Creato da acliterni il 25/04/2008
Diario delle ACLI provinciali di Terni
 

 

UN CATTOLICO A MODO SUO

Post n°8 pubblicato il 02 Settembre 2008 da acliterni
 
Foto di acliterni

Le ACLI di Terni presentano l'ultima opera di Pietro Scoppola, storico recentemente scomparso che ha dedicato tutta la sua sapienza allo studio della coscienza religiosa moderna, della democrazia contemporanea e dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa.

L'appuntamento è per mercoledì 24 settembre alle ore 17,30, presso il Salone del Museo Diocesano di Terni. La relazione sarà tenuta da Domenico Rosati, già Presidente Nazionale delle ACLI.

 
 
 

Osservatorio della stampa

Post n°7 pubblicato il 11 Giugno 2008 da acliterni
 

Pubblichiamo un interessante editoriale di Franco Garelli pubblicato su "La Stampa" di domenica 8 giugno.

Mali sociali, debole voce dei vescovi

FRANCO GARELLI

Perché oggi la Chiesa insiste molto sui temi eticamente sensibili mentre sembra trascurare le questioni sociali? Come mai tanti interventi su vita, famiglia, bioetica, e poca riflessione sulle tensioni del vivere pubblico, come immigrazione, presenza di stranieri, multiculturalismo? Perché sui temi di etica della vita è attenta anche alle soluzioni legislative, mentre non fa altrettanto sui problemi sociali emergenti? Interrogativi come questi risultano attuali anche di fronte alle recenti prese di posizione della Chiesa italiana e del Vaticano sulla questione migratoria, con l’invito a non creare ghetti intollerabili, ad aprirsi ad altre culture, a dar vita ad un patto di cittadinanza che chiarisca diritti e doveri, a governare un fenomeno che è globale e non solo italiano. Tuttavia, nonostante questi spunti, le questioni sociali emergenti sembrano carenti di una riflessione alta degli uomini di Chiesa, attenta non solo alla governabilità delle situazioni, ma capace di introdurre nel dibattito pubblico orizzonti di senso più ampio; anche tesa a vagliare la portata antropologica ed etica di provvedimenti legislativi in atto, come il reato di immigrazione clandestina o l’aumento di pena per i reati commessi dagli stranieri.

I vescovi, in altri termini, sembrano cauti sui temi sociali più cruciali, mentre si espongono senza timore sulle questioni più care ai cattolici, come la vita, la famiglia, e da ultimo la sfida educativa. Rientra in questo atteggiamento prudente la dichiarazione rilasciata giorni fa a La Stampa dal vescovo di una grande diocesi del Nord sul problema dei clandestini: «Non è compito dei Vescovi pronunciarsi su tutto. Sui temi etici lo possiamo fare, ma sulle questioni sociali dobbiamo rispettare l’autonomia». Nel caso in questione, tali parole non indicano il disimpegno di questa figura religiosa dai temi sociali. Quanto piuttosto l’attuale difficoltà della Chiesa e dei vescovi di affrontare una questione sociale complessa (come la presenza straniera nel Paese) su cui si sta creando una spaccatura non soltanto nella più ampia società, ma anche nella comunità credente e tra i cattolici più impegnati.

In molte diocesi del Nord Italia la pratica del silenzio e la difficoltà di parola sembrano avere il sopravvento sulla capacità della Chiesa di assumere una posizione profetica anche su una questione oggi così spinosa per l’opinione pubblica. Non si tratta, ovviamente, di indulgere verso chi delinque, o di ostacolare provvedimenti tesi a dare più ordine ad una convivenza difficile. Ma è altrettanto importante non avallare l’immagine dell’immigrato come «straniero» o come nemico o soltanto come «strumento» di lavoro; non alimentare l’idea che vi sia un’umanità di serie A e umanità di serie diverse; evitare che nel rapporto immigrati-autoctoni si usino due pesi e due misure; ricordare a tutti che - in una società che si vuole «moderna» - i diritti alla sicurezza debbono comporsi con l’attenzione a quanti sono privi di diritti.

Anche nel passato i temi sociali sono stati oggetto di tensioni sia nella società sia dentro gli ambienti ecclesiali. Tuttavia i rischi di divisioni e di lacerazioni non hanno impedito a molti uomini di Chiesa di pronunciarsi anche in modo controcorrente su questioni rilevanti per la coscienza pubblica. E ciò in linea con i principi di fondo di quella Dottrina sociale della Chiesa, che testimonia l’apporto del pensiero cristiano ai problemi sociali cruciali di ogni epoca storica.

Si pensi alla «scelta preferenziale dei poveri» proposta dal cardinale Pellegrino all’inizio dei complicati Anni 70 dello scorso secolo. O ai lungimiranti discorsi a Sant’Ambrogio del cardinal Martini quando era alla guida della Diocesi di Milano, che hanno toccato i temi «Noi e l’Islam: dall’accoglienza al dialogo» (1990), «l’impegno dei cristiani nel terreno della politica», «terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace» (2001). O ancora, alla forte riflessione che ha sempre accompagnato l’impegno sociale di Papa Wojtyla, che a più riprese si è proposto come difensore dei popoli più poveri della Terra, ha inviato anatemi contro i mafiosi, si è battuto contro le guerre innescate dai potenti del mondo. Nella fedeltà a questa tradizione della Chiesa, il pensiero cristiano è chiamato a dire una parola di «verità» anche sulla controversa questione della presenza straniera nella nostra società; non per alimentare il disordine, ma per «mettere ordine» nei valori di riferimento e per richiamare tutti alla necessità di tenere unite sicurezza e solidarietà, legalità e carità.

 
 
 

Le ACLI di Terni sottoscrivono la "Lettera aperta al mondo del Terzo Settore"

Post n°6 pubblicato il 09 Giugno 2008 da acliterni
 

Tra i promotori dell’iniziativa figurano parecchie, qualificate, organizzazioni del terzo settore e del volontariato italiani: Casa della Carità, CNCA, CeAS, CGM, la rivista “Vita”, ACLI, Alea, Antigone, ERIT, FeDerSerD, FICT, FISH, Forum Droghe, LILA, Lunaria, MOVI. Ma sono numerose le organizzazioni di rilevanza locale e le persone che hanno già sottoscritto l’appello da cui ha preso avvio la raccolta delleadesioni. 

Gli aderenti all’iniziativa ritengono che non sia più rinviabile un riconoscimento pieno, da parte della politica e degli altri attori sociali, della soggettività politica del terzo settore e del volontariato e della funzione pubblica da essi svolta; inoltre, chiedono con forza che la questione sociale sia assunta da tutti come “la questione” più importante che ha di fronte il Paese.

L’iniziativa, infatti, nasce anche dall’insoddisfazione che le organizzazioni sociali provano nei confronti del mondo politico e delle istituzioni, dal rischio che le organizzazioni civiche siano chiamate solo a svolgere compiti di controllo sociale e non valorizzate per il proprio patrimonio di valori e di competenze e che la tutela dei diritti e la risposta ai bisogni sociali rimangano ai margini dei programmi politici e dell’azione di governo. 

Il Cantiere vuole appunto cambiare questo stato di cose attraverso un vasto coinvolgimento di persone e organizzazioni.

Il 19 giugno è previsto un “convegno costituente” dal titolo Cantiere per un nuovo welfare, senza inclusione non c’è sicurezza in cui, sulla base delle riflessioni e delle proposte pervenute, verrà presentata una vera e propria piattaforma sul welfare.  

IL TESTO DELLA LETTERA

Lettera Aperta al mondo del terzo settore

Cantiere per un patto costituente di un nuovo Welfare

Desideriamo dare un segnale forte e insieme coraggioso a una politica che rischia, ancora di più oggi, di non comprendere e valorizzare chi nella società civile, sui territori si spende quotidianamente per promuovere coesione sociale, prossimità vere e sta dalla parte di chi non ce la fa o fatica ad essere riconosciuto nei suoi diritti di cittadinanza. In questi anni sono cresciute tante esperienze di accoglienza, di contrasto alla povertà, di cura della vita anche là dove le tante dipendenze segnano la vita di giovani.

Siamo stati sulle strade a cercare di interrompere le tante schiavitù, soprattutto di donne e di minori; abbiamo promosso comunità di accoglienza, valorizzazione delle famiglie reali, cultura di affido, valorizzazione della presenza di immigrati, sperimentazioni innovative di ospitalità; abbiamo affrontato il degrado urbano stando in mezzo alle favelas anche per ridare opportunità di vera serenità e sicurezza ai cittadini.

Abbiamo rifiutato la visione assistenzialistica e pietistica, abbiamo preso le distanze da una visione buonista, ci siamo formati sul campo, siamo diventati imprenditori sociali, abbiamo coniugato tanti saperi nella crescita competente delle risposte.

Non ci sentiamo di essere collocati nel “libro dei testimoni” o di quelli che suppliscono all’inefficienza di un sistema, o ne gestiscono parti come semplici esecutori. Abbiamo e vogliamo continuare a consolidare diritti, e promuovere responsabilità sociali.

Molti di noi hanno portato avanti un’intransigente difesa della legalità, combattendo ogni giorno criminalità, mafia. Siamo stati al fianco di tutti i processi di de-istituzionalizzazione per non abbandonare le tante fragilità, per rafforzare legami solidali e di prevenzione, per superare abbandoni, cronicità, stando vicini alle famiglie.

Abbiamo riportato sul territorio un desiderio di solidarietà, di cura dell’ambiente, un desiderio di pace e di giustizia che ci ha spinti a mobilitare energie di solidarietà nel mondo intero, nei luoghi più drammatici, attraversati da guerre e calamità. Abbiamo una cultura di pace che è quotidianamente vissuta.

Abbiamo dunque un patrimonio di esperienze associative e imprenditoriali che sono una ricchezza sociale inedita. Abbiamo un patrimonio di saperi a cui dare rappresentanza ed occasione di elaborazione di un pensiero comune, nell’interesse della/e comunità.

Ebbene?

Rischiamo ancora una volta di essere “tagliati fuori”, citati e poi affidati ad altri che dicono di rappresentarci. Chiediamo rispetto e dignità politica come portatori di un interesse verso una scelta politica che porti al centro questa nuova soggettività, che sta in questa società civile cui apparteniamo e che è portatrice di bene comune, di una visione della vita solidale.

Gli interessi dei deboli si difendono vivendo e condividendo questa passione. Gli interessi dei deboli ci appartengono e devono appartenere a noi tutti.

Tanti sono gli obiettivi per un nuovo welfare di opportunità che investa l’economia, i processi formativi, il senso di un’etica pubblica che ha bisogno di donne e uomini che hanno una storia di coerenza nelle biografie personali.

Vogliamo riconquistare un vero protagonismo. Certo molte delle nostre esperienze esprimono legittime pluralità di orientamenti, ma tutte chiedono e desiderano non solo di rivolgersi alla politica ma di esserne protagonisti.

Sì, siamo preoccupati e anche, a volte, indignati per come questo patrimonio di esperienza, questa professionalità di donne e uomini che lavorano e vivono nel sociale non viene considerata.

Intendiamo far sì che le nostre esperienze, che sono espresse in tutto il Paese, parlino davvero. Anche le candidature alle ultime elezioni, il modo con il quale si sono formate le liste rivelano una mancanza di considerazione di ciò che esprimiamo e delle competenze acquisite.

È in scena un modo di pensare e fare la politica che non ci appartiene e che non corrisponde all’idea di bene comune che guida il nostro operare di organizzazioni che sentono di svolgere una funzione pubblica. Non possiamo far sì che i principi della giustizia sociale, della legalità, della lotta alle povertà, della pace, della tutela dei beni ambientali non diventino prioritari e promotori di scelte politiche e orientamenti concreti. Per questo vogliamo avviare un grande luogo di discussione, raccogliere istanze, dare un segnale forte della maturità delle nostre esperienze che sono una straordinaria risorsa che può e deve esprimersi ed essere riconosciuta. Vogliamo esprimere autonomamente la nostra soggettività politica.

Sei azioni per sei temi chiave

Globalizzazione: un mondo a misura di ogni uomo

La globalizzazione sta rimodellando la vita economica, sociale e culturale dell’intero pianeta. Capitali, merci e persone sono ormai inseriti in flussi che collegano i punti più diversi del globo, modificando assetti e forme di vita, uniformando valori e immaginari.

La politica stenta a governare questo processo di trasformazione epocale.

Non casualmente, gli anni in cui si afferma la globalizzazione sono segnati dall’aumento delle disuguaglianze economiche e dalla incapacità di raggiungere quegli obiettivi di riduzione della povertà che la comunità internazionale si è data.

Dinanzi a questi processi occorre riaffermare il diritto a una vita dignitosa per tutti gli esseri umani del pianeta, ridefinire e rafforzare il ruolo della politica proprio nella sua capacità di orientare i processi economici per il benessere comune, elaborare un modello di sviluppo che sappia confrontarsi finalmente con il limite, rinunciando al mito della crescita a ogni costo, ribadire che “la terra è di tutti” così come altri essenziali beni comuni che non riguardano solo le risorse materiali, ma anche quelle della conoscenza.

In tale contesto anche la cosiddetta “cooperazione allo sviluppo” va radicalmente ripensata sia nelle risorse messe in campo - l’Italia non ha mai stanziato lo 0,7 del Pil come pure aveva promesso in sede internazionale - sia nell’approccio, slegandola quanto più è possibile dagli interessi del nostro Paese e delle imprese italiane e collegandola, invece, ai bisogni reali delle comunità locali, attraverso interventi co-progettati e co-gestiti.

Guerra e pace: vengo a te come colomba

In una situazione mondiale profondamente segnata da squilibri di ogni sorta - prodotti dalla lotta per l’accaparramento delle risorse disponibili, in primo luogo energetiche e minerarie, dalle gravissime disuguaglianze e dai conflitti di natura etnica e religiosa - il ricorso alla forza rischia di diventare permanente: è lo scenario della “guerra infinita”.

Oggi più che mai, allora, occorre agire per la pace, intesa non come mera aspirazione dell’animo, ma come continua e intelligente azione di prevenzione e gestione dei conflitti globali.

Un impegno che deve riorientare anche le risorse messe in campo per le esigenze della “difesa”: la nonviolenza, l’interposizione non armata, le diverse forme di mediazione e di “diplomazia popolare” sono strumenti tutt’altro che utopici, ma che richiedono urgentemente sperimentazioni larghe e convinte.

Un progetto per la pace, quindi, che dovrebbe avere un segno ben diverso dalle presunte “missioni umanitarie” che, piuttosto, difendono gli interessi di pochi - siano essi gruppi o imprese o Paesi.

Giustizia: i marginali più pericolosi delle mafie?

La globalizzazione ha portato con sé anche nuove opportunità per soggetti criminali o che si muovono in aree più o meno illegali. Dal riciclaggio di denaro sporco alla tratta delle persone, le mafie di ogni parte del mondo hanno compreso in fretta quali nuove possibilità si andavano profilando. In tale processo le organizzazioni mafiose di casa nostra si sono rivelate intraprendenti ed efficienti, capaci di offrire servizi nuovi persino ad altri gruppi criminali e di espandersi in ogni parte del pianeta.

La pervasività, la capacità di integrarsi in strutture e con soggetti legali, la disponibilità di ingenti capitali fanno di queste organizzazioni dei letali nemici della democrazia e dell’ordinato sviluppo dei processi politici, economici e sociali.

Una situazione che, nel nostro Paese, è aggravata da un insufficiente senso dell’etica pubblica e della legalità, condizioni necessarie per assicurare benessere e godimento di diritti - non di “favori” - a tutti i cittadini.

È verso questi fenomeni di macro-criminalità e illegalità - tra cui va segnalato in particolare l’abnorme livello dell’evasione fiscale - che vanno indirizzate risorse e attenzioni, invece di propagandare e agire approcci esclusivamente repressivi indirizzati soprattutto verso le figure più deboli, siano esse tossicodipendenti, prostitute, immigrati clandestini, semplici mendicanti.

La parola “sicurezza” - e il cosiddetto “giusto diritto alla sicurezza” - stanno, infatti, diventando nel nostro Paese, e in tutto l’Occidente, il pilastro su cui costruire fortezze, barriere, divisioni, repressioni che alla lunga rischiano di penalizzare non solo i più marginali, ma la stessa democrazia.

Povertà: più servizi alla persona, reddito di cittadinanza e lotta alla precarietà.

La questione sociale è “la” questione più importante che ha di fronte il nostro Paese.

Una questione che va compresa nei termini dei diritti e delle responsabilità. Diritti che vanno tutelati e resi esigibili per tutti, responsabilità che vanno condivise ed effettivamente agite da tutti.

Diritti che restano in gran parte disattesi, anche per quelle persone che vivono le situazioni più dure. È urgente, per loro come per tutti i cittadini, definire i Livelli essenziali di assistenza, il pacchetto di diritti e servizi che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale. Promuovendo le capacità e la responsabilizzazione delle persone e delle istituzioni, invece dell’assistenzialismo e di rinnovati intenti di istituzionalizzazione.

Anche per questo, occorre riequilibrare le risorse destinate ai trasferimenti monetari rispetto agli interventi di cura e accompagnamento delle persone, davvero troppo penalizzati, così come vanno accresciuti gli stanziamenti per gli invalidi, la maternità, l’infanzia e la famiglia, i giovani, la disoccupazione, il disagio sociale e le marginalità più gravi.

A tal fine appare ormai improcrastinabile il varo anche nel nostro Paese di una misura specifica contro la povertà - il reddito di cittadinanza - che permetta alle persone maggiormente in difficoltà di definire un nuovo progetto di vita.

Allo stesso tempo, è necessario ridurre gli elementi di precarietà della vita che colpiscono molti lavoratori soprattutto nel settore dei servizi. Specie per le nuove generazioni, la flessibilità si trasforma troppo spesso in permanente insicurezza, limitando fortemente la capacità di progettare il futuro, con un danno che non riguarda solo loro stessi ma l’intera società.

Proprio il terzo settore si presenta come un ambito in cui il lavoro è, frequentemente, precario e sottopagato, in alcuni casi per responsabilità dei dirigenti delle organizzazioni, ma più spesso per i meccanismi che regolano il reperimento delle risorse da parte di cooperative sociali e associazioni. Una situazione, dunque, che - come nel caso delle gare al massimo ribasso o dei ritardi nei pagamenti dovuti - chiama in causa lo Stato e gli Enti locali.

Federalismo: più autonomia ma in un Paese solidale.

Siamo consapevoli, a partire dal lavoro che ci impegna ogni giorno nei territori per rispondere ai problemi sociali delle persone e delle comunità, che la dimensione locale è l’ambito chiave per pensare e attuare le politiche.

L’esigenza federalista va sostenuta nella sua capacità di responsabilizzare Enti locali e corpi intermedi, in un quadro di solidarietà tra regioni; va, invece, rifiutata quando nasconde l’intento di disarticolare, de facto, il Paese e di appoggiare spinte egoiste che già in Italia appaiono molto forti.

Occorre realizzare un federalismo solidale, quindi, che dovrebbe essere accompagnato da una complessiva redistribuzione delle risorse anche tra i cittadini e permettere l’accesso a nuovi e più adeguati servizi.

Soggetti svantaggiati: da “marginali” a protagonisti.

Un impegno nuovo e assai più efficace va profuso in favore delle tante persone che vivono particolari condizioni di svantaggio o di difficoltà, quando non di autentica discriminazione.

Nei confronti delle persone immigrate - clandestine, irregolari o in regola che siano - devono essere previste reali occasioni di integrazione e sostegno, quantomeno per i diritti fondamentali. La garanzia dei diritti civili e i percorsi di integrazione sono le condizioni che permettono un reale contrasto alla clandestinità e all’illegalità. È ben noto che i Paesi europei hanno bisogno di un numero consistenti di immigrati per mantenere il proprio tenore di vita (assicurandosi così forza lavoro e contributi pensionistici, ad esempio), ma - più ancora - essi dovrebbero preoccuparsi di sviluppare continue e diffuse azioni di educazione che permettano di conoscere l’Altro e considerarlo come fonte di arricchimento culturale e sociale.

La questione della convivenza tra nazionalità, culture e religioni differenti appare, infatti, un nodo - forse, “il” nodo - cruciale per il futuro delle nostre democrazie, a fronte invece di un investimento economico a dir poco modesto e a una stigmatizzazione sempre più marcata, favorita da un vasto movimento culturale e politico, che trasforma gli immigrati in facili capri espiatori.

Per quanto riguarda le persone che sopportano una sofferenza psichica, proprio nell’anno in cui si celebra il trentennale della legge Basaglia, si registrano da più parti intenzioni regressive.

Occorre, invece, ribadire i principi che ispirarono la legge 180, pur in presenza di una necessaria ridefinizione dei servizi offerti alle persone che vivono situazioni di disagio mentale e alle loro famiglie.

Il crescente numero delle persone senza dimora, e la complessità dei problemi da esse vissuti, evidenzia le tante storture che rendono oggi difficile vivere nella nostra società. La strada sta diventando il ricettacolo in cui cercano scampo non pochi marginali, ma una massa sempre più ampia di persone, italiane e straniere, spesso giovani, che hanno poche risorse economiche ma anche, in molti casi, problemi di alcol e tossicodipendenza.

Una complessità che i pochi e ridotti servizi esistenti non sono in grado di reggere. Occorrono investimenti economici e una riorganizzazione e riqualificazione dei servizi.

Per le persone disabili sono tanti i nodi che andrebbero urgentemente affrontati: le incertezze sui fondi e la loro cronica carenza, la possibilità di accedere a reali opportunità di lavoro, l’integrazione scolastica, l’esigenza del “dopo di noi”.

Anche per queste persone, occorre incentivare protagonismo e autonomia affermando libertà dal rischio di una nuova istituzionalizzazione, che ci porterebbe indietro di quarant’anni.

Le condizioni, infine, in cui si trovano a vivere le persone in carcere stanno di nuovo arrivando a un punto critico, a causa del sovraffollamento perenne degli istituti di pena, ma anche della mancanza di opportunità (istruzione, formazione, casa, accesso alle misure alternative) per ridefinire un nuovo progetto di vita.

Il carcere resta il luogo in cui rinchiudere i più poveri ed emarginati - specie gli immigrati e i tossicodipendenti -, strumento di contenimento sociale e non di riabilitazione e re-inclusione del condannato. Va, invece, riaffermato con forza che i detenuti, pur nell’esigenza di scontare la propria pena, restano cittadini portatori dei diritti fondamentali costituzionalmente sanciti.

Un’attenzione particolare, in tal senso, andrebbe rivolta a quei bambini che sono costretti a crescere in carcere perché la propria madre è detenuta, alla situazione insostenibile degli Ospedali psichiatrici giudiziari e alla condizione dei detenuti tossicodipendenti.

 

 
 
 

La lettera di adesione delle ACLI di Terni al Convegno Diocesano del 14 giugno

Post n°5 pubblicato il 06 Giugno 2008 da acliterni
 
Foto di acliterni

"Una responsabilità comune per il futuro della città"

Pubblichiamo di seguito il testo della lettera di adesione: 

Carissimo Monsignor Paglia,

a nome delle ACLI provinciali di Terni, accolgo con gioia e profonda gratitudine il Suo invito ad una nostra attiva partecipazione al convegno diocesano del 14 giugno.

Nei nostri oltre sessanta anni di vita associativa, abbiamo vissuto dall’interno i processi che hanno indotto evoluzioni, mutamenti e criticità nelle comunità locali nelle quali, guidati da una sincera ispirazione cristiana, abbiamo dato forma alla nostra azione sociale.

Anche a Terni “abitiamo” la comunità cittadina, operando a partire dalla risposta ai bisogni dei cittadini, in particolare dei più deboli, accompagnando ciascuno nel troppo spesso disagevole percorso di esazione dei diritti di cittadinanza: nell’ambito del lavoro e della previdenza, nei rapporti con le istituzioni, nel sostegno e nella promozione di chi vive nel disagio, nella realizzazione dell’abitazione, nella formazione, nel consumo; ma anche nello sport e nel tempo libero, nei percorsi di approfondimento culturale, nelle occasioni di riflessione e discernimento religioso. Le ACLI sono inoltre soggetto promotore e propositivo di processi partecipati nella definizione del welfare municipale e più in generale delle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale, in un rapporto di dialogo e cooperazione con gli altri attori pubblici e del privato sociale. Anche per questo, la nostra associazione è naturale palestra di cittadinanza attiva per tanti nostri soci e dirigenti che, garantendo la continuità dell’esperienza associativa attraverso la trasmissione dei valori e delle competenze, applicano i loro talenti anche nella politica, nel sindacato, nell’impresa, nelle professioni, nell’insegnamento, nelle varie realtà di aggregazione ricreativa, solidale e volontaristica; nelle molteplici forme che nel loro insieme costruiscono la poliedrica articolazione sociale, economica e culturale della nostra città.

I primi di maggio abbiamo concluso a Roma la nostra stagione congressuale, aperta quattro mesi prima con le assemblee dei nostri circoli: il nostro impegno e le nostre energie sono state in quelle sedi rinnovate, nella consapevolezza che, alla costanza dei riferimenti valoriali che ci ispirano, devono corrispondere forme innovative, fedeli ed efficaci di lettura della realtà, per la predisposizione di proposte, azioni ed opere coerenti. Tema dei nostri congressi è stato “MIGRARE DAL NOVECENTO. ABITARE IL PRESENTE. SERVIRE IL FUTURO. LE ACLI NEL XXI SECOLO”. Pensiamo che per noi aclisti ternani il convegno diocesano, considerati il tema e le relazioni che esso saprà virtuosamente dispiegare, rappresenti la migliore occasione per la prima, fondamentale, tappa del percorso associativo che, a partire dai temi congressuali, nei prossimi quattro anni darà forma e sostanza alla vita della nostra associazione. Per questo, con la più ampia partecipazione dei nostri dirigenti, soci ed operatori dei servizi, stiamo sviluppando le riflessioni e gli approfondimenti che plasmeranno il nostro contributo al convegno: consapevoli del ruolo che le Acli di Terni potranno avere nel dovere civico di assumere quelle responsabilità comuni per il futuro della nostra città che consentano il perseguimento del Bene Comune.

Massimo Longarini
Presidente provinciale delle ACLI di Terni

 
 
 

Nuovi incarichi per gli aclisti ternani

Post n°4 pubblicato il 06 Giugno 2008 da acliterni
 

La stagione congressuale appena conclusa ha portato alcuni aclisti ternani ad assumere importanti incarichi in seno agli organi regionali e nazionali dell'associazione.

Durante il 23° Congresso Nazionale di Roma, che ha confermato Andrea Olivero alla guida delle ACLI Nazionali, Flavia Chitarrini è stata eletta nel Consiglio Nazionale. Manila Tellini è stata eletta nel Consiglio Nazionale del Coordinamento Donne, così come l'amica Marta Ginettelli delle ACLI di Perugia. Grande soddisfazione anche per l'elezione di Giancarlo Magrini, ex presidente regionale delle ACLI, in seno al Collegio dei Garanti.

Infine, nel processo di riorganizzazione dei vertici delle imprese sociali del sistema ACLI nazionale, Maurizio Torchio è stato eletto membro del Consiglio di Amministrazione del CAF ACLI.

La prima riunione del nuovo Consiglio Regionale ha registrato l'elezione a Presidente Regionale delle ACLI di Vincenzo Menna: fanno parte della presidenza anche Valfredo Quondamcarlo e Roberto Pettorossi.

Silvia Santarelli è stata eletta Responsabile Regionale del Coordinamento Donne.

 
 
 
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