Creato da StefySelvatica il 29/01/2007
 

BULIMIA DI VIVERE

uscire dalla bulimia per tornare a vivere

 

 

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COME AIUTARE...1A PARTE: QUANDO LA MALATTIA VIENE A GALLA!

Post n°83 pubblicato il 21 Ottobre 2007 da StefySelvatica
 

Come possiamo quantificare il dolore altrui? Quanto possiamo capire realmente i sentimenti e le sensazioni che possono essere provati da un’altra persona? Forse, ascoltando i suoi racconti, osservandola, guardandola, possiamo tentare di intuire cosa si cela dietro ad una sua espressione triste, ad un suo sguardo perso nel vuoto, ad uno scatto d’ira, ad un sorriso tirato…forse, cercando di immedesimarci in lei, possiamo tentare di immaginare come reagiremmo noi al posto suo…ma poi? Alla fine non possiamo entrare dentro alla sua testa, non possiamo inoltrarci nel profondo del suo cuore…

Come fare allora ad aiutare una persona malata? Come fare per trasmetterle il nostro amore, quali sono i nostri limiti?

Ultimamente ricevo molte lettere da parte di ragazzi che non sanno in che modo aiutare le persone alle quali vogliono bene o delle quali si sono innamorati e che purtroppo soffrono di bulimia…oppressi dai dubbi mi chiedono consigli su come agire, su come comportarsi, su che atteggiamenti assumere per non sbagliare. Ogni racconto, ogni storia è particolare, unica, a sé stante…eppure dietro ad ogni frase, dietro ad ogni descrizione, dietro alle stupende parole d’amore o d’affetto, si celano le mille paure, le indecisioni, gli infiniti dubbi che accomunano un po’ tutti coloro che in un certo senso sono stati costretti a venire a contatto con una malattia così terribile e che, nonostante ci mettano tutta la buona volontà per dare una mano, si sentono inevitabilmente spiazzati.

Anche se la mia esperienza è più da malata…ho parlato a lungo con Cristiano (ricordo che conviviamo da 10 anni e che ha vissuto con me 6 anni di malattia!) sull’argomento e tenterò di scrivere questo ed i successivi post proprio per tutti i ragazzi che mi hanno contattata e per tutti coloro che ancora leggeranno il mio blog e si porranno, forse, le stesse domande…

Vorrei subito ricordare, come faccio spesso, quanto le abbuffate ed il vomito autoindotto rappresentino solo lo sfogo estremo che viene utilizzato da una persona che, costretta a sopportare certi disagi, alla fine si rifugia nell’autolesionismo. A monte di gesti così terribili ed eclatanti esistono problemi che coinvolgono molto profondamente l’emotività del singolo. E’ inutile dunque concentrarsi sullo sfogo stesso, sul corpo e sul cibo, è utile invece cercare di spostare l’attenzione sulle cause (rabbia, senso di inadeguatezza, noia, apatia, frustrazione…) che scatenano queste reazioni e queste ossessioni e che possono derivare da esperienze vissute (traumi, lutti, costrizioni) che hanno influenzato e modificato profondamente il comportamento della persona fino a farla esplodere in una malattia così autodistruttiva. Dire frasi tipo: "mangia, sei così magra!" o "cerca di non vomitare!" , non servono a nient’altro che a far chiudere ancora di più una persona malata ed a farla tornare col pensiero all’unico argomento al quale si concede di pensare per il 90% della giornata, per non portare la mente su tutto ciò che veramente la preoccupa …

Entrati nel circolo vizioso della bulimia la vergogna, la chiusura in se stessi, la depressione, l’ossessione nel compiere un rituale che possa anestetizzare le emozioni, vanno ad alimentare ulteriormente il senso di scarsa autostima, di non riuscire ad essere perfetti, di non essere in grado di controllare la propria vita che già la persona percepiva prima di ammalarsi ed uscire da questo tunnel riacquistando pian piano la fiducia in se stessi diventa, col tempo, sempre più faticoso…per farlo la persona bulimica ha bisogno, prima o poi, di trovare il coraggio di scavarsi dentro fino al midollo, guardando per la prima volta in faccia anche i lati del proprio carattere che la possono inorridire e riscoprendo la capacità e la voglia di mettere in discussione gran parte della propria vita e del proprio modo di essere. E’ un processo molto duro da compiere e molto individuale in quanto riguarda un po’ tutti gli aspetti comportamentali e relazionali della persona…dunque così come ogni donna ed ogni uomo hanno un proprio carattere e una propria natura ben definita anche la bulimia si svilupperà in modo individuale ed il percorso di guarigione sarà specifico e unico per ogni malato.

Un primo importantissimo passo che si può compiere per aiutare (ovviamente a livello affettivo e non medico!) una persona in queste condizioni lo si può attuare nel momento nel quale la persona malata trova il coraggio di esporsi o in qualche modo viene "costretta" ad ammettere che ha un problema…questo momento, per fortuna, arriva prima o poi per tutti! Ma non tutti hanno la fortuna di viverlo in modo esaltante…

Per quanto riguarda la mia esperienza: mi ricordo che, a nemmeno un anno dall’inizio delle abbuffate…non ce la facevo veramente più a tenere tutto nascosto!

Da una parte desideravo fortissimamente conoscere qualcuno che soffrisse del mio stesso male per poter ricevere almeno una volta una risposta del tipo: "anche per me è così"….dall’altra parte sognavo di avere la possibilità di raccontare la mia situazione anche a persone a me vicine e che non erano malate, ma avevo il terrore di essere giudicata, di sentirmi dire parole come: "eh, ma se fai così…eh ma te l’avevo detto…" o di ricevere semplicemente indifferenza!

Non so dove trovai la forza ma, forse per disperazione, alla fine tentai di espormi.

Le prime persone alle quali provai a raccontare la mia situazione furono due miei ex. Il primo la prese in maniera drammatica e pian piano divenne sempre più impositivo fino a dirmi cosa dovevo e non dovevo ingoiare (e di nuovo…non è il cibo il problema principale!!), insomma, un’ossessione…come il resto del nostro rapporto…risultato: io mi chiusi ancora di più ed aumentai di nascosto le abbuffate…

Al secondo, visto che non mi uscivano le parole, scrissi una lettera lunghissima, piena di dettagli e ricca di richieste di aiuto…dopo averla letta velocemente esordì con questa frase: "cerca di non farlo più, eh?". Punto. Mi gelai semplicemente. Non andai mai più sull’argomento e lui forse si dimenticò perfino delle mie parole…

Quando mia madre scoprì il fattaccio…non intervenne. Provai ad avvicinarla io (forse in quel momento più per il senso di colpa perché mi aveva sorpresa a vomitare…). Mi ascoltò contrita per un’oretta, seduta di fronte a me, con un’espressione tesa e le braccia contratte…poi non disse più nulla…per i successivi 7 anni.

Nonostante tutto ebbi la mia fortuna…conobbi Cristiano e una sera ebbi il coraggio di espormi. Da circa tre mesi ci vedevamo praticamente tutte le sere. Passavo a prenderlo sotto casa e poi trascorrevamo le ore successive a parlare di tutto. Ci veniva naturale. Stavamo bene reciprocamente e questo donava ad entrambe una serenità impagabile.

Quella volta, salita in macchina, mi venne in mente questo pensiero: "e se glielo dico?"…quando si sedette di fianco a me non riuscii a spiccicare neanche una parola…cominciai a guidare senza meta. Lui mi guardò in faccia e mi chiese: "che c’è Ste?". Non risposi, continuai a guidare poi, raggiunta una piazzetta, parcheggiai e spensi il motore. Non riuscivo a guardarlo negli occhi…fissavo il volante…mi raccolsi un attimo nei miei pensieri poi, sempre fissando il volante, gli dissi: "sono bulimica…mi abbuffo più volte al giorno da 4 anni…". Silenzio. Smisi letteralmente di respirare e lo guardai…la sua espressione non era né stupita, né drammaticamente dispiaciuta, né tesa…era semplicemente concentratissimo su quello che gli stavo dicendo. "Spiegami" mi disse "io sono qui!".

Non riesco davvero a spiegarvi quanto si mise a battere forte il mio cuore, in quel momento mi sentii per la prima volta "vista", importante per quella che ero, senza essere messa sotto lanternino, senza imposizioni, senza pregiudizi. Avevo di fronte a me una persona che semplicemente mi accettava, che in modo disinteressato mi dimostrava il suo affetto e la sua considerazione. Era importante per lui quello che gli stavo dicendo, non infilarmi in un discorso retorico per lavarsi la coscienza!!!

Ho raccontato questi episodi proprio per far capire quanto sia importante, delicato e decisivo il momento nel quale il problema esce allo scoperto. Da parte della persona malata ci vuole un coraggio da leone per arrivare ad ammettere di trovarsi in determinate condizioni…per farvi capire cosa si prova ad esporsi per la prima volta: chiudete un attimo gli occhi e sforzatevi di pensare alla cosa più imbarazzante e preoccupante (per voi stessi) che vi viene in mente…poi immaginate, di colpo, di doverla esporre senza veli ad un’altra persona…quali sentimenti emergono? Paura, vergogna, voglia di scavarvi una fossa, batticuore, tensione, ansia, preoccupazione, vero? Ecco…ci si sente così! Ora, provate a visualizzare le eventuali reazioni che possono essere assunte della persona alla quale avete aperto il vostro cuore…suppongo che l’indifferenza, lo scherno, il giudizio, vi farebbero ancora più sprofondare nel buio assoluto…cosa succederebbe invece se l’altro vi prestasse attenzione dimostrandovi di essere totalmente presente?

In questo momento l’ascolto, la comprensione, il non puntare il dito possono far la differenza tra il dare un calcio nel sedere ulteriore a chi soffre e il fargli riacquistare un po’ di fiducia in se stesso! Aprite il vostro cuore e cercate di comportarvi come vorreste che gli altri si comportassero con voi se confessaste un problema che vi turba profondamente.

Mai dunque minimizzare, ma ricordatevi anche sempre che la persona che vi ha scelti in qualche modo come "confidenti" non si aspetta da voi che le risolviate il problema, che le diciate come comportarsi o che siate perfettamente competenti sull’argomento…ha semplicemente bisogno di "aprire il tappo", di condividere con qualcuno il proprio star male e di riceverne in cambio anche solo una parola di conforto o un gesto che le faccia capire che non è sola e che quello che ha confessato non rappresenta un peccato mortale!

Ovviamente non è che dopo una situazione del genere avviene sempre il "miracolo" e si risolve tutto, ma a volte un’esperienza simile può davvero rappresentare un enorme passo avanti…ho sentito ad esempio di ragazze che hanno iniziato davvero il proprio percorso di guarigione dal momento che una loro amica, ascoltato il loro racconto, con semplicità ha proposto loro di accompagnarle per la prima volta da un medico… se non è aiuto questo!

Coraggio dunque, amici, conoscenti, colleghi, amanti, parenti: non sentitevi inadeguati e lasciatevi andare…se anche voi aprirete il vostro cuore, la persona che vi ha scelti lo percepirà e grazie anche alla vostra presenza troverà maggiore forza per affrontare il suo futuro!

Continua.............

Per ora...besitosssssssssssssssss

Selvatica

P.S.: il discorso che ho sviluppato in questo post può ovviamente essere applicato quando, in qualche modo, l’aiuto viene fornito in un momento particolare oppure sporadicamente. Parlo del caso, ad esempio, dell’amico che, venuto a conoscenza del problema, si offre di essere presente quando la persona che sta male lo richiede…dell’innamorato che da pochi mesi frequenta al sabato ed alla domenica una persona bulimica, del compagno di classe che ha notato che c’è qualcosa che non va e che tenta di sostenere nei momenti di crisi chi ha bisogno…Non voglio sminuire l’importanza di questi gesti, anzi, come ho scritto prima, in certi casi sono determinanti!

Ma il discorso si complica e si approfondisce quando si parla di due persone che convivono, quando ci si trova davvero a condividere quotidianamente i momenti della propria vita con un malato di bulimia…

E’ proprio questo l’argomento che inizierò ad affontare nel prossimo post…

Alla prossima...^_____*

 
 
 
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