Credo che non vi possano essere dubbi. «Sabato, domenica e lunedì» - la commedia che l'altra sera ha chiuso su Raiuno con un successo di ascolti, quasi cinque milioni, e il 20 per cento di share il ciclo eduardiano affidato a Massimo Ranieri nella triplice veste di regista (con Franza Di Rosa), protagonista e traduttore-adattatore (con Gualtiero Peirce) dei testi - costituisce il logico seguito di «Napoli milionaria!»: basterebbe considerare la straordinaria somiglianza stabilita dalla battuta della cameriera Virginia tra suo fratello Michele e Gennaro Jovine.
Del resto, badiamo, in proposito, all'anno, il 1959, in cui la commedia in questione fu scritta: si profilavano all'orizzonte il famigerato «boom» economico e un benessere troppo in fretta (e spesso disinvoltamente o addirittura disonestamente) raggiunto. E in breve, il tema dei rapporti ormai avvelenati fra i coniugi Peppino e Rosa Priore sembra dichiarare che la «nottata» non è ancora passata. Di modo che il famoso ragù - autentico filo conduttore del plot - si pone come simbolo e, di più, come metafora: simbolo dell'epoca nella quale la famiglia era un valore e metafora di un'usanza rituale che diventa (proprio come la Forma di Pirandello, il maestro di Eduardo) lo «scudo» dietro cui porsi al riparo dalle tensioni e dall'imprevedibilità della vita.
Ma, rispetto a tutto questo, la versione di «Sabato, domenica e lunedì» proposta da Raiuno si riduceva al solito bozzetto naturalistico da sceneggiato, che significava soltanto se stesso e, per giunta, adottava gag che, se non cancellavano, almeno disturbavano le implicazioni profonde del testo: vedi, già in apertura, l'insistito montaggio alternato fra la ricetta del ragù sciorinata da Rosa e i tentativi compiuti da Peppino per aprire la porta d'ingresso con la chiave non sua. E circa la traduzione, ecco che, riferendosi alla cameriera, Cefercola sostituiva con un bel «gli darete tutte le disposizioni» l'eduardiano «darete a lei tutte le disposizioni».
Infine, gl'interpreti. Massimo Ranieri era un Peppino che pareva più stizzoso («'nguttuso», si direbbe senza traduzione) che amareggiato e Monica Guerritore una Rosa con una cadenza dialettale che pareva più siciliana che napoletana. E fra gli altri, nei limiti del bozzetto di cui sopra, i migliori risultavano Ernesto Lama (Attilio), Luigi Petrucci (Luigi Ianniello) e Tommaso Bianco (Antonio Piscopo).
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 3 maggio 2012)
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