rivela di un'importanza straordinaria: poiché, detto in breve, spinge molto oltre il procedimento escogitato da Ibsen per fronteggiare la crisi del dramma moderno.
Se Ibsen metteva in scena un presente che si riduceva a un processo al passato, Pirandello rinuncia anche a quel processo. Il sottotitolo de «La morsa» recita «Epilogo in un atto», e l'epilogo, ovviamente, implicherebbe un commento a quanto è accaduto prima. Ma qui non si commenta e non si spiega niente: i dialoghi son fatti di battute brevissime, spesso lasciate in sospeso, e che girano intorno ai fatti salienti perdendosi in mille futili particolari.
Lo stesso colpo di rivoltella che uccide Giulia non esplode a vista, «si ode dall'interno». Penso a ciò che appunto dell'epilogo pirandelliano disse Jean-Michel Gardair: «nell'impossibilità di trasformare il reale, lo nega». E non a caso, sfiorano addirittura il vaudeville le battute conclusive, semplici e ineffettuali variazioni sul tema, che si scambiano i personaggi: Giulia ad Andrea: «Uccidimi!» - Andrea a Giulia: «Ucciditi» - Andrea ad Antonio: «Tu l'hai uccisa!».
Ma, rispetto a tutto questo, appare piuttosto contraddittorio l'allestimento de «La morsa» che si presenta al Nuovo per la regia di Arturo Cirillo. Vanno bene la sedia, il cappello, i libri, le fotografie imprigionati nelle teche come fossili di una vita ridotta a pura ipotesi. Meno bene va il fatto che i pur bravi interpreti - lo stesso Cirillo (Antonio), Sandro Lombardi (Andrea) e Sabrina Scuccimarra (ovviamente Giulia) - oscillino indecisi fra la sospensione e il risentimento.
Non sorprende, dunque, che il finale - con Antonio che vede a terra Giulia e corre da Andrea ad informarlo: «Tua moglie si è uccisa» - si volga a un naturalismo narrativo che costituisce l'opposto esatto di quelle teche e, ciò che più conta, dell'assunto pirandelliano.
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 2 febbraio 2012)
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