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Giusto de' Conti

Post n°135 pubblicato il 31 Agosto 2013 da livieroamispera
 

Notizie storiche
Poco sappiam di questo esimio scrittore. Fu da Valmontone Romano. S'innamorò del 1409 in Roma d'una fanciulla, che il fe' poeta. Morì poco avanti al 1452 e fu sepolto in Rimini nel celebre tempio di S. Francesco, eretto da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Fu oratore e giureconsulto.
Notizie critiche
Ogni secolo ha il suo lirico maestro degli altri. Nel secolo dopo il Petrarca io non trovo il migliore canzoniere di Giusto de' Conti. Eccolo dunque intero. La sua "Bella Mano" ha un non so che di Petrarchesco, che si allontana dal servile, e che a ragione gli dà il titolo di pensatore, non di plagiario. Un languido passionato, un colorito dolce, una semplice sensibilità vibrano le sue rime, malgrado la decadenza del buon gusto a quel tempo. Non ha nè il bizzarro, nè il capriccioso di quelli che lo seguirono, e molto meno la snervatezza di quelli che la imitarono. Tanto potè in lui la "Bella Mano" della sua amante. Il Gravina fu sì rapito del suo ingegno, che il creò Senatore Romano con un tratto poco critico della sua penna.

Il brano di cui sopra è tratto da "Lirici Antichi Serj e Giocosi Fino al Secolo XVI" di Andrea Rubbi, in Parnaso Italiano Volume 6, presso Antonio Zatta e Figli, Venezia, 1784, pagg. 344-361. Nel volume è riportata l'intera produzione letteraria di Giusto de' Conti, intitolata "La Bella Mano", così composta:
Sonetti, canzoni e ballate (pagg. 1-164)
135 Sonetti
5 Canzoni
3 Sestine
3 Ballate
Capitoli (165-192)
 Capitolo 1 (165-170)
 Capitolo 2 (170-177)
 Capitolo 3 (177-184)
 Capitolo 4 (184-192)

Per notizie più approfondite, si può consultare la voce della Treccani online.

A completamento e rettifica di quanto affermato dal Rubbi in merito agli scarsi dati biografici, cito l'introduzione a "La bella Mano di Giusto de Conti" a cura di Giuseppe Gigli, Carabba Editore, Lanciano, 1916. Ne riporto un breve estratto:

"Un altro lato della lirica del Conti dobbiamo notare, l' assenza, cioè, di lodi a' signori de' quali godeva la protezione, poiché egli non si prestò mai all'adulazione e non mise l' arte sua in servigio di alcuno, E questa non è piccola lode, se si pensi che le invidie che i grandi signori nutrivano segretamente e apertamente tra di loro, erano ottimo alimento a stimolare le velleità poetiche de' letterati, i cui lamenti non eran veri né sentiti.
La Bella Mano non ebbe grande fortuna in passato, quantunque da non pochi elevata alle stelle, e si può dire che le toccò la medesima sorte che al suo autore, giacché come per la vita del poeta si è dovuto procedere sempre tra questioni intricate e assai controverse, cosi molte questioni si aggirano anche sopra il suo canzoniere.
Si sa, in fatti, che mentre le migliori edizioni contengono in tutto 150 componimenti, divisi in 5 canzoni, 3 sestine, 3 ballate, 4 capitoli ternari e 135 sonetti, la produzione poetica di Giusto è probabilmente più copiosa. Furono in diversi tempi pubblicati altri suoi lavori poetici. Certo di una grande utilità per le nostre lettere riuscirebbe un'edizione critica delle sue rime, in attesa della quale noi pubblichiamo la presente, che non si distacca da quelle famose curate dal Mazzucchelli nel 1750 e 1753, meno che in qualche correzione ortografica".

Questo secondo estratto dell'introduzione offre ulteriori notizie di carattere biografico:

"Fu sempre creduto erroneamente che Giusto de' Conti nascesse in Valmontone, che non fu che il titolo della nobile casa ond' egli uscì ; nacque in vece in Roma, nell'anno 1389, e probabilmente fu un figlio illegittimo. Di lui, della sua prima giovinezza e de' suoi primi studi poco o nulla si conosce. Qualche biografo vuole che trascorse quasi tutta la sua vita lungi dalla patria e dalla casa paterna ; certo è, che giovanissimo ancora fu mandato e Bologna, in quel famoso Studio, a completare i corsi di diritto. E a Bologna passò poi gran parte della sua vita, come è attestato da un' iscrizione che Iacopo Corbinelli vide nella prima pagina d' un codice del canzoniere di Giusto, nel quale, intorno ad una miniatura eravi quest'iscrizione in caratteri dorati, che il Corbinelli stesso, errando, lesse: lustus natus de Comptis Vir lureconsultus, existens Bononiae amore captus composuit MCCCCIX esser egli stato giureconsulto, nel senso di uomo versato nelle discipline giuridiche, ci è pure attestato dalla sua iscrizione sepolcrale di Rimini, non che da tutte le prime edizioni del suo canzoniere, che concordemente gli attribuiscono tal titolo.
Anche oscure sono le ragioni che lo fecero nominare ambasciatore dal papa Nicolò V presso il duca Federico Montefeltro di Urbino e presso Sigismondo Pandolfo Malatesta di Rimini, e quelle per le quali si stabili definitivamente presso quest' ultima corte.
Certo, durante la sua lunga dimora bolognese, conobbe e amò ardentemente, come pare, una donna, per la quale scrisse la Bella Mano. Chi fu costei? Anche qui abbiamo un gran buio, meno forse che per il nome e la patria, giacché pare si chiamasse Elisabetta e che fosse di Bologna: né vale l'ipotesi del Mazzucchelli, da lui stesso confessata di poca importanza, che fosse d' una famiglia Sirena o Malvasia.^ Dove il poeta la vide per la prima volta? Uniformandosi a quanto si sa del primo innamoramento del Petrarca, egli ci fa conoscere che la vide per la prima volta in luogo sacro, che poi ricorda spesso nelle sue rime. Valga per tutti questo passo del sonetto XIV:

O Basso avventuroso, o sacro loco,
donde si move onestamente e posa
talor la donna, ecc.

Certo l' amore del poeta per la donna fu, come adbiamo accennato, sincero e grande, a giudicare dalla foga delle sue rime in onore di lei. Egli ne descrive la bellezza tutta, dagli occhi alla' bocca, dalla voce a' capelli, e specialmente alla mano, che ammira e dice degna del canto di Orfeo, e dalla quale prese titolo il suo canzoniere:

O bella e bianca mano, o man soave
che armata contro me sei volta a torto,
o man gentil che lusingando scorto
a poco a poco in pena m' hai si grave,
de' miei pensieri e 1' una e 1' altra chiave
t' ha dato l' error mio, de te conforto
aspetta 'l cor che desiando è morto :
per te convien che Amor sue piaghe lave.
Perché ogni mia salute ogni mia spene
da voi sola ad ognor convien ch' io spere,
e da voi attende vita e da voi morte,
lasso, perché, perché contra al dovere,
perché pietà di me non vi ritiene?
perché sete ver me, crudel, si forte?

Dopo aver cantato tutti i più dolci affetti e le più vive speranze che quest' amore gl' ispirava, il poeta ha pure i suoi dolori e le sue ire: la donna non può né vuole seguirlo. Cominciano cosi le sue disperazioni, i suoi lamenti e i suoi spasimi. Finalmente dopo averle ricordato le promesse non mantenute, finisce il canzoniere con la visione del trionfo e della gloria della bella mano di lei."

 
 
 
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