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« le scogliere di Doverio sono il peso e tu la terra »

vite normali, sveglie agli ultimi piani di condomini

Post n°150 pubblicato il 06 Dicembre 2013 da andrea_firenze
 

vite normali, sveglie agli ultimi piani di condomini, sembrano strane al vento, che tocca facce, corre capelli. Un cielo vecchio e spossato si annoia, poggiato sulle venule e gli angoli dei palazzi che lo bucano come capillari, mentre agita esacerbato le tende dagli orli di ostrica, in moto come scie presbiti di pesci farfalla, le piante grasse sui balconi. Non c'è un motivo vero per essere qui o in alcun luogo: la vita si ferma solo in ciò in cui non siamo più. Credo nella reincarnazione delle coscienze, non credo nella personalità. Il solo fatto che condividiamo lo stesso respiro che si fa senile, che sia fatto con branchie, spiracoli, trachee, capillari piliferi, foglie o nasi, è la conferma dell'aspirazione a un contatto unico, alla monade da cui siamo rimasti esclusi come schizzi di malta rappresa fuoriusciti dal bicchiere di una betoniera, come polvere posata sulle assi di vecchi armadi dalle serrature arrugginite. Ci illudiamo di esserne i tesori ma sono sicuro invece che qualcosa sia semplicemente stato scosso, nomade, che siamo stati messi fuori posto, ancora in caduta, e che essere e vivere la vita siano l'avanzo di una percezione in atto, non perfettibile e costretta a percorrere una via che inizia e finisce in sé non nel corpo ma nella sensazione straziante di esso. I vestiti che indossi nascondono la tua nudità; la tua nudità è ciò che chiamo il mio vuoto. Se oggi ci lasciassimo andare moriremmo subito, senza trattenute, incompleti, come telline sullo scoglio o acqua di mare nella risacca. Niente è più degno del pensare al niente d'oggi, del non fare niente. Gocce d'urina seccano sul coperchio del water, voraci; la rasura fiorisce nel lavandino, come in un giardino. Così ogni giorno, come le stagioni. La macchina del caffè ed il water continuano a produrre gli stessi rumori, indifferenti, come gli afflati in questo corpo e i quattro venti. E la vita rinasce comunque, anche senza grande collaborazione, con svogliata partecipazione. Da morto crescerei ugualmente, qualunque sia il significato di crescere, per i realisti invecchiare, per i sognatori consumare, per me forse smarrire la strada verso il cielo e poi, nutrire la terra. Anche essere qui, al terzo piano di un palazzo, è una involontaria arborescenza. Siamo allo stesso tempo alberi e frutti, poi di nuovo seme per altri alberi e frutti. Come un albero non faccio poi molto per perpetuare la vita, è insito nella mia sopravvivenza il crescere; i concetti di lavoro, progetto, amore, attività, accumulazione, sesso, fine, sono idee di cui mi sono appropriato per giustificare il fatto di averne coscienza, per dare un senso alle troppe eiaculazioni. Siamo piante che hanno appreso ad innaffiarsi. I bronchioli della mucosa polmonare sono prefigurati nella fertilità di quella vaginale che fiorisce sotto un po' d'acqua come su un seme nella terra, per un po' di schiuma come quella che si forma negli alveoli, sui rami delle piante dove strusciano e scintillano il bruco o la lumaca, nel sudore sulla pelle in una camiciola Interlok puro cotone, la mia serra di costole; sbocciata dalla fessura delle mutande Llabel, dai boxer ormai da vecchi, che non si trovano più, dice mia madre, come sorgenti incontaminate. Eppure non ho fatto molto ultimamente, non ho pensato a niente. Ci saranno altre fuoriuscite, altre perdite dai corpi, non programmate. A causa di esse avremo figli verso cui dovremo giustificare la connotazione negativa del termine causalità. Faremo latte dai capezzoli. Fra rocce e seni, ruscelli e peni, opere d'arte e alberi uomo, stomaci e mari, brocche, suonatori di zampogna, uova ed ali saremo le scimmie incaricate della reiterata riproduzione e della ciclica rinascita di altro sangue azteco, vittime consapevoli dell'ingannevole effimero conato che trasla di significato per quanto fraintendiamo l'essere. Ma ricorda e non dimenticare mai questa consapevolezza; ai tuoi figli dirai un giorno che muovere qualcosa significa anche inevitabilmente dargli una fine e che la persuasività della ragione è l'unica libertà concessa alla nostra personalità. La fine; forse troppo in anticipo sono stato consapevole di ciò a cui ognuno di noi deve pur finire di pensare. Troppo presto mi hanno imprigionato per rendermi libero dalle spirali del serpente, beato come Visu, steso sulla superficie del mare primordiale, quando tutto era ancora fermo. In tutto e per tutto siamo stati creati a somiglianza di dei; regaliamo fini ai nostri consanguinei, senza rimpianto né difficoltà, senza fatica. Lo facciamo sicuri che non saremo mai puniti: infondo gli dei non sono meno colpevoli eppure se ne fregano. Ma l'ho sempre saputo: giusto o sbagliato ha poca importanza perché, come uomini, i massimi sistemi ci rappresentano di più, ma lo siamo di meno. Perciò ricorda anche di dire ai tuoi figli, dopo avergli insegnato i dettagli di una vita di compensazione e l'acqua rubata e i pani riposti, che pure loro non faranno eccezione e che la merda, che è ovunque, è il rosume di noi tignole dell'universo.

 
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Commenti al Post:
MARY_111
MARY_111 il 07/12/13 alle 03:55 via WEB
la vita si ferma solo in ciò in cui non siamo piu'...mi piace il senso di questa frase
(Rispondi)
 
piperitaomenta
piperitaomenta il 08/12/13 alle 21:56 via WEB
quel "sudiciume" é il nostro bagaglio,fa parte del quotidiano. siamo meccanizzati in stereotipi troppo similari e marciano tutti allineati in quell´idea che...tutto faccia parte di un progetto piú ampio. e si qualcuno fortunatamente ci crede ancora!
(Rispondi)
 
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