Creato da: andrea_firenze il 15/06/2013
...

Area personale

 

Ultime visite al Blog

daunfiorediletta.castellianonimo.sabinoCuore.Nudoarturo.saittaBacio_Notturnozucchima1958Nues.sninolove2lesaminatorelumil_0lunadargent0DifettoDiReciprocitaandrea_firenze
 

Ultimi commenti

Citazioni nei Blog Amici: 15
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

 
« alla fine del mese del solecon lo scatto del pesce ... »

mi hanno regalato un'orchidea ed è morta

Post n°155 pubblicato il 27 Gennaio 2014 da andrea_firenze
 

mi hanno regalato un'orchidea ed è morta. Ha perso tutti i fiori ed adesso è uno stecco, uno sterco, un filo di sperma di cazzo. Non ne ha avuta per molto di vita: ha sviluppato grosse radici, gonfie d'acqua; ha divorato la terra come un verme più che ha potuto fino ad essere soffocata dalle pareti trasparenti di un vaso di plastica asettico come una membrana d'intestino, ma, prima di questo, ha perso le foglie ad una ad una lentamente e si è giocata, in breve tempo, l'ultima possibilità d'espressione. Perché di questo si tratta: ogni cosa, qualsiasi cosa è un segno, che è meno di un segnale, che è diretto come comprensibile a qualcuno, mentre esso chissà se capiti che possa trovare chi lo sappia decifrare. Un'orchidea morta in questo senso è più oggettiva, meno attiva; è come uno sterno, il mio sterno, un torsolo di mela, una lisca di pesce, un fiore fossile che è anche una strada lastricata, una parola continuamente storpiata; è ciò che resta di una sgroppata aerea a tre volute uguale alla vita di mio zio ottantenne con le pupille rosse, una vita delusa di grandi speranze e di poche parole e alla fine, dice, tre possibilità: un colpo di pistola, la badante moldava, una donna che lava. Se lo osservo bene, nel volto di mio zio riconosco una struttura alata, una croce di tre sepali, la testa e le due spalle, e la piaga nel costato di cristo è il labello, e la sua lingua, allo stesso tempo, è un gastro peloso di femmina di imenottero e la parabola viscida di una salamandra. Ora che si avvicina la fine, caro zio, adesso che mi parli come fossi il figlio con il quale non hai mai comunicato, capisco come ogni vita e anzi ogni cosa sia un problema di espressione, atto e direzionalità; e nelle pause delle tue parole sagge, di uomo di grande esperienza, non trovo il coraggio per confessarti che non avresti comunque avuto la possibilità di vincere e che quanto credi che avresti potuto non ti sarebbe ugualmente appartenuto e sarebbe uscito storto e morto. Anche tu e il posto dove vivi e la tua storia sono solo una bocca, un passaggio; e la natura, tale e quale ad una fabbrica senza consumatori, ne genera di sempre diverse e sempre uguali come provasse senza sosta a dire ciò che non riesce, e forse s'inganna in un linguaggio che non capisce; e la conseguenza è che gli aborti che ne nascono sono infettati dalla morte: fiori, vagine, labbra, crepe, fulmini, polline, lava, schiuma, sono corpi sdruciti, entità di un mondo vescica, tasche per uccelli, bestie e fiori; cisterne e minzioni, suoni gutturali fra vocali aperte, temporali; e le nuvole, lassù, sono la cartilagine del cielo, e la terra, che gira, l'osso nella scapola. Quante porte e forze e vettori, quanti denti che masticano, inquilini che si coricano nelle loro stanze come uova depositate, sconosciuti che dormono o muoiono e, mentre sognano, il respiro corre a spirale nelle volute dei loro polmoni come il vento fra gli alberi di una foresta e spazza via ogni motivazione. I miei sogni di oggi, cabala del giorno tredici luglio duemiladodici, fragili e instabili come canne al vento, sono fatti di quadri espressionisti e astratti, sono concrezioni momentanee di sale e di persone che se ne vanno allegre e frenetiche su e giù per le scale a chiocciola del Le Petit Trianon Hotel, come una spina dorsale percorsa da turisti di passaggio e dai furfantelli di sempre. E un'altra notte mi cova con le sue coperte sudate per rompere il guscio del domani, mi scalda di speranza e inganna ancora nonostante ormai possegga un certo referenziale e narcisistico apprezzamento estetico per la rassegnazione all'indulgenza per l'inespresso. Nel dormiveglia immagino che il Pont des Artes, a Parigi, sia la via per la riva occidentale del Gange, a Varanasi, dove scendere cinque ghats nel tentativo di fuggire il samsara, la catena di vita e di morte, passaggi attraverso i quali potresti fuggire anche tu; e che sia un'altra sconfitta sul campo di battaglia, dove tanti ci hanno provato ad averla vinta aggrappando le loro vite a tutti questi lucchetti allucchettati, prima che ne fossero risucchiate, è una certezza. Sogno di essere un tucul traghettatore che troneggi, come Caronte, sul castello di Buda e separi le anime dannate distribuendole fra il Ponte della Libertà e quello della Catene come quando mi succhi il cazzo ed io sono il razzo, il rostro che separa i peli biondi del tuo viso come fosse l'onda gentile che spezza il gelo sottile, ai primi freddi, su un lago, e il recente nevischio; e lo sperma appiccicoso come l'ostia sulla lingua del fedele s'inchina nella tua bocca, fagotto di suoni, nei meandri del santuario di stomaco e vagina, nei placidi laghi dalla pancia larga. E mi manca il giudizio, perché è evidente come l'amore sia solo una reciproca concessione di conoscenza e constatazione di squallore; perché so che alla fine dei conti l'unica vera consolazione sarebbe essere prima e dopo la fiammata. E non c'è via d'uscita neppure nell'auto annientamento, nella bava di fulmine che è solo un'altra forza d'inversa direzione a quella in cui cresci e invecchi ma che perpetua l'essere, un morire per non morire, ed alimenta il desiderio, l'impazienza che ti spinge al non so cosa per cui ogni giorno mi alzo di nuovo dal letto e guardo in alto costruttivamente e osservo le vagine rasoterra; sebbene lontano, spesso, intraveda la morte. Poi faccio l'igiene dentale, scopo, torno a casa e, sempre più frequentemente, più che altro, guardo scopare. Parlo con te e con gli altri; parole vuote fuoriescono dalla bocche: non c'è alcun significato sorprendente se non di germogli da semi ed è impossibile stabilire quale sia la personalità che parli e che si voglia dire. Diverse e molteplici sono le uscite ma non ci sono vie d'uscita; in entrata un po' di sperma è il passaggio da conservare, in una vagina losanga e clessidra, gonfia come un bulbo di pianta, o nella pisside della tua gola, dove si fa la comunione col mondo, in un calice di fiore, e i denti sono petali che cadono e la lingua il suo pistillo, una lingua prigioniera in ceppi, rassegnata e comoda nelle sue catene le tonsille il cui linguaggio è l'esistenza. E non c'è soluzione, perché, anche se non lo sai, è in te che nasci quanta morte esiste e l'intensità della tue passioni è il ragno che di essa fila la tela attorno ai rami della vita.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963