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L'angelo sul selciato

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Mercoledì, 11 giugno 2014, alle ore 21, presento il libro di poesie in dialetto romano di Vinicio Pittalis. L'incontro avviene nello storico quartiere di San Lorenzo a Roma, alle "Officine Beat", in Via degli Equi, 29/29b. Sarò felice di incontrarvi, di ascoltare con voi il reading del poeta, di parlare e bere qualcosa insieme. Qui di seguito la breve prefazione che ho scritto per il libro. 

L’angelo sul selciato

Di cosa risuona la poesia di Vinicio Pittalis. Di un dolore carcerato sotto il buio umido dei tombini stradali. Di un sole mozzato, anzi, cannemozzato all’alba e perciò oscurato alla radice anche della sua possibilità di incendiare il cielo al tramonto. Di ferite mal suturate, pianti disidratati, abrasi, come matricole di armi trafugate, dai sacri portici del cuore urbano alle aiuole avvelenate di plastiche e siringhe in quelle viscere espulse della città che sono le sue periferie estreme. Risuona della lingua di questa sua città, Roma. Di quella lingua parlata, strisciata, tracciata, lasciata. Sui marciapiedi, come messaggi accartocciati e senza bottiglia nel flusso ondivago di pulviscolo acido che il vento e il tempo trascinano indifferenti, finché l’orecchio lacerato e la pelle scoperta del poeta non se ne intridano, non se ne infettino ritmicamente. Sui muri ruvidi, come slogan straziati, urli strozzati, ingenue strafottenti preghiere a quell’altare orizzontale, sui cui pisciano i cani, vomitano gli umani, strisciano i pneumatici, composto da un mosaico di cubetti di porfido, o – parla come magni – di sampietrini. Nelle fughe dei motoroni smarmittanti, piottanti, zig-zaganti, tra le prospettive cementificate di Tor Bella Monaca e gli incroci trasversali di San Lorenzo, dove svolte del destino si materializzano spesso con l’infrociare proprio addosso a un’auto della Questura.

“Dio nun vive a Tor Bella/… nun esiste a Scampia/ nun ha messo radici in nessuna periferia”: ecco che la Roma di Vinicio Pittalis si dilata, di colpo si fa corpo prima crocefisso e poi smembrato come un’ostia sacra e maledetta insieme, un “epitaffio di dolore” di un Cristo-Caput Mundi di ogni ingiustizia subita o in-tentata ribellione, entrambe  sfracellate su quell’altare fratturato di crepe e buche di bitume orizzontale.

 La figura del Cristo è ricorrente, invisibilmente dominante nei versi di Pittalis, ma essa è davvero un contraltare con ancestrali radici popolari, come lo stesso Pier Paolo Pasolini subito intuisce vivendo a Roma, a Pietralata, al Tiburtino, e mette in atto in tutta la sua opera. Il Cristo di Vinicio è scritto spesso senza maiuscola iniziale, infatti si trova scaraventato sul banco degli imputati e dei condannati a Piazzale Clodio, vive dietro le sbarre di Regina Coeli e Rebibbia, tra i coatti, i ribelli politici e di strada, i tossico-sognatori, i crepati nelle corsie d’ospedale o autostradali, nel vuoto silenziosamente urlante delle loro scarpe vuote abbandonate sull’asfalto o negli armadietti. “… ‘na catastrofe de macerie/ l’abisso ner cervello/ e sullo sfonno er cristo che annaspa sur golgota/ la vita morta in quer momento/ ergastolo/ manco un lamento”.

 Cristo è anche sotto la coltre di cemento, asfalto e gas della città. È nella nuda terra dissacrata dallo sfruttamento simultaneo di uomo e natura, che si fa cimitero immane di se stessa come pianeta.  “La verità/ è che er pianeta terra è stremato/ dar capitalismo massacrato/ e questo è tutto vero/ nun se po’ chiede lavoro e avecce ‘na croce al cimitero”.

 Se Cristo traspare, risale dai tombini, inverte il corso dei rigagnoli di pioggia sporca, riemerge dalle bocche di reflusso sotto i marciapiede, quella della figura di sua madre rimane sempre occulta e irrompe in un’unica poesia, ma con una forza inconscia che svela all’improvviso tutto il vero senso della poesia di Pittalis. Un grido d’amore disperato, coniugato in lingua quotidiana mozzata di sole, retorica e illusione, ma un grido di possibile seppure straziato riscatto, perché iscritto in quell’origine incancellabile, ora sepolta nel sottosuolo, nei bassifondi sociali, esistenziali della coscienza e della città. “Piove e nun ce sei/… e mo’ me sogno/ de te l’odore/ e tu che ridenno/ me dici amore”.

 Fine pena mai, ossia senza speranza sempre, eppure, come scrive Walter Benjamin nell’Angelus Novus: “Solo per chi non ha speranza ci è data la speranza”. Non per noi stessi, per la nostra singola persona, ma solo per gli altri ci è dato autenticamente sperare. Vinicio Pittalis è un angelo dei selciati romani che ci annuncia la disperazione cruda di ogni povero cristo nel tempo scandito dentro la mente e gli occhi del mondo presente, ma il suo rovescio è proprio la possibilità di luce che la sua voce sull’abisso ci offre.

                                                                                                             Riccardo Tavani

 2014.

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Commenti al Post:
eva.dalsasso
eva.dalsasso il 11/06/14 alle 09:27 via WEB
Mi piacerebbe moltissimo partecipare .....quei versi riportati...."piove e nun ce sei......" mi si sono piantati dritti nel cuore...bellissimi e puliti come solo le cose semplici intrise di dolore sono.Buona serata e saluti al....caprone ;-))
 
 
cineciclista
cineciclista il 11/06/14 alle 12:38 via WEB
Grazie, Eva, penso dispiaccia anche al poeta che tu non ci sia e... ma non ne sono del tutto certo... persino al... caprone. Posterņ la presentazione che farņ prima del reading di Vinicio Pittalis.
 
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