"Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi. Non vi chiedo di scacciare il tiranno, di buttarlo giù dal trono, ma soltanto di smettere di sostenerlo; allora lo vedreste crollare a terra e andare in frantumi per il suo stesso peso, come un colosso a cui è stata tolta la base."
Étienne de La Boétie
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Terremoto. Tra uomo e natura.
Le scene di questi giorni, riportano noi umbri indietro di più di dieci anni, al 1997. La stessa scossa, quella delle tre e mezzo - decisamente avvertita anche da qui -, ha subito riacceso in noi quelle paure, la consapevolezza di poter perdere tutto, la speranza che questa volta sia più lieve. I secondi sono stati un interminabile aspettare, attendere per capire se sia soltanto una scossa o il ripetersi di una tragedia. Finiti quegli attimi, presa coscienza che è stata più paura che altro, abbiamo cercato di riprendere sonno, alcuni invano: il ricordo è ancora forte. Ma la mattina i telegiornali ci hanno detto che qualcosa è successo. Brutto, anzi tremendo. L'inizio di un tragedia, questa volta però è toccato a qualcun'altro. Nemmeno il tempo per rendersi conto di averla scampata e si comincia la crudele ed impietosa conta: di morti, dispersi, feriti (a cui non si presta mai la dovuta importanza) e i “salvi” - che però dopo un terremoto sono “sfollati”. Comincia la corsa: agli aiuti, alle donazioni (che oggi hanno fortunatamente moltissime forme di raccolta) e non solo di denaro ma di sangue - salito sulla macchina per andare a lavoro la mattina, il sangue era un' emergenza; la sera gli addetti ringraziavano e avvertivano che ce n'era più che sufficienza. Quindi arriva la sera è con essa si raccontano le storie personali, c'è chi ha perso un figlio, chi i genitori, molti “tutto”. Ma non si perde mai "tutto". La “natura” ci può prendere molto, anche tutto è vero, ma poi come abbiamo costruito una volta, ricostruiremo ancora e meglio (alcuni tecnici spiegano come non è il terremoto che uccide, sono le costruzioni non adeguate: in California – seguivano ieri sera in televisione – un terremoto così non avrebbe fatto morti). Stiamo dimostrando questi giorni che è possibile. Non bisogna – e lo so che in teoria è “troppo” facile – disperare, ma andare avanti, sempre, nella consapevolezza che non è la natura che ha costruito ciò che poi ha distrutto, e che quindi il futuro è in mano nostra. Ciò che sta accadendo in questi momenti, non è riducibile ad un esile “aiuto”, ma è la vigorosa risposta umana ad una “natura” che non è né buona né cattiva. La forza vitale delle braccia che scavano e che salvano, i camion che portano un riparo e qualcosa da mangiare, uomini che non si riconoscono nemmeno una tregua per raggiungere il loro “scopo”. Allora di fronte a questo non dobbiamo sentirci piccoli ma grandi, per la capacità di reazione, che però non si deve fermare a salvare: i salvati, o i salvi, poi devono ricostruire loro stessi, la loro vita. La disperazione non deve fermare la “forza vitale” dell'uomo; la natura non può bloccarci. Dobbiamo continuare e anche ripartire da zero. Nessuno ci ha mai regalato niente, siamo sempre noi che ci siamo costruiti e inventati tutto: possiamo e dobbiamo ancora farcela. E' il nostro “scopo”. “ …. Oggi nel cataclisma abruzzese, non il primo né l’ultimo, rileggiamo la filogenesi dell’Italia e la fierezza del suo ricostruirsi. I Marsi abruzzesi, al riguardo, sono campioni di muscolatura e volontà. La loro Primavera sacra non finisce qui”. Alessandro Giuli da “ilFoglio”
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