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Le poesie di Isabella di Morra

Post n°85 pubblicato il 11 Agosto 2013 da livieroamispera
 
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Dopo i 10 sonetti del post precedente, completo con queste tre canzoni, abbastanza lunghe, la produzione di Isabella di Morra.

11
Poscia che al bel desir troncate hai l'ale,
che nel mio cor sorgea, crudel Fortuna,
sì che d'ogni tuo ben vivo digiuna,
dirò con questo stil ruvido e frale
alcuna parte de l'interno male
causato sol da te fra questi dumi,
fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva d'ingegno,
ove senza sostegno
son costretta a menare il viver mio,
qui posta da ciascuno in cieco oblio.
Tu, crudel, de l'infanzia in quei pochi anni
del caro genitor mi festi priva,
che, se non è già pur ne l'altra riva,
per me sente di morte i grevi affanni.
ché 'l mio penar raddoppia gli suoi danni.
Cesar gli vieta il poter darmi aita.
O cosa non più udita,
privar il padre di giovar la figlia!
Così, a disciolta briglia
seguitata m'hai sempre, empia Fortuna.
cominciando dal latte e da la cuna.
Quella ch'è detta la fiorita etade,
secca ed oscura, solitaria ed erma
tutta ho passata qui cieca ed inferma,
senza saper mai pregio di beltade.
È stata per me morta in te pietade,
e spenta l'hai in altrui, che potea sciorre
e in altra parte porre
dal carcer duro il vel de l'alma stanca,
che, come neve bianca
dal sol, così da te si strugge ogni ora
e struggerassi infin che qui dimora.
Qui non provo io di donna il proprio stato
per te, che posta m'hai in sì ria sorte
che dolce vita mi saria la morte.
I cari pegni del mio padre amato
piangon d'intorno. Ahi, ahi, misero fato,
mangiare il frutto, ch'altri colse, amaro
quei che mai non peccaro,
la cui semplicità faria clemente
una tigre, un serpente,
ma non già te, ver noi più fiera e rea.
ch'al figlio Progne ed al fratel Medea.
Dei ben, che ingiustamente la tua mano
dispensa, fatta m'hai tanto mendica,
che mostri ben quanto mi sei nemica,
in questo inferno solitario e strano
ogni disegno mio facendo vano.
S'io mi doglio di te sì giustamente
per isfogar la mente,
da chi non son per ignoranza intesa
i' son, lassa, ripresa:
ché, se nodrita già fossi in cittade,
avresti tu più biasmo, io più pietade.
Baston i figli de la fral vecchiezza
esser dovean di mia misera madre;
ma per le tue procelle inique ed adre
sono in estrema ed orrida fiacchezza:
e spenta in lor sarà la gentilezza
dagli antichi lasciata a questi giorni,
se dagli alti soggiorni
pietà non giunge al cor del Re di Francia,
che, con giusta bilancia
pesando il danno, agguaglie la mercede
secondo il merto di mia pura fede.
Ogni mal ti perdono,
né l'alma si dorrà di te giamai
se questo sol farai
(ahi, ahi, Fortuna, e perché far no 'l dêi?)
che giungano al gran Re gli sospir miei.


12
Signor, che insino a qui, tua gran mercede.
con questa vista mia caduca e frale
spregiar m'hai fatto ogni beltà mortale,
fammi di tanto ben per grazia erede,
che sempre ami te sol con pura fede
e spregie per innanzi ogni altro oggetto,
con sì verace affetto,
ch'ognun m'additi per tua fida amante
in questo mondo errante,
ch'altro non è, senza il tu' amor celeste,
ch'un procelloso mar pien di tempeste.
Signor, che di tua man fattura sei,
ov'ogni ingegno s'affatica in vano,
ritrarre in versi il tuo bel volto umano
or sol per disfogare i desir miei,
ad altri no, ma a me sola vorrei,
ed iscolpirmi il tuo celeste velo,
qual fu quando dal Cielo
scendesti ad abitar la bassa terra
ed a tor l'uom di guerra.
Questa grazia, Signor, mi sia concessa
ch'io mostri col mio stil te a me stessa.
Signor, nel piano spazio di tua fronte
la bellezza del Ciel tutta scolpita
si scorge, e con giustizia insieme unita
de l'alta tua pietade il vivo fonte,
e le pie voglie a perdonarci pronte.
Ombre dei lumi venerandi e sacri,
di Dio bei simulacri,
ciglia, del cor fenestre, onde si mostra
l'alma salute nostra;
occhi che date al sol la vera luce,
che per voi soli a noi chiara riluce!
Signor, cogli occhi tuoi pien di salute
consoli i buoni ed ammonisci i rei
a darsi in colpa di lor falli rei;
in lor s'impara che cosa è virtute.
O mia e tutte l'altre lingue mute,
perché non dite ancor de' suoi capelli,
tanto del sol più belli
quanto è più bello e chiaro egli del sole?
O chiome uniche e sole,
che, vibrando dal capo insino al collo,
di nuova luce se ne adorna Apollo!
Signor, da questa tua divina bocca
di perle e di rubini escon di fore
dolci parole ch'ogni afflitto core
sgombran di duolo e sol piacer vi fiocca
e di letizia eterna ogniun trabocca.
Guancie di fior celesti adorne, e piane
a le speranze umane;
corpo in cui si rinchiuse il Cielo e Dio,
a te consacro il mio:
la mente mia qual fu la tua statura
con gli occhi interni già scorge e misura.
Signor, le mani tue non dirò belle
per non scemar col nome lor beltade,
mani, che molto innanzi ad ogni etade
ci fabricâr la luna, il sol, le stelle:
se queste chiare son, quai saran elle?
Felice terra, in cui le sacre piante
stampâr tant'orme sante!
A la vaghezza del tuo bianco piede
il Ciel s'inchina e cede.
Felice lei, che con l'aurate chiome
le cinse e si scarcò de l'aspre some!
Canzon, quanto sei folle,
poi che nel mar de la beltà di Dio
con sì caldo desio
credesti entrare! Or c'hai 'l camin smarrito,
réstati fuor, ché non ne vedi il lito.


13
Quello, che i giorni adietro
Nojava questa mia gravosa salma
Di star fra queste selve erme, ed oscure;
Or sol diletta l' alma,
Che da Dio, sua mercè, tal grazia impetro,
Che scorger ben mi fà le vie sicure
Di gir a lui, fuor delle inique cure:
Or rivolta la mente alla Regina
Del Ciel, con vera, altissima umiltade,
Per le solinghe strade,
Senza intrico mortal, l' alma cammina
Già verso il suo riposo,
Che ad altra parte il pensier non inchina,
Fuggendo il tristo Secol sì nojoso
Lieta, e contenta, in questo bosco ombroso.
Quando dall' Oriente
Spunta l' Aurora, col vermiglio raggio,
E se n' annunzia dalle squille il giorno;
Allora al gran messaggio
Della nostra salute, alzo la mente,
E lo contemplo d' alte glorie adorno,
Nel basso tetto, dove fea soggiorno
La gran Madre di Dio, ch' or regna in Cielo:
Così godendo nel mio petto umile,
A lei drizzo il mio stile,
E il fral mio vel di rozze vesti velo:
E sol di servir lei,
Non d' altra cura, al cor mi giugne zelo;
Seguendo le vestiggia di colei,
Che dal diserto accolta, fu dai Bei.
Quando da poi fuor sorge
Febo, che fà nel Mar la strada d' oro,
Tutta m' interno all' allegrezza immensa;
Ch' ebbe del suo tesoro
Quella, che tanta grazia, ora a me porge,
Ch' io la riveggio con la mente intensa
Mirar il figlio, in caritate accensa,
Nato fra gl' animai con pio sembiante:
E del sangue, che manda al petto il core
Nodrire il suo Signore;
E scerno il duce dell' eterno amante.
Sotto povere veste
Spregiar le pompe del vulgo arrogante;
Colui, che sol pregiò l' aspre foreste,
E fu fatto da Dio, tromba celeste;
Poiche il suo chiaro volto,
Alzando dalle valli, scaccia l' ombra
Il biondo Apollo, col suo altero sguardo,
Un bel pensier m' ingombra;
Parmi veder Gesù, nel Tempio in volto,
Fra saggi disputar; con parlar tardo,
E lei per, ch' io d' amor m' infiammo, ed ardo
Versar dagl' occhi, per letizia pianto:
Questi conforti incontro ai duri oltraggi
M' apportan questi faggi,
Lungi schivando, di Sirene il canto,
Che per solinghe vie
Il bel giovane a Dio, diletto tanto
Con le sue caste voglie, e sante, e pie
Vide il sentier dell' alte Gerarchie.
Alzato a mezzo il Polo
Il gran Pianeta con bollenti rai,
Che uccide i fiori in grembo a Primavera.
S' alcuno vide mai
Crucciato il Padre, contro il rio figliuolo,
Così contemplo Cristo in voce altera
Predicando ammonir la gente fera:
E col cenno, del qual l' Inferno pave,
Romper le porte d' ogni duro core,
Cacciando il vizio fuore.
Quanto ti fu a vedere, alma, soave
Gl' error conversi in cenere
Dal caro figlio, in abito sì grave;
Quanto beata fu, chi le sue tenere
Membra a Dio consagrò, sagrate a Venere.
E se l' eterno foco
Giugne tant' alto, che al calar rimira,
Ti scorgo, Signor mio, fra i tuoi fratelli
Senza minaccie, od ira,
Del tuo amor infiammarli a poco, a poco;
E con leggiadri detti, e gravi, e belli
Render beati, e pien di grazia quelli:
Lor rammentando pur la santa pace.
La gioja del mio cor, ch' amo, et adoro
Contemplo fra coloro,
Che i santi esempj tuoi, raccoglie, e tace.
O via dolce, e spedita,
Trovata già nel vil secol fallace,
E che il primiero fin dal Ciel m' addita
Sol dell' eremo la tranquilla vita.
Per voi, grotta felice,
Boschi intricati, e rovinati sassi,
Sinno veloce, e chiare fonti, e rivi,
Erbe, che d' altrui passi
Segnate a me vedere unqua non lice;
Compagna son di quegli spirti divi,
Ch' or la sù stanno in sempiterno vivi,
E nel solare, e glorioso lembo
Della Madre, del Padre, e del suo Dio
Spero vedermi anch' io,
Sgombrata tutta dal terrestre nembo;
E fra l' alme beate
Ogni mio bel pensier riporle in grembo.
O mie rimote, e fortunate strate
Dove adopra il Signor la sua pietate.
Quanto discovre, e scalda il chiaro Sole,
Canzon, è nulla ad un guardo sì pio;
ch' è Regina del Ciel, Madre di Dio.

 
 
 
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