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Post n°889 pubblicato il 08 Aprile 2012 da Ledantec
La questione del rapporto tra visione evolutiva del mondo vivente e religione si pone sotto diversi profili. Uno di essi concerne la compatibilità tra la visione che della storia del mondo vivente ci dà l'evoluzionismo e la narrazione che della "creazione" del mondo è fatta nel primo capitolo del primo libro veterotestamentario, conosciuto come "Genesi"; un altro dei profili della questione consiste in ciò, che gli evoluzionisti hanno cercato di dar conto - in base ai princìpi esplicativi della storia del mondo vivente proprii della visione evolutiva dello stesso - anche di fenomeni culturali, e tra essi anche di quello religioso. Mentre il prete cattolico criptoateo Meslier, del quale abbiamo parlato nel post precedente, dà un'interpretazione politica del sorgere della religione (la religione come deliberata impostura finalizzata a sostenere, a legittimare, ad estendere e a perpetuare il dominio di alcuni su altri nella società umana), di diverso tenore sono le visioni evoluzionistiche del fenomento religioso. Una delle prime è quella che nella sua opera "L'ateismo", pubblicata in prima edizione nel 1907, ci dà il biologo positivista francese Félix Le Dantec. Il Le Dantec era in biologia un lamarckiano, cioè credeva nell'ereditarietà dei caratteri acquisiti - un punto di vista oggi definitivamente abbandonato. Sulla base del suo lamarckismo, il Le Dantec dà, nella sua opera sopra richiamata, un'interpretazione della nascita della credenza in Dio e quindi del fenomeno religioso. Secondo il Le Dantec, l'idea di Dio, in buona sostanza, è un'idea che nasce da un'erronea interpretazione dei fatti, ovvero da quella che potrebbe ritenersi un'ipotesi scientifica (nel senso di una scienza primitiva) erronea, e che, dopo essere stata acquisita dalla specie umana, è stata poi trasmessa ereditariamente e si è quindi così diffusa. L'erronea intepretazione dei fatti è quella che pensa di poter spiegare il mondo supponendo che la sua esistenza sia imputabile ad un Essere del quale si possa parlare come si parla di un uomo, cioè ad un Essere concepito antropomorficamente. Scrive il Le Dantec nella sua opera sopra richiamata: "Davanti alla constatazione d'una depredazione, di un omicidio, ecc., la domanda che più naturalmente s'imponeva allo spirito dei nostri antenati (come naturalmente è ancora quella che s'impone a noi) era evidentemente: "Chi ha fatto questo?". E la risposta: "E' Giuseppe, è Abramo, ecc." dava una perfetta soddisfazione alla curiosità di chi domandava. Da ciò probabilmente deriva, nella nostra eredità attuale, il carattere per cui noi non attribuiamo valore di spiegazione che ad una risposta di questa forma: "Chi ha fatto il mondo? Dio"". Interessanti sono alcune considerazioni del Le Dantec circa la prova dell'esistenza di Dio tratta dall'ordine dell'Universo, cioè dall'esistenza di leggi naturali. Egli rileva: "Il fatto che mi si pone un perché non implica l'esistenza d'un perché esplicativo (cioè di una spiegazione) che mi sia accessibile." Egli, dunque, si professa agnostico quanto al problema dell'origine delle leggi naturali. Una comparazione che bene illustra il punto di vista del Le Dantec è quella tra l'idea di Dio e l'idea della verticale assoluta. L'idea della verticale assoluta, per la quale è impossibile immaginare un corpo nello spazio senza vedervi un alto e un basso, è innata, nel senso - precisa lamarckianamente il Le Dantec - che "proviene dall'eredità d'un errore ancestrale lungo tempo accreditato", connesso alla "constatazione erronea della superficie piana della Terra". Tuttavia, "l'idea della verticale assoluta è matematicamente assurda", perché, ad esempio, la verticale dei miei antipodi "è il contrario della mia"; tale idea - nota il Le Dantec - continua a sussistere, benché sia ormai scontato che essa non risponda a realtà. Egli osserva anche che "questa storia della verticale assoluta [...] è sempre stata mescolata ai dogmi religiosi; per qualunque credente ingenuo Dio è in alto, Gesù è disceso nell'Inferno e salito al cielo, dove è seduto alla destra di Dio."
Post n°888 pubblicato il 07 Aprile 2012 da Ledantec
Tag: JEAN MESLIER
E' stato giustamente definito un caso straordinario, quello del francese Jean Meslier, nato nel 1664 e defunto nel 1729 (a volte come estremi cronologici della sua esistenza sono indicate date diverse: 1678-1733, ma quelle esatte sono con ogni probabilità le precedenti). Meslier fu un sacerdote cattolico, parroco di campagna, e precisamente curato di Etrépigny e di Balaives. La particolarità di Meslier sta nel fatto che, negli ultimi anni della sua vita, egli, in segreto, redasse, in triplice copia manoscritta, un'opera che è comunemente indicata come il suo "Testamento", anche se, nell'epigrafe dell'opera, che si compone di 366 fittissime pagine manoscritte, l'Autore la intitola "Mémoire des pensées et des sentiments de Jean Meslier". Ancora oggi credo sia ben difficile trovare una traduzione italiana integrale dell'opera di Meslier. Ciò che la caratterizza è l'estrema virulenza dell'attacco alla religione cristiana e a tutte le religioni in genere: benché il Meslier non trascenda mai nell'insulto, nell'ingiuria, ma si mantenga sempre nei limiti di quanto concesso ad una persona colta e di buona creanza, le espressioni che egli ripetutamente usa sono assai forti. Per quanto concerne il fenomeno religioso in genere, il Meslier lo vede come un inganno deliberato a fini politici. E' significativo il seguente passo, che traiamo dalla traduzione italiana, pubblicata nel 2006, di passi scelti del cosiddetto "Testamento" di Meslier: "Poiché gli uni volendo ingiustamente dominare ovunque e gli altri volendosi attribuire qualche vana reputazione di santità e talvolta perfino di divinità, hano tutti astutamente non soltanto usato la forza e la violenza ma anche impiegato ogni sorta di furberie e di artifici per sedurre i popoli allo scopo di raggiungere più facilmente i loro fini; cosicché, abusando, con tali fini e con tali astuzie, della debolezza, della credulità e dell'ignoranza dei più deboli e dei meno acculturati, hanno fatto facilmente credere loro tutto quello che hanno voluto, e poi hanno fatto loro accettare supinamente e con sottomissione, di buon grado o con la forza, tutte le leggi che hanno voluto imporgli e, per questa via, gli uni si sono fatti onorare, rispettare e adorare come divinità o quanto meno come persone ispirate dalla divinità e inviate espressamente dagli dèì per far conoscere le loro volontà agli uomini, e gli altri si sono arricchiti divenendo potenti e temibili nel mondo; gli uni e gli altri, essendo diventati, con questi artifici, abbastanza ricchi, potenti, venerabili o temibili per impaurire e farsi obbedire, hanno deliberatamente e tirannicamente assoggettato gli altri alle loro leggi." E' nella "detestabile politica", dice Meslier, che si trovano la causa e l'origine "di tutti gli errori, di tutte le imposture, di tutte le superstizioni, di tutte le false divinità e di tutte le idolatrie diffuse in tutta la terra", "di tutto quel che di più santo e di più sacro vi viene proposto", "di tutto quello che viene fatto devotamente chiamare religione", "di tutte queste pretese leggi sante e divine che vi si chiede di osservare come provenienti da Dio stesso", "di tutte quelle cerimonie pompose, ma vane e ridicole, che i vostri preti mostrano di fare fastosamente nella celebrazione dei loro falsi ministeri, delle loro solennità e del loro falso culto divino", così come "l'origine e la causa di tutti quei superbi titoli e nomi di signori, principi, re, monarchi e potentati, che, con il pretesto di governarvi da sovrani, vi opprimono tutti come tiranni e che, con il pretesto del bene comune e della necessità pubblica, vi carpiscono tutto ciò che avete di più bello e di più buono e che, inoltre, con il pretesto di aver ricevuto la loro autorità da una qualche divinità suprema, si fanno personalmente obbedire, temere e rispettare come dèi", "la causa e l'origine di tutti quegli altri vani titoli di nobile e nobiltà, di conte, di duca e di marchese, di cui pullula la terra, come dice un autore molto assennato del secolo scorso, e che si comportanto quasi tutti da lupi famelici", "la causa e l'origine di tutti quei presunti e sacri poteri dell'ordine ecclesiastico e spirituale che i vostri preti e i vostri vescovi si arrogano il diritto di esercitare nei vostri confronti; che con il pretesto di conferirvi i beni spirituali di una grazia e di una potenza tutta divina, vi rastrellano astutamente i vostri beni temporali che sono incomparabilmente più reali e più solidi di quelli che fanno mostra di volervi conferire; che, con il pretesto di volervi condurre in cielo e procurarvi una felicità eterna, vi impediscono di godervi tranquillamente i veri beni che sono sulla terra; e che infine vi condannano a soffrire in quella sola vita in cui sopportate delle pene reali di un vero inferno, con il solo pretesto di volervi garantire e preservare, in un'altra vita che non esiste, dalle pene immaginarie di un inferno, che pure non esiste, in una vita eterna con cui alimentano vanamente per voi, ma non inutilmente per loro, i vostri timori e le vostre speranze." Lo sfondo sul quale Meslier formula la sua appassionata requisitoria è quello della società francese della prima metà del '700, caratterizzata politicamente da un regime di monarchia assoluta e dominata dall'allenza tra nobiltà e alto clero. Le considerazioni che egli fa sul conto del fenomeno religioso traggono indubbiamente origine dall'osservazione della realtà sociale del suo tempo e diventano schema interpretativo generale. Un altro aspetto caratteristico dell'opera di Meslier è che, sul piano del pensiero politico, egli è uno dei primi autori che caldeggia un'organizzazione della società di tipo comunistico ed egualitario. Alcuni passaggi sembrano anticipare l'invito del "Manifesto" marxiano alla unione dei proletari di tutto il mondo: "La vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione non dipende che da voi se saprete intendervi bene fra di voi; voi avete tutti i mezzi e tutte le forze necessarie per darvi la libertà e porre invece in schiavitù i vostri stessi tiranni; poiché questi, per quanto potenti e forti possano essere, non avranno più alcun potere su di voi senza voi stessi; tutta la loro grandezza, tutte le loro ricchezze, tutte le loro forze e tutta la loro potenza non vengono se non da voi." E, se è concesso scendere un momento sul piano della cronaca spicciola, ci vorrebbe l'indignata retorica di un novello Meslier anche per le degenerazioni (ma sono davvero solo "degenerazioni"? o è la normalità?) dei "partiti politici", con il vomitevole spettacolo di organizzazioni che, dopo aver dato ad intendere di adoperarsi per il benessere del "popolo", si rotolano gaudenti nella farina d'oro dei cosiddetti "rimborsi elettorali", prelevati in ultima analisi dalle tasche dei contribuenti e sottratti ad altri ben più utili impieghi.
Post n°887 pubblicato il 25 Marzo 2012 da Ledantec
Da un'opera pubblicata nel luglio 1945 a Padova e concernente la dottrina sociale della Chiesa a confronto con l'ideologia marxistica traiamo il seguente passaggio: "Che lungo il corso dei secoli l'appropriazione individuale delle ricchezze abbia causato dolori senza nome e spremuto lagrime e sangue dagli occhi e dalle vene della povera umanità, è un fatto patente e tragico, il quale però non va imputato all'istituto della proprietà privata, ma all'uomo vecchio, a questo relitto squilibrato e delinquente, senza luce e senza amore; il male non sta nelle cose, ma nell'uomo; la diagnostica marxista attribuisce invece alle cose il male di cui l'uomo è affetto e nelle cose vede la causa dei dolori dell'uomo e delle sventure della società. Siamo di fronte ad una diagnostica miope. L'uomo vecchio, il senza luce e senza amore, vuol essere ricco, ricco ad ogni costo e crede di diventarlo accaparrando e serbando gelosamente per sé i beni di cui si appropria; egli non vede, non capisce, che per questa via finirà col precipitare nell'orrido squallore della più misera miseria; egli non capisce, non può capire, che l'uomo è ricco e s'arricchisce solo in funzione di ciò che dà agli altri, non di ciò che serba per sé [...]". La riforma sociale è così lasciata ed affidata ad una individuale "conversione del cuore", prescidendosi in definitiva dall'azione politica, ed infatti nella stessa opera si dice che il Cristianesimo non ha "come fine diretto la riforma della struttura giuridico-economica della società"; purtroppo, poi, "i grandi ed essenziali rivolgimenti giuridico-economici, anche sotto l'influsso di efficaci idee morali, sono lenti e la loro attuazione cozza di continuo contro le accanite resistenze che l'uomo vecchio oppone".
Post n°886 pubblicato il 25 Marzo 2012 da Ledantec
Nell'opera di un noto moralista settecentesco, e precisamente nel capo IX del tomo I di tale opera - capo dedicato alle "Animadversiones super Sexto Praecepto", cioè al comandamento relativo alla materia sessuale -, si legge, nell'introduzione, quanto segue: "Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delle Confessioni, ed è quel vizio che riempie d'anime l'inferno; onde su questo precetto parleremo delle cose più minutamente; e le diremo in latino, affinché non si leggano facilmente da altri che da' Confessori, o da quei Sacerdoti che intendono abilitarsi a prender la Confessione", trattandosi di materia "che colla sola lezione o discorso infetta la mente". In primo luogo, l'Autore in questione ammonisce che in fatto di lussuria non si dà "parvitas materiae", cioè che la trasgressione del sesto comandamento implica sempre un peccato mortale e in nessun caso una colpa solamente veniale, "quidquid alii dicant de levi attrectatione manus foeminae, vel de intorsione digiti", ovvero checché altri dicano di casi apparentemente "lievi", quali un leggero contatto (adtrectatio=toccamento) con la mano della donna o una "intorsio digiti" (torsione, torcimento del dito), s'intende sempre della donna: "omnis delectatio carnalis, cum plena advertentia et consensu capta, mortale peccatum est" (ogni piacere carnale - s'intende al di fuori del coito coniugale - ottenuto con pienezza di avvertenza e di consenso è peccato mortale). Peccato mortale, a sua volta, significa che, ove l'individuo defunga senza averlo prima validamente confessato accedendo al sacramento della Penitenza o senza averne avuto una perfetta contrizione con perfetto atto di dolore che tenga luogo del sacramento detto della Penitenza, Confessione o Riconciliazione, l'individuo stesso è destinato a subire una pena eterna, cioè senza fine, che inizia "mox post mortem", cioè subito dopo la morte, e interessa dapprima soltanto l'anima e quindi, dopo la resurrezione finale dei corpi, anche il corpo, oggetto della "pena del senso" - qualcosa che ha a che vedere con il calore e con il fuoco.
Post n°885 pubblicato il 25 Marzo 2012 da Ledantec
Oltre a immediati precedenti nordafricani, la pratica, di cui al titolo del presente post, portata in onore recentemente da un oggi ex Presidente del Consiglio del Ministri della Repubblica Italiana, presenta anche remoti e assai significativi antecedenti vaticani. Dal libro di un autore italiano novecentesco traiamo il seguente brano, relativo al pontificato di Alessandro VI (Rodrigo Borgia), che ricoprì il supremo ufficio della Chiesa Cattolica tra il 1492 e il 1503: "Lo sciagurato Pastore, pur di soddisfare un capriccio, di levarsi una voglia, di contentare la incontenibile libidine, era capace di tutto. In occasione delle nozze di Lucrezia (Borgia) con Giovanni Sforza, la notte del 12 di giugno del '93, in Vaticano, ove s'era celebrato il rito, fece svolgere, lui presente con gran parte dei cardinali, una oscena festa orgiastica. Il Santo Padre, assevera il cerimoniere vaticano Giovanni Burcardo, è sempre accompagnato ne' suoi spostamenti da femmine di malaffare, che gode veder danzare sulle piazze, e non in decente costume; nella notte d'Ognissanti, riferisce sempre il cerimoniere testimone, si fa danzar davanti femmine nude, che poi abbandona alla lussuria dei presenti, con ricchi premii ai maschi che hanno dato prova di reni più solide; inventa corse di prostitute da Borgo a San Pietro per ricevere i doni di Sua Beatitudine; fa regalo a una scelta comitiva di cardinali e a sua figlia Lucrezia, nel cortile vaticano, della monta di furiosi stalloni e di aspettanti giumente e richiama l'attenzione di sua figlia su tutti i particolari, preludio di altri accoppiamenti. In occasione di solenni cerimonie religiose, Sua Santità vuole attorno all'altare, per rallegrarsi la vista, innanzi ai cardinali, pubbliche prostitute, che gli alleviano la monotonia delle cerimonie: "un'ignominia", attesta il veridico vescovo cerimoniere. I cardinali cercano di adeguarsi al maestro, usando con femmine e con maschi, che in Vaticano non mancano."
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