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Lezione di Filologia

Post n°186 pubblicato il 16 Aprile 2011 da BROWSERIK
 

Esiste una logica universale dettata dalla sostanziale uniformità del cervello umano? La scienza che cerca di rispondere a questa domanda è la linguistica e, a quanto pare, la risposta è “no”.

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, l’evoluzione delle lingue non segue traiettorie lineari e condivise. Al contrario, ogni lingua si evolve per proprio conto. E se, alla fine, emerge qualche somiglianza, è solo per volere del caso. Questa affermazione sfida le teorie dei più eminenti linguisti del nostro secolo e implica che non sarebbe il cervello a guidare lo sviluppo linguistico, ma la cultura di un popolo.

“ Il cervello non è un computer con un processore linguistico e l’evoluzione delle lingue è un processo molto complesso”, ha detto a Wired.com Michael Dunn, uno degli autori dello studio, esperto di linguistica evoluzionistica del Max Planck Institute, nei paesi Bassi. La storia del linguaggio ha sempre affascinato gli esseri umani. D’altra parte, la capacità di comunicare in modo complesso è una caratteristica fondamentale della nostra cultura: ci permette di cooperare, condividere pensieri ed emozioni, preservare la conoscenza. In altre parole, ci rende umani.

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Per spiegare l’evoluzione del linguaggio, il filosofo Noam Chomsky ha sviluppato la cosiddetta teoria della grammatica generativa, dove si afferma che esistono dei moduli cerebrali esclusivamente dedicati all’apprendimento e all’elaborazione delle regole grammaticali. Questi moduli sono innati, e ciò spiegherebbe la facilità con cui un bambino impara a parlare. Le differenze riscontrabili nelle varie lingue non sarebbero altro, quindi, che il riflesso di un reset nei parametri che definiscono tali moduli.

Il linguista Joseph Greenberg, invece, ha un approccio più empirico e si concentra sull’ordine con cui le parole si susseguono nelle diverse lingue. Secondo Greenberg, se qualcuno afferma “ io mangio un gelato”, allora userà la costruzione “ in macchina”. Se invece dice “ io un gelato mangio”, allora dirà “ macchina in”. In altre parole, esisterebbero tendenze linguistiche universali che riflettono abilità cognitive condivise. Rispetto all’evoluzione delle lingue, entrambe le teorie ritengono che il cambiamento sia costretto da regole rigide, secondo le quali i percorsi permessi per arrivare a un certo tipo di risultato (cioè una lingua) sono pochi e imprescindibili.

Per testare le ipotesi dei due ricercatori, Dunn e il suo team hanno preso in prestito dalla biologia evoluzionistica l’approccio filogenetico, ricostruendo gli alberi genealogici di 4 lingue: austronesiane, indo-europee, bantu e uto-azteAll’interno di ciascun linguaggio, hanno analizzato la relazione tra parole (soggetti, verbi, complementi), sviluppando i calcoli statistici per capire se ogni combinazione fosse il risultato di un percorso correlato o indipendente. Ebbene, è venuto fuori che ogni albero appare cresciuto per conto suo, seguendo principi differenti che non lasciano supporre l’esistenza di regole comuni. In più, anche laddove ci fossero caratteristiche condivise, i ricercatori hanno dimostrato che possono essere frutto del caso.

Martin Haspelmath, un linguista del Max Planck Institute che ha commentato lo studio su Nature, concorda con le conclusioni, anche se in modo critico: “ Chi conosce la materia sa che i ricercatori non stanno dicendo nulla di nuovo. Sappiamo già, infatti, che le caratteristiche grammaticali sono specifiche in ogni lingua. D’altra parte, però, è quasi impossibile dire che il cervello e le abilità cognitive non c’entrino nulla”. Insomma, l’annoso duello tra natura e cultura sembra ancora non essersi risolto. che.

 
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