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La civiltà contemporanea va morendo. Eutanasia infantile

Post n°6 pubblicato il 24 Aprile 2014 da Veritatis1973

 

In Belgio è stata approvata la legge che chiede il "consenso" ai bambini di ogni età per l'eutanasia.

Una scelta che viene da lontano, come spiega l'articolo.


 

La civiltà contemporanea va morendo. Era malata da tempo.

 

Il 13 febbraio 2014 il Parlamento belga approva la legge sull’eutanasia infantile. Il Belgio è così il primo Paese al mondo a eliminare ogni limite di età per l’accesso alla “dolce morte” (in Olanda è fissato a 12 anni). La procedura riguarda ogni minore che «si trovi in una situazione medica senza uscita, in uno stato di sofferenza fisica costante e insopportabile», il quale, con il consenso dei genitori e di uno psicologo, presenti domanda di eutanasia. Anche un bambino - è proprio il caso di dire - può arrivare a comprendere l’orrore che si cela dietro questo falso pietismo. In questa sede ci limitiamo a porre una sola, agghiacciante domanda: considerato che oggi le cure palliative rendono praticamente impossibile uno «stato di sofferenza fisica costante e insopportabile», e che un bambino non dispone neanche lontanamente dei mezzi necessari per comprendere la reale portata di una simile decisione, a vantaggio di chi è stata pensata questa legge, dei figli o dei genitori?

Questo nuovo, inquietante atto contro la vita, la responsabilità e la solidarietà, non può essere considerato isolatamente, ma va interpretato come tappa ulteriore di un percorso culturale che ha radici profonde. La civiltà contemporanea è in fin di vita perché logorata dal “pensiero debole” di una cultura che si dichiara incapace di conoscere la verità sull’uomo e che, pertanto, spiana la strada alla legge della giungla e alla prepotenza del più forte. Oggi questa tracotanza è al culmine e si rivela massimamente nel campo della bioetica, dove si avanza a grandi falcate verso la dissoluzione del concetto stesso di “persona”, il che, in un periodo in cui si fa un gran parlare di diritti “umani”, è a dir poco paradossale.

L’intellighenzia mondiale è ancora convinta della possibilità di violare l’essere umano “a compartimenti stagni”, entro certi limiti, fissando arbitrariamente i paletti per stabilire fin dove è lecito calpestare la vita. «Si serve l’uomo nella sua totalità o non lo si serve per nulla», scriveva Albert Camus a proposito della sete di bellezza che alberga nel cuore di ciascuno e del fatto che l’uomo non si riduce al proprio ventre; e queste parole, estese alla bioetica, restano altrettanto vere. Rinunciare alla “totalità” dell’umano produce disastri perché fa dipendere la personalità non da ciò che si è ma da ciò che si fa, portando inevitabilmente a misurare la dignità della vita in funzione della sua qualità e/o efficienza. Così facendo è l’arbitrio del più forte a determinare quali soggetti debbano essere qualificati come “persone” meritevoli della solidarietà collettiva, e quindi della protezione dello Stato, e quali siano da relegare allo status di semplici “individui” liberamente manipolabili. E passiamo a dimostrarlo.

Evitando prevedibili riferimenti alla politica della Germania nazista, si può partire dal pensiero eugenetico di Margaret Sanger che, tra l’altro, aiuta a vedere quale ideologia si erge dietro l’attenzione contemporanea per il controllo delle nascite. La Sanger, infatti, ha contribuito a fondare nel 1952 quello che oggi è il punto di riferimento mondiale delle principali organizzazioni abortiste e antinataliste, l’International Planned Parenthood Federation (Federazione internazionale per la pianificazione familiare) di cui è stata presidente fino al ’59. Per giustificare il controllo delle nascite come programma sociale, nel 1922 Margaret Sanger scrive un vero e proprio manifesto di cultura eugenetica, The pivot of civilization (Il cardine della civiltà), dove spiega che «la questione in gioco è opporre un fattore qualitativo a uno quantitativo, e introduce le due categorie di cui si servirà per tutto lo svolgimento dell’opera: i “fit” e gli “unfit”, cioè i forti, gli adatti, e i deboli, o inadatti». Il suo sogno è quello di costruire una civiltà composta da un’unica, grande, efficientissima «razza di geni» dove non vi sia posto per i «deboli di mente».

C’è poi chi, in tempi più recenti, ha affrontato la medesima questione da un diverso angolo visuale: «La rivista New Scientist nel 1992 ha pubblicato un articolo di Donald Gould intitolato Death by Decree, letteralmente Morte per decreto. Gould, tenuto conto che il numero dei vecchi aumenta, che essi sono un costo - si pensi alle pensioni - che abbisognano più di ogni altra categoria di ricoveri ospedalieri e di assistenza familiare, propone questa soluzione: la legge stabilisca un limite massimo di durata della vita. […] Lo Stato - suggerisce nei dettagli - convochi l’anziano arrivato al settantacinquesimo anno in appositi centri per sottoporlo all’eutanasia. La legge però deve contemplare alcune eccezioni: i Lords, gli scienziati, i vescovi, i sindacalisti, e i capitani d’industria a riposo devono essere esentati. Perché? Così facendo si faciliterebbe l’approvazione della legge - spiega Gould - e si premierebbero ambizione e successo, cioè fattori dai quali dipende la prosperità della nazione».

Per continuare nella dimostrazione di quanto sia valida, in questa materia, la teoria del piano inclinato, possiamo fare un ultimo esempio citando l’ormai famoso articolo pubblicato sul sito web del Journal of Medical Ethics il 27 febbraio 2012, dal titolo After-birth abortion: why should the baby live? (Aborto post-natale: perché il neonato dovrebbe vivere?), a firma di Alberto Giubilini e Francesca Minerva, ricercatori presso l’Università di Melbourne e allievi, non a caso, di Peter Singer, il “bioeticista” che si batte per i diritti degli animali e poi teorizza l’infanticidio. Nell’articolo si legge che «quando dopo la nascita si verificano le stesse circostanze che giustificano l’aborto prima della nascita, quello che chiamiamo aborto post-natale debba essere consentito. A dispetto dell’ossimoro dell’espressione, proponiamo di chiamare questa pratica “aborto post-natale”, anziché “infanticidio” per evidenziare che lo stato morale dell’individuo ucciso è paragonabile a quello di un feto (su cui gli “aborti” nel senso tradizionale del termine sono normalmente effettuati) più che a quello di un bambino».

Sorvoliamo pure sulla proposta “linguistica”, che è il classico tentativo di sterilizzare il linguaggio al fine di desensibilizzare le coscienze; e osserviamo che i due sostenitori dell’infanticidio legale seguono un percorso logico del tutto coerente con le premesse da cui partono. Se è consentito l’aborto nei confronti dell’essere umano nella fase di vita prenatale, non si vede perché debba essere vietata la soppressione del neonato nel primo periodo di vita post-natale, giacché lo «stato morale» è sostanzialmente identico. Cosa s’intende per stato morale è presto detto: una condizione di vita non autonoma in cui le “funzioni superiori”, ossia le facoltà intellettive, non sono in atto ma solo in potenza. Dunque la potenzialità delle facoltà corrisponde alla potenzialità dell’essere umano nella sua interezza; sono gli accidenti che informano la sostanza; e, in definitiva, è la qualità della vita a decidere della vita stessa. Ecco un limpido esempio di pensiero che scinde “individuo” e “persona”, per cui la piena dignità dell’essere umano non è data dalla sua natura, da ciò che è, ma dalle sue capacità, da ciò che può fare. Inutile aggiungere che questa concezione può estendersi a qualunque altra condizione di vita che, pur essendo pienamente sviluppata, presenta le medesime caratteristiche; insomma il ragionamento si applica bene a ogni tipo di «unfit», per usare la definizione di Margaret Sanger.

Gli esempi riportati mostrano come sia possibile, e addirittura logico, una volta fatto cadere il principio di intangibilità della persona dal concepimento alla morte naturale, teorizzare l’annientamento dell’essere umano quando non risponde più ai criteri di utilità sociale e non è in grado di gestire autonomamente le dinamiche relazionali. A ben vedere questa visione del mondo tradisce una concezione “superomistica” dell’essere umano che è quanto di più lontano dalla realtà possa esistere: l’uomo, come ogni essere contingente, non ha in sé la propria ragion d’essere e pertanto è destinato a vivere una vita contrassegnata dal limite, dall’inizio alla fine. Secondo la prospettiva delineata, invece, il limite dev’essere superato; ogni ostacolo alla piena realizzazione di sé va eliminato, si tratti di un figlio non voluto, di un anziano da accudire o di un malato da curare. E lo Stato avrebbe il compito di garantire questi “servizi”. In fondo l’unico essere umano che piace a questo tipo di cultura è quello al massimo delle sue capacità, indipendente, che contribuisce al benessere collettivo senza costituire un peso per la società. Insomma un essere umano che non esiste ma che si cerca utopicamente di costruire mediante un processo di graduale abbattimento dei propri limiti. Eppure, lungi dal rappresentare un’esaltazione dell’uomo, questa concezione lo svilisce privandolo della sua vera dignità che non sta nell’efficienza ma nell’essenza, perché seguendo il percorso logico che parte dalla separazione tra individuo e persona si arriva a fare di chi “persona” non è ancora (secondo l’arbitrio del più forte) o non si considera più (secondo criteri di efficienza), nient’altro che una cosa.

Nel 1947 il filosofo Romano Guardini scriveva: «Ogni violazione della persona, specialmente quando s’effettua sotto l’egida della legge, prepara lo Stato totalitario. Rifiutare questo e approvare quella non denota chiarezza di pensiero né coscienza morale vigile».

 

BIBLIOGRAFIA

 

R. Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia 2005

M. Palmaro, Ma questo è un uomo. Indagine storica, politica, etica, giuridica sul concepito, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.

E. Roccella - L. Scaraffia, Contro il cristianesimo. L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia, Piemme, Casale Monferrato 2005.

Vincenzo Gubitosi

16 febbraio 2014

Fonte: http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/254/la-civilt%C3%A0-contemporanea-va-morendo-era-malata-da-tempo.html

 
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