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L'imbruttitura, le psicopatiche bianche e il teatro educativo di Sa neex

Post n°253 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da djchi
 
Foto di djchi

No, tu non conosci il dolore. Il Senegal è così, ha il sapore amaro di un inganno. Eppure è nella menzogna che spesso vengono covati sogni. Mentiamo anche noi a noi stessi innumerevoli volte, lucidi psichiatri delle nostre coscienze e, al tempo stesso, pateticamente bugiardi. Scriviamo infinite storie in cui noi, protagonisti, dovremmo realizzare qualcosa o, forse, più semplicemente, realizzare noi stessi. Sprofondo spesso in vuoti immensi in cui tutto ha il sapore di un déjà vu. Capisco ogni giorno di più i migranti senegalesi e la loro rabbia, la loro frustrazione, la loro rassegnazione. Come schiaffi arrivano richieste, pressioni. E nulla si mouve anzi, come in una palude, tutto stagna. Come se ogni giorno, lento e stanco, affondasse le sue unghie nella carne e ne incidesse lunghi solchi. No. Non è questione di cattiveria o bontà e neppure di perfezione o imperfezione. E' solo questione di dolore. No, tu non lo conosci. No, non lo conosci davvero. Eppure è sempre una questione di pelle. Che sia il nero, senegalese, a rispondere di tutti gli attacchi che anni di stereotipi e dicerie hanno armato con pugnali sottili. Certo, nel caso di una coppia, se lei è bianca, fosse mai lei la cattiva. L'interesse è sempre unidirezionale e come giacche di sartoria calza a pennello l'idea di un negro cerca soldi-documenti-casa, irresponsabile e vigliacco, che scappa lontano, chissà dove, ad ingannare chissà quale altra preda. E loro? Le psicotiche dell'amore? Le fissate del meticciato a tutti i costi? Le madri teresa salva immigrato e cerca pene? D'altronde, once you got black. O no? Noi donne siamo sempre innocenti a priori, noi spesso infedeli, che cerchiamo un partner solo perché calzi l'idea che noi abbiamo di lui, solo perché lui sia contorno delle nostre fiabe. E allora in nome del nostro sogno accettiamo qualsiasi cosa, coscienti, fredde calcolatrici, sperando che qualcosa cambi, come mai avremmo fatto se fosse stato un bianco. Scuotete la testa. Avete poco da scuotere. I neuroni sbattono da un lato all'altro. Prigioniere della nostra solitudine fatta di mancanza di autostima e fiducia, colmiamo vuoti comprando presenze e compagnia. Davvero ci è così difficile capire perché la coppia non funziona? Ci siamo mai prese il tempo di conoscere, di capire, di vivere la persona che pretendiamo amare? O ci basta sapere che fa tanto chic avere oggi un fidanzato nero? Siamo anche noi alla moda come la Canalis e tutta la schiera di veline adepte del colorato? D'altronde il nero sta su tutto e poi snellisce. E ce n'è da snellire in molti dei casi. Morbide curve accarezzano l'idea che solo un nero o un immigrato possa valorizzarle anche solo il tempo di un inganno effimero. Prendiamo e lasciamo, tanto tutto va bene. No, non a loro. A noi. Quanti assi abbiamo collezionato tra i tanti ex fidanzati in serie. Sì, sempre quelli e sì, sempre le solite, patetiche storie. Pena o pene. Può essere pure un gioco di parole. Che valore può avere un amore che compra? Un amore che elemosina? Un amore che accetta, silente, tutto ciò che gli viene imposto? Ma che buone samaritane. La coppia scoppia. Certo, colpa sua, è nero. Si sa come sono, cercano sempre qualcosa. Cerchiamo sempre qualcosa. E quante buone samaritane salva immigrato si sono scopate tutti gli immigrati, più gli amici degli amici del primo. Quello poi, non si scorda mai. Ma sono loro, no? E non è una questione di sesso. Proprio per nulla, qui non esiste la coscienza femminista della gestione del corpo e della propria vagina. Qui è una rincorsa alla relazione a tutti i costi. Un esercito di psicopatiche impazzite si riversa in Africa, ingannando loro stesse e altri, sventolando un passaporto. Altre mogli? Altri figli? Amanti? A lui tutto si perdona. E se fosse stato un italiano? Lo avremmo sposato dopo due giorni? Ci saremmo convertite il pomeriggio stesso? Gli avremmo dato 2.000 euro perché il padre parta alla Mecca dopo un mese? Avremmo abbandonato figli e lavoro e famiglie per prenderci cura di lui, giovane amante? Avremmo accettato gli insulti e i soprusi? Avremmo cambiato nome, vestiti, cucina? Forse sì, forse no. E nella nostra corsa perversa al controllo di coppia, abbiamo mai pensato al dolore che noi causiamo? Ai nostri di insulti? Ai nostri di stereotipi? Alle nostre di paranoie? Alla gelosia estrema? Alla smania di dominio? Alla nostra ibruttitura? Alla nostra completa mancanza di stima? Alla nostra di imposizione di cultura, punti di vista, modi di pensare? Conosciamo noi, chi diciamo di amare? Perché, nelle nostre perfette auto analisi non chiudiamo e non ripartiamo da noi? Perché siamo così miseramente indegne? Pateticamente banali? No, non conoscete il dolore. Rido, interpretando il ruolo di una bianca, in televisione. Ne rivesto i panni e rivedo tutte. Poi all'improvviso scoppio a piangere lasciando tutti di stucco, attori, figuranti, registi, cameramen, truccatori. Bouba Ndour non sa che fare. Nella sua stanza mi porge un fazzoletto. Avrebbe dovuto essere divertente, no? Eppure il comico ha sfiorato il tragico. Nella mia mente flash di razzismi e idiozie e insopportabili donne, bianche. Sa neex, il famoso comico, che nella vita reale è il più razionale dei sociologi, si inginocchia davanti a me. E' alto perfino così, il viso smunto e gli occhi profondi. “Il faut surtout pas generaliser, Chiara” (Soprattutto non generalizzare, Chiara). Mi dice. E questa frase vorrei poterla far divenire la regola fondante della mia vita. Difficile. “Les sénégalais ne sont pas tous les memes. Il y a beaucoup d'ignorance et trop de jalousie mais il y a beaucoup d'autre choses aussi. Ce qu'il faut c'est éduquer les gens et nous, avec la comédie, on peut y arriver” (I senegalesi non sono tutti gli stessi. Troppa l'ignoranza e la gelosia. Ma tante anche le altri cose, positive. Bisogna piuttosto cercare di educare le persone e noi, attraverso il teatro, possiamo arrivarci). Mi prende per un braccio. Sono l'unica bianca. Donna. Ricominciamo la registrazione in un'atmosfera tesa o meglio, di attesa. Guardo Sa neex, di fronte a me, recitare a voce alta. Gli occhi spalancati, il dito puntato. Osservo solo il suo collo, teso, le vene in evidenza. All'improvviso un discorso, sentito, bellissimo contro il razzismo, in ogni sua forma. Perché, al di là della pelle, tutti noi, siamo razzisti, ognuno a modo nostro. No. Non conosci il dolore tu che ti professi profondamente anti razzista. Spero con tutto il cuore che uno psichiatra decida finalmente di sbarcare e di caricarsi di tutti questi casi clinici irrecuperabili che stanno infestando il paese. No. Non senegalesi. Italiani (italiane?).

 

 

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