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« vite normali, sveglie ag...la terra non ha un solo pene »

io sono il peso e tu la terra

Post n°151 pubblicato il 16 Dicembre 2013 da andrea_firenze
 

io sono il peso e tu la terra inquieta a cui tende ogni emozione, evento, frammento astratto, movimento. Non conosco le condizioni iniziali ma so il processo e che un naufragio è dentro un altro naufragio e che il mondo è la spirale della stiva di una nave in un gorgo, e la terra fra i pianeti è la stessa terra al centro di alberi e case, la stessa della mia solitudine di uomo fra gli uomini, dell'uccello fra i rami, del libro fra gli oggetti in disordine di una stanza nelle cui pagine una nave di lettere affondi e ciascuna di esse sia intrappolata in balia del vortice formato dall'inflessione scivolosa delle altre. Una spirale è semplice, non ha bisogno di orologiai né di disegnatori. Giù nello scolo niente respira, tutto è pieno; allentarsi è vivere, e il resto è il suono strascicato dell'incontinenza d'ogni cosa: delle montagne sudate con le loro nevi che si sciolgono, dei corpi liberi da piscia e merda, delle città ammonioteliche munite di reti fognarie, nefroni tubuli anse e reni, nei cieli di grandine e pioggia, nelle piante di linfa, nelle lacrime d'occhi. E le tue parole sono come l'ascesso che matura dai denti e la tua bocca un poro della bestiale natura col suo fortuito rettile articolarsi, sgroppare e straboccare nello spazio e nel tempo di materia che genera lingue dalla sonorità più morbida o più dura per quanto attrito i popoli o le singole persone facciano sulla terra. Lingue e inflessioni, slang, imprecazioni e distorsioni nascono da ostacoli, salite e discese; culture, popoli e linguaggi da pianure e valli dove rallenta l'evoluzione. Ed il suono fuoriesce da labbra umide di fica, ed è un parto di camere gestazionali vuote, sottostima delle case dove parli e ridi, significante di parole per racconti anembrionici, ingorghi in labbra di calla e su lingue di città, dove scorre il plancton umano dell'autostrada muscolare; e sgorga in scrocchi dalla cavità delle ossa, come da strumenti musicali, canne d'organo, e quando piove, dai gesti d'ago del cielo col suo arcolaio; e germina impercettibile là dove spunta l'erba, fra i piccoli sassi, nella schiumante pietra focale, nella leggerissima frizione emotiva oltre che materiale, nei nostri vagiti di neonati morti presto, nelle grida, nelle risa e nei pianti di uomini nati non da parto di donna ma da retto di terra, e puoi intuire là dove si crepa la superficie il suo ano rovesciato dove guardare dall'intestino le interiora dell'universo è un vanto, mentre fuori, attorno a te, all'orizzonte del paesaggio, si scorge il corpo dinoccolato del mattino e della sera e da sereno a tempesta si declina la volubilità del rutto, del lampo, della grandine e del pianto. Una spirale di suono è l'onda in prospettiva, la fecondazione, la precipitazione su mammelle di roccia, e il pensiero è una forcina ritorta per serrature, il cui linguaggio d'ultrasuoni trapassa vuoti e contiene cieli noce, gravidi d'uccelli, carichi di uova, e si colma in immagini e riflessi decentrati dell'unica anima la cui originalità è solo combinatoria. Per questo io resto il peso e tu sei la terra inquieta a cui tende ogni emozione, evento, frammento astratto, movimento; e non so che dirti. A sera, ubriaco, nella notte frizzante d'ortica, come un eccitato giano bifronte, stupro indifferente l'androginia del tuo essere. Che tu sia natura morta o vita silente, sei muta. Nella notte frizzante d'ortica, cavalcando sinusoidi, legato per i polsi, osservo le galassie e, traslati, vedo stormi d'uccelli, e non conosco morte e rinascita ma est ed ovest ed i punti cardinali. Sfrecciando fra le persone, ricci urticanti come piccoli cespugli di rovi, bramo e invidio d'essere tutta la materia e avverto l'impossibilità di comprendere te che mi comprendi e porto sigilli d'anima e non ho parole per spiegare le parole che riescano a raccontare le cose ma solo solide sillabe atomiche del tuo rumore. E i gufi nelle "o" e le serpi nelle "i" martellano le foreste meccaniche della visione della mia mente elicoidale mentre a sera, ubriaco, nella notte frizzante d'ortica, regalo a te i nodi che ho in gola.

 
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