Creato da VELENOnelleVENE il 21/09/2007

PUNTO. E A CAPO

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MOTOCICLETTA

Post n°106 pubblicato il 01 Ottobre 2011 da VELENOnelleVENE

Il ragazzo in moto mandato a recuperarmi percorre la via a senso unico lentamente. Gli han detto di cercare una bionda con uno zaino nero. Mi trova. Mi presento e, levato il casco, lui fa altrettanto. Vagamente impostato nel suo giubbotto di pelle nero. Ha grandi occhi chiari di cui non capisco precisamente il colore per la dilatazione delle pupille sotto la luce artificiale di un lampione. Ha un viso leggermente paffuto e dai lineamenti regolari, di quelli che fanno sembrare ventenne anche un ultratrentenne. Ma lui ha veramente vent’anni. Vent’uno per la precisione.

“Se vuoi ho un altro casco” mi dice indicandomi il bauletto. No lascia stare tanto saranno cinquecento metri no?!” replico mentre cerco un appiglio per arrampicarmi sulla sua moto. Ha una di quelle moto da strada classiche. Non come l’Aprilia da gara di mio cugino insomma. È completamente nera e somiglia molto al Bandit di Matteo a parte il bauletto. Ma non faccio caso alla marca. Mentre cerco le pedane posteriori su cui puntare i piedi penso che sono passati tre anni buoni da quella volta che Matte mi aveva scarrozzato per Marina con la sua. Era stato vagamente divertente in quanto era la prima volta che salivo su una moto. Ma a ripensarci non riesco ancora a dimenticare il senso di mortificazione che accompagnò tutto quel giro. Una persona che non sia mai salita in moto dietro a qualcuno non si aspetta che alla prima frenata la sua testa, di cui ha perduto conoscenza dei confini e del peso a causa del casco, capoccerà contro quella del pilota rumorosamente e fastidiosamente per quest’ultimo. È dunque fondamentale fare buon uso degli addominali nel momento della decelerazione per mantenere una stazione eretta e distante dal guidatore. Deve essere un po’ come andare a cavallo credo. Anche se questa mi manca. Mi ci volle un po’ dunque per assimilare questo semplice concetto. Matte guidò tutto il tempo con la prudenza con cui si guiderebbe un pulmino per disabili. Leggermente disturbato anche dal fatto che non lo seguissi comodamente nelle curve. Probabilmente l’appoggio tipico delle ragazze innamorate, una mano a far presa sulla maniglia posteriore della moto, l’altra sul torace del proprio uomo, non era dei più favorevoli tra l’altro. Ma ci arrivo solo ora.Aggrappati pure dove vuoi!” mi accomoda il mio giovane amico. Afferro la sua spalla con una mano mentre cerco le maniglie e già questo contatto con un estraneo mi procura un lieve disagio. “Qua sotto ci sono le maniglie se vuoi tenerti lì” mi suggerisce. E certo che lo voglio grazie. Mi attacco e sono pronta per partire. Dobbiamo farci anche un centinaio di metri in contromano. Siamo belli che da ritiro della patente se ci vedono i caccia. Ma sono solo cinquecento metri per arrivare dove dobbiamo arrivare. E però tenermi con entrambe le mani alle maniglie posteriori mi aiuta a star dritta. Non mi sbilancio neanche un po’ nelle frenate e sono più sciolta nel seguire le curve. Averlo saputo prima. Vabbè che il giro in moto con Matte non ebbe mai più repliche. Circostanza che trovai ulteriormente mortificante. Ma del resto tutta quella vacanza la ricordo tale. A cominciare dalla scelta del luogo. Lui avrebbe voluto andare in un qualche posto di mare al sud. Ma mia zia mi aveva fatto il lavaggio del cervello come era solita fare, convincendomi a restare da queste parti perché mio padre era in lista d’attesa per essere operato. L’attesa sarebbe stata al massimo di due mesi. E due mesi furono in effetti. Per cui essendo stato iscritto ai primi di agosto finì sotto i ferri ai primi di ottobre. “Quindi avremmo anche potuto andare da qualche altra parte?” non tralasciò di farmi notare Matte a ferie concluse. Ed io mi sentii avvilita ed arrabbiata per essermi lasciata ancora una volta manovrare da mia zia. Poi la mia scarsa attitudine ai fornelli. “Come farai a trovarti un uomo se non sai cucinare?” era un altro dei cavalli di battaglia di mia zia. “Starò da sola!” chiudevo sempre il discorso senza possibilità di replica. Ma per quanto sia assurdo pensare una cosa del genere nel ventunesimo secolo una recondita – ma neanche poi molto – parte del mio cervello è tutt’ora convinta che a far scappare Matte pochi mesi più tardi fu la faccenda dell’olio bruciato. Avevamo affittato un bungalow nel campeggio davanti al Sottomarino. Una sera pensammo di cucinare delle cotolette. Misi su l’olio a scaldare mentre ancora stavo impanando le cotolette, operazione che mi richiese più del previsto e dunque l’olio fece in tempo a surriscaldarsi con il disagio di un fumo unto e pestilenziale e l'allora mio compagno dovette provvedere a smaltirlo.

Stasera tutti questi cattivi pensieri tornano a galla mentre percorro questi cazzo di cinquecento metri per dove devo arrivare sulla moto di questo adorabile marmocchio che sembra uscito da una serie tv americana di Disney Channel. E però adesso so come si sta in moto. Resto ben appiccicata indietro. E mentre scendo una volta arrivata dove devo arrivare, penso che questo weekend potrei anche fare qualcosa di buono da mangiare. Magari una torta di mele da portare al lavoro.

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