Sarebbe ora di andare un po' oltre gli apostrofi rosa. E non si tratta soltanto del fatto che il Cyrano di Rostand costituisce il trasferimento nella finzione teatrale del personaggio storico di Cyrano Savinien de Bergerac: un intellettuale isolato in perenne tensione con il potere, forse saccheggiato addirittura da Molière e nella cui vicenda pubblica il naso spropositato si pone in termini di emblema e metafora di una «diversità» insieme morale e (nel senso alto dell'aggettivo) politica.
È questione, in definitiva, di un problema assai più attuale e dilaniante. La vera utopia di Cyrano, infatti, è quella della letteratura: non a caso egli definisce «eroe da romanzo» la creatura «mostruosa» che nascerà dalla fusione della sua anima - anima di poeta, che vive unicamente nella «trasgressione» del verso - con il bel corpo di Cristiano, l'innamorato di Rossana al quale lui presta la capacità del discorso alato e fantastico.
In breve, siamo di fronte al dramma della condizione schizoide in cui si dibatte tanta parte dell'arte (e in specie, appunto, della letteratura) moderna: il dramma della scissione fra il segno, cioè il codice, e la realtà. Ciò che si traduce, quindi, nell'impossibilità, per l'intellettuale, di modificare quella realtà unicamente con lo strumento della comunicazione.
Contro i suoi vecchi nemici (la Menzogna, il Compromesso, il Pregiudizio, la Viltà, la Stupidità) Cyrano, insomma, non ha che l'arma delle parole; e non può, di conseguenza, che abbandonarsi a un gioco disperato: proprio «l'insensato gioco di scrivere», per dirla ancora una volta con Blanchot.
Ma Alessandro Preziosi - regista e protagonista dell'allestimento di «Cyrano de Bergerac» in scena al Bellini - dichiara che questa «non è la storia di un individuo esteticamente brutto: è lui che si sente così, una scusa per difendersi dal rifiuto». Eccolo servito, il povero Rostand. Salvo che non si capisce, poi, perché nella traduzione e nell'adattamento di Tommaso Mattei vengano mantenute, e lasciate assolutamente intatte, tutte le battute sul nasone del celebre spadaccino.
Certo - nel quadro di uno spettacolo che ha, in sostanza, il tono e i ritmi del più classico sceneggiato televisivo - Preziosi, in quanto interprete, dimostra impegno e una notevole versatilità espressiva. Ma intorno a lui c'è pressoché il deserto. Un deserto strano, in cui Cristiano è interpretato (con la pronuncia che potete immaginare) da un attore danese e il duello di sortita di Cyrano si svolge sulle note di «'O sole mio».
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 19 aprile 2012)
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