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All'Italia - Giacomo Leopardi

Post n°46 pubblicato il 27 Maggio 2008 da castalia_av
 

O patria mia, vedo le mura e gli archi


E le colonne e i simulacri e l'erme


Torri degli avi nostri,


Ma la gloria non vedo,


Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi


I nostri padri antichi. Or fatta inerme,


Nuda la fronte e nudo il petto mostri.


Oimè quante ferite,


Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,


Formosissima donna! Io chiedo al cielo


E al mondo: dite dite;


Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,


Che di catene ha carche ambe le braccia;


Sì che sparte le chiome e senza velo


Siede in terra negletta e sconsolata,


Nascondendo la faccia


Tra le ginocchia, e piange.


Piangi, che ben hai donde, Italia mia,


Le genti a vincer nata


E nella fausta sorte e nella ria.


Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,


Mai non potrebbe il pianto


Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;


Che fosti donna, or sei povera ancella.


Chi di te parla o scrive,


Che, rimembrando il tuo passato vanto,


Non dica: già fu grande, or non è quella?


Perché, perché? dov'è la forza antica,


Dove l'armi e il valore e la costanza?


Chi ti discinse il brando?


Chi ti tradì? qual arte o qual fatica


O qual tanta possanza


Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?


Come cadesti o quando


Da tanta altezza in così basso loco?


Nessun pugna per te? non ti difende


Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo


Combatterò, procomberò sol io.


Dammi, o ciel, che sia foco


Agl'italici petti il sangue mio.


Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi


E di carri e di voci e di timballi:


In estranie contrade


Pugnano i tuoi figliuoli.


Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,


Un fluttuar di fanti e di cavalli,


E fumo e polve, e luccicar di spade


Come tra nebbia lampi.


Né ti conforti? e i tremebondi lumi


Piegar non soffri al dubitoso evento?


A che pugna in quei campi


L'itala gioventude? O numi, o numi:


Pugnan per altra terra itali acciari.


Oh misero colui che in guerra è spento,


Non per li patrii lidi e per la pia


Consorte e i figli cari,


Ma da nemici altrui


Per altra gente, e non può dir morendo:


Alma terra natia,


La vita che mi desti ecco ti rendo.


Oh venturose e care e benedette


L'antiche età, che a morte


Per la patria correan le genti a squadre;


E voi sempre onorate e gloriose,


O tessaliche strette,


Dove la Persia e il fato assai men forte


Fu di poch'alme franche e generose!


Io credo che le piante e i sassi e l'onda


E le montagne vostre al passeggere


Con indistinta voce


Narrin siccome tutta quella sponda


Coprìr le invitte schiere


De' corpi ch'alla Grecia eran devoti.


Allor, vile e feroce,


Serse per l'Ellesponto si fuggia,


Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;


E sul colle d'Antela, ove morendo


Si sottrasse da morte il santo stuolo,


Simonide salia,


Guardando l'etra e la marina e il suolo.


E di lacrime sparso ambe le guance,


E il petto ansante, e vacillante il piede,


Toglieasi in man la lira:


Beatissimi voi,


Ch'offriste il petto alle nemiche lance


Per amor di costei ch'al Sol vi diede;


Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.


Nell'armi e ne' perigli


Qual tanto amor le giovanette menti,


Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?


Come sì lieta, o figli,


L'ora estrema vi parve, onde ridenti


Correste al passo lacrimoso e duro?


Parea ch'a danza e non a morte andasse


Ciascun de' vostri, o a splendido convito:


Ma v'attendea lo scuro


Tartaro, e l'onda morta;


Né le spose vi foro o i figli accanto


Quando su l'aspro lito


Senza baci moriste e senza pianto.


Ma non senza de' Persi orrida pena


Ed immortale angoscia.


Come lion di tori entro una mandra


Or salta a quello in tergo e sì gli scava


Con le zanne la schiena,


Or questo fianco addenta or quella coscia


Tal fra le Perse torme infuriava


L'ira de' greci petti e la virtute.


Ve' cavalli supini e cavalieri;


Vedi intralciare ai vinti


La fuga i carri e le tende cadute


E correr fra' primieri


Pallido e scapigliato esso tiranno;


Ve' come infusi e tinti


Del barbarico sangue i greci eroi,


Cagione ai Persi d'infinito affanno,


A poco a poco vinti dalle piaghe,


L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:


Beatissimi voi


Mentre nel mondo si favelli o scriva.


Prima divelte, in mar precipitando,


Spente nell'imo strideran le stelle,


Che la memoria e il vostro


Amor trascorra o scemi.


La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando


Verran le madri ai parvoli le belle


Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,


O benedetti, al suolo,


E bacio questi sassi e queste zolle,


Che fien lodate e chiare eternamente


Dall'uno all'altro polo.


Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle


Fosse del sangue mio quest'alma terra.


Che se il fato è diverso, e non consente


Ch'io per la Grecia i moribondi lumi


Chiuda prostrato in guerra,


Così la vereconda


Fama del vostro vate appo i futuri


Possa, volendo i numi,


Tanto durar quanto la vostra duri.

 
 
 

Post N° 45

Post n°45 pubblicato il 27 Maggio 2008 da castalia_av
 
Foto di castalia_av

 
 
 

23 maggio 1992-23 maggio 2008

Post n°44 pubblicato il 26 Maggio 2008 da castalia_av
 

"Si muore generalmente perchè si è soli o perchè si è entrati in un gioco troppo grande; spesso si muore perchè non si dispone delle necessarie alleanze. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato, che lo Stato non è riuscito a proteggere"

Giovanni Falcone

 
 
 

Post N° 43

Post n°43 pubblicato il 20 Maggio 2008 da castalia_av
 

"Ahi serva Italia, di dolore ostello,
 nave senza nocchiero in gran tempesta,
non donna di provincia ma bordello"

Dante Alighieri, VI canto, Purgatorio

E' questa la prima cosa che penso ogni volta che accendo la tv, o leggo un giornale. Povera Italia, poveri italiani!
Pacchetti sicurezza artificiosi; Napoli sommersa dalla spazzatura, con pericolo di epidemie impellenti e quasi inevitabili; la Spagna che ci accusa di xenofobia per  la questione immigrazione e gli episodi verificatesi un pò su tutto il territorio nazionale nei confronti dei rom; un ragazzo di vent'anni che cerca di darsi fuoco perchè non ha un posto di lavoro; il bullismo dilagante; le violenze sulle donne; bambine che giocano ad essere grandi ma poi non riescono a tornare indietro; morti bianche all'ordine del giorno.

Questa l'Italia sotto i riflettori. Del bel paese non rimane nient'altro che il ricordo della dolce vita di Federico Fellini,  nient'altro che questo.

Fra le tante "tragedie tutte italiane", quella che mi lascia maggiormente perplessa è la spirale d'odio apertasi in seguito al tentato rapimento della bambina da parte di una ragazzina rom a Napoli. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo anni di sopportazione e convinvenza con chi non ha mai rispettato, oltre alle leggi dello Stato, le regole della civile convivenza, ed ha contribuito a seminare la paura ed il terrore nelle nostre città. Ma, basta forse questo a giustificare tanto odio, tanta violenza? Campi bruciati, bambini con la paura negli occhi. Bambini. Uguali a tutti i bambini del mondo. Ma questi bambini il giorno prima rubavano nelle nostre borse, nelle nostre case. Una ragazza di 16 anni è stata sorpresa a rubare una neonata. E per farne cosa? Rendere schiava anche lei? O per ucciderla e destinare i suoi organi ad un mercato fiorente? Oppure rubarla per venderla ad un'altra famiglia che figli non può avere? E chi ruba nelle nostre case? E chi violenta le nostre donne?
Qualcuno mi obietterà: "Non fanno forse lo stesso anche gli italiani?"
Si, è vero li condanno allo stesso modo, ma è proprio per questa ragione che non bastano le forze dello Stato per seguire e sopprimere tanta criminalità dilagante.

Contraria, sicuramente, al reato di clandestinità: semplicemente ridicolo;
Stupita ed indignata per l'invasione di campo della Spagna: loro hanno sparato sugli extracomunitari;
Dispiaciuta ed amareggiata per quanto successo nei campi rom italiani: sono comunque delle persone, degli uomini, delle donne e dei bambini, proprio come noi. Devono pagare, ma non essere trattati come animali.


 
 
 

17 maggio 1972 - 17 maggio 2008 ricordando il Commissario Capo P.S. LUIGI CALABRESI

Post n°42 pubblicato il 17 Maggio 2008 da castalia_av
 
Foto di castalia_av





Note biografiche

 

Di famiglia medio-borghese, frequentò il liceo classico e si laureò in giurisprudenza con una tesi sulla mafia. Nella Polizia, diresse l'ufficio politico della questura di Milano, l'attuale Digos, con il compito di indagare sulle organizzazioni della sinistra extraparlamentare.

Calabresi fu assassinato alle 9.15 del 17 maggio 1972,davanti alla sua casa, mentre si avviava alla sua auto per andare in
ufficio,da un commando di due killer che gli spararono alle spalle.
Lasciò la moglie e due figli; un terzo figlio nacque pochi mesi dopo la
sua morte.
 
 
Nel 1988 Leonardo Marino, uno dei killer, pentitosi, confessò di aver partecipato con Ovidio Bompressi all'assassinio del commissario, mandanti Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, tutti in precedenza militanti di Lotta Continua. Leonardo Marino fu condannato a 11 anni di reclusione, Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri a 22 anni.

Il caso Pinelli


Calabresi divenne noto nel corso delle indagini sulla strage di piazza fontana quando, da una finestra della questura, precipitò l'anarchico Giuseppe Pinelli, che si trovava in questura, tenuto illegalmente in stato di fermo da più di due giorni per essere interrogato riguardo al suo alibi.

Le forze della sinistra italiana avanzarono il sospetto che Pinelli
fosse stato gettato dalla finestra durante l'interrogatorio, ed
accusarono il commissario di aver partecipato al fatto. Calabresi fu il
bersaglio di una martellante campagna di denuncia, sia da parte di
intellettuali di sinistra (tra gli altri, Elio Petri e Dario Fo, che si ispirò alla vicenda di Pinelli per un'opera teatrale, Morte accidentale di un anarchico),
che da parte di gruppi più radicali (con minacce scritte sui muri
cittadini), ed in particolare dal giornale dell'organizzazione
extraparlamentare Lotta continua. Ottocento intellettuali firmarono un manifesto, pubblicato sull'Espresso con cui accusarono Calabresi di essere un torturatore e un assassino.
Un peso rilevante nel determinare la situazione di odio montante nei
confronti del commissario fu a carico del giornale della sinistra
extraparlamentare Lotta continua, dalle cui pagine il direttore Adriano Sofri
inneggiava più di altri al suo assassinio, giustificandosi con la
presunzione di ritenerlo responsabile della morte del Pinelli.
Paradossalmente, il commissario conosceva bene l'anarchico, al punto
tale che, qualche tempo prima, Pinelli aveva fatto dono a Calabresi
d'una copia dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, come racconta il figlio Mario, attualmente corrispondente da New York di Repubblica, quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, uno degli 800 intellettuali firmatari del manifesto di cui sopra.
L'inchiesta della magistratura sulla morte di Pinelli, condotta dal magistrato Gerardo D'Ambrosio,
scagionò la polizia, giungendo alla conclusione che la caduta fu
causata «a causa di un malore attivo e dall'improvvisa alterazione del
centro di equilibrio»" e quindi classificando la morte come
"accidentale", quindi né suicidio, né omicidio, accertando inoltre che
il commissario Calabresi non si trovava nella stanza al momento del
fatto.
 
 
 
(da http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Calabresi)


Ricordare per non dimenticare mai.
Ricordare uomini che hanno dato qualcosa alla nazione in modo gratuito e naturale, senza manie di martirio o protagonismo, senza egocentrismi isterici, un funzionario di Polizia ucciso due volte. Ucciso maggiormente dall'oblio al quale certa parte di intellettuali, pseudo proletari rivoluzionari, con le barbette da falsi sovversivi volevano consegnarne la memoria, dal fatto che il suo nome sia stato un vero e proprio tabù per anni, a causa della morte di Pinelli.
Una vittima dell'odio anche lui. Un odio che non avrà mai provato, semmai un amore per il lavoro che svolgeva. Concludo con una frase detta dal Commissario Capo della Polizia di Stato Luigi Calabresi alla moglie, la mattina dell'assassinio, riferita da lei stessa nel corso della puntata dedicata alla memoria del marito, del programma "La Storia siamo Noi". Raccontò che quella mattina, il dott. Calabresi mise una cravatta rosa, mentre stava scendendo in ascensore, tornò indietro e ne scelse una bianca. Nell'indossarla disse "metto questa perchè è bianca, è simbolo della mia purezza".


Alla memoria di chi ha servito lo Stato.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: castalia_av
Data di creazione: 23/11/2007
 

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