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Il teatro visto da Enrico Fiore

 

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Il teatro di ricerca nelle foto di Accetta

Post n°575 pubblicato il 27 Aprile 2012 da arieleO
 

«Napoli e il racconto della sua contemporaneità. Il teatro di ricerca a Napoli fra gli anni Settanta e gli anni Novanta nella fotografia di Cesare Accetta». Questo il sottotitolo della mostra, curata da Maria Savarese, che s'inaugura alle 18,30 di oggi al Pan: e riguarda la superficie dell'evento, ossia i contenuti dell'esposizione individuati sotto il profilo storico. Ma della mostra è assai più importante il titolo, «Dietro gli occhi»: perché riguarda, insieme, il progetto che la ispira e l'idea che il suo artefice ha dell'oggetto preso in esame, per l'appunto il teatro e, in particolare, il teatro di ricerca.
   Insomma, la mostra di Accetta potrebbe, e ben a ragione, assumere come epigrafe il prezioso aforisma che per «Il libro degli amici» dettò Hofmannsthal: «Bisogna nascondere la profondità. Dove? Alla superficie». E non a caso, d'altronde, lo stesso Cesare Accetta dice: «Il progetto della mostra sul mio archivio di foto di teatro si pone fuori da un'impostazione documentaristica al servizio della cronaca degli eventi, ma, piuttosto, quale traccia di un tempo e di un fermento, facendosi soggetto di ricerca e riflessione sulla fotografia, ripercorrendo emotivamente vent'anni del teatro d'autore, napoletano e oltre».
   Due parole, di questa dichiarazione, sono assolutamente significanti: «fermento» ed «emotivamente». La prima concerne la natura del teatro sperimentale, che conosce solo l'opzione del presente e, dunque, contemporaneamente vive e muore (ciò che, giusto, è proprio della ricerca) nel momento stesso in cui si fa; e la seconda concerne il rapporto che con quel tipo di teatro stabiliscono le fotografie di Accetta. Ancora non a caso, infatti, la mostra s'intitola come la performance fra teatro e fotografia che nel '92 l'autore realizzò alla Galleria Toledo insieme con Alessandra D'Elia e Andrea Renzi.
   Le immagini esposte al Pan riguardano, tanto per fare solo qualche nome, il Teatro Alfred Jarry di Mario e Maria Luisa Santella, il Libera Scena Ensemble di Gennaro Vitiello, lo Spazio Libero di Vittorio Lucariello, il Nuovo di Igina Di Napoli e Angelo Montella, il Teatro Studio di Caserta guidato da Toni Servillo, Falso Movimento di Mario Martone, Ruccello, Moscato, Remondi e Caporossi, i Magazzini Criminali di Federico Tiezzi e Sandro Lombardi, la Gaia Scienza di Barberio Corsetti e, naturalmente, Leo de Berardinis. E conclude il percorso espositivo una sezione monografica dedicata, altrettanto naturalmente, ad Antonio Neiwiller. Ma, come ho anticipato, conta soprattutto l'«aspetto» di queste foto.
   I corpi e i volti appaiono sempre sul punto d'essere inghiottiti dal buio circostante: vedi, per fare un solo esempio, quelli (per giunta sfocati) del Leo e della Perla Peragallo di «Avita muri'», lo spettacolo/non spettacolo che - in linea con quanto ho detto sopra - sprigionava una tremenda vitalità proprio mentre segnava la fine della fondamentale esperienza costituita dal Teatro di Marigliano. Ma il sommario elenco di nomi e gruppi proposto come sintesi della mostra conferma, altresì, ciò che Cesare Accetta aveva annunciato: lui, pur dedicando il massimo dell'attenzione a Napoli, non trascura di spingersi oltre. E in questa scelta, che bandisce ogni miope chiusura campanilistica, sta, poi, la sigla definitiva, ed alta, dell'operazione nel suo complesso.
   Lo sguardo di Accetta - negandosi alla nostalgia e alla sterile consolazione - diventa quello stesso dei grandi cantori della «finis Austriae» che contemplavano Vienna dall'altura dello Steinhof. E viene in mente che il teatro ritratto nelle foto di cui parliamo possiede l'identica caratteristica della poesia di Trakl: è una fiammella che guizza sul ciglio estremo dell'oscurità e, proprio per questo, brilla della sua luce più intensa.

                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 27 aprile 2012)

 
 
 
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