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ECCO COME SONO COMPLICI LE SQUADRE MILANESI CON GLI ULTRAS ( da Corriere.it )

Post n°3111 pubblicato il 07 Febbraio 2007 da asrfila80

Il capo dei Commandos, qualche anno prima, nonpoteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti deiCommandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti,ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in unatentata estorsione ai danni dei rossoneri.Concolpi di pistola e un pestaggio.

Equilibrio sottile
Rapporti a rischio. I capi ultrà viaggiano spesso sugli stessi charter che portano i giocatori e i dirigenti. «Ma volano a loro spese», fanno sapere da Milan e Inter. Entrano negli spogliatoi di San Siro e nelle aree vip. Perché i leader della curva possiedono pass nominali, con tanto di foto per «muoversi liberamente in ogni settore dello stadio, compresi gli spogliatoi dei giocatori » (deposizione di un dirigente del Milan). Lostesso succede per l’Inter.Avolte, i legami diventano lavorativi. Come per un esponente di Alternativa rossonera, impiegato in un ufficialissimo Milan point. Infine, sul sito delle Brigate rossonere Gilardino, Inzaghi, Kakà e Gattuso mettono gratuitamente a disposizione la loro (costosa) immagine per pubblicizzare magliette, cappellini e felpe del gruppo. Fin qui, niente di illecito. Solo la prova di una certa contiguità tra le società e i gruppi di tifosi più estremi. Di contatti che vengono considerati inevitabili. E da coltivare: servono a «responsabilizzare» i capi dei tifosi, con il risultato «di essere una delle squadre meno sanzionate in Europa e in Italia», come chiarisce un responsabile del Milan in un verbale della Digos. Il fatto è che l’equilibrio è fragile. E il confine tra rapporto corretto e complicità sottile.
Il patto nerazzurro
Quindici maggio 2005, a San Siro si gioca la partita Inter-Livorno. In curva Nord, quella nerazzurra, compare una croce celtica. Sventola per pochi minuti, poi viene ritirata. Cosa è accaduto? Un responsabile della polizia ha avvertito un referente della curva, che ha girato immediatamente l’ordine: «Fate levare quella roba». Il magistrato che ha indagato sugli ultrà interisti parla di collaborazione «efficace». È il sistema nerazzurro, per come è stato ricostruito dagli investigatori. Funziona così: concessione di benefici «limitati» ai capi-curva in cambio di una sorta di «servizio d’ordine». Il tutto sotto la supervisione della polizia, che però non compare mai sugli spalti. L’Inter assicura cinquanta biglietti omaggio «consegnati a Franco Caravita (leader della curva Nord, ndr) e da questi gestiti con successiva distribuzione » ad altri esponenti degli ultrà. La contropartita, per l’immagine e per le casse di una società di calcio, è enorme: una curva calma, niente guerriglia urbana (rarissima fuori da San Siro negli ultimi anni), poche multe per incidenti e lancio di fumogeni. Ma come: si tratta con i «cattivi»? Ci si affida a loro per il servizio d’ordine, anche se alcuni hanno precedenti penali? E qual è il limite di questi accordi? La risposta l’ha data il pm Fabio Roia chiedendo l’archiviazione dell’indagine sul lancio di fumogeni che portò all’interruzione del derby diChampions del 12 aprile 2005: «È evidente come questa intesa possa suscitare qualche perplessità sotto il profilo etico e della eventuale prospettiva investigativa, ma la gestione dell’ordine pubblico in situazioni di particolare complessità comporta una visione ampia e flessibile del problema». Un pragmatismo efficace da un lato,mache dall’altro rappresenta una sorta di resa del sistema calcio: le società sono i «soggetti deboli» per il principio della responsabilità oggettiva (le intemperanze dei tifosi si pagano con multe e squalifiche del campo); polizia e carabinieri non entrano mai nelle curve di San Siro per evitare «possibili provocazioni», eun anello chiave della sicurezza sono gli ultrà stessi. Viene da pensare: ma cosa succede negli stadi italiani se questo modello,come accertato dopo mesi di indagine, è il risultato della «bonifica culturale» del presidente Moratti? Se il calcio è una macchina da soldi, 3 per cento del Pil, le curve tentano di ritagliarsi la propria fetta. Il tifo che diventa mestiere.
Il giro d’affari
Primo: i biglietti per le trasferte. Di solito le società li vendono ai rappresentanti della curva. Niente di illecito.Maquesto cosa comporta?Unodei capi ultrà del Milan haammessodi rivenderli a 2-3 euro in più.Edè il primo ricarico. Sui biglietti si fonda poi l’organizzazione dei viaggi: pullman e treni per le trasferte più vicine, aereo per quelle distanti. I curvaioli comprano il pacchetto completo. Che comprende, ovviamente, altri ricarichi. Moltiplicando per le 18 trasferte di campionato, più quelle di coppa Italia e di Champions, alle quali partecipano in media, per le squadre milanesi, tra le mille e le 4 mila persone, si scopre che una stagione calcistica può fruttare 5-600 mila euro. Sottobanco poi, è un’altra storia: biglietti regalati, venduti sottocosto o pagati inmododilazionato. Per l’Inter la magistratura ha escluso questa prassi, sul Milan (come parte lesa in un tentativo di estorsione da parte di gruppi ultrà) c’è un’indagine in corso. «Ma per società molto importanti — spiega Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica— l’omaggio può arrivare anche a un migliaio di biglietti». In questo caso gli introiti per gli ultrà-affaristi si moltiplicano. «I capitifoseria hanno un potere enorme —aggiunge il procuratore capo di Monza, Antonio Pizzi, che ha condotto l’inchiesta oggi passata a Milano —. Ricattano le società che forniscono loro biglietti sottocosto o in omaggio. Il giro d’affari per una curva è nell’ordine di milioni di euro».Aquesto fiume di soldi bisogna aggiungere gli aiuti per le coreografie (negati dalle società) e la vendita dei gadget: cappelli, felpe, magliette. Questa è la montagna di soldi da spartire. Che non arriva a tutta la curva, manelle tasche dei pochi che comandano. Conseguenza: i capi degli ultrà milanesi pensano più agli affari che alla violenza. Ma appena gli equilibri si spostano, c’è qualcuno che per entrare nel business è pronto sparare. È quel che sta succedendo intorno a San Siro.
La tentata estorsione
Nell’autunno 2005 si scioglie, dopo 37 anni, la Fossa dei Leoni. È un gruppo storico del tifo rossonero, ma ha due macchie: è l’unico rimasto di sinistra e non risparmia le critiche alla società. La ragione dello scioglimento sembra tuttadacercarsi dentro il codice d’onore ultrà: i Viking juventini hanno rubato lo striscione alla Fossa, che per la restituzioneha chiesto la collaborazione con la Digos. Questa storia è anche un pretesto. In realtà, c’è già un nuovo gruppo, di destra, che sgomita per la leadership: i Guerrieri ultras. I Guerrieri si sarebbero alleati con le Brigate Rossonere. I Commandos vanno in minoranza. E pagano. «I nuovi cominciano a sgomitare. In due direzione: per guadagnare spazio nella curva e per ottenere il riconoscimento dalla società. Che consente di partecipare al giro d’affari» spiega un investigatore. Così, l’ottobre scorso, due uomini in moto sparano alle gambe di A. L., 32 anni, esponente dei Commandos, davanti a un supermercato di Sesto San Giovanni. Il 25 gennaio, un altro leader dello stesso gruppo viene picchiato fuori da San Siro da sette persone (due sono state arrestate e stanno per andare a processo). È conciato così male che ancora oggi non si sa se ce la farà. Intanto, i Guerrieri chiedono biglietti alla società. Forse anche abbonamenti. Mail Milan, per due volte, rifiuta. E, combinazione, subito dopo per due volte dalla curva piovono fumogeni: Milan- Lilla, 6 dicembre, e Milan-Torino, 10 dicembre 2006. Il Milan annuncia una linea più dura: taglia i pass. Galliani va in procura a Monza, che nel frattempo ha indagato dieci ultrà:«Manon sono io che mi occupo di queste cose». Non c’è stata nessuna denuncia. La procura è arrivata alla tentata estorsione indagando sulla sparatoria. «Nei nuovi gruppi di ultrà—rivela uninvestigatore — ci sono molti delinquenti comuni, con precedenti per spaccio e rapine». Sicuri che valga la pena tenerli in famiglia?

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