Sentiamo ogni giorno le infinite lamentele e la disperazione da parte di chi lavora nei call center: sottopagati, o ancora peggio, pagati a cottimo solo se raggiungono gli obiettivi imposti dall’azienda; sottoposti a stretto controllo da parte dei team leader; pause minime per ristorarsi; ritmi lavorativi “da herpes”; richieste al limite della legalità (ed oltre) … e se volete continuo l’elencazione …
Quasi sempre questi obiettivi risultano irraggiungibili dopo la prima settimana, al più tardi dopo la seconda e vengono remunerati con pochi euro a contratto concluso.
Ricordo la frustrazione, qualche anno fa, di un’amica, Sabrina O., che necessitava di soldi per potersi pagare una stanza in affitto, la benzina per l’auto, il mangiare ed il vestire. Pizza fuori neppure a parlarne, abiti modesti ed i più nuovi avevano almeno tre anni. Paradosso dei paradossi: riceveva persino un aiuto dalla famiglia.
Nonostante tutto le spese per sopravvivere erano talmente alte che oltre ad una borsa di studio di circa 800 euro (che arrivavano sempre in ritardo di mesi), accettò di lavorare per una nota società internazionale di telefonia, giusto per arrotondare…
Il “turn over”, ovvero il riciclo di personale che andava e veniva, era altissimo: ogni due settimane via il vecchio ed avanti il nuovo. E fu proprio due settimane il tempo di resistenza della mia amica alle folli richieste dei suoi datori di lavoro.
Era stata persino brava a piazzare contratti, ma ad un certo punto le venne chiesto di vendere ad ignari acquirenti prodotti di cui i poveretti non avrebbero saputo che farne. La parola d’ordine era “VENDERE AD OGNI COSTO!!!”.
A quel punto la mia amica si rifiutò di continuare e trovò difficile dopo la prima settimana riuscire a “piazzare” un prodotto oramai inflazionato. L’unico modo sarebbe stato quello di sfruttare la politica dell’inganno. Lei rifiutò!
Ma quanti sono gli operatori di call center che giustificano il loro operato disonesto (ad esempio accettano di falsificare sottoscrizioni per raggiungere l’obiettivo aziendale e farsi pagare) con la necessità di lavorare?
Una corretta politica del lavoro inizia prima di tutto dalla nostra etica personale e professionale. Se accettiamo compromessi di tal genere non possiamo poi certo pretendere di ricevere in cambio delle politiche del lavoro favorevoli.
Iniziamo con il dire no a certe prassi aziendali corrotte, a rifiutare di lavorare per aziende che non desiderano offrire servizi apprezzabili ma sfruttare la buona fede dei loro clienti/utenti.
Ricordiamoci che la politica siamo noi ed il nostro agire.
Valeria