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Quel poco da dire

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200!

Post n°232 pubblicato il 19 Luglio 2019 da s_bidetti
 

I miei racconti quotidiani sono arrivati alla rotonda soglia dei 200!

Ogni tanto, in questi mesi, mi viene da chiedermi perché lo faccio, che senso possa avere. Forse una vera risposta a questo interrogativo non ce l’ho, però so che in qualche modo ormai ne ho bisogno. Ho scoperto che la quotidianità offre migliaia di risvolti e sfaccettature interessanti, e la dimensione delle 100 parole consente, nonostante il grande limite di spazio a disposizione, di sfruttarli tutti.
Poi subentra la voglia di scrivere. Il piacere di farlo. Qualche tempo fa avevo tentato a definire questa necessità provando a definirmi come scrittore. Ora, questa sembra una definizione autoreferenziale; ma in realtà in questa parola non c’è necessariamente un incensamento qualitativo. È una definizione tecnica. Io credo di essere uno scrittore. Uno scrittore nell’anima.

Uno scrittore non si valuta secondo me sulla base della quantità delle cose che ha scritto, e forse neanche sulla qualità, che chiaramente poi lo rendono un bravo scrittore, un ottimo scrittore, un fantastico scrittore; oppure uno scrittore pessimo! Ma la definizione di “scrittore” fa riferimento alla sua attività di mettere nero su bianco. Ciò che lo rende tale è la sua voglia, il suo bisogno di trasferire delle cose su testi scritti. Cioè quella ricerca di spazi bianchi da riempire, quella voglia di trasformare una sensazione, un concetto, un’idea, un’emozione o un ricordo in qualcosa di stabilizzato, di fisso, di fissato in parole che possano essere inequivocabilmente lette e comprese da altri.

Poi resta il fatto di capire a chi le cose che lui scrive possano essere rivolte, a chi possano piacere. Questo è un altro discorso. Ma la connotazione, la definizione di scrittore è una cosa soggettiva, individuale, intima quasi. Uno scrittore è tale anche se le cose che scrive non verranno mai lette da nessuno; è il suo modo di essere, di leggere il mondo circostante, il suo modo di immaginare quel mondo, ciò che lui vede, anche solo per un istante, quello che lui immagina possa essere in qualche maniera reso eterno da parole riportate su un foglio bianco. E quel foglio bianco va riempito, comunque, in qualche modo; magari poi lasciato in un cassetto, però sicuramente va riempito, va “sporcato”, non può rimanere bianco, perché altrimenti lo scrittore ne soffre, non dorme la notte, o non riesce a prendere sonno; e si alza, magari anche nel pieno della notte, per mettere giù quello che gli passa per la mente.

Così ogni spunto, ogni sensazione, gioiosa o malinconica che sia, può diventare un qualcosa da raccontare, o un modo di raccontare una storia. Perché le storie sono fatte per essere raccontate, affinché poi ciascuno le possa metabolizzare, farle proprie, rivivere a proprio modo. Uno scrittore può diventare un tramite, uno strumento per aprire qualche lucchetto dell’anima, per liberare la mente. Così i ricordi riemergono, le sensazioni si trasferiscono, le fantasie si animano.

Tutto questo attiene alla seconda fase dello scrivere, cioè alla voglia di condividere. Non è ostentazione, almeno non dovrebbe esserlo. Piuttosto il desiderio di mettere in comune le parole, che sono alla base delle nostre relazioni, e le narrazioni che esse possono contenere. Ognuno di noi ha le sue storie, quelle che quotidianamente si porta dietro e che inconsciamente dettano le sue azioni; ma le storie sono patrimonio di tutti, e vanno condivise.

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Commenti al Post:
liberante
liberante il 20/07/19 alle 14:34 via WEB
(copio / incollo da FB) Sono un patrimonio grande le parole e saperle usare, anzi saperle allineare nella maniera giusta è importante per trasferire all’altro quello che siamo o vorremmo essere e le storie che ci girano dentro. Le tue parole mi piacciono assai ed è un piacevole appuntamento quotidiano trovarle, leggerle e in un certo senso, farle mie. Grazie Stefano!
 
 
s_bidetti
s_bidetti il 25/07/19 alle 00:15 via WEB
Grazie, liberante, è bello sapere che sei lì a leggere ogni giorno!
 
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