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Il mito e l'antica cultura della Dea Madre

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Dal matriarcato al patriarcato: realtà storica o proiezione mitica?

Post n°56 pubblicato il 20 Maggio 2012 da Karmelia

Nel secolo scorso ha avuto inizio un movimento di pensiero che ha ipotizzato la preesistenza all’insorgere del patriarcato dominante nella storia dell’Occidente, di un’epoca matriarcale, approssimativamente tra il 30.000 e il 3000 aC, che ruotava attorno al culto della Grande Madre.

Secondo questi studi, gli albori della storia umana sono stati contrassegnati dall’impronta unificante di una Grande Dea che governava e governa il ciclo delle stagioni, la fertilità della terra  del bestiame, i moti della luna e delle maree come il ciclo femminile, e che in generale scandiva il ciclo continuo nascita – morte – rinascita che caratterizza la vita[1].

Il culto della Grande Dea ha trovato espressione in una proliferazione di immagini sacre e rituali di chiaro aspetto femminile, “collegate a tutti i principali momenti ed aspetti dell’esistenza umana, dalla nascita all’iniziazione, dal matrimonio, alla riproduzione e alla morte”[2].

Questa venerazione per la Grande Dea è verosimilmente incominciata nel Paleolitico, epoca in cui si è espressa attraverso una pletora di reperti archelogici. In particolare, la studiosa  Gimbutas ha costruito una “sceneggiatura iconografata della religione della Grande Dea nell’Europa antica, consistente in segni, simboli e immagini di Divinità”[3].

Essa era raffigurata nella sua cosmologica funzione generativa, attraverso le note ‘Veneri paleolitiche”, o come le statuette dell’Europa neolitica o dell’Età del Bronzo cretese, cercando anche analogie con la Dea nell’Asia pre – vedica, in Egitto e in Mesopotamia. Tuttavia, secondo Gimbutas, le Dee ereditate dal Paleolitico, come le greche Atena, Era, Artemide e Ecate e le romane Minerva e Diana, non erano solo datrici di vita come reggitrici di morte, ma molto di più, essendo in quanto tali regine e signore.

In particolare, nel Neolitico la Dea assunse i volti di datrice di nascita, rappresentata  nell’atto di partorire, come datrice di fertilità che influenza la crescita  e la moltiplicazione, ritratta incinta e nuda, o come datrice di nutrimento e protezione, rappresentata come donna uccello con seni e natiche sporgenti; oppure venne connessa alla forza vitale ctonia, rappresentata dalla dea serpente, come simbolo di vita e in quanto tale estremamente benevolo (solo in epoca successiva, nell’ambito di una cultura misogina e sessuofobia, rovesciato in un’espressione negativa e peccaminosa); era anche rappresentata nella sua speculare espressione di reggitrice di morte, ritratta come nudo e rigido osso, o attraverso i suoi simboli, ovvero vulve, triangoli, seni, zig – zag, meandri e coppelle.

Dice ancora la Gimbutas: “Simboli e immagini si coagulano attorno alla Dea partogenetica (autogenerantesi) e alle sue funzioni di base di Datrice della Vita, Reggitrice della Morte e – non meno importante – Rigeneratrice, e intorno alla Madre Terra, Dea della Fertilità, che è giovane e vecchia a un tempo, sorgendo e morendo insieme alla vita delle piante”. Questo sistema simbolico si esprimeva attraverso un mitico tempo ciclico, non lineare, che a livello iconografico è palesato dai segni che esprimono movimento dinamico, ovvero spirali rotanti e intrecciate, serpenti, mezzelune, corna, semi germoglianti.

KARMELIA


[1]  Cfr. L. RANGONI, La Grande Madre – Il culto del femminile nella storia,  XENIA 2005, 3 ss.

[2]  Cfr. M. ELIADE (a cura  di), Enciclopedia delle religioni, voce Dea, culto della.

[3]   Cfr. M. GIMBUTAS, Il linguaggio della Dea,  Venexia, Roma , 2008.

 
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