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Messaggi del 08/09/2014

L'amore in cambio della libertà. Il complesso mondo degli antiquaire

Post n°336 pubblicato il 08 Settembre 2014 da djchi
 

 

“Non sono nato mendicante e non morirò mendicante”. Così riassumeva la sua esperienza migratoria un signore nigerino durante un’intervista fatta da una mia studentessa, anch’essa nigerina. Emigrato anni addietro con la speranza di un miglioramento economico, si era ben presto ritrovato a girovagare per le strade di una caotica Dakar, facendo la carità. “Si fanno soldi in Senegal” gli avevano raccontato alcuni migranti di ritorno in Niger, “i senegalesi sono capaci di sborsare tanto, sono credenti e per la religione musulmana, fare la carità è un imperativo per chi vuole entrare in Paradiso”. Purtroppo la realtà era ben lontana dall’immaginario sognato e così, per questo migrante, i giorni, i mesi, gli anni erano passati veloci senza nessun guadagno ma solo una vita miserrima e la lotta, aspra e dura, per la sopravvivenza in strada.

Se esistono molti punti in comune tra chi sceglie di migrare: la ricerca di un miglioramento economico, la difficoltà di integrazione in una società nuova (spesso ostica), l’impossibilità di ritorno per paura del giudizio sociale, le pressioni familiari, l’immagine spesso distorna dei migranti di ritorno, quali sono le reali differenze tra chi può viaggiare liberamente e chi no? Tra chi può scegliere dove, come e quando emigrare e chi si deve accontentare della destinazione scelta dalla sorte?

No, la risposta non è così banale e neppure così evidente.

Da qualche tempo mi sto interessando al complesso mondo degli antiquaire, nome con cui si designano ufficialmente i venditori d’arte, ufficiosamente i “cacciatori di turisti”. In passato, con una visione molto eurocentrica e superficiale, mi scagliavo con forza contro questi baldi giovani che intrappolavano donzelle, più o meno giovani, più o meno attraenti in relazioni fittizie per interesse. Con il tempo, l’esperienza su campo, le storie di vita raccolte, mi sono resa conto che la tematica è assai più ricca e complessa di quello che potrebbe apparire.

Il punto da cui vorrei partire è quello di non voler cercare per forza sempre un colpevole e/o una vittima. Nel vasto mondo delle relazioni umane esiste sempre uno scambio in cui entrambe le parti giocano il loro ruolo e ne hanno piena responsabilità.

Girovagando sui social network mi sono resa conto che moltissime sono le pagine aperte da italiani o italiane e dedicate al Senegal a conferma che questo paese rimane un interessante quesito culturale dove l’energia esplode assieme ad infinite contraddizioni. Serve tempo per capire e a volte non basta una vita intera. Si giudica con molta facilità e molta approssimazione perché l’errore primo è pensare che il proprio punto di vista sia l’unico possibile o, comunque, l’unico ragionevolmente valido.

Io sono partita da una domanda semplice, perché ci sono uomini e donne che decidono di dedicare la loro vita, il loro tempo, la loro energia in un investimento alquanto rischioso come trovare un occidentale con cui intessere una relazione?

I punti che sono venuti alla luce sono ovviamente: il miglioramento di una condizione economica spesso precaria, l’impossibilità di viaggiare, la convinzione (erronea e basata su stereotipi duri a morire) che un/una occidentale abbiano i mezzi necessari che porteranno di conseguenza ad un miglioramento delle condizioni di partenza, non solo del singolo, ma anche di tutta la sua famiglia.

Sussisterebbero questo tipo di situazioni un un mondo in cui le persone fossero libere di spostarsi?

 

 

 

Ci sono momenti che non vorremmo finissero mai. Ci sono sensazioni irripetibili, sguardi complici, conversazioni profonde che non hanno bisogno di parole. Ci sono incontri che ti cambiano la vita; confronti che ti aiutano a fermarti e a pensare; accuse fatte ad altri che ci ritornano come immagini riflesse; secondi in cui si decide per una vita. Non serve molto a riconoscere l'amore, per quello, forse, ne abbiamo così timore (Chiara Barison)

 

 

LA STORIA DI ABDOU

Mi chiamo Abdou, ho 34 anni e sono di Touba, la città santa del Senegal. Ho sempre fatto il commerciante, fin dall’adolescenza cercavo qualche soldo comprando e rivendendo. Praticamente faccio quello che la maggior parte dei senegalesi fanno. Il Senegal è un paese dove c’è chi vive di intermediazione. Per qualsiasi cosa ci saranno e si troveranno intermediari che faranno da tramite e che vivranno con la percentuale guadagnata su queste transazioni. Mi viende da sorridere perché spesso, queste transazioni sono veri e propri sistemi di frode in cui l’intermediario prende tutto e scappa.

Non ne vado molto fiero, di questo intendo. I senegalesi sono dei gran lavoratori ma oggi i valori si sono contaminati e quello che conta maggiormente sono i soldi. Si devono avere tanti soldi e nel più breve tempo possibile e questo porta le persone a precipitarsi e a trovare gli espedienti più rischiosi e spesso meno etici per accumulare rapidamente.

Ho sempre faticato molto e non sono mai riuscito a mettere via nulla. Se andava bene riuscivo a guadagnare un centinaio di euro alla settimana ma che ci vuoi fare oggi con questi soldi? Tutto costa troppo caro. Ho sempre pensato che partire all’estero sarebbe stata la soluzione migliore. Se devo vivere di stenti meglio tentare il tutto e per tutto. Il problema è che noi non possiamo partire e da qualche parte in fondo al cuore di ogni senegalese, è una ferita aperta e profonda ogni volta che vediamo un europeo sbarcare qui. Sembrerà banale ma perché esiste questa ingiusta differenza? Le persone credono che gli europei siano più ricchi e che quindi potranno vivere dignitosamente anche partendo come migranti. Falso. Ho visto tantissimi europei trovarsi in difficoltà estrema, vivere di stenti anche qui, per le strade della capitale.

Ad un certo punto mi sono detto che sarei partito e per farlo avrei dovuto cercare una compagna.

Mi sono spostato dunque verso Dakar e, più precisamente a Ngor dove è facile incontrare turisti in vacanza o occidentali di passaggio che studiano il mercato locale per, eventualmente, installarsi in Senegal.

Non è facile guadagnarsi la fiducia di una toubab, anzi, è difficile, soprattutto oggi, soprattutto da quando si sono svegliate e hanno capito l’interesse che c’è dietro a molte relazioni.

Il rischio di questo investimento “relazionale” è alto, specialmente in termini di tempi. Molte donne cedono facilmente ad un romanticismo spiccio ma, caute e diffidenti, necessitano di parecchi viaggi tra il loro paese di provenienza e il Senegal per trovare il coraggio di sposarsi e portare l’amato con loro.

Ho conosciuto Sara dopo un anno dal mio trasferimento da Touba, italiana, quarant'anni anni appena compiuti. Sara era come molte turiste toubab, affascinata dal nostro mondo, curiosa e spesso impacciata. Non era una brutta donna ma le delusioni, la sofferenza e la poca fiducia in se stessa l’avevano portata a disinteressarsi della sua persona, a divenire sciatta. Di quei chili in più se ne vergognava e li portava con una pesantezza tale da farla apparire ancora più grassa. Arrossiva ad ogni complimento e si aggrappava al mio affetto come un infante si aggrappa alla madre per paura di restare solo. Sapevo che era una preda perfetta. Lo so Chiara, so che molti si diranno perché questo calcolo freddo sui sentimenti di una persona. E’ difficile spiegarlo a chi è libero, a chi può viaggiare, a chi non conosce cosa vuol dire arrancare. Mentivo con una precisione impressionante. Sapevo cosa dire e quando dirla. In compenso lei pagava, sì, perché bisogna essere onesti, nell’immaginario collettivo europeo, noi africani siamo poveri a prescindere. Sara si sarebbe comportata così se al mio posto ci fosse stato un bianco? Io prendevo e progettavo un futuro diverso, lontano, per me e la mia famiglia. Dopo due viaggi e un intero anno passato a comunicare via internet, Sara è venuta e ci siamo sposati.

No, Chiara, non l’amavo come tu puoi intendere l’amore ma lei mi aveva liberato. Le ero riconoscente e grato e credo che anche questa sia una forma d’amore, non convenzionale forse, ma vera.

Arrivati in Italia mi sono serviti ancora mesi per capire, adattarmi, imparare ma sono riuscito a trovare lavoro e a mandare finalmente un pò più di soldi a casa.

La convivenza con Sara non era facile, le italiane sono davvero gelose e noi abbiamo un altro tipo di rapporto con la donna senegalese, più comprensiva e sentimentalmente indipendente. L’estate successiva sono tornato a casa ed è stato un turbine indescrivibile di emozioni. Io ero lo stesso ma le persone mi vedevano diverso. Io ero quello che era riuscito a partire, quello sposato con una bianca, quello che era riuscito a realizzare il sogno di molti. Io ero un “eletto” e gli eletti non vivono come re, ma come schiavi. Ero divenuto improvvisamente lo schiavo della mia famiglia (a cui dovevo sempre e costantemente); schiavo della mia nuova immagine (riuscire nel mio progetto migratorio e accumulare e dare, un imperativo); schiavo di una relazione (quella con Sara, a cui ero debitore a vita); schiavo di una cultura (quella senegalese che mi imponeva di non perdere le mie radici e di accettare una moglie senegalese che io non volevo).

Ho rischiato di perdermi, di diventare pazzo. Alla fine della fiera, quello che posso dirti, cara Chiara, è che la libertà di movimento ha un prezzo e che questo prezzo a volte costa una vita intera e no, non siete voi toubab a soffrire di più qui ma noi senegalesi che siamo riusciti ad uscire dal paese. Noi paghiamo la gelosia e la frustrazione di chi non ci è riuscito e che forse non ci riuscirà mai.

(Sospiro).

 

Nel mio ventre sono accaduti i conflitti più cruenti. Nel mio ventre è scoppiata, il tempo di un istante, la vita. Nel mio ventre si sono nascosti infiniti pianti e la sofferenza ha germogliato come gramigna attorno a un muro. Del mio ventre si sono preoccupati in pochi e neppure io, stolta e indaffarata, ho saputo prestarvi attenzione. E' nel mio ventre che risiedono tutte le risposte, quelle che non lasciano spazio a nessuna incertezza (Chiara Barison)

 

LA STORIA DI MAMI

Sono Mami, ho 30 anni e sono di Mbour. In realtà vengo da un piccolo villaggio vicino a Mbour. Sono cresciuta in una famiglia di pescatori con pochi mezzi ma una grande dignità. Noi lebou siamo così, fieri e duri. Non saprei dirti quanto tempo ho passato a immaginare una vita diversa da quella che mi sarebbe toccata se fossi rimasta. E’ un peccato sognare? Tutti sognamo. Tutti immaginiamo una vita altra, qui e altrove. Credo di avere avuto un’infanzia e un’adolescenza comuni, la scuola, gli amici, i vestiti, le feste ma vivere a Mbour ti sbatte la realtà cruda in faccia quando vedi che ci sono persone che sono libere di viaggiare come e dove gli pare. Noi viviamo anche di turismo qui e di turisti ce ne sono parecchi, vecchi signori attempati o giovani alla scoperta del continente africano di cui spesso hanno un’immagine surreale. Non mi dà fastidio che vengano, sono fiera che il Senegal attiri così tanta gente. Quello che mi infastidisce è che io non posso fare altrettanto. Io non posso andare a visitare i loro paesi con la facilità con cui loro possono visitare il mio. Nessuno è ancora riuscito a spiegarmi la differenza che ci separa, tranne un passaporto.

Alle volte è dura, si prova astio, risentimento. A volte noi senegalesi li prendiamo in giro, in wolof, quando passano, i turisti intendo, per il loro modo impacciato di fare, l’arrogante distanza da posto colonizzatori e quel modo bizzarro di vestirsi; però mi rendo conto che spesso la nostra è frustrazione, in fondo vorremmo anche noi poter apparire “bizzarri” altrove.

Io non volevo morire qui, non volevo fare la fine di mia madre, io volevo poter vedere il mondo e sapevo che per farlo avrei dovuto sposare un bianco.

Mi sono spostata a Saly, città turistica e mercato del sesso per turisti di passaggio. Io non volevo fare la puttana, volevo solo lavorare. Questo è il problema qui, oggi. Sei donna, sei senegalese, decidi di lavorare, scegli di avere un fidanzato straniero, sei puttana a prescindere. No, non lo siamo tutte, non lo siamo sempre. Ho cominciato a lavorare in un ristorante, sapevo che avrei avuto più facilità di conoscere qualche bianco.

La vita era talmente dura. Quanti bianchi mi hanno mancato di rispetto, quante parole mi sono state dette, proposte fatte, violenze scampate per poco.

“Che carina che sei, non mi capacito di come tu possa uscire da una capanna ed essere vestita così bene” mi disse un insopportabile grassone francese una volta.

Ho conosciuto Marc per caso, di ritorno in clandò verso casa. Marc veniva dall’Inghilterra per lavoro. No, mi dispiace rompere l’immagine che la gente ha delle coppie miste ma Marc non era vecchio e neppure brutto. Marc era poco più grande di me e si innamorò subito.

“Di te amo la facilità con cui ti imbarazzi” mi disse una volta ridendo.

Io no, non lo amavo come lui amava me ma lo avevo cercato con forza, aspettato, voluto. Lui era la mia possibilità di una vita migliore, la mia via di fuga. Ci sono voluti due anni e tanta attesa, pazienza, speranza. Tante lacrime e lotte contro le gelosie e le invidie. Alla fine Marc e io ci siamo sposati e siamo partiti assieme.

Mi sono innamorata di lui con il tempo. Mi sono innamorata dei suoi modi, della sua cortesia, del suo rispetto.

Ci sono molte donne senegalesi che stanno con i bianchi non perché sono delle puttane o per interesse ma perché vogliono essere rispettate e, spesso, un europeo è più dolce, comprensivo e accomodante di un uomo senegalese.

Chiara, noi donne senegalesi soffriamo con i nostri uomini, credimi. Io non volevo questo per me.

Mi chiedi se mi sento in colpa per aver calcolato? Per aver avuto un interesse? No, per nulla, nella vita bisogna sapere cosa si vuole e crearsi le opportunità per ottenerlo. A Marc ho dato il rispetto che meritava per avermi amato e l’ho amato a mia volta, con il tempo e la pazienza.

Torno poco in Senegal perché odio quello sguardo giudicante di chi pensa che io sia solo una puttana; di chi pensa che io sia andata a Saly a prostiutirmi; di chi pensa che tra me e Marc ci sia solo interesse.

Quello che manca a voi donne bianche è solo una cosa, il carattere. A volte penso che siete voi più sottomesse di noi quando state assieme con un uomo senegalese. Ad ognuno la propria lotta per raggiungere la propria personale libertà.

 


Fonte: www.seneweb.com

 

Fonte: www.antigoo.com

 


 

 
 
 
 
 

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