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Post N° 64

Post n°64 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Prefazione

 

Mi scuso in anticipo per i sicuri errori grammaticali ed ortografici che certamente mi sono sfuggiti, ma tra esami, tasse universitarie e volontariato il tempo dedicato al solo controllo estetico mi è mancato. Tutto ciò condito da una mia perenne ignoranza di fondo riguardo la conoscenza della lingua italiana. Per cui vi domando una cortese pazienza.

 

 

 

“Niente scuse, mai, per nessuno, questo è il principio da cui parto. Nego le buone intenzioni, l’errore degno di considerazione, i passi falsi, la circostanza attenuante. Da me, non si danno benedizioni, non si distribuiscono assoluzioni. Si fa semplicemente il conto, e poi: <<Fa tanto. Lei è un perverso, un satiro, un mitomane, un pederasta, un artista, ecc.>> Così, secco. In filosofia come in politica, io sono per ogni teoria che rifiuti l’innocenza all’uomo e per ogni prassi che lo tratti da colpevole. Carissimo, lei vede in me un fautore illuminato del servaggio.”

 

                                                                                     Albert Camus, La caduta.

 
 
 

Post N° 63

Post n°63 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

LUNEDI’    Primo capitolo

 

Terminato il quinto giorno di lezioni del primo trimestre giunse la lieta notizia a noi studenti. Le università avevano deciso di scioperare per un’intera settimana, in segno di protesta contro l’ennesima nuova riforma.

Mi ritenevo un fortunato poiché sarei rimasto a casa da solo tutto il tempo, i miei genitori e fratelli lavoravano da mattina a sera. Quindi ero a letto, in dormiveglia, sognante riguardo il mio futuro roseo.

“Dormire fino a tardi poter alla sera passare serate lunghissime con i miei amici magari riuscire ad imbucarsi in qualche festino gordo”

Questo risuonava nella mia testa e soltanto una cosa poteva distogliermi dal mio sogno: il campanello, che naturalmente suonò.

Lanciai una rapida occhiata alle lancette dell’orologio che segnavano le undici quasi esatte e mi catapultai giù dalle scale per andare in cucina.

Guardai attraverso la finestra che dava verso il cancello e con sorpresa vidi Filippo. Risoluto, zaino sulle spalle e sguardo serio. Ero stordito. Aprii la finestra e gli farfugliai un maleficio, poi fui preso dal dubbio.

-         Ma non c’è sciopero?

-         Si ebete. Aprimi.

Mentre giravo le chiavi e spegnevo allarmi vari iniziai a riflettere sul perché di questa visita e mi ricordai che non tutti se la passavano bene quanto me.

Filippo per me era un amico speciale: abitava nel mio stesso quartiere, trenta metri di distanza; stessa età; stesse necessità; idee diverse, ma identica voglia di confrontarsi e superarsi; stessa carriera scolastica, dalle elementari all’università eravamo sempre stati o in classe o in corso assieme. Ci conoscevamo in tutto e per tutto, dalle cose pacco a quelle bellissime e soprattutto non ci tenevamo stupidi segreti a logorarci l’anima.

Lo feci accomodare ed iniziai a preparare un caffé guardandolo in faccia con un’espressione che cercava di essere cattiva.

-         Dai lo sai che i miei di queste cose non capiscono un cazzo. Mia mamma mi ha svegliato alle otto dicendomi che anche se c’era sciopero non mi avrebbe fatto male studiare. Ed io che cazzo studio? Dimmelo? Glielo spieghi tu che abbiamo fatto una settimana di corsi e gli esami sono fra due mesi e mezzo? No dimmi, se vuoi provare?

-         Non ci voglio provare. Quindi?

-         Alle dieci e mezza non ce la facevo più e le ho detto che sarei venuto da te a studiare, tutto il giorno. Tu devi fare qualcosa di particolare oggi?

-         Dormire. Per il resto nient’altro.

La moka iniziò a gorgogliare e sentendo il rumore Filippo scattò come una molla mettendosi a girare una canna.

-         Dai. Mi sono appena svegliato.- Lo implorai.

-         Sono le undici e mezza.- Rispose con tono seccato ed io versai la bevanda calda nelle tazzine.

Quando finì il suo lavoro ci portammo in terrazza a consumare la colazione. Accese il cannone e sentenziò guardandomi pensoso:

-         Dobbiamo organizzare qualcosa in questa settimana.

-         Si. Se no mi uccidi tutte le mattine.

-         Io un’idea ce l’avrei.- Disse sorridendomi lentamente.

Lo guardai negli occhi e compresi tutto al volo. - Si può fare.

-         Si deve fare.

-         E allora si farà.

Rimanemmo in silenzio finendo il cannone, ognuno con i propri desideri che lentamente si materializzavano nella nostra mente.

 

Noi due eravamo dell’idea che quando si ha una settimana di vacanza inaspettata la cosa migliore in assoluto da proporre agli amici è quella di prendere la macchina e andare nella seconda casa di qualcuno.

Forse eravamo convinti di tutto ciò dal fatto che la famiglia di Filippo possedeva una casetta in un paese nel centro degli Appennini e noi l’avevamo più di una volta sfruttata.

Si trovava in un borgo medioevale inalterato da secoli, posizionato sopra una collina e collegato alla pianura da una stradina dimenticata persa fra gli ulivi. Quando ci si arriva bisogna parcheggiare l’auto all’entrata del paesello poiché all’interno le viuzze sono simili alle calli veneziane, se non più strette. Le abitazioni più esterne, rigorosamente in pietra, fungevano anche da mura difensive, ma ora tutte sono abbandonate o seconde case di commercianti di pianura che forse si sono dimenticati di possedere. Un posto da zero abitanti, dove il cellulare non prende praticamente da nessuna parte e la tv è un miraggio.

Eravamo andati lì parecchie volte anche perché i genitori di Filippo erano soddisfatti di tutto ciò. Gli raccontavamo che andavamo, per esempio, soltanto in tre persone, a studiare, in tranquillità, senza distrazioni e loro ne erano felicissimi. Quasi ci ammiravano.

La realtà invece era leggermente diversa.

 

Dovevamo organizzarci velocemente, era lunedì e non valeva la pena andarci per meno di quattro giorni. Tra andata e ritorno, in auto, sarebbero stati più di mille chilometri di viaggio.

Filippo prese il cellulare e iniziò a scorrere la rubrica per vedere chi invitare.

-         Si potrebbe stare via fino a sabato pomeriggio.- Mi disse.

-         Domenica pomeriggio.

-         Ok. Domenica pomeriggio. La macchina?

-         La metti tu che ce l’hai a gas, maledetto.

-         Chiamiamo…

-         Non voglio gente che schizza.

-         Allora amici di università o i soliti? Per me è uguale, tanto sarò occupato.

-         Occupato? Chiama i soliti va’.

Filippo non mi rispose e contattò Alberto, un ragazzo della nostra compagnia, un anno più vecchio di noi, ma finito in classe nostra al tempo delle scuole medie dopo essere stato bocciato un anno.

Nel frattempo andai in bagno a lavarmi la faccia e mi tolsi il pigiama. Guardai l’orologio ed era ormai mezzogiorno e mezzo, anche se mi sembrava fossero le nove del mattino da quanto uggioso era il tempo. Urlando domandai al mio caro amico se rimaneva a mangiare e la risposta fu naturalmente affermativa.

Andai in cucina, misi una pentola d’acqua sul fuoco e quando tornai in terrazza lui aveva già organizzato praticamente tutto.

-         Viene Alberto e la sua fidanzata. Che viene solo se c’è anche un’altra ragazza.

-         Giustamente.- “Una ragazza da sola”, pensai, “con quattro maschi non è che si diverte.”

-         Giustamente si. Anche perché con chi è che ci provo io?- Disse ridendo e continuò. -Allora ho chiamato la Valeria e viene. Cosa ne dici?

-         Che ho capito perché dicevi di essere occupato.

Lei era una nostra vicina di casa che aveva avuto la fortuna di essere stata, sempre per il massimo di due mesi, la fidanzata ufficiale del mio amicone Filippo. Poi, dopo aver assorbito, anche piuttosto bene, il trauma della rottura, aveva continuato a uscire con la nostra compagnia.

Possedeva molti tratti mediterranei specialmente riguardo i capelli, di cui era fiera. Erano nerissimi e non li tagliava da anni per cui arrivavano fino al sedere, ma li attorcigliava sopra la testa a formare un’enorme patata che sembrava un codino.

Il viso era da bambina e aveva dei movimenti e degli atteggiamenti spesso troppo ingenuamente seducenti.

Dopo le nuove notizie ricevute da Filippo, ero titubante e gli feci presente che non volevo fare “il palo” tra Alberto, la sua fidanzata e lui che ci provava con la sua ex.

-         Vedi che ci sei cascato come un pero. Volevo dimostrarti che riguardo al mio rapporto con le donne sei solo mal fidente. L’Elisa non te la ricordi? L’ho già sentita e viene. E visto che conosco quanto sei sospettoso ti mostro l’ora del messaggio che le ho spedito per domandarglielo. Guarda.

-         Alle dieci e cinque. Ma aspetta un attimo…

-         Visto. Devi ammettere che con me sei un po’ prevenuto.

-         Ma tu avevi già deciso tutto prima di venire qui?

-         Ti conosco e poi perché non avresti dovuto accettare?

-         Ok vecchio, era una proposta che non potevo rifiutare, ma non credevo che fossi ancora assieme all’Elisa. Non vi siete ancora lasciati? E’ il nuovo record se non sbaglio? Inizio a non riconoscerti più.

-         Idiota… e poi è passato solo un mese.

 
 
 

Post N° 62

Post n°62 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo secondo

 

La situazione per me comunque non era migliorata. L’Elisa era stata in classe con noi alle scuole medie senza lasciare traccia nella nostra memoria. Poi era scomparsa nel caos della vita scolastica per ricomparire questa estate, quando eravamo capitati ad una festa universitaria proprio nel suo appartamento.

Da vecchio mandrillo, Filippo, alla fine della serata, era riuscito ad arrivare anche nel suo letto e ora si frequentavano. Quando li vedevo tenersi per mano mi si stringeva il cuore, lei mi era simpatica e in parte mi dispiaceva che si fosse messa assieme a mister “due mesi”.

La mia faccia non doveva aver un’espressione particolarmente felice.

-         Cos’hai?

-         Scusami, devo essere sincero. Io intendevo andare a devastarmi e andiamo tre uomini e tre donne, che ci starebbe anche bene, se non fosse che quattro passeranno il tempo in spurcellamenti vari mentre io sto con la Valeria. Non è il delirio che sognavo. Io volevo devastarmi.

-         Mamma mia, siamo scorbutici oggi. Se mi lasciassi finire. E poi la Valeria cos’ha? E’ carina potresti provarci.

-         Dai lo sai che non mi prende per niente. Si fa troppe noie in testa.

-         Ah capisco, ti senti ancora con quella tipa da Brescia? Non ne parli più. Non credevo che aveste continuato a vedervi.

-         Non ci vediamo più, ma è una persona a cui tengo molto. E la Valeria non mi piace.

-         Io certe volte non ti capisco. Comunque non ti preoccupare, non farai il “paletto”. Ho detto ad Alberto di sentire un po’ di gente. Adesso dovrebbe richiamarmi. Tu vai a vedere l’acqua che starà bollendo da mezz’ora.

Andai in cucina e mi stava venendo fame. Versai la pasta, preparai la tavola e tutte quelle cose lì. Tornai in terrazza, il nostro ufficio, mentre Filippo stava parlando al telefono con voce alta per farmi sentire le novità.

-         Allora viene il tuo amico, come si chiama…Michele. Carlo e Chicco vengono? … Si? … Grande. Scusami, la macchina puoi metterla? … Grandissimo. Allora ti chiamo fra mezz’ora e ti dico a che ora partiamo domani, comunque sulle dieci penso … Si domenica sul tardi … Non così tardi, sulle sette … Adesso sento come è messo lui, ma non credo ci siano problemi. Mi dici quando ci vediamo. … Si si basta per carità. Dimmi … ehm … … . Digli di si porca vacca, comunque ci troviamo sta sera per parlare di queste cose … Ti ho detto che non occorre che continui, non sono un deficiente, ho capito. Digli di si mi dirai sta sera... Allora ciao vecchio. A sta sera … Ciao.

Appoggiò il cellulare e mi fece un riassunto seguendomi in cucina, anche se avevo già intuito tutto solo osservando il suo volto raggiante.

-         Siamo: io, te e la mia Elisa. Alberto e la sua bella. La Valeria, Carlo, Chicco e un amico di Alberto che si chiama Michele. L’ho visto una volta, un tipo tranquillo, viene da Trento e ha l’appartamento qui. Quindi siamo in nove. Alberto mette la seconda auto che i suoi ce l’hanno a gas. Poi passando alle cose pratiche: tu hai da fumare?

-         Si, poco però, dici grammi, non so se riusciamo a trovarne per domani.

-         Shanti. No problema. Alberto ha casa un’ettata da portare, quindi direi che siamo in bolla, ma ti spiego. Questo Michele ha l’appartamento e ha le piante. Io e Alberto pensavamo di fare una colletta e prendere venti grammi, portare l’etto e lasciare a casa il nostro. Così ne abbiamo quando torniamo.

-         Si ma quanti soldi sono? Dovremo pagare anche Alberto.

-         Sarebbero trenta euro a testa per l’erba. Alberto il fumo lo butta, tanto è già tornato dentro con i soldi. Aveva un bagolo da mezzo chilo, sai com’è fatto lui se ne ha lo butta tutto per divertirsi con i suoi amici. Poi magari, dopo che ci ha pensato, ne porta meno. Sta sera ci dirà meglio. Tieni a conto che risparmiamo sulla benzina e non è poco. Alla fine inculiamo da casa la roba da mangiare, non facciamo l’autostrada tanto al massimo ci stavamo dentro per duecento chilometri che però saranno dici pleuri risparmiati e forse anche di più. Insomma dobbiamo pagare da bere, ma lo compriamo qua, il fumo, l’erba, il gas.- Vide che stavo pensando ancora ai soldi e rincarò la dose -Poi pensa, se portiamo, tipo, mezzo etto, in cinque giorni, sono dieci grammi al giorno, che diviso nove arriva alla mirabolante cifra di un fottutissimo grammo al giorno, cioè una tromba. Un po’ pochino per devastarsi, al massimo ci mette fame.

-         L’ultimo ragionamento mi ha proprio convinto. Non ti sapevo fine matematico.

-         Giovine, ci sono molte cose che tu non sai di me.

-         Andiamo a schimicare che è meglio.

 

Mangiammo la pasta e fummo sazi. Vedendo la mia seria intenzione di vegetare seduto sulla sedia Filippo si alzò e iniziò a ricaricare la moka e finché aspettavamo la nostra bevanda digestiva girò anche la sacrosanta canna post pranzo.

Andammo in terrazza a fumare.

-         Per fortuna che quando fanno le leggi non consultano nessuno. Così si protesta e si sta a casa un po’. Non male direi.

-         Non male.- Rispose il mio amico.

-         Alla fin fine è tutto un discorso di soldi.

-         Soldi che mancano. E’ che tutti loscano un sacco.

-         Chissà che fine fanno tutti quei soldi. Cioè è impossibile che finiscano tutti in auto, vestiti e cocaina.

-         Anche qualche villetta. Ma poi ci sono soldi con cui ti si aprono ancora nuove losche.

-         Tipo?

-         Sai che ho giocato a calcio una riga di anni.

-         Mi ricordo le tue bestemmie domenicali.

-         Dopo un po’ inizi a capirne. L’ultima squadra in cui ho giocato aveva un bilancio di duecento e passa mila euro. Per farti capire una squadra di calcetto ne ha ottomila euro. E non è che giocavano in C2, erano in Eccellenza, la prima categoria. Non ti sembrano eccessivi?

-         E perché ci sono?

-         Perché se il proprietario, per dire, costruisce condomini vedrai che tra gli sponsor ci sarà chi fa l’idraulico, chi l’elettricista. Tu per uno striscione gli dai cinquantamila euro e sai che lui chiamerà te a fare gli impianti.

-         Ho capito.

-         Quei soldi la maggior parte sono in nero, nessuno andrà a vedere quanti soldi ti ha dato uno per una scritta nello stadio di una squadra in Eccellenza. Poi ci sono quelli che li dichiarano e ci scaricano l’Iva. Dicono di averti dato centomila euro, te ne danno trenta e in più si sono beccati l’Iva per centomila.

-         Loschissimo.

-         Loschissimo.

Avevamo finito la canna e rientrammo. Dovevo lavare i piatti e Filippo allora richiamò Alberto dandogli le ultime istruzioni, o distruzioni come le amava definire lui. Ci saremmo trovati al solito bar alle dieci di sera per organizzarci nei dettagli.

 

Durante la riunione serale raccogliemmo venti euro a testa come cassa comune per la spesa degli alcolici che io e Filippo avremmo fatto prima di partire. Per il resto, visto che fumavamo prevalentemente noi maschi, avremmo regolato i conti al ritorno, con calma.

Ognuno doveva portare via un chilo di pasta, qualcosa per condirla e poi razziare la dispensa di casa prendendo tutto quello che poteva essere digerito.

Dalla cantina di casa mia trafugai la pasta e un vaso di passata di pomodoro che aveva fatto mia madre, poi presi sei vasi di piselli, patatine, biscotti per la colazione e proprio di rapina, dal frigo, un pezzo di grana da quattro etti. Mia mamma mi avrebbe ucciso, ma tanto ero a cinquecento chilometri di distanza.

Filippo da padrone di casa doveva prendere il caffé, la moka da dodici, condimenti vari tipo sale e olio, il necessario per pulire le pentole e saremmo stati pronti per partire.

 
 
 

Post N° 61

Post n°61 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

MARTEDI’

 

Terzo capitolo

 

All’indomani, verso le nove del mattino, Filippo si presentò davanti a casa mia ansioso di partire e carico di energie. Riuscii a trascinarmi fuori e con la dovuta calma mattutina misi il mio bagaglio nella sua auto.

Invece d’andare al bar ad aspettare gli altri compagni di viaggio, ci dirigemmo verso una bottega completamente dedicata agli alcolici. Il nostro negozio preferito.

Comprammo cinque cartoni di birra da ventiquattro, una damigiana da cinque litri di vino bianco e una di vino rosso. Due bottiglie di amaro Montenegro, due di grappa, due di limoncello e una di crema di limoncello, due di gin, due di Jack Daniel’s e qualche bottiglia di lemonsoda e succo alla pera.

Caricata la spesa in macchina eravamo pronti per andare al bar, normalmente al mattino quasi sempre deserto. Dentro ci trovammo Chicco e Carlo che, mentre aspettavano, si erano bevuti un caffé corretto e un amaro.

-         Per digerire la colazione.

-         Tanto non guidiamo noi.

Carlo, dopo averlo visto una volta soltanto, non lo dimenticavi più. Forse perché era biondo con occhi azzurri, forse per via della sua allegria e spensieratezza o più semplicemente per le sue dimensioni. Toccava i due metri e qualche centimetro di altezza per più di cento dieci chili di peso. A causa della sua stazza riusciva a trangugiare una quantità industriale d’alcol, cosa di cui era orgogliosamente felice.

Mentre Enrico, detto Chicco, era la sua spalla e anche ombra. Il motivo lo comprendevi facilmente la prima sera che uscivi con loro due, era l’unico in grado di  reggere misteriosamente i ritmi alcolici del suo inseparabile compagno.

Erano nostri amici dal tempo delle elementari e dopo tutti questi anni di avventure ci sentivamo fratelli.

Poco dopo comparirono gli altri: la Valeria, la nuova fiamma di Filippo, Alberto, la sua ragazza e il suo amico universitario, Michele, molto intimidito.

Ordinammo tutti quanti un caffé per darci la carica prima di partire.

-         Visto che le macchine sono già fatte, andiamo?- Disse Filippo.

-         Dai. Non ho tempo da perdere, Dio ....- Chicco aveva un problemino.

Alla fine di ogni frase, dall’età, circa, di quattordici anni, ci infilava una bestemmia. Un’usanza tipicamente locale, ma in lui amplificata col fatto che d’estate faceva il muratore ed ai suoi genitori non dava per niente fastidio. Tutto ciò lo avevano trasformato in una specie di macchinetta. Era il suo intercalare preferito. Però ormai, abituati dopo anni, non ce ne accorgevamo nemmeno più, anzi, certe volte notavi che aveva parlato quando nella frase non ne metteva neanche una, rimanevi stupito.

Salutammo il barista, caricammo le valigie in macchina e partimmo per il lungo viaggio, non prima di aver domandato ad Alberto un pezzo di fumo e ce ne diede dieci grammi.

 

La nostra auto si mise in testa, sapevamo la strada come le nostre tasche. Filippo alla guida, io come co-pilota o deejay e dietro Chicco e Carlo che praticamente occupava due sedili. Sembrava il classico gigante schiacciato dentro una scatola di latta.

Appena presa la statale che ci avrebbe portato fuori dalla nostra regione iniziai a cercare il cd adatto e optai per una raccolta dei Led Zeppelin.

In macchina nessuno parlava. Carlo aveva girato una canna e lui faceva tutto proporzionato alle sue dimensioni. Quando l’accese l’abitacolo si riempì di fumo denso, aprimmo i finestrini ed un filo di freddo iniziò a penetrare nella mia parte destra del corpo. Dietro, il filo, doveva essere una bora poiché subito Chicco iniziò ad agitarsi e fece una pernacchia. Una puzza scandalosa.

-         Ma tu sei marcio dentro.- Gli dissi quando l’odore iniziò a diradarsi.

-         Hai aperto il finestrino? Cazzi tuoi. Ad ogni azione c’è una reazione. Io bevo una birra. Dio ….

Carlo impaurito al pensiero della reazione causata da un’eventuale birra gli passò la canna e a lui passò la voglia di bere. Il mutismo riprese, ma dopo qualche minuto dai sedili dietro sentii ridere.

-         Oh, ragazzi sapete che adesso c’erano quattro persone in macchina che facevano la stessa cosa. E sapete cosa?

-         No Chicco.

-         I cazzi loro. Dio ….- Disse iniziando a tirare pugnetti scherzosi a Carlo.

Aveva un pregio, riempiva i buchi ed a parte le scorreggie e le bestemmie risultava piacevole. Mi feci passare una birra, la aprii usando l’accendino e iniziai a bere.

L’alcol mattutino mi sembrava il triplo più forte, specialmente in un corpo assetato di liquidi e che da quando si trovava in piedi aveva bevuto un caffé e basta.

-         Chi vuole birra?- Domandai.

-         Passa dietro.

-         Tu Filippo?

-         Quando guido non bevo. Fumo, ma non bevo. Sai come la penso.

-         Perché come la pensi Filippo? Con un goccietto non vai mica sopra la soglia.- Disse Carlo stupito dal rifiuto dell’autista.

-         E’ una questione diversa. Non puoi dire ad una persona, puoi bere un goccio, ma non troppo. Cioè la tenti. Non so se mi spiego. Fai prima a dire: chi beve non guida. E’ un sacrificio, ma non ha senso poter bere un pochino. Poi il mio pochino può essere diverso dal pochino di che ne so, una donna araba. Annusa l’alcol ed è ubriaca. Io potrei bere venti birre e guidare. Sbaglio?

-         Quindi astemi al volante. Però se non bevo tutte le volte che prendo in mano la macchina non berrei mai. Con grave conseguenze per l’economia locale.- Disse Carlo.

-         Però fumi, Filippo.

-         Il fumo è un discorso diverso. Non sei eccitato come con l’alcol. Anzi sei molto più tranquillo.

-         Forse è proprio per questo che è pericoloso. Hai reazioni più lente.

-         Vedi è che fumo tipo dal milleottocentosessanta. Na tromba è la mia sigaretta.

-         Quindi sei dipendente dal fumo.

-         Più che altro sono convinto di essere dipendente al tabacco dentro la tromba. Questo è il mio problema.

-         Dovremmo commerciare canapa innocua e non trattata da usare nella mista. No?

-         Cazzo. Questa pensata Chicco è ancora meglio di andare a vendere l’acqua al funerale del Papa.

-         Guarda che erano bei soldi. Dio ….

La birra, comunque, ci aveva svegliato e cambiai cd: uscirono i Led Zeppelin ed entrò il primo album dei Queens of the stone age, quello col batterista dei Nirvana. Musica più energica.

 
 
 

Post N° 60

Post n°60 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo quarto

 

La nostra regione era finita e noi invece appena all’inizio del viaggio. Carlo, allungando le sue enormi braccia, iniziò a rovistare nel bagagliaio finché trovò un vassoio di tramezzini. Li voleva condividere con tutti, e “con tutti” intendeva anche le persone nell’auto che ci seguiva. Con nostro dispiacere.

Stavamo smettendo di guardarlo con gli occhi dolci per cercare di fargli cambiare volontà quando sentenziò:

-         Uno possiamo mangiarlo in anticipo. Se no la fortuna cosa conta?

-         Cosa centra la fortuna con i tramezzini Carlo?- Domandò Chicco.

-         Tu sei montato, per caso, in questa auto e hai la fortuna di viaggiare con una persona che, per caso, ha preparato dei tramezzini. Montavi di là- ed indicò con il dito la macchina dietro -fumavi una bella canna d’erba. Se io invece tengo le mie cose per me e aspetto che si è tutti quanti  per condividerle, non conterrebbe più l’auto in cui decidi di montare e non ci sarebbe più la fortuna… -Eravamo sbigottiti e leggermente confusi -…e tu non vuoi uccidere la fortuna? Vero? Quindi per non fare torto a nessuno uno ce lo pappiamo ora.

Mangiammo in silenzio, chi turbato da un mondo senza dea bendata e dal suo gravoso compito di tenerla in vita e chi come me, invece, cercava di capire come avesse fatto a fare quel ragionamento per auto ingannarsi.

La strada saliva leggermente ed iniziò a scapparmi la pipì, il freddo, entrato dal solito finestrino leggermente aperto, mi aveva stimolato. Feci presente del mio problema e tutti si accodarono alla richiesta di fermarsi al primo distributore. Correvamo in una superstrada distrutta dalle buche e con interruzioni continue, prima riducendola a una corsia per senso di marcia, poi addirittura a dover prendere una deviazione su e giù lungo le colline che però ci permise di vedere un bel panorama, tanto non avevamo fretta.

-         Non le aggiustano per costringerti a prendere l’autostrada. Sti bastardi.- Disse il nostro autista.

-         Macchè è l’Anas che fa le deviazioni di proposito per farti ammirare il paesaggio. Questa cosa si dice “Valorizzazione del territorio”, cavernicolo.- Disse Carlo dandogli da dietro un buffetto sulla nuca.

-         Io fossi l’Anas ci metterei anche un casello. Cioè, tutto questo paesaggio non potrai mica farlo vedere gratis. Le chiamerei, “watch street”.- Dissi all’inizio divertito e poi un po’ impaurito.

-         Si si, hai ragione. In inglese, così sembra anche fico.- Aggiunse Filippo.

-         A me tutte queste parole in inglese mi stanno proprio sulle palle.- Sentenziò in tono deciso Chicco.

-         Perché ti stanno sulle palle?- Domandai incuriosito.

-         Perché all’inizio le utilizzavano questi quaranta-cinquantenni per cercare di fare i moderni in tv e mi facevano anche ridere se devo essere sincero. Poi però i politici hanno scoperto che si può ingannare la gente e ora le infilano ovunque. Nessuno capisce più un beneamato cazzo. Come si chiamano? Inglesismi. Io direi prese per il culo.

-         Hai ragione.- Lo appoggiò Carlo.

-         Ma se l’inglese lo sanno tutti ormai.- Obiettai.

-         Ti rendi conto di cosa cazzo hai detto? Ma se non lo sai neanche tu. Siamo il popolo più vecchio del pianeta, non lo parla nessuno. Ragiona un attimo, se la gente lo conoscesse veramente noterebbe che molte parole usate non significano quello che credono.

-         E tante canzoni idiote nessuno le ascolterebbe più. Il che non sarebbe un male.- Rincarò Carlo.

-         Si ho capito ma …

-         Tipo: se dico a mio nonno che la pensione gli arriva dal ministero del Welfare prende paura. Gli viene da pensare ai nazi. E’ tutta una questione di televisione. Ora possono discutere nei loro cazzo di programmi, la gente ascolta, si fa anche delle opinioni su tizio e caio, poi tanto non sa neanche di cosa parlavano. Quando tutti sapranno l’inglese troppo bene troveranno un’altra lingua per incasinarti la vita. Vedrai. Magari ritirano fuori il francese. Oppure il dialetto bergamasco così almeno sono sicuri che non capirà mai nessuno. E poi se non fosse così perché non usano l’italiano?

L’ultima domanda ci spiazzò e nessuno rispose. Non aveva tutti i torti. “Perché non usano l’italiano? Bo.”

Dopo una mezz’ora ci rimettemmo sulla superstrada e comparì il cartello di una prossima area di sosta. Filippo mise la freccia quasi un chilometro prima per far capire alla macchina dietro le nostre intenzioni e ci seguirono.

-         Stavamo per chiamarvi che qui c’è gente che la tiene da duecento chilometri.- Ci disse Alberto appena smontato.

L’aria era fresca, eravamo nel centro degli Appennini. Ci infilammo nei bagni e poi al bancone a comprare bottigliette d’acqua. Quando ci trovammo tutti fuori a fumare una sigaretta in compagnia, Carlo comparì con i tramezzini. Li contò, divise per nove e distribuì a tutti la rispettiva parte senza tenere conto dei quattro che c’eravamo sparati nello stomaco in macchina.

-         Mi sto mangiando la fortuna. Mi sto mangiando la fortuna.- Sentivo ripetere a bassa voce da Chicco alle mie spalle, mentre addentava il primo tramezzo.

La cosa lo faceva sembrare uno di quei pazzi da manicomio, specialmente agli occhi dei passeggeri dell’altra auto.

-         Ragazzi bisogna che facciamo gas qui. Così ne abbiamo dopo se ci servono le macchine.- Dissi mostrando la cartina geografica.

-         Hai ragione. Vai tu a farlo e chiamati anche Alberto. Prendi le chiavi.

Mentre gli altri finivano di stiracchiarsi io e Alberto prendemmo le macchine e andammo a riempire i serbatoi. Stavamo facendo il pieno quando Alberto si avvicinò e mi domandò se Michele poteva cambiare auto e venire con noi.

-         Da noi non si beve, non si fuma. Se no le ragazze ci schizzano addosso. Credo.

-         No problema amico.- Dissi pensando all’inutile paranoia di Alberto riguardo alla presenza delle ragazze. “Chissà che schizzo gli è venuto nel cervello.”- Comunque vuoi con me che facciamo schizzare un po’ il pompaiolo?

-         Chi è il pompaiolo?

-         Quello che sta pompando gas alla nostra macchina. Vieni con me.

Ci avvicinammo alle macchine mentre il benzinaio stava staccando il manicotto.

-         Mi scusi- attaccai io- volevo farle una domanda. Posso?

-         Mi dica?

-         Ma scusi, premetto che so che lei è semplicemente un dipendente, ma vorrei porle un quesito che mi assilla. Vede, io non capisco perché quando faccio il pieno non ho uno sconto che mi spetterebbe di diritto.

-         Come? In che senso le aspetta di diritto?

-         Scusi, ma quando io faccio il pieno la mia macchina pesa di più. Giusto?

-         Si.

-         Per cui consumo più benzina per mandare avanti l’auto. Esatto?

-         Si. Ehm, credo di si.

-         Per cui non mi conviene fare il pieno, mi conviene fare rifornimento più volte tenendo sempre il serbatoio mezzo carico. Se faccio il pieno mi danneggio. Dovreste risarcirmi la perdita di prestazione dell’auto.

-         Si, ma guardi, io sono solo un dipendente. Non so dirle le politiche della compagnia per cui lavoro.

-         Si si. Tranquillo volevo solo sapere se mi poteva dare una spiegazione logica. Fa niente. Quanto le dobbiamo?

-         Sessanta euro.

-         Ecco a lei. Arrivederci.

L’uomo, un po’ trafelato e sudaticcio, se ne andò con un grugno in faccia abbastanza espressivo.

-         Ma che cazzo gli domandi? Cosa vuoi che ti dica?

-         Niente. Però mi da troppa soddisfazione metterli in difficoltà. Poi ci spero sempre in uno sconto.

-         Quindi tu lo domandi a tutti?

-         Si e sono convinto di aver ragione. Anche al supermercato più compri più sconto hai. Oppure, se paghi tutto subito non ti costa meno che a rate? Perché con la benzina non vale questo meccanismo? Bo? E poi spero sempre in qualcuno che mi dica: “Sa, la politica della compagnia per cui lavoro, come tutte del resto, è studiata dai migliori economisti per fottervi.” Insomma un po’ di sincerità.

-         Magari speri anche di vivere fino al duemila e cento?

-         Sei fuori. Un’altra volta tutta sta rottura di cazzo delle classifiche. Il disco più bello del secolo, la canzone del secolo, il film del secolo, l’uccello del secolo, eccetera eccetera. Più tosto mi sparo un colpo in testa. L’ho già passato una volta.

-         Non ci avevo pensato.

-         Vedi cosa servono più punti di vista?- Dissi rimontando nell’auto per riportandola dove gli altri ci attendevano.

 
 
 
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