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Osservatorio della stampa

Post n°7 pubblicato il 11 Giugno 2008 da acliterni
 

Pubblichiamo un interessante editoriale di Franco Garelli pubblicato su "La Stampa" di domenica 8 giugno.

Mali sociali, debole voce dei vescovi

FRANCO GARELLI

Perché oggi la Chiesa insiste molto sui temi eticamente sensibili mentre sembra trascurare le questioni sociali? Come mai tanti interventi su vita, famiglia, bioetica, e poca riflessione sulle tensioni del vivere pubblico, come immigrazione, presenza di stranieri, multiculturalismo? Perché sui temi di etica della vita è attenta anche alle soluzioni legislative, mentre non fa altrettanto sui problemi sociali emergenti? Interrogativi come questi risultano attuali anche di fronte alle recenti prese di posizione della Chiesa italiana e del Vaticano sulla questione migratoria, con l’invito a non creare ghetti intollerabili, ad aprirsi ad altre culture, a dar vita ad un patto di cittadinanza che chiarisca diritti e doveri, a governare un fenomeno che è globale e non solo italiano. Tuttavia, nonostante questi spunti, le questioni sociali emergenti sembrano carenti di una riflessione alta degli uomini di Chiesa, attenta non solo alla governabilità delle situazioni, ma capace di introdurre nel dibattito pubblico orizzonti di senso più ampio; anche tesa a vagliare la portata antropologica ed etica di provvedimenti legislativi in atto, come il reato di immigrazione clandestina o l’aumento di pena per i reati commessi dagli stranieri.

I vescovi, in altri termini, sembrano cauti sui temi sociali più cruciali, mentre si espongono senza timore sulle questioni più care ai cattolici, come la vita, la famiglia, e da ultimo la sfida educativa. Rientra in questo atteggiamento prudente la dichiarazione rilasciata giorni fa a La Stampa dal vescovo di una grande diocesi del Nord sul problema dei clandestini: «Non è compito dei Vescovi pronunciarsi su tutto. Sui temi etici lo possiamo fare, ma sulle questioni sociali dobbiamo rispettare l’autonomia». Nel caso in questione, tali parole non indicano il disimpegno di questa figura religiosa dai temi sociali. Quanto piuttosto l’attuale difficoltà della Chiesa e dei vescovi di affrontare una questione sociale complessa (come la presenza straniera nel Paese) su cui si sta creando una spaccatura non soltanto nella più ampia società, ma anche nella comunità credente e tra i cattolici più impegnati.

In molte diocesi del Nord Italia la pratica del silenzio e la difficoltà di parola sembrano avere il sopravvento sulla capacità della Chiesa di assumere una posizione profetica anche su una questione oggi così spinosa per l’opinione pubblica. Non si tratta, ovviamente, di indulgere verso chi delinque, o di ostacolare provvedimenti tesi a dare più ordine ad una convivenza difficile. Ma è altrettanto importante non avallare l’immagine dell’immigrato come «straniero» o come nemico o soltanto come «strumento» di lavoro; non alimentare l’idea che vi sia un’umanità di serie A e umanità di serie diverse; evitare che nel rapporto immigrati-autoctoni si usino due pesi e due misure; ricordare a tutti che - in una società che si vuole «moderna» - i diritti alla sicurezza debbono comporsi con l’attenzione a quanti sono privi di diritti.

Anche nel passato i temi sociali sono stati oggetto di tensioni sia nella società sia dentro gli ambienti ecclesiali. Tuttavia i rischi di divisioni e di lacerazioni non hanno impedito a molti uomini di Chiesa di pronunciarsi anche in modo controcorrente su questioni rilevanti per la coscienza pubblica. E ciò in linea con i principi di fondo di quella Dottrina sociale della Chiesa, che testimonia l’apporto del pensiero cristiano ai problemi sociali cruciali di ogni epoca storica.

Si pensi alla «scelta preferenziale dei poveri» proposta dal cardinale Pellegrino all’inizio dei complicati Anni 70 dello scorso secolo. O ai lungimiranti discorsi a Sant’Ambrogio del cardinal Martini quando era alla guida della Diocesi di Milano, che hanno toccato i temi «Noi e l’Islam: dall’accoglienza al dialogo» (1990), «l’impegno dei cristiani nel terreno della politica», «terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace» (2001). O ancora, alla forte riflessione che ha sempre accompagnato l’impegno sociale di Papa Wojtyla, che a più riprese si è proposto come difensore dei popoli più poveri della Terra, ha inviato anatemi contro i mafiosi, si è battuto contro le guerre innescate dai potenti del mondo. Nella fedeltà a questa tradizione della Chiesa, il pensiero cristiano è chiamato a dire una parola di «verità» anche sulla controversa questione della presenza straniera nella nostra società; non per alimentare il disordine, ma per «mettere ordine» nei valori di riferimento e per richiamare tutti alla necessità di tenere unite sicurezza e solidarietà, legalità e carità.

 
 
 
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