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Libro allegro

Post n°4567 pubblicato il 19 Marzo 2023 da valerio.sampieri
 

A. GHISLANZONI
LIBRO ALLEGRO
MILANO
TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA
Stabilimento
Via Andrea Appiani, N. 10.
Succursale
Via Carlo Alberto, Bott. 27.
1878

La nuova generazione si è data al serio. Non è dunque ai giovani ch'io dedico il presente libro, sibbene a quei buoni giovialoni del vecchio tempo, che amano ancora di sollazzarsi e di ridere. Quà la mano, o antichi colleghi! Oramai il nostro drappello si è di molto assottigliato, e fra poco ce ne andremo anche noi. Non importa. Spensierata ed allegra fu la nostra carriera, e noi la compiremo ridendo. Quando noi saremo scomparsi, non si vedranno più sulla terra che volti imbronciati, non si udranno che nenie lugubri. Non è meglio morire, piuttosto che inebetirsi in un ambiente sì triste?

I DRAMMI DEL NATALE

Eran vissuti insieme fino della più
tenera infanzia - qual meraviglia
che all'età delle forti passioni, Sperongiallo
e Nasella si amassero?
Nessuno si adombri - si tratta
di amore platonico; e il mio racconto vuol
esser così pudico, che ogni onesta fanciulla
di sedici anni potrà permetterne la lettura
a sua madre.
*
* *
Sperongiallo e Nasella erano due polli della più pura specie indiana. Una buona massaia li aveva aiutati a sgusciarsi, e quindi allevati con molto amore e poco dispendio, sebbene in cuor suo ella innalzasse ogni mattina delle fervide preci al Signore, onde crescessero sani e grassi, e degni dei loro alti destini.
*
* *
Venne il dicembre. Sperongiallo e Nasella si videro imbandita una colazione più lauta della consueta; quando i due gozzi furon pieni e oltre l'usato appariscenti, la massaia scese giù nel cortile, afferrò i due volatili per la coda, li chiuse in un canestro, e partì con quello alla volta di Incino. I due reclusi non emisero un gemito. - Due giovani cuori che si amano, si trovano tanto bene in una capanna.... Figuratevi poi in un canestro!
*
* *
Era giorno di mercato. I due reclusi rividero la luce, furon tratti sulla piazza e posti in vendita al miglior offerente. Eran giovani, eran belli, promettevano.... E il signor Meronzio ricco proprietario di Oggionno comperò Sperongiallo al prezzo di quattro lire; il dottor Tencalli di Galbiate acquistò Nasella per tre lire e venticinque centesimi. Le femmine costan meno dei maschi; si vuole che riescano più sciapite al palato, e qualche volta più agre.
*
* *
La lingua indiana possiede, per esprimere la disperazione del dolore, accenti intraducibili. Nasella, separata a viva forza dal suo compagno di infanzia, strillava a tutta gola: glù-glù-'zit-tai-lai glù-zit-las-gù, ciò che potrebbe in qualche maniera spiegarsi colla parafrasi: amami sempre, conservamiti fedele se lo puoi, e scrivimi affrancando. Sperongiallo, avvinto per le gambe da una fune, urlava d'altra parte: glut-glut as-glut, il che presso a poco significa: amerò.... scriverò.... farò quel che potrò. Nei maschi l'espressione del dolore suol essere più laconica. Le femmine, al dire dei più famosi naturalisti, esalano il doppio di quello che sentono.
*
* *
Lettera di Nasella a Sperongiallo
Galbiate, 5 dicembre.
Mio dolcissimo,
Finalmente posso scriverti. Questa mia lettera giungerà a te sulle gambe dell'amore. Fido, un bravo, onestissimo cane del dottor Tencalli, si è preso l'incarico di portartela. Egli viene costì ogni notte per isbrigare certe sue peccaminose faccende colla cagna del tuo attuale padrone. Non dubito che avrai indovinato per istinto di amore in qual parte del proprio individuo il nostro prudente messaggiero abbia custodita la lettera, onde sottrarla alla curiosità pubblica ed alle intemperie. Se la violenza della passione che tu, scellerato, hai saputo ispirarmi, non mi rendesse la più infelice delle tacchine, io dovrei convenire che la mia posizione attuale è di gran lunga migliorata. In casa del dottor Tencalli ho incontrato delle accoglienze entusiastiche. Uomini e bestie (non adombrarti) qui tutti mi adorano. Vogliono che io mi nutra sei volte al giorno - e quali vivande! quali ghiottonerie!... Alla mattina, una polta di farina con torsi di cavoli e lattughe cotte....
Alle dieci, lauta imbandigione di melica.... A mezzodì, zuppa di latte.... Che serve?... Se le razioni fossero doppie, non mancherebbe alla mia felicità che il piacere di dividerle teco. - Gli uomini sono la nostra provvidenza quaggiù - benediciamoli in ogni ora del giorno! - Debbo però convenire che anche gli altri animali di casa Tencalli mi amano e mi stimano. Il cane mi usa ogni cortesia, il gatto mi adocchia con benevolezza, e due grassi paperi a me compagni di letto e di mensa, hanno sempre rispettato il mio pudore. Addio, mio adorato Sperongiallo. - Fido vuol partire e accenna, sollevando la coda, che attende la lettera. Scrivimi presto, scrivimi spesso, e amami come ti amo.

Lettera di Sperongiallo a Nasella
Oggionno, 7 dicembre.
Caruccia mia,
Sotto la coda di Fido ho trovata la tua amabilissima lettera, e non puoi immaginare con quanta gioia io abbia divorato i tuoi profumati caratteri. Sì: benediciamo agli uomini, benediciamoli in ogni ora del giorno perchè infatti non v'ha ora del giorno che essi lascino trascorrere senza colmarci di favori. Il mio nuovo ospite signor Meronzio fa degno riscontro al tuo eccellentissimo provveditore dottor Tencalli. Malgrado il mio amore per te, sempre mai fervidissimo, io mangio dal mattino alla sera. La signora del luogo mi predilige. L'altro ieri, dopo avermi amorosamente palpeggiato il collo e il sottocoda, l'ho udita io stesso gridare alle sue genti: Guai per tutti, se al termine del mese costui non è grasso come mio marito! - Sarebbe troppo. Debbo dirtelo, Nasella?...
Potrà il tuo amore resistere a siffatta rivelazione? Dal giorno che ci han separati, io ho raddoppiato di volume e di peso. - Ma la bontà degli uomini è grande; essi ci hanno disgiunti, essi penseranno a riunirci - e tu poi, tu.... Nasella, quando saremo riuniti penserai a smagrirmi. - Addio, mi chiamano pel quattordicesimo pasto... Nell'orto vicino vi è una dindietta che canta ogni sera alla distesa l'aria del vieni meco; ma io, colla miglior voglia del mondo, non sarei più in grado, stante l'obesità, di sorvolare al muricciuolo. Vivi dunque sicura della mia fedeltà, e conservati per chi ti ama.

Nasella a Sperongiallo
Galbiate, 10 dicembre.
Due righe per dirti che sto bene e che ieri, frugandomi col becco tra le piume posteriori, ho veduto che le mie carni hanno acquistato il candore della neve. - Sei contento? Mi par di sentirti, briccone!... glout-glout.... Eh! convien darsi pazienza! Ieri il guattero mi ha detto sorridendo: fra una settimana ti faremo la festa!... Ciò significa indubbiamente che questi signori, sempre buoni e amorosi con noi, hanno la intenzione di riunirci. Benediciamo la provvidenza umana!

Sperongiallo a Nasella
Ho appena la forza di scriverti, tanto sono obeso. In verità, questi signori cominciano ad eccedere nella cortesia. Stamane volevano che io mangiassi otto noci col guscio.... Ho protestato; ma il guattero, che non si intende di lingua indiana, mi aperse il becco di viva forza, e credendo farmi un piacere grandissimo, colle noci mi respinse nel gozzo la protesta. «Inghiotti! inghiotti! gridava dalla sala il signor Meronzio; ti faran bene!» Addio, Nasella! Vado a coricarmi con otto noci sul cuore.... Domani, se sarò vivo, probabilmente starò meglio.

Nasella a Sperongiallo
16 dicembre.
Sei tu vivo? o piuttosto: siamo noi vivi?... Lascia, lascia che io gridi col poeta:
«Tutto perfidia, tradimento, inganno!»
Sì! noi siamo traditi.... La strage dei nostri è decretata.... Ho appena il tempo di prevenirti....
Se puoi, affrettati.... salta il muro.... riparati all'estero.
I due grossi paperi, che dividevano meco gli innocenti tripudî del pollaio, son caduti stamane sotto il ferro del carnefice. E sai chi è stato il carnefice? Quello stesso che tutte le mattine ci apprestava il cibo e ci colmava di amorevolezze. La famiglia del Tencalli, uomini, donne, fanciulli, assistevano alla strage ridenti e plaudenti. La sorte di quegli sventurati paperi sarà la mia.
Il mio supplizio fu differito di alcune ore in grazia di un giovine poeta qui giunto da Milano, il quale intercesse per me. Le sue cordiali e fervide invettive contro la scelleraggine umana disarmarono per poco la sanguinaria ferocia del guattero. Ma il buono e coraggioso poeta non ha egli divorato, oggi stesso, alla mensa dei Tencalli, due auree costolette, le quali, or fanno appena cinque giorni, erano incorporate ad un vitello, unico figlio della più onesta delle vacche? - Te lo ripeto: tutti perfidi e spietati!... Dio!... l'uomo bianco!... il coltello!... dove fuggo?...

Sperongiallo a Nasella
17 dicembre.
.....La tua lettera mi trova.... spirante. Ti scrivo col sangue.... Mi unisco a te nell'imprecare alla ipocrisia ed alla ferocia degli uomini.... Iddio ci vendicherà.... Ci rivedremo nella patria degli eletti, laddove tutti, uomini e bestie, diverremo ragionevoli e buoni.... per mancanza di appetito. Ti consoli il pensiero che io muoio grasso come i tenori dell'opera, e posso al pari di questi cantare nell'agonia:
Nasella... io t'amo.... io t'amo...
E ti precedo in ciel!
Ti dedico il mio ultimo si.... ben.... molle....
......Ah!!!...

Fido a Diana
28 dicembre.
«Perdona se ieri non son venuto a trovarti. Sai bene; al Natale, in casa Tencalli, tutti imbestialiscono più del solito. Non dubito che tu avrai passata la festa cristianamente. Qui ce ne siam dati da crepare. Da me solo ho dovuto smaltirmi le ossa di due paperi e quelle di Nasella per giunta. Micione, il gatto di casa, che gli altri anni mi aiutava col suo buon stomaco alla cremazione degli scheletri, questa volta.... fu egli stesso cremato da alcuni buontemponi, i quali, in difetto di pollame, lo mangiarono in guazzetto. Ringraziamo Dio d'aver dato alle nostre carni un sapore ripugnante al palato degli uomini; ove ciò non fosse, questi signori sarebbero ben capaci di divorarci anche noi, che siamo, come essi affermano colle parole e cogli scritti, i loro migliori amici.»
FIDO

 
 
 

Natale 2022

Post n°4566 pubblicato il 24 Dicembre 2022 da valerio.sampieri
 

Natale 2022

Prima d'annà, me piace abbraccià tutti,
ciò voja, veramente, d'esse bono,
de fà de la bontà mia a tutti un dono,
a tutti, siino belli o siino brutti.

Penzieri mii cattivi, l'ho distrutti,
drento de me, ce sta solo perdono.
Io sto ar settimo celo, puro ar nono,
de la bontà raccojerò li frutti.

Natale ispira amore e tenerezza,
nun ce sò lupi, c'è la fratellanza
e er core è pieno de tanta dorcezza.

Pe' 'gni persona che nun cià disdoro
ce stanno doni e dorci pe' la panza:
sia un bon Natale, dai, cantamo in coro!

Ce stanno puro loro:
Te prego, Gesù, tu portaje cacca
a tutti li gran fiji de bardracca!

Valerio Sampieri
23 dicembre 2022

 
 
 

E sò 72

Post n°4565 pubblicato il 13 Dicembre 2022 da valerio.sampieri
 

E sò 72

Che dichi? Sarà l'urtimo quest'anno?
Vorebbe dì de no, nu' lo sai quanto,
ce spererebbe... e nun ce credo tanto:
o giorni o mesi, un po' ce ne staranno.

Intanto, famo 'n antro compreanno,
speranno che nun serva l'ojo santo
(è brutto lassà dietr'a sé rimpianto)
e moje e fiji se divertiranno.

Faremo cena co' li nipotini...
ma ch'hai capito? Mica pe' magnalli!
Magnano assiem'a noi 'sti regazzini!

Er tredici dicemmre famo festa,
co' brinnisi, canzoni e senza balli:
me vojo godé er tempo che me resta.

Valerio Sampieri
12 dicembre 2022

 
 
 

La borbottona

Post n°4564 pubblicato il 26 Ottobre 2022 da valerio.sampieri
 

La borbottona

Furono già non è molto tempo due giovani, maschio e femmina, i quali s'amavano affettuosamente, e parea loro di non poter vivere l'uno senza l'altro. Di che patteggiando onestamente divennero marito e moglie. Ne' primi giorni ogni cosa fu pace e amore: ma come si fa che gli uomini e le donne tengono sempre nascosta qualche cosellina quando sono innamorati, che si manifesta poi con la pratica del matrimonio, il quale fa conoscere le magagne dell'una parte e dall'altra, avvenne che la donna, la quale bellissima era, si scoperse di tal condizione che d'ogni leggera cosetta borbottava sempre, e avea una lingua serpentina che toccava le midolle. Amavala il marito con tutto l'animo; ma dal lato suo essendo piuttosto collerico, ora si divorava dentro, e talora gli uscivano di bocca cose che gli dispiaceva d'averle dette.
Per liberarsi in parte dell'affanno, incominciò a darsi al bere, e uscito di casa con le compagnie degli amici, n'andava qua e colà, e assaggiando varie qualità di vini, ritornava la sera a casa con due occhiacci, che parea una civetta, e a pena potea favellare. Immagini ognuno la grata accoglienza che gli facea la moglie; la quale non sì tosto sentiva la chiave voltarsi nella serratura, che andata in capo della Scala col gozzo di villanie ripieno, lasciava andare un'ondata d'ingiurie che lo coprivano da capo a' piedi.
Egli mezzo assordato, e strano pel vino che avea in testa, le diceva altrettanto con una favella mezza mozza; e poi si metteva a dormire. Finalmente andò tanto innanzi la faccenda, che poco si vedeano più, perché il marito stava da sé solo anche la notte, e talvolta anche più non veniva a casa, ma dormiva alla taverna.
La donna disperata di quest'ultima vendetta, andò ad una buona femmina che facea professione di bacchettona, e le chiese consiglio. Questa, per abbreviarla, le diede una cert'ampolla d'acqua limpidissima, ch'ella dicea d'avere avuta da un pellegrino venuto d'oltremare, di grandissima virtù, e le disse che quando il marito suo venisse a casa, se l'empiesse incontanente la bocca, e si guardasse molto bene d'inghiottirla o sputarla fuori, ma la tenesse ben salda; e tale sperienza facesse più volte, e poi le rendesse conto della riuscita. La donna presa l'ampolla, e ringraziatala cordialmente se n'andò a casa sua, e attendeva il marito per far prova della mirabile acqua che a lei era stata data. Ed ecco che il marito picchia, ed ella empiutasi la bocca va ad aprire. Sale il marito, mezzo timoroso dell'usata canzone, e si maraviglia di trovarla cheta com'olio; dice due parole, ed ella niente. Il marito le domanda, che è ed ella gli fa atti cortesi e buon occhio, e zitto. Il marito si rallegra; ella dice fra sé: ecco l'effetto dell'acqua; e si consola. La pace fu fatta. Durò l'acqua più dì, e sempre vi fu un'armonia che pareano due colombe. Il marito non usciva di casa, tutto era consolazione. Ma venuta meno l'acqua dell'ampolla, eccoti di nuovo in campo la zuffa. La donna ricorre alla bacchettona di nuovo: e quella dice: oimè, rotto è il vaso, dove tenea l'acqua! Che s'ha a fare? risponde l'altra. Tenete, risponde la bacchettona, la bocca come se voi aveste l'acqua dentro, e vedrete che vi riuscirà a quel medesimo.
Non so se la novella sia al proposito; ma fate sperienza. Ogni sorta d'acqua credo che vaglia, e sentite che anche senza acqua si può fare il segreto.

Gasparo Gozzi

 
 
 

Quarantadu' anni

Post n°4563 pubblicato il 15 Settembre 2022 da valerio.sampieri
 

Quarantadu' anni

Gesù, Patrì, te rènni conto l'anni?
Quarant'e dua, ammazza si sò tanti!
Li festeggiamo insieme a tutti quanti...
però nun se po' fà che spenni e spanni!

L'avemo fatti insieme un po' de danni,
davero, l'ho da dì, nun ce sò santi,
ma nun ce resta né astio, né rimpianti:
nun dimo gnente, abbasta nu' m'accanni.

Perché te scrivo mo? Stamo a settemmre
e er nostro anniversario è assai lontano:
ce sò più de tre mesi pe' dicemmre.

Nu' scrivo pe' paura che me scordo:
che io ciarivo vivo è un po' un arcano,
te faccio sapé, mò, che m'aricordo!

Me dichi che sò 'n tordo?
Famo finta ch'ho detto 'na scemenza,
intanto gòdo de la tua presenza.

Note:
Tit.: 27 dicembre 2022, anniversario di matrimonio.
v.4: spenni e spanni; spendi e spandi.
v.8: abbasta nu' m'accanni, basta che non mi lasci.
v.15: tordo; ingenuo, sempliciotto.

Valerio Sampieri
15 settembre 2022

 
 
 

Le Filippiche

Post n°4562 pubblicato il 21 Giugno 2022 da valerio.sampieri
 

Secondo voi, leggendo il brano riportato qui sotto, è cambiato qualcosa negli ultimi 400 anni?
"E fino a che segno sopporteremo noi, o prencipi e cavalieri italiani, di essere non dirò dominati, ma calpestati dall'alterigia e dal fasto de' popoli stranieri, che, imbarbariti da costumi affricani e moreschi, hanno la cortesia per viltá? Parlo ai prencipi ed ai cavalieri; ché ben so io che la plebe, vile di nascimento e di spirito, ha morto il senso a qualsivoglia pungente stimolo di valore e di onore, né solleva il pensiero piú alto, che a pascersi giorno per giorno, senza aver cura se mena la vita a stento, come gli animali senza ragione, nati per faticare. Ma negli animi nobili non credo che sieno ancora svaniti affatto quelli spiriti generosi, che giá dominorno il mondo, benché i nostri nemici gli abbiano con gli artifici loro quasi tutti infettati di non meno empi che servili pensieri; empi e servili, dico: imperoché l'accettar promesse di previsioni e croci e titoli vani, per dovere ad arbitrio loro impugnar l'armi contra la propria nazione, non si può scusar d'empietá; né sono cotesti, segni o fregi d'onore; ma vili premi di servitú patteggiata.
Tutte l'altre nazioni, quante n'ha il mondo, non hanno cosa piú cara della lor patria, scordandosi l'odio e l'inimicizie che regnano fra loro, per unirsi a difenderla contro gl'insulti stranieri; anzi i cani, i lupi, i leoni dell'istessa contrada, del medesimo bosco, della foresta medesima, si congiungono insieme per la difesa comune; e noi soli italiani, diversi da tutti gli altri uomini, da tutti gli altri animali, abbandoniamo il vicino, abbandoniamo l'amico, abbandoniamo la patria, per unirci con gli stranieri nemici nostri! Fatale infelicità d'Italia, che dopo aver perduto l'imperio, abbiamo parimenti perduto il viver politico; e senza riguardo di legge umana o divina, abbiamo in costume di abbandonare i nostri e aderire all'armi straniere per seguitar la fortuna del piú potente; sì che se il Turco medesimo passasse (che Dio nol voglia) in Italia armato, in cambio di unirci tutti contra di lui, ci troverebbe in gran parte seguaci suoi. Cosí è cresciuta la viltá e la dappocaggine in noi, che siamo piú avidi di soggettarci, che non sono i nemici nostri di riceverne in soggezione; e ci rallegriamo d'essere comandati da coloro, che giá solevano gloriarsi d'essere nostri vassalli.
Io non favello a quelli infelici popoli o prencipi, i quali col mal governo loro furno giá i primi a tirarsi addosso questa ruina; imperoché il lor male giá si è convertito in natura; e sono sforzati, quando anco ciò non fosse, di accomodarsi al tempo; ma parlo a' sani e incontaminati dalla superba tirannide, che tutti biasimano e tutti adorano, chi per timore, chi per ambizione, chi per avarizia, e corrono a truppe nell'esercito regio per venturieri, non s'accorgendo i miseri, che tanto le minacce quanto le promesse, che di lá vengono, sono larve notturne che spariscono al tocco".

Alessandro Tassoni (Modena, 28 settembre 1565 - Modena, 25 aprile 1635)
Da: Le Filippiche (1614). Incipit della Filippica Prima.

 

 
 
 

Pitigrilli

Post n°4561 pubblicato il 10 Giugno 2022 da valerio.sampieri
 

Trascrivo alcune definizioni ed aforismi (mo faccio l'istruito e li chiamo "apoftegmi")) di Dino Segre, scrittore noto con lo pseudonimo di Pitigrilli (1893-1975)
"Non capisco niente di politica. Qualche volta leggo l'articolo di fondo del mio giornale per sapere come la pensa il mio direttore, e quindi quale deve essere la mia sincera e spontanea convinzione politica."
"Augelli: un genere di uccelli conosciuto solo dai poeti, che non mangiano, non bevono, non cacano, e cantano tutto il giorno e la notte."
"Etilismo: crisi di etilismo si chiamano le sbornie dei ricchi."
"Menopausa: periodo di follia nella donna, che in certi casi conduce al manicomio il marito."
"Riconoscenza: sentimento di colui il quale ha ancora qualche cosa da chiedere."
"Sciolto: al maschile si dice dei versi non legati da rima (versi sciolti), e al femminile è sinonimo di diarrea, ma la differenza è minima."
"Signore a tariffa fissa (cocottes) e a tariffa variabile (donne oneste)."
"La miglior vendetta contro le donne che vogliono farsi credere virtuose è credere senz'altro alla loro virtù."
"I letterati hanno orrore delle ripetizioni come le signore considerano degradante indossare due volte di seguito lo stesso vestito."
"Prefazione: quella cosa che l'autore scrive dopo, l'editore pubblica prima, e il lettore non legge né prima né dopo."
"Ermetici: nome che danno a se stessi certi poeti i cui libri rimangono ermeticamente chiusi perché nessuno li compera, e se qualcuno li compera si guarda bene dall'aprirli."
"La medicina è l'arte di accompagnare con parole greche all'estrema dimora."
"Una volta era la terra a coprire gli errori dei medici e ora sono gli errori dei medici a coprire tutta la terra."
"Gentleman: un signore che sa quando la moglie compie gli anni, ma ignora quanti ne compia."
"Le pretese opinioni della moltitudine si riducono alla voluttà di gridare abbasso, di gridare evviva, di gridare qualche cosa, di gridare."

 
 
 

Donna, che tanto al mio bel Sol piacesti

Post n°4560 pubblicato il 25 Febbraio 2022 da valerio.sampieri
 

Il volume "Scelta di sonetti con varie critiche osservazioni", di Teobaldo Ceva (G. Gnoato, 1822) riporta a pag. 251 un sonetto di Faustina Maratti Zappi, corredato da un commento che ritengo interessante trascrivere. L'avvocato Giambattista Felice Zappi, marito di Faustina, donna molto bella anche per gli attuali canoni estetici, non fu certo celebre per la sua fedeltà alla moglie, la cui vita fu alquanto travagliata soprattutto per la morte di un figlio in tenerissima età. Faustina Maratti Zappi (Roma, 1679-1745) è giustamente considerata una delle principali poetesse italiane dei secoli passati

Donna, che tanto al mio bel Sol piacesti,
Ch'ancor de'pregi tuoi parla sovente,
Lodando ora il bel crine, ora il ridente
Tuo labbro ed ora i saggi detti onesti;

Dimmi, quando le Voci a lui volgesti,
Tacque egli mai com'uom che nulla sente,
O le turbate luci alteramente,
Come a me volge, a te volger vedesti?

De'tuoi bei lumi alle due chiare faci
Io so ch'egli arse un tempo, e so che allora ...
Ma tu declini al suol gli occhi vivaci.

Veggo il rossor che le tue guance infiora,
Parla, rispondi; ah non risponder, taci,
Taci, se mi vuoi dir, ch'ei t'ama ancora.

Un poco di gelosia fa all'amor maritale, come altri disse, ciò che un moderato vento alla fiamma, che la fa crescere e l'avvalora quando pare che l'affatichi. Eccone la prova in questo Sonetto, nel quale a perfezione s'imita il costume d'una donna gelosa. La reticenza della prima Terzina che cosa non dice? Quel tumulto d'affetti, che s'osserva nella seconda, dà a tutto il componimento una mirabil vernice, che il fa spiccare fra i belli. I quattro che sieguono possono andar del pari ai più vaghi epigrammi ch' abbiano i Greci e i Latini. I fatti ci sono vivamente descritti, i concetti sono giusti, e spirano novità e maraviglia; ma questa novità e maraviglia d'altronde lor non proviene, che dall'essersi l'Autrice ben internata a considerare le qualità de' soggetti, gli aggiunti, le circostanze, le quali cose ben pensate diedero poscia alla sua fantasia la libertà di pensare e di raziocinare con tanto fondamento e vivezza, e la daranno senza dubbio a chiunque ancora a somiglianti materia vorrà dar mano, e sopra d'essa concettizzar.

 
 
 

Cecco Angiolieri

Post n°4559 pubblicato il 06 Gennaio 2022 da valerio.sampieri
 

Malgrado esistano almeno una trentina di pubblicazioni che riguardano Cecco Angiolieri, mi sembra che ancora non sia stata scritta una parola definitiva sul personaggio, la cui opera poetica è stata, per la prima volta nel 1904, pubblicata integralmente (almeno tale era il giudizio dell'autore) da Aldo Massera, il quale nel giro di un paio d'anni, aggiornò "il corpus Angiolieri", portandolo a ben 150 sonetti, molti dei quali erano in realtà attribuibili -e sono stati attribuiti in seguito- ad altri autori. Ad oggi la consistenza del corpus, malgrado siano stati nel frattempo svolti altri lavori sul tema, è fermo alla stima, operata da Gigi Cavalli (Cecco Angiolieri, Rime, a cura di Gigi Cavalli, Milano, Rizzoli, 1959; nuova edizione nel 1979) e da Antonio Lanza (Cecco Angiolieri, Le rime, a cura di Antonio Lanza, Roma, Archivio Guido Izzi, 1990), in 129 componimenti, dei quali soltanto 108 sembrano sicuramente attribuibili a Cecco Angiolieri, la cui figura personale sembra attualmente essere valutata in maniera migliore, rispetto ai "primordi".
Una sintesi della figura del Poeta è stata delineata da Silvia Chessa nei seguenti termini:
"Cecco di Angioliero Angiolieri e di monna Lisa Salimbeni, entrambi nell'ordine dei «Milites Beatae Virginis Mariae», nacque a Siena probabilmente nel 1260. La famiglia, nobile, guelfa e iscritta all'arte del cambio possedeva una casa nel popolo di S. Cristofano del terzo di Camollia. Il D'Ancona incorse in un'errata identificazione - per l'omonimia con un Cecco Angiolieri cortonese, marito di Uguccia Casali, ancora vivo nel 1329 - risolta e corretta poi dal Mancini. La lunga lista dei figli comprende Meo, Deo, Angelerio, Arbolina e Simone, nominati nel documento del 25 febbraio 1313 (rifiuto dell'eredità paterna), cui va aggiunta Tessa, all'epoca già emancipata. Cecco fu oggetto di alcune multe: per assenza durante l'assedio di Turri di Maremma (1280-1281) e al processo per il ferimento di Dino di Bernardino da Monteluco (1291); per violazione del coprifuoco (cfr. Applauso Cecco) e in occasione della vendita di una vigna (1302). Sulla questione del suo esilio vedi Applauso Cecco. Forse, nella guerra del 1288-1289 in cui Senesi e Fiorentini combatterono contro Arezzo, conobbe Dante.".
Ben diversa era l'opinione di Domenico Giuliotti, il quale nel 1914 si espresse in termini ben più duri (e con tale citazione terminerò il post, scusandomi per l'eccessiva lunghezza):
"Nato in Siena, intorno al 1258, morì Cecco Angiolieri, probabilmente, dopo il primo decennio del Trecento. Suo padre, Angioliero, fu ricco, avaro, bacchettone e, per disgrazia del figlio, come questi confessa, longevo. Sua madre, una monna Lisa de' Salimbeni, non dissimile dal marito, parve rispetto a Cecco più che madre matrigna. L'uno a denari lo «tenne magro»; l'altra l'odiò fino al delitto.
Un giorno, per aver chiesto al padre un fiasco di vino stretto, ricevè sulla faccia, dal vecchio imbestialito, uno sputo; altra volta, credendolo addormentato, tentò la madre, con le proprie mani, di soffocarlo; un'altra volta ancora, essendo ammalato, gli porse, per medicina, veleno. Ma son perfidie che racconta Cecco, e può mentire. Quel che è certo, è che il figlio era l'opposto de' genitori: quindi liti.
Amò questa buona lana le taverne, i postriboli, il giuoco, la gente equivoca e, perdutamente, i denari per farne sperpero. Ma denari, vivi i genitori, ebbe sproporzionatissimi al bisogno. Di qui umor nero, bassa disperazione, odio; e se, verseggiando, la «malinconia» ebbe sempre a fianco; più che «Ninfa Gentile» pindemontiana fu, questa romantica musa, in compagnia di tal drudo, bagascia.
Anche trescò Cecco, lungamente, in onta al padre, con una plebea di Fonte Branda che, da uccellatrice saputa, secondo il caso, lo zimbellò o lo respinse. Ebbe per amici giuocatori, pederasti, falsari, ubriaconi e ladri; uno di questi (il Fortarrigo, di cui narra il Boccaccio) gli rubò i denari con tutti i panni e lo lasciò beffato e bastonato, di là da Buonconvento, in aperta campagna, in camicia. Soldato, armi ed armatura, all'assedio di Turri, in Maremma, si giuocò e perdè. Due volte fa multato: L'una «pro sua absentia» dall'esercito, l'altra per ischiamazzi notturni; e d'un suo bando da Siena, per non si sa qual bricconata, parlò egli stesso, in un sonetto, dall'esilio, a un amico.
Amò per giunta, nonchè le donne, carnalmente gli uomini; sposò, in ultimo, sembra, per forza, una femmina vecchia, brutta, litigiosa, avara e tutta impataccata di belletti; s'accapigliò, in versi, con la propria miseria, col padre, con la madre, con la moglie, con Mino Zeppa (baciapile e ladro) con l'amicone e poi nemico Ciampolino, con varii senesi che mise in ridicolo e perfino (com'è noto) con Dante Alighieri che insultò bassamente.
In ultimo, carico di figliuoli, parve metter giudizio e si diè a commerciare in cuoiami. Ma la morte, invocata mezzo per burla quand'era pazzo, l'agguantò, allora da savio, e lo scaraventò, cinquantenne, nell'altro mondo.
Ecco l'uomo.
Artista, Cecco Angiolieri è l'unico legno torto della letteratura italiana.
Circondatelo di tutti i rimatori provenzaleggianti, guittoniani e del Dolce Stil Nuovo e vi farà l'effetto d'un troncaccio d'albero nodoso fra tanti regoli piallati. Confrontatelo, poniamo, con Pieraccio Tedaldi, il solo del gruppo borghese che gli s'accosti, e v'accorgerete d'averlo ingiustamente offeso col mettergli accanto una scimmia. Rileggetevi tutti i burleschi, da Rustico di Filippo al Berni e dal Berni al Guadaguoli e vi convincerete che il figlio dello «'ncoiato» non assomiglia a nessuno.
Negli altri, fra l'uomo e l'artista, c'è, più o meno avvertibile, uno spazio vuoto; in lui l'uomo e l'artista son tutt'uno. Negli altri troveremo motivi ripetuti, buffoneria studiata, ingegnoso artifizio e, sopratutto, patina letteraria che la briosità popolaresca attutisce ed ingrigia. Ma Cecco Angiolieri, moralmente dalla Natura male impastato, non si vela né si maschera: è lui. Forse non sa nennneno d'essere artista e ignora che il grillo della poesia lo salverà dall'oblio. Se lo sapesse, lui, l'epicureo volgare senza un soldo, scimmiotterebbe probabilmente i poeti aristocratici della scuola del Guinizelli e sarebbe freddo, pesante, falso, impacciato e ridicolo corne un villano in una reggia. Invece -in mezzo a un popolo cresciuto, dopo Montaperti, rapidamente in potenza politica e in floridezza economica, e tutto variegato di misticismo e di sensualismo, e sempre pronto alle risse e agli amori, alle processioni e lile gozzoviglie e vano, secondo Dante, e leggermente pazzo, di generazione in generazione, fino ad oggi, secondo la voce comune- Cecco Angiolieri, dalle vie, dalle piazze, da' postriboli e dalle taverne, aggirandosi e mescolandosi tra la gioventù più scapestrata e la più bassa plebaglia, assimila, senza saperlo, tutte le vivacità, le volgarità, le malizie, i traslati, gli scorci e le brutalità del vernacolo e (costringendo questo, senza violentarlo, nella forma chiusa del sonetto) ci racconta tutto se stesso, ne' suoi odii, ne' suoi amori, nelle sue miserie e nelle sue turpezze, come nessun uomo, con pari noncuranza del proprio pudore e con altrettanta incosciente sincerità, fece mai.
Ecco perché, corne artista, dopo seicento anni, è ancor fresco e, come uomo, sebben tristo e fangoso, più che repugnare, diverte.".

 
 
 

Er presepio (dal vero)

Post n°4558 pubblicato il 14 Dicembre 2021 da valerio.sampieri
 

Er presepio (dal vero)

- Hai presente er vellutello, eh, Natalina?
- Lo porta doppo Nino co la tera.
- 'Mbe' 'ntanto pija un po' quela vaccina
mettela propio i' mmezzo, e fa in magnera

de nun coprì' quell'antra regazzina...
- Varda si 'sta funtana pare vera!!
- E st'antro qua che pporta 'na gallina?
- S'è rotto er cresce-e-cala a la raggera.

- Ce vonno armeno armeno du' somari.
- Ma cce dev'esse puro un pastorello
co du' frocelle... e quattro bbiferari.

- Metti quella che ffila ppiù llontano.
- Mannaggia!! Me so persa er bambinello??
- Ma nu' lo vedi che lo tiengo in mano??!!

Trilussa (1871-1950)
Il giovanissimo Trilussa ha scritto il sonetto prima del 1889, nel corso delle sue collaborazioni con il giornale il "Rugantino".

 
 
 
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