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VIVERE E MORIRE AI TEMPI DEL LAVORO CHE MANCA. STRUMENTI DI CONOSCENZA E PREVENZIONE

Post n°140 pubblicato il 11 Maggio 2013 da cpeinfo

VIVERE E MORIRE AI TEMPI DEL LAVORO CHE MANCA. STRUMENTI DI CONOSCENZA E PREVENZIONE

 

Lavoratore indefesso, uomo tranquillo. Iniziano troppo spesso così le descrizioni di coloro che, improvvisamente, imbracciano un’arma e uccidono: un carabiniere, un impiegato della Regione, un qualsiasi funzionario. Oppure scelgono con altrettanta fredda determinazione  di chiamarsi fuori dalla vita.  I casi di suicidio legati alla perdita del lavoro costituiscono un ‘emergenza crescente, testimoniata dalla ricerca dell’Osservatorio della Salute che stima in un trenta per centro l’incremento di suicidi causati dalla crisi economica.  Uno dei motivi va ricercato nel fatto che  l‘attuale ‘società liquida’ attribuisce al lavoro una valenza diversa rispetto al passato: non più un mero strumento di sostentamento economico o riscatto sociale in un mondo ben strutturato e capace di sostenere l’uomo in tutti i passaggi della vita, quanto uno dei  pochi punti di tenuta in un legame sociale che è andato allentandosi nel corso di  poche generazioni. Il lavoro sovente sopperisce a legami familiari che si sono indeboliti, fornisce un’identificazione in un tempo divenuto fucina di precarietà. Nel luogo di lavoro si ripongono aspirazioni altrove negate per mancanza di meritocrazia, si ristrutturano rapporti affettivi venuti meno nei nuclei familiari o nei luoghi di  aggregazione tradizionali.E' stata molto commentata la notizia dell’arrivo in Italia della ‘Valigia rossa’, un sistema di vendita porta a porta di oggetti per il ‘miglioramento’ della sessualità femminile, emanazione locale della più ampia rete ‘La MaletaRoja’.
I commenti a tale notizia davano per scontato che si trattasse di strumenti finalizzati ad un rinvigorimento della sessualità di coppia. Tuttavia, se leggiamo bene le dichiarazioni delle venditrici del 'tupperware del sesso', nonchè le voci delle partecipanti alle riunioni, scopriamo che si tratta dell'esaltazione di una sessualità 'senza'. Senza il patner, senza l’altro. Senza coinvolgimento che non sia di tipo meccanico. La funzionalità sessuale come traguardo slegata dall’ingaggio del gioco amoroso.Riunioni ‘blindate’, fatte da donne per sole donne col rigoroso divieto di accesso all'uomo. Queste vendite a domicilio, spacciate per ‘convention’ dedicate all’armonia del rapporti di coppia, nascondono in realtà la cifra che accomuna gran parte dei cosiddetti ‘ nuovi sintomi’; l’interruzione del rapporto con l’Altro. Privato in tal modo della posizione di referente finale del 'grido' espresso con ll sintomo.Questa sessualità autocefala non cerca la parola e fa a meno del patner, cosi' come le ‘nuove dipendenze’come è in voga chiamarle ( gioco d'azzardo, internet, et similia) sono sofferenze che non domandano, chiuse, come il criceto nella ruota, in un circuito di godimento ed esclusione dal legame sociale. Un legame per tanti troppo angosciante da sostenere.Dunque il divorzio dall'Altro nella clinica contemporanea non è solo appannaggio delle depressioni maggiori o delle anoressie psicotiche, ma anche di queste zone blindate, autoreferenti, immerse in una gaudenza totale, e per questo assai difficili da trattare. La ‘sessualità senza’ de ‘La valigia Rossa’ è un affluente minore del grande fiume delle relazioni sessuali virtuali ( chat line, messaggerie erotiche, etc.). Zone deserte dove si interagisce non con l’altro fatto di carne e voce, ma con la sua proiezione digitale. Queste forme di provvisorietà dell’essere, precipitosamante etichettate come manifestazioni sintomatiche, si inseriscono bene nel panorama contemporaneo descritto da Zygmunt Bauman caratterizzato da un 'individualismo (…) povero, dove prevalgono l'interesse egoistico, l'incertezza e l'ansia del fallimento. L'esistenza contemporanea è all'insegna del consumo: lo shopping compulsivo è il rituale attraverso il quale tentiamo di esorcizzare le nostre paure.‘.L’isolamento attuale non è dunque la poetica solitudine cercata, e nemmeno il tempo dell’introspezione feconda, ma una gaudenza dell’isolamento asfittico. Non è riflusso esistenziale, ma scelta intrattabile di chiamarsi entro le mura.Nel mutamento dell’ordine simbolico conseguente al declino dell’Altro, la vacatio delle categorie tradizionali che ne consegue, ha determinato il tentativo pervicace di altre entità di occupare quel posto, ergendosi a organizzazioni  capaci di regolare suapte manu il legame sociale. Il Dsm ne è un esempio, creatore ed ordinatore delle stesse, nelle quali si compiace, piuttosto che un database di quel che c’è .Il referente finale delle nuove patologie che il Dsm sta per sfornare, è il DSM stesso, generatore e grande sponsor di queste neo etichette, utili a mantenere il suo regno, che da loro forma e dignità di esistenza ( ‘c’è scritto, quindi ne soffro’) senza restituirne una eco, un messaggio di ritorno. Le solitudini contemporanee ( che è dunque azzardato e pretenzioso etichettare come ‘patologie’) sono contraddistinte primariamente da una disabitudine alla parola, al saperci fare con l’inconscio, si vestono di queste etichette facilmente reperibili per poter finalmente non avere più nulla a che fare con l’Altro. Siamo ben lontani dunque dal ‘voler armonizzare il rapporto di coppia’. Per questo motivo paiono del tutto fuori luogo e mal centrate le ruffiane campagne socio-politiche tese ad individuare ( per rimuoverlo ) nel medium la causa della malattia: le rete come causa della dipendenza da internet, le slot machine causa della ‘dipendenza da gioco d’azzardo’. Le birrerie e le vinerie come causa dell’alcolismo. Individuare nel terminale ( il computer, la tv, la pornografia, la moka ) la causa della malattia, favorisce campagne semplicistiche e facilone, pensate per convincere che esista una strada di ‘guarigione’ che possa fare a meno della parola. In un panorama come questo il posto di lavoro diventa dunque un ambiente nel quale ricreare quelle relazioni che la modernità ha progressivamente eliminato, venendo meno i momenti di convivialità comune, sempre più relegati nel privato, quando non a mondi virtuali virtuali e privi di contatto fisico.  L'individuo scopre una solitudine nuova  perché mai provata in un mondo di identificazioni progressive e posticce, costretto a percorrere da adulto un deserto formativo mai conosciuto in una adolescenza iper tecnologica e colma di oggetti gadget utili a tamponare qualsiasi interrogazione o domanda esistenziale . Consumatore-oggetto di consumo, è costretto a chiedere aiuto a enti che non considerano la sua situazione di marginalità, ma soltanto la sua solvibilità economica.  Per molti il lavoro è drammticamante ‘tutto’,  funzione segregante e totipotente che ha assorbe e fagocita i tanti investimenti affettivi che rendono l’uomo un essere che vive con l’Altro.
IL LAVORO CHE FA UCCIDERE

 Il lavoro è anche un formidabile punto di tenuta per soggetti con strutture psicotiche e borderline, le quali perdendo di colpo il punto di equilibrio, vedono  scatenarsi fantasmi persecutori che armano le loro mani sino a passaggi all’atto violenti, colpendo negli ignari dipendenti di una istituzione quell’Altro colpevole di avergli strappato il tappeto da sotto i piedi lasciandoli cadere nel vuoto.La Paranoia è un meccanismo psicologico, che si può trovare sia nella nevrosi che nella psicosi. Nel primo caso parliamo di stile paranoico, atteggiamento sospettoso, diffidente, tendenza a pensare che qualcuno trami alle nostre spalle. Perdita di senso di segnali che vanno tutti nella stessa direzione. La caratteristica di persone e gruppi di tal fatta è l’aggressività, la chiusura, l’autoreclusione dentro a luoghi dal quale lanciare invettive, colpire, attaccare il bersaglio eletto a causa dei pericoli percepiti come da lui provenienti. Il nemico diviene la ragione di vita di questo tipo di personalità la quale, priva di avversari, è a rischio scompenso La psicosi paranoica  deflagra nel momento in cui vengono meno gli ammortizzatori che sino a quel momento avevano tenuto la situazione sotto controllo. Nei casi di soggetti  con spiccate tendenze paranoiche e tendenza al passaggio all'atto, perdere il lavoro significa lo scioglimento della colla che teneva assieme una personalità fragile, il che sovente slatentizza la psicosi sottostante, armando parti di personalità che sfuggono  al controllo portando ad atti violenti sino a quel momento sopiti. L’obiettivo di quell’uomo erano i ‘politici’, oggetto di odio, la ‘casta’ nella sua interezza, colpita cercando di ucciderne alcuni componenti. Obbiettivo mancato e quindi spostato sulle forze dell’ordine.  Un Altro da annientare falcidiando simbolicamente alcuni dei suoi appartenenti. Colpire l'altro per abbattere l'Altro. Come abbattere una dipendente della regione per colpire la Regione.  La crisi passa come una lama indistinte e toglie quel lavoro – identità che sigilla il vaso di pandora del disagio personale,  facendo così deflagrare strutture siffatte. Per costoro, più che per altri, il lavoro è cura, medicamento. Colla capace di tenere unita una personalità altrimenti destinata a scindersi, liberando nuclei malati portatori di certezze a senso unico , armati di volontà di eliminare chiunque sia ritenuto colpevole della propria condizione di solitudine e caduta. Per questo le istituzioni e la politica non hanno solo il compito di salvaguardare il lavoro,come bene comune, ma dovrebbero anche incaricarsi di appurare, con strumenti clinici,  le possibili conseguenze che la sua privazione cieca, indiscriminata e brutale può avere su soggetti più fragili. La politica deve avere il coraggio di chiedere aiuto alla clinica per meglio gestire il legame sociale. La sola prevenzione possibile non la si fa con campagne di medicalizzazzione di massa, o additando un gruppo politico come ispiratore delle azioni violente. La vera prevenzione la si fa con la cura del legame sociale. Il legislatore ha davanti a se due strade. Da un lato può accodarsi al senso comune, che vuole un pazzo squilibrato al quale addossare la summa delle colpe, quasi come un capro che soffia e sbuffa in solitudine davanti al palazzo del potere che custodisce il saggio . Oppure può prendersi la briga di costruire un apparato recettivo dotato di strumenti utili a capire a chi si toglie il lavoro, sostituendo una mannaia brutale e generalizzata con una politica dell'uno per uno. Forse è il tempo di ripensare ai licenziamenti usati in maniera brutale, indistinta e cruda ad alzo zero verso la 'massa'. Ai contratti che precarizzano intere generazioni. Quel tappeto che si strappa ha valenze diverse, appunto, uno per uno. Nondimeno si deve evitare ll facile e ruffiano clichè dell'uomo impazzito perchè dedito al gioco d'azzardo. L'uomo che ha sparato ai carabinieri era si dipendente dalle slot machine. Ma proveniva da un legame sociale sfilacciato, da un deserto affettivo fatto da due matrimoni naufragati. Per lui , forse, come per tanti, il gioco compulsivo come l'eroina o l'alcool sono il diabolico ultimo estremo rimedio curativo all'angoscia di vivere. Sono uno dei tanti rimedi, una delle tante mescole di gomma  provate per tenersi ancora in piedi. Ma non mancheranno, vedrete, soloni con il dito alzato che da domani sentenzieranno: la colpa è del gioco d'azzardo. Delle slot machine. Vietiamolo.

IL LAVORO CHE UCCIDE

La melanconia è uno stato dell'animo che predispone ai passaggi all'atto di tipo suicidario. Il depresso sotto soglia, colui che vive la vita sempre con  un sospiro di insoddisfazione, è naturalmente più esposto ai rischi di crisi. La melanconia può giungere a livelli così profondi da indurre il soggetto che ne è avvolto a chiamarsi fuori scena, spesso in modo subitaneo, lasciando sorpresi amici e parenti. Anche quando la situazione non pareva irrisolvibile. Ci si chiama fuori quando l'azienda tracolla, quando il proprio  posto di lavoro sfuma. Ma anche quando uno scossone fa barcollare le sicurezze.
Il melanconico patisce un antico fuori scena.
Si tratta di una condizione di esclusione  ab inizio, un fuori squadra come dato costitutivo. Nella triangolazione  edipica, il melanconico non è stato introdotto, non ha trovato forti mani   che ne hanno circoscritto  e protetto il posto. Egli  occupa così  una posizione permanente di oggetto suscettibile di caduta non tanto perchè più vulnerabile a certi eventi della vita, ma come condizione originaria. Una  provvisorietà radicale, delle fondamenta poco profonde.
Questa è la condizione che tanti melanconici cercano  di neutralizzare nel corso della vita. Si tratta dunque di una ricerca di posto, di un confezionamento  di un abito artigianale che implica maggior fatica, perchè fronteggia una sorta di precarità radicale, innata. L'obiettivo di questa stabilizzazzione dell'essere, è quello di scongiurare la ricaduta nella originaria posizione di cosa, di oggetto eliminabile.
La crisi ammazza.
La fanno finita per primi i più deboli, e questa non è certo una novità. Per primi si lasciano cadere quelli che  sono già predisposti strutturalmente. Nel momento in cui il legame si sfilaccia (e per il melanconico grave basta dunque un accenno di cedimento, non dotato strutturalmente come, che so, un ossessivo),  egli è irrimediabilmente risucchiato verso una posizione primigenia. In molti casi l’uscita di scena è subitanea e richiama il passaggio all’atto (il lasciarsi cadere, niedderkommen) di cui parla Jacques Lacan.  La falcidie colpisce dunque più chi vive la questione del divenire oggetto più sulla pelle della propria storia, sulla carrozzeria della propria struttura.  ‘Il lasciarsi cadere è essenziale a qualsiasi  improvvisa messa in rapporto del soggetto con ciò che esso è in quanto oggetto a’ (J. Lacan, Seminario X). Per lui dunque la situazione economica attuale, dove tutti siamo oggetti, è più pericolosa e letale, in quanto mette in luce e spoglia una condizione più fragile, elevandola a sistema. Individui che si trovano a battagliare per scongiurare  l’essere ridotti a oggetto,  in un contemporaneo che lavora per ridurre tutti a quello stato. Pezzi di ricambio.
E dire che negli anni ottanta, qualcuno ne andava anche fiero! Il capitalismo  che viene direttamente dagli anni ottanta, ha contribuito non poco a degradare l’individuo a cosa, a oggetto.
Era un vanto, e per alcuni lo è tutt’ora, essere alfieri di un libero mercato senza regole nel quale ‘ti devi scordare il posto fisso, ciascuno deve essere pronto a cambiare svariati lavori o mansioni nel corso della sua vita’.
Bell’affare. Oggetti, appunto.
Che bastione difendono costoro! ‘Senza regole, liberissimo mercato, che sennò sei ‘comunista!.Oggetti semi pensanti senza l’assistenza sanitaria, che è una roba da parassiti. Abbiamo assistito alla negazione della soggettività come traguardo ultimo. Un annientamento della specificità visto come traguardo radioso, un trionfo dell’Eurasia e del Socing predetta da Orwell percorrendo però  la pista del capitalismo.
Cellule totipotenti, neutre, buone per raccattare  frutta, intessere paglia o portare le pizze. Il soggetto viene di colpo privato del suo desiderio (cosa altro è un percorso di studi in filosofia, in architettura o anni di pratica presso un falegname se non la costruzione di un rivolo del proprio desiderio?) per diventare oggetto buono per ogni mansione. Oggetto cosa, oggetto trasportabile e sostituibile.

CLINICA E POLITICA

  Le istituzioni e le strutture sociali deputate alla prevenzione, non hanno che da utilizzare gli strumenti clinici in maniera preventiva.
 Siamo ben lontani dall'intervento ex post, ad omicidio o suicidio avvenuto.
La politica deve ricorrere alla clinica per affinare i propri mezzi di indagine. Questo significa investire in formazione, fornire agli operatori una conoscenza nuova, diversa dai soliti schemi usati dal dsm.
Poco importa infatti se ex post è possibile diagnosticare una psicosi paranoica o una melanconia grave in casi di suicido, o passaggio all'atto.
E a poco serve fornire numeri verdi se da quella parte , oltre a umana disponibilità, non c'è una conoscenza dlel clinica differenziale.
La formazione passa per istituire, nelle realtà amministrative, nelle aziende, nelle imprese, una formazione mirata utile a saper riconoscere chi si ha davanti
Il tempo de licenziamenti indiscriminati e della mannaia della delocalizazzione deve lasciare il passo a una modalità uno per uno, che sappia riconoscere la fragilità di un uomo al quale si sta per comunicare che sta perdendo il lavoro. I cosidetti 'benefici economici' legati allo snellimento del personale, o a u credito non erogato, si traducono in pesantissime conseguenze per la comunità, in termini di vite e di cadute personali, se tutti vengono trattai in maniera indistinta. Conoscere i fondamentali della clinica differenziale, saper intrattenere un dialogo con soggetti fragili. Dotarli di strumenti per notare cenni di strutture paranoiche , questa è la formazione che si dovrebbe fornire agli operatori socio economici.

Maurizio M

 
 
 
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