Creato da unnickqualsiasi79 il 17/11/2008

Caverna di Platone

guarda oltre le ombre

 

 

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Post n°1 pubblicato il 17 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79

Immagina degli uomini prigionieri e chiusi nelle profondità di una caverna, gambe e collo incatenati fin dall'infanzia, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un enorme fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno, sono portati ad interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre. Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo. Con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che « è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano ». Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna per mettere al corrente e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento ed, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte. L'uomo liberato non potrà ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.

Platone, libro VII, 516 c - d

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Il G 20, il summit che convocò un altro summit

Post n°2 pubblicato il 18 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79
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Che hanno deciso i venti capi di stato e di governo riuniti a Washington lo scorso week end? Niente. Anzi no. La riunione ha deciso di convocare una altra riunione, alla fine di Marzo 2009. Di fronte alla peggiore crisi finanziaria ed economica mai vista, il G 20 ha dimostrato di avere le carte in regola: chiacchiere, distintivi e arrivederci a Pasqua. Delusi? Ma no. A parte Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia in Italia, ma che a Washington rappresentava una importante organismo internazionale, a nome del quale ha detto, papale papale, che non è che l’inizio, perché la crisi sarà ancora peggio delle previsioni, tutti i rappresentanti dei paesi detentori dell’80 per cento della ricchezza mondiale sono usciti dal G 20 abbastanza rinfrancati: nella dichiarazione finale si legge un franco e leale “mal comune, mezzo gaudio”.

La qual cosa è comprensibile. Fatte le debite differenze, tutti i venti del G 20 sono rappresentanti di paesi che li hanno mandati al governo nell’era matura del  neoliberismo economico, hanno vinto elezioni con lo slogan “meno stato, più mercato”. Non è che adesso, così,  di punto in bianco possono cambiare idea. Ognuno aspetta che siano gli altri a fare la prima mossa: va avanti tu, che a me scappa da ridere. Il più sorridente di tutti era il padrone di casa: Bush sembrava Totò nella famosa gag, che finiva con la celebre frase: “Che me ne frega a me, che sono Pasquale, io?”.

La crisi può attendere: il 20 Gennaio si insedia Barack Obama. Ha voluto la bicicletta, che se la pedàli lui. Nel frattempo, consumatori di tutto il mondo, unitevi: stringete la cinghia e sperate in bene. Da noi, sono stati annunciati 80 miliardi di euro di misure anticrisi. Annunciati, mica stanziati. In queste ore si sta facendo il processo alle intenzioni dello stanziamento annunciato. Siamo alle solite: io annuncio, tu discuti sull’annuncio e alla fine io faccio quello che mi pare, con la “gagliardia di un ventenne”. Una cosa, fin qui è chiara: il governo italiano aveva promesso misure entro Natale. Per il momento le ha annunciate, ha mantenuto la promessa dell’annuncio annunciato. Che è la cifra stilistica che va per la maggiore, non solo in Italia, stando a quanto pare sia successo anche al G 20. E allora, suvvia, bando alle ansie, basta analisi catastrofiche, finiamola con le fosche tinte. Temi per il tuo posto di lavoro? Non ce la fai a pagare i mutui? Stai riducendo ai minimi storici la tua capacità di consumare? Hai la sensazione che ti stiano rubando il futuro? Fa come hanno fatto al G 20: rimanda tutto a fine marzo 2009. Siate ottimisti, per dio: quest’anno, invece che i regali di Natale, scambiatevi direttamente gli auguri di Buona Pasqua. Beh, buona giornata.

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Al Qaeda attacca Obama

Post n°4 pubblicato il 20 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79
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Il numero due della rete terroristica Al Zawahiri: "Negro filoisraeliano".
Berlusconi torna sull'argomento: "Ripeto, è solo abbronzato".

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Oggi scrivo di... signoraggio bancario

Post n°5 pubblicato il 20 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79
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A tutti è capitata almeno una volta l'esperienza sgradevole di avere le tasche piene di monetine che fanno volume, sono pesanti, ma non valgono nulla.
Bè, a dire il vero, quelle da uno e due euro qualcosa valgono, tanto che l'attuale Ministro Tremonti (durante la stessa carica nella precedente legislatura del centrodestra) propose già nel primo anno dall’entrata in vigore dell’euro, di stampare banconote di pari valore, cavalcando l'onda di protesta che serpeggiava tra la gente che credeva che se le avessero avute in tasca, sarebbero riusciti ad essere meno spendaccioni.
Poveri illusi!
In pochi capirono la frase dell'allora Presidente della BCE Duisenberg in una conferenza stampa del 12 Settembre 2002 in risposta al sig. Tremonti, sfuggita dal controllo della censura e pubblicata da alcuni giornali: "non abbiamo progetti di introdurre banconote da 1 o 2 euro, ma ne abbiamo sentito parlare. Naturalmente, ne abbiamo discusso. Stiamo valutando le implicazioni di introdurre tali banconote. In linea di principio non abbiamo niente contro questo progetto, ma stiamo valutando le implicazioni e spero che Mr Tremonti si renda conto che se tale banconota dovesse essere introdotta, egli perderebbe il diritto di signoraggio che si accompagna ad essa. Dunque se egli, come ministro dell’Economia, ne sarebbe contento non lo so." (Duisenberg morì il 31 Luglio 2005 nella sua villa di Faucon nel sud della Francia, trovato affogato nella sua piscina, ufficialmente colpito da un infarto).

Tre anni dopo il Ministro dimostrò di non aver capito, o di far finta di non aver capito, quando l'undici Ottobre 2005 (non c'era più nessun Duisenberg, morto due mesi e mezzo prima, a contraddirlo sul signoraggio) insisteva dichiarando in un'audizione alla V Commissione nella seduta congiunta n.66 di Camera e Senato: "ci sarà o c’è una ragione per cui esiste da tanto tempo la banconota da un dollaro? E non ha senso che esista anche una banconota da un euro? E' così privo di senso il fatto che ci sia anche la banconota da un euro? Non solo avrebbe risolto alcuni problemi di visibilità fisica, di misuratore dei valori, ma avrebbe anche un effetto, secondo me, molto considerevole in termini di proiezione esterna (vale a dire nel resto del mondo) della valuta europea”.

Abbiamo il dovere di diffidare di un uomo che oggi sembra convertito a fare il predicatore, quando fino a ieri faceva certe dichiarazioni.
Ma torniamo a Duisenberg: a cosa si riferiva l'ex Presidente della BCE, (morto in circostanze tali da far pensare ai soliti complottisti che sia stato ucciso per aver pubblicamente parlato di signoraggio) con quella frase?
Si riferiva al fatto che la differenza tra monetine e banconote non è solo fisica, ma anche e soprattutto è nella loro proprietà.
Che strano mondo quello in cui viviamo: lo Stato italiano mette a bilancio le sue monete nelle entrate, come è giusto che sia, dato che, tolte le spese per il loro conio, rappresentano una fonte di finanziamento http://www.rgs.mef.gov.it .
Se però proviamo a fare un parallelo con le banconote, scopriamo che esse, a differenza delle monete, non figurano nelle entrate dello Stato, ma nel bilancio della Banca d’Italia, e vengono contabilizzate nelle poste passive. Ciò implica che le stesse rappresentano un debito della banca nei confronti dei possessori. Ma avete mai provato a riscuotere quel debito direttamente alla cassa di tale banca? Probabilmente sarete derisi dal cassiere e farete l’amara scoperta che quel denaro non ha nessun controvalore.

Tutto il denaro in circolazione non è altro che una montagna di bugie, una colossale truffa perpetrata ai danni di tutti i popoli della terra.
Scoprirete che le banconote non appartengono agli Stati (tranne che per l’unica eccezione conosciuta, che è il piccolo Stato dell’isola di Guernsey) ma, per fare un esempio casalingo nella cosiddetta zona euro, alla Banca Centrale Europea, organo sovranazionale posto al di fuori del controllo diretto dei popoli europei, la cui “quota italiana” è posseduta dalla Banca d'Italia, a sua volta posseduta da società private, banche ed assicurazioni, tranne che per una piccola frazione pari al 5% (da notare la curiosa partecipazione della Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino S.p.a. che ha investito la bellezza di ben 19 euro, come evidenziato nel bilancio 2006 a pag. 58; forse ha avuto la soffiata che Bankitalia sarà venduta al prezzo del suo “valore”, stimato secondo le stesse proprietarie fino a 23 miliardi di euro? Se questo fosse il prezzo, la parte spettante alla CaRispSM sarebbe pari a 2.76 milioni di euro: un bel gruzzolo e praticamente gratis!
Da notare, inoltre, che la CaRispSM possiede il 14% della Banca Centrale della Repubblica di San Marino e lo 0.104 di Nomisma S.p.a., società il cui più illustre fondatore è l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, e i cui soci attuali sono una serie infinita di banche, assicurazioni, coop ed amici vari.
Altra curiosità è la repentina ascesa alla partecipazione al capitale da parte della Cassa di Risparmio in Bologna S.p.a. Divenuta la quinta maggiore azionista col 6.2%, è a sua volta di proprietà del Gruppo Intesa-San Paolo che è la prima grande azionista di Bankitalia col 30.345%.
 

Ma allora cos'è sto signoraggio?

E’ un problema puramente economico, riguardante l’emissione del denaro.
Tale emissione è decisa, controllata e gestita da Entità Private e non da Governi democraticamente eletti. Dopo centinaia di anni di contraffazioni e illegalità e machiavellismi, queste Entità Private sono ora giunte a controllare intere Nazioni, non più sovrane ma schiave di un meccanismo economico/finanziario conosciuto come «signoraggio» (con l’aggiunta della forse ancor più grave «riserva frazionaria»).
Molto spesso, troppo spesso, gli uomini politici di ogni Nazione chiamati a tutelare e difendere il Popolo che li ha democraticamente eletti, sono corrotti e collaborano con questi «creatori di moneta». Le leggi stesse in materia vengono create a vantaggio dei Banchieri Internazionali. Altre leggi che potrebbero aiutare il Popolo a riscattarsi da questa schiavitù, sono cambiate, alterate o semplicemente ignorate.

Il sistema bancario attuale è basato su una truffa ignobile e disumana.
Questa truffa è il «signoraggio» e la «riserva frazionaria» delle Banche Centrali.

I sistemi di informazione sono alterati e/o controllati dal Potere Economico dei Banchieri Internazionali Privati e nessun giornale o televisione o radio di ampio respiro parlerà mai del «signoraggio» e/o della «riserva frazionaria». Ci sono stati Presidenti di Stato e uomini di grandezza mondiale che sono caduti sotto i colpi della mano spietata e potente delle Entità Sovranazionali.
Lincoln e Kennedy, ad esempio. Morti per aver il primo creato denaro ed il secondo emanato una legge per creare denaro, a nome ed in nome del Popolo, e non in servitù di Banche Centrale «agghindate di denominazioni nazionali».

Cerca su google e su youtube parole chiave come «signoraggio», «riserva frazionaria», «debito pubblico».
E’ proprio uno strano mondo, quello in cui viviamo!

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Scambio di prigionieri nello scontro di civiltà

Post n°6 pubblicato il 21 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79


Dopo la conversione al cristianesimo di Magdi Allam e le dichiarazioni di Silvio Berlusconi, Michael Jackson ha deciso di convertirsi all'Islam e ridiventare "negro"

 
 
 

Nel silenzio generale Berlusconi privatizza l'acqua

Post n°7 pubblicato il 26 Novembre 2008 da unnickqualsiasi79
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“Ferma restando la proprietà pubblica delle reti (idriche ndb), la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”. È il 6 agosto 2008, il governo Berlusconi, approvando la legge di conversione n°133  “recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, sancisce di fatto la privatizzazione dell'acqua pubblica. O meglio ancora, introduce la possibilità per gli enti privati, che ne assumeranno l'incarico, di gestire e controllare beni primari di servizio pubblico. L'acqua su tutte.

Cambiano le parole, si nascondono i significati, ma la sostanza non cambia: l'acqua in Italia è stata privatizzata. Da diritto acquisito diventa merce, prodotto commerciale soggetto alle regole del mercato. Lo stesso sistema che solo nell'ultimo anno si è dimostrato pronto a implodere su sé stesso, con fallimenti a catena di banche e assicurazioni.
Il decreto legge n°133, voluto fortemente dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, parla chiaro: si interviene “al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni”.
Eppure, dopo un rapido sguardo alle esperienze cosiddette “pilota” della provincia di Latina, sorgono non pochi dubbi proprio sulle garanzie di accesso al servizio.
In città come Aprilia, comune che ha sposato il progetto di privatizzazione dell'acqua già da diversi anni, si è assistito a un processo rapido e febbrile di innalzamento vertiginoso dei costi delle tariffe (+ 300%).
E non solo.
Si è instaurata infatti una nuova procedura per tutti coloro che, per necessità o per scelta, non possono permettersi i costi aggiuntivi imposti da AcquaLatina, società ormai sotto il controllo della multinazionale Veolia, che ne possiede il 46,5% delle azioni. Esattamente come nel terzo mondo, vigilantes e forze dell'ordine sono assoldati per rimuovere contatori e bloccare rubinetti. Ma non basta. Nel territorio pontino, oltre agli aumenti sconsiderati delle bollette, si è registrato un drammatico scadimento della qualità dell'acqua: nel 2005, ad esempio, a Cisterna sono stati riscontrati tassi di arsenico pari a 200 microgrammi per litro, oltre il 70% del volume idrico disperso o non giunto a fatturazione.
Nella storia recente un caso limite sul fronte della privatizzazione dell'acqua è avvenuto in Bolivia nei primi anni del nuovo millennio. A seguito dei debiti contratti dai prestiti-killer della Banca Mondiale per lo Sviluppo, il governo boliviano fu costretto a svendere nelle mani di corporation americane le risorse petrolifere, la compagnia aerea di bandiera, le ferrovie e la gestione dell'energia elettrica. Le risorse idriche vennero date in concessione alla Bechtel Corporation di San Francisco. Il contratto prevedeva la proibizione di far propria l'acqua piovana, anch'essa per assurdo era divenuta proprietà e patrimonio della multinazionale californiana. Per i debitori era persino contemplata la confisca dell'abitazione. Nell'aprile del 2000 la popolazione locale sfiancata dall'impossibilità di sopportare le nuove tariffe imposte, si ribellò. Nonostante una repressione violentissima che costò la vita a sei persone, tra cui due bambini, e centinaia di feriti provocati dal governo schierato a difesa degli interessi della corporation, l'esercito e la polizia rientrarono nelle caserme e il popolo boliviano riuscì a riprendere il controllo dell'acqua.
In Italia è solo questione di tempo. Nei giorni scorsi, tra l'indifferenza generalizzata dei media italiani, un secondo forum dei movimenti dell'acqua è stato organizzato per ridare vigore alla battaglia di questo fondamentale bene comune.
Nel 2006 più di quattrocento mila firme furono raccolte a sostegno della legge d'iniziativa popolare che vede come primo punto il riconoscimento dell'acqua come “diritto inalienabile ed inviolabile della persona”. Ma la sensazione forte è che la straordinaria raccolta firme sia già stata oscurata. Con un semplice colpo di spugna. Seguendo il manuale del “buon governo” che approva leggi impopolari e antidemocratiche proprio quando imperversa l'afa estiva e l'attenzione della stampa è rivolta altrove.

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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da unnickqualsiasi79

Entro nel reparto di Neurologia e mi dirigo verso la sua stanza. Appena prima della porta si sente quel tipico odore forte di disinfettanti ed aria ferma.
Le spondine del letto sono alzate e Alexander è messo supino sul letto.
Cadaverico. Alimentato da un sondino naso-gastrico.
La muscolatura del viso è flaccida, la bocca semiaperta e la punta della lingua è a penzoloni tra i denti. La sua pelle nera è secca e si lacera facilmente, troppo disidratata.
Quando entro mi posiziono davanti il suo volto, a mezzo metro di distanza.
I suoi occhi azzurrissimi si muovono e con lo sguardo mi aggancia.
Io gli dico "Buongiorno Alexander" e lui alza le palpebre.
Mi ha salutato.
Gli chiedo se anche oggi ha voglia che lo mobilizzi un pò, lui alza le palpebre.
Sì.
Inizio a muoverlo e gli faccio sentire il suo volto con la mano...chissà da quanto tempo non taccava il suo viso.
Iniziano a scendere lacrime dagli occhi.
Gli accarezzo il viso: "coraggio, è difficile, lo so. Non è semplice, non è affatto semplice."
Sbatte due volte le ciglia. E' un no. Per lui non è affatto facile.
Sono lì per aiutarlo ma non so nemmeno se vuole continuare a vivere il suo ergastolo dentro il suo corpo.
Alexander è sempre lì, rinchiuso in sè stesso con la condanna del locked-in.

 
 
 

Citigroup: "Prevediamo disordini globali e l'oro a 2000 dollari"

Post n°9 pubblicato il 06 Dicembre 2008 da unnickqualsiasi79

L'oro potrebbe impennarsi drammaticamente fino a raggiungere i 2000$ all'oncia entro la fine dell'anno per via del fatto che le banche centrali hanno inondato il sistema monetario di liquidità, come recita una nota interna della banca americana CitiGroup.

La banca ha sostenuto che il danno causato dagli eccessi finanziari dell'ultimo quarto di secolo starebbe costringendo le autorità mondiali a intraprendere provvedimenti che mai avevano provato prima.

Questo azzardo finirebbe probabilmente in una fra due situazioni estreme: in un caso l'esplosione dell'inflazione, nell'altro una spirale economica depressiva, collegata a grossi problemi in termini di ordine pubblico e possibili guerre. Entrambi i risultati causeranno una corsa all'oro.

"Si sta facendo l’impossibile", ha detto Tom Fitzpatrick, il responsabile delle strategie tecniche della banca.
"Il mondo non sta normalizzandosi dopo l'incredibile terremoto che ha subito. Quando le acque si saranno calmate, o tutto ciò funziona, e il denaro reinserito a forza nel sistema si tramuterà in uno shock inflazionistico, oppure gli interventi non serviranno perché è stato già fatto troppo danno, così che continueremo ad assistere a un deterioramento delle finanze, che causerà altri disastri economici, con il rischio di arrivare a un circolo vizioso. Non pensiamo che questo sia lo scenario più probabile, ma ogni settimana e mese che passa, c’è un pericolo crescente di ritrovarsi in un circolo vizioso all’erodersi della fiducia.
Questo contesto porterà all’instabilità politica. Vediamo già aree periferiche dell'Europa sottoposte a un durissimo stress. Alcuni leader sono ora al loro record di impopolarità. C'è il rischio di disordini interni, che cominceranno con scioperi perché la gente si sente spossessata.
Cosa succede se c'è un collasso in un paese come il Pakistan, che possiede un armamento nucleare? La gente con le spalle al muro reagisce come può. Stiamo già notando forti dubbi emergere intorno al debito sovrano di paesi sviluppati classificati con AAA, cosa che non si può ignorare.
Chi commercia l’oro sta facendo molta attenzione ai rapporti provenienti da Pechino sul fatto che la Cina sta seriamente pensando di incrementare le sue riserve da 600 tonnellate a quasi 4mila per abbandonare e diversificare i suoi investimenti in valute cartacee. Se ciò avvenisse, sarebbe un grosso cambiamento materiale.
La gente ha cominciato a mettere in discussione il valore del debito pubblico."

Citigroup aggiunge che la corsa all'oro comincerà entro due anni, ma è possibile che scoppi già nel 2009. Ad ottobre l'oro era valutato a 812$ l'oncia. E' ben lontano dal suo record di febbraio, quando toccò un picco di 1030$, ma ha tenuto molto meglio di altre merci nel corso degli ultimi mesi, tornando così al suo ruolo storico di bene rifugio in grado di conservare valore e una moneta di fatto.

L'oro ha triplicato il suo valore negli ultimi sette anni, surclassando senza paragoni Wall Street e tutte le borse europee.

 
 
 

Relazione pericolosa tra crisi ed informazione

Post n°10 pubblicato il 08 Dicembre 2008 da unnickqualsiasi79

Proviamo a mettere in relazione la crisi economico-finanziaria di questi mesi con l’informazione economica che leggiamo sui quotidiani e vediamo nei telegiornali. La relazione c’è ed è molto stretta, addirittura pericolosa.
Guardiamo all’informazione sulla crisi. Quotidiani e telegiornali hanno fatto in modo che l’attenzione si concentrasse solo sulla necessità di salvare le banche. Prime pagine e titoli di testa passavano dalla soddisfazione mostrata in occasione degli interventi di salvataggio dei governi allo sconforto di fronte alle negative risposte che arrivavano dalle Borse. L’informazione ha trasformato la crisi in una grande partita di calcio: da una parte la paura, dall’altra la squadra di governanti chiamata ad esorcizzarla.

La spettacolarizzazione dell’evento ha distolto fatalmente il pubblico dal cuore del problema, ovvero da ciò che ne sta alla radice e che ha portato al crollo dei vari colossi bancari. Alla radice del problema c’è precisamente la deregolamentazione del sistema finanziario introdotta dagli stessi governi liberisti che sono stati presentati come i salvatori della patria, e utilizzata a piene mani dall’avidità dei banchieri per preparare le trappole finanziarie che hanno mandato in tilt il sistema stesso.
Nessuna testata che abbia messo in evidenza la contraddizione tra l’uso del denaro pubblico per salvare le banche da parte di chi fino a ieri lanciava fulmini e saette contro l’intervento dello Stato nell’economia. Nessuna testata che in Italia si sia chiesta da dove uscivano i soldi per salvare le banche, visto che fino al giorno prima i tagli alle spese sociali venivano giustificati proprio dall’assenza di risorse finanziarie.
Alla fine, il pubblico non ci ha capito niente: diventato tifoso della squadra di esorcisti, ha tirato un bel sospiro di sollievo quando il crac è stato scongiurato.

Quello della crisi di questi mesi è stato un tipico esempio di ciò che diventa l’informazione economica quando accade qualcosa di straordinario: una sorta di grande spettacolo. Il precedente maggior esempio s’era avuto col crac Parmalat. I crac vengono trasformati in veri e propri show, annegati in un mare di inchiostro e di immagini, senza che alla fine il pubblico riesca mai a capire che essi non arrivano per caso e improvvisamente, ma per l’irrazionalità e l’assurdità di fondo di un sistema votato alla crescita infinita.
Nei periodi ordinari, invece, l’informazione economica cambia totalmente aspetto, diventa quasi dimessa, torna in letargo, rinchiusa dentro recinti pieni di tecnicismi che la gente non capisce. Guardate le pagine economiche dei quotidiani: non sono altro che un susseguirsi di cronache di operazioni di fusione, scissione, investimenti, scalate, consigli di amministrazione, dati di bilancio, indici di Borsa. Tutto sembra fatto apposta per rendere il funzionamento dell’economia incomprensibile alla maggior parte del pubblico, a tutti coloro che non siano addetti ai lavori. E questo è gravissimo se si pensa che la nostra società si caratterizza proprio per il fatto che l’economia è la categoria centrale cui tutto ruota attorno.

Per corollario, accade che tutte le voci dissonanti, che criticano alla base il sistema economicista attuale, votato alla crescita infinita, chiedendo il passaggio ad un’economia sostenibile, ad un’economia che torni a servire la società e non viceversa, ad un’economia della decrescita, accade che tutte queste voci finiscano fuori dai circuiti informativi dominanti, e che, se per caso vi entrino, si perdano poi nel mare di fatti rilevanti e inezie che è diventata l’informazione di quotidiani e telegiornali.

Per avere un’informazione economica diversa, serve un giornalismo diverso. L’informazione economica appena descritta è tale in quanto sono le stesse redazioni di quotidiani e telegiornali ad abbracciare i dogmi dell’economicismo, della crescita infinita. Imprese che perseguono esse stesse la corsa verso il sempre di più, in cui l’imperativo commerciale finisce col sopraffare l’imperativo del buon giornalismo.
Servono invece redazioni in cui l’imperativo del buon giornalismo resti prevalente su qualsiasi imperativo commerciale. Redazioni i cui giornalisti condividano valori diversi da quelli dominanti, siano consapevoli dell’irrazionalità e dell’assurdità di un’economia votata alla crescita infinita in un mondo finito.

Concludo osservando che la qualità dell’informazione economica dipende anche dalla qualità del suo pubblico. Il pubblico di oggi per lo più è abituato a un’informazione che non lo costringa a ragionare troppo, che abbia una certa dose di superficialità e di spettacolarità. Le testate che vogliano fare buona informazione sull’economia e sul resto hanno bisogno invece di un pubblico differente, che voglia vedere l’economia, e più in generale la realtà, da un punto di vista diverso.
  

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L'Italia raddoppia

Post n°11 pubblicato il 08 Dicembre 2008 da unnickqualsiasi79

Senza consultare il Parlamento, il ministro degli esteri Franco Frattini annuncia che l'Italia ospiterà a Napoli e a Vicenza una parte della struttura militare statunitense destinata alle operazioni in Africa. Il ministro inventa coperture Nato per giustificare l'inchino alle richieste statunitensi.

Napoli e Vicenza ospiteranno due componenti di AFRICOM, il nuovo comando delle forze armate Usa per gli interventi nel continente africano. Il ministro degli esteri, Franco Frattini, ha confermato mercoledì le indiscrezioni che erano trapelate un mese fa dalla Spagna sull’intenzione del Pentagono di trasferire il comando centrale della nuova struttura militare da Stoccarda a Rota [Cadice] e/o Napoli, per avvicinarlo allo scacchiere operativo africano. Ma l’Italia stavolta raddoppia: oltre che sulle infrastrutture che la Marina Usa possiede a Capodichino, Gricignano e Gaeta, Africom potrà contare pure sulle basi dell’Us Army di Camp Ederle e anche sulla nuova base nell’aeroporto Dal Molin a Vicenza.
Ripetendo il copione che caratterizza ogni scelta di politica militare, sono tante le menzogne e le omissioni del governo italiano. Nel corso di una conferenza stampa, presente l’ambasciatore statunitense in Italia Ronald Spogli, il ministro Frattini ha dichiarato che le due componenti di Africom che saranno ospitate a Napoli e Vicenza, «operano nel quadro della Nato». Ebbene, al contrario di quanto dice Frattini, Africom è stato istituito lo scorso anno dell’amministrazione Bush senza consultare gli alleati atlantici. Il Pentagono ha deciso unilateralmente le finalità dell’intervento in Africa [lotta al terrorismo, addestramento e armamento dei paesi partner] e i tempi di attivazione del comando transitorio di Stoccarda [Germania], delle basi e delle unità destinate ad intervenire in Africa. Le operazioni [molte delle quali segrete] e le esercitazioni che si realizzano nel continente sono gestite esclusivamente da personale statunitense. Fare riferimento alla Nato per le operazioni Usa in Africa è solo un modo per occultare la piena sudditanza di Roma a Washington.
Franco Frattini ha pure affermato che la scelta del governo italiano è stata presa dopo «aver informato anche i paesi africani che hanno espresso grande supporto a questa decisione». Come dire che mentre Parlamento e popolo italiano sono tenuti all’oscuro dei piani che consolidano il paese nel suo ruolo di principale trampolino di guerra degli Stati uniti, la Farnesina dissemina in Africa funzionari e diplomatici per ottenere il consenso per comandi e reparti che solo Gibuti, Liberia e Marocco sono disponibili ad ospitare.
Il ministro degli esteri ha pure aggiunto che «non ci saranno truppe da combattimento americane assegnate su base permanente» a Napoli e Vicenza, ma solo «componenti civili». Frattini, cioè, enfatizza le finalità di «assistenza umanitaria» del nuovo comando Usa, occultando ciò che ha fortemente irritato il Congresso e buona parte delle organizzazioni non governative degli Stati uniti. A Stoccarda, infatti, solo una decina di persone assegnate ad Africom non sono dipendenti del Dipartimento della Difesa, mentre più di mille sono i militari di aeronautica, esercito, marina, guardia costiera e corpo dei marines.
Frattini, bontà sua, precisa che «i problemi dell’Africa non si risolvono con truppe da combattimento», e che nel malaugurato caso in cui ci fosse bisogno di esse, «queste proverranno dalla Germania ma non dall’Italia». Ma non vengono forse dalle basi tedesche di Bamberg e Scweinfurt i reparti della 173esima Brigata aviotrasportata che raggiungeranno Vicenza quando saranno conclusi i lavori all’aeroporto Dal Molin?
Come denunciato dalla «Rete Nazionale Disarmiamoli!», la Farnesina ha pure omesso di ricordare che l’Italia ospita già altre basi destinate alla nuova politica bellica di Washington, cioè Camp Darby e Sigonella, quest’ultima sede della centrale d’intelligence per le attività «anti-terrorismo» in Africa settentrionale ed occidentale. Joint Task Force Aztec Silence è il nome della forza speciale creata dal Dipartimento della Difesa per condurre dalla Sicilia missioni di sorveglianza terrestre, aerea e navale e finanche vere e proprie operazioni di bombardamento contro obiettivi civili e militari nella regione del Sahel, considerata dagli strateghi del Pentagono come un’area nevralgica per il controllo dell’Africa.
All’ambasciatore statunitense Ronald Spogli va riconosciuta maggiore sincerità. «Gli obiettivi dei nuovi comandi Africom – ha dichiarato – vertono su sicurezza e incremento dell’assistenza umanitaria, attraverso quattro attività: prevenzione dei conflitti; promozione della crescita economica; controllo dei flussi migratori e prevenzione del terrorismo».Per Spogli, la creazione dei due comandi subordinati di Napoli e Vicenza «favorirà la cooperazione Italia-Usa, come già si sta facendo nell’ambito delle iniziative G8 per l’addestramento delle forze di peacekeeping e nelle azioni contro la pirateria a largo delle coste somale». Una strizzatina d’occhio agli accordi multimilionari sottoscritti dai complessi militari-industriali dei due paesi e all’ex premier Romano Prodi, nominato dall’Onu quale responsabile degli interventi di «peacekeeping» in Africa. Quando si dice scelte bipartisan.

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Dovrei ma non posso...

Post n°12 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da unnickqualsiasi79

Nel corso di una intervista realizzata per conto di ABC news, è stato chiesto al Presidente Obama che cosa ne pensasse dell’opinione di molti economisti secondo cui gettare risorse in banche praticamente fallite è un errore. Perché non nazionalizzarle? chiede Terry Moran.

La risposta di Obama: «Guardi, è interessante quest’argomento. In effetti abbiamo l’esempio di due paesi che hanno conosciuto grandi crisi finanziarie nell’ultimo decennio: uno era il Giappone, che non è nemmeno riuscito a conoscere con esattezza l’ampiezza e la scala dei problemi del suo sistema bancario, che hanno causato il cosiddetto “decennio perduto”». C’è stata una specie di ripresa quando il governo di Tokyo ha pompato moneta nel sistema, ma non è accaduto nulla dal punto di vista della crescita.
«In Svezia, al contrario, dove si è presentato un problema analogo, il governo ha nazionalizzato le banche, eliminato le attività finanziarie tossiche, rivenduto le banche, e in un paio di anni queste si sono riprese. Sicché si potrebbe pensare: hanno fatto bene, è un buon modello, ma – vede – il problema è che la Svezia ha qualcosa come cinque banche,» ride Obama, «noi [gli Usa] ne abbiamo migliaia,» la dimensione del mercato è diversa e poi c’è una tradizione differente in questo paese.

 

Onestà intellettuale e riconoscimento dell’impotenza. La crisi, o meglio il virtuale fallimento del sistema finanziario nordamericano, non ha equivalenti o precedenti nella storia del capitalismo. E ammissioni parimenti significative vengono dal nuovo segretario al Tesoro dell’amministrazione, Tim Geithner, che ha commentato con queste parole il ‘nuovo’ Financial Stability Plan.
«I governi e le banche centrali ovunque nel mondo hanno perseguito politiche che – col senno di poi – hanno determinato un aumento enorme del credito, fatto schizzare in alto i prezzi delle case e i mercati finanziari sfidando la gravità. Gli investitori e le banche hanno preso rischi che non conoscevano, le persone, gli uomini di affari e i governi hanno preso a prestito al di là dei propri mezzi, le ricompense che sono andate ai dirigenti degli istituti finanziari sono andate oltre ogni realistico apprezzamento del rischio. Ci sono state sistematiche mancanze nei meccanismi di controllo nel sistema da parte dei consigli di amministrazione, delle agenzie di rating e degli organismi governativi di regolamentazione. Il nostro [degli Usa] sistema finanziario ha operato senza vincoli sufficienti per limitare il rischio, e tutto questo ha prodotto la peggiore crisi economica da generazioni.»

Il discorso – tipicamente ‘Obamiano’ – di Geithner continua su questa lunghezza d’onda prima di presentare il piano di salvataggio del sistema bancario, e si conclude significativamente affermando che tale piano costerà molto, comporterà rischi e prenderà tempo; il piano potrebbe essere modificato, ed è possibile che saranno tentate cose ‘we’ve never tried before’.

Come meravigliarsi se il giorno dopo queste parole la borsa di New York ha reagito negativamente? Sostanzialmente – e rimandando a un’altra occasione un commento più approfondito su entrambi i versanti del piano anticrisi, quello fiscale e quello monetario – abbiamo un Presidente degli Usa che dichiara di stare seguendo la strada sbagliata (o quanto meno inutile, ma è lo stesso) perché non è possibile prendere in considerazione lo strumento delle nazionalizzazioni, e un Segretario al Tesoro che dichiara che tutti hanno sbagliato tutto, dai governi alle banche centrali alle istituzioni finanziarie.

In queste condizioni, in cui la politica si dichiara esplicitamente impotente nei confronti di meccanismi evidentemente sistemici, quali effetti strutturali e di lungo periodo potrà avere una politica di spesa pubblica e di tagli fiscali che si presenta come la più imponente mai realizzata da un governo come quello Usa? Durante l’anno di (dis)grazia 2008 negli Usa sono andati persi tre milioni di posti di lavoro; solo durante lo scorso mese di gennaio (2009) ne sono stati distrutti altri seicentomila. Ma che cosa sta succedendo?

Limitandoci al settore finanziario Usa, e riprendendo ancora una volta le dichiarazioni ufficiali del Segretario al Tesoro, la crisi riguarda la fiducia, il capitale, il credito, i consumi e la domanda. Ma perché l’economia non riparte? Perché – dice Geithner – le banche e le altre istituzioni finanziarie, anziché fornire credito alle imprese e ai consumatori, tengono i fondi fermi, contribuendo e probabilmente accelerando la recessione. Ma perché, occorrerebbe continuare a chiedersi – e Geithner non lo fa, almeno in questa occasione – le banche si mantengono liquide come non mai, anziché impiegare i propri depositi? La risposta che usualmente si dà è che non si fidano l’una dell’altra; detto in maniera più chiara, i bilanci delle maggiori banche sono palesemente falsi, ma bisognerebbe spingersi ancora un po’ più avanti nell’analisi e domandarsi se davvero esiste una grande richiesta non soddisfatta (parliamo delle imprese, diverso è il caso delle famiglie dei lavoratori) o se per caso il credito viene negato anche perché non si intravedono grandi opportunità di profitto e questo riporta la questione al suo cuore, la crisi come sovrapproduzione, sovrabbondanza di capitale nella sua forma di capitale monetario, di merce, di impianti, di capitale variabile in eccesso rispetto alle possibilità di profitto.

Se quest’analisi è corretta, allora non solo i piani di stimolo fiscale sono un palliativo temporaneo e insufficiente, per di più se finanziato con i soldi dei lavoratori, ma soprattutto non si capisce perché il settore pubblico dovrebbe comprare i titoli tossici, salvare e contribuire a ricapitalizzare banche fallite magari “incentivandole” a impiegare risorse in attività rivolte ad ottenere profitti incerti e insufficienti. Se per nazionalizzazione si intende l’utilizzo di risorse pubbliche per coprire le perdite, salvo poi restituire le banche risanate al settore privato, è davvero un caso di “socialismo per ricchi” che costituisce l’esatto contrario di quanto il buon senso e un’ottica anche solo vagamente redistributiva suggerisce, e cioè sostenere il lavoro, e non il capitale.

Si potrebbe cogliere l’opportunità della crisi per rimettere in discussione proprio l’obiettivo del profitto come motore dell’economia, ma forse è ancora troppo presto. Tra qualche mese, quando sarà chiaro che nessuna delle manovre si è rivelata efficace, se ne potrebbe riparlare, ma la situazione potrebbe essere diversa.

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Una coalizione internazionale di politici vuole la verità sull’11/9

Post n°13 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da unnickqualsiasi79

911truthNel mondo pochi parlamentari hanno tenuto ferma una visione critica nei confronti delle versioni ufficiali sui fatti dell’11 settembre 2001. Queste personalità politiche, di diverse provenienze partitiche e nazionali, hanno trovato però il modo di coordinarsi per rafforzare la loro azione e riaprire le inchieste sui mega-attentati dell’11/9, la pietra angolare del nuovo secolo e delle sue guerre.

Le assemblee elettive – misurandosi con lo stragismo degli anni duemila - non hanno tentato indagini paragonabili a quelle sperimentate in Italia per lo stragismo di qualche decennio fa. Allora si comprendeva la complessità dei fenomeni e perciò si cercava di scavare nelle complicità di Stato condizionate dalla “strategia della tensione”.
Le commissioni parlamentari italiane, per quanto non fossero tribunali in grado di portare a una verità giudiziaria sufficiente a rendere giustizia, erano tuttavia capaci di frustrare il tentativo del potere di dar la colpa a un qualche capro espiatorio. Grandi movimenti, molti giornali e autorevoli politici creavano una consapevolezza collettiva molto forte. La ricerca della verità sul terrorismo era un terreno etico e politico di fondamentale importanza, sentito come tale da larghe porzioni dell’opinione pubblica, dei media e della politica.
In questi anni invece ha vinto la linea Rumsfeld. I parlamenti si sono rifugiati nelle parole d’ordine che imponevano l’interpretazione corrente dell’11/9, che poi era quella dell’Amministrazione Bush-Cheney e delle sue officine della propaganda.
Eppure, in molte aule e in molte tribune, diverse importanti voci ostinate hanno difeso con forza la necessità di una nuova inchiesta. Il network in cui ora queste voci si coordinano si chiama “Political Leaders for 9/11 Truth”, ossia “Leader politici per la Verità sull’11/9”.
Il primo nucleo di parlamentari ed ex parlamentari della coalizione comprende fra i fondatori le seguenti personalità:
Berit Ås, ex parlamentare, Norvegia
Andreas von Bülow, ex ministro della difesa, Germania
Giulietto Chiesa, europarlamentare, Italia
Yukihisa Fujita, membro della Camera dei Consiglieri in seno alla Dieta nazionale, Giappone
Dan Hamburg, ex deputato californiano della Camera dei Rappresentanti in seno al Congresso (USA)
Tadashi Inuzuka, membro della Camera dei Consiglieri in seno alla Dieta nazionale, Giappone.
Karen S. Johnson, ex senatrice, Stato dell’Arizona, USA
Paul Lannoye, ex europarlamentare, Belgio
Cynthia McKinney, ex deputata georgiana della Camera dei Rappresentanti in seno al Congresso (USA)
Michael Meacher, ex ministro dell’ambiente, Regno Unito
Jesse Ventura, ex governatore dello Stato del Minnesota, USA

È imminente l’apertura di un sito che esporrà gli obiettivi del network. Intanto potete leggere di seguito la sua carta d’intenti e la petizione per una nuova inchiesta.


Political Leaders for 9/11 Truth,
indirizzo e-mail: pl911truth@frontiernet.net

Studiosi e professionisti con vari tipi di competenze - tra cui architetti, chimici, ingegneri, vigili del fuoco, agenti di intelligence, avvocati, ufficiali militari, filosofi, fisici, e piloti - hanno parlato apertamente in merito alle radicali differenze tra la versione ufficiale degli attentati dell’11/9 e quel hanno invece imparato in qualità di ricercatori indipendenti.
Hanno stabilito al di là di ogni ragionevole dubbio che la versione ufficiale dell’11/9 è falsa e che, pertanto, le “inchieste” ufficiali sono davvero state operazioni di insabbiamento.
Finora, tuttavia, non vi è stata alcuna risposta da parte dei leader politici a Washington né, se è per questo, in altre capitali in tutto il mondo. La nostra organizzazione, Political Leaders for 9/11 Truth (Leader politici per la Verità sull’11/9, ndt), è stata costituita per contribuire a far scaturire una tale risposta.
Noi crediamo che la verità sul sull’11/9 abbia bisogno di essere svelata adesso - non fra 50 anni come una nota a piè di pagina nei libri di storia – in modo che possano essere cambiate le politiche fondatesi sull’interpretazione degli attacchi dell’11/9 da parte dell’amministrazione Bush-Cheney.
Pertanto, facciamo appello a una nuova inchiesta indipendente sull’11/9, che tenga conto degli elementi di prova che sono stati documentati da ricercatori indipendenti, ma finora ignorati dai governi e dai media mainstream.
Un’inchiesta "indipendente" significa, in particolare, indipendente dalle amministrazioni statunitensi che erano al potere, prima e al momento degli attentati dell’11/9, che potrebbero avere cose da nascondere.
Come dimostrato dallo scrittore del New York Times Philip Shenon nel suo libro del 2008, The Commission, la Commissione sull’11/9 era guidata dal suo direttore esecutivo, Philip Zelikow, il quale era associato molto strettamente all'amministrazione Bush. Il National Institute of Standards and Technology (NIST), che ha rilasciato i rapporti ufficiali sulla distruzione del World Trade Center, è un’agenzia del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il che significa che, durante la scrittura di queste relazioni, era una agenzia dell’amministrazione Bush-Cheney.
Se ricoprite o avete ricoperto una carica politica negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese, siete invitati a firmare la petizione sotto riportata. (Partecipare a Political Leaders for 9/11 Truth non richiede in qualsiasi momento nient’altro che firmare la petizione, anche se ulteriori attività volte a diffondere la verità sull’11/9 saranno naturalmente incoraggiate.)
Potete indicare la vostra disponibilità a firmare la petizione sia scrivendo un’email all’indirizzo pl911truth@frontiernet.net sia per iscritto inviando una lettera a Political Leaders for 9/11 Truth, P.O. Box 2289, Show Low, AZ 85902 U.S.A.
Si prega di indicare esattamente come si desidera che il nome sia scritto, quali incarichi politici avete ricoperto, e qualsiasi altra cosa che eventualmente desideriate dire).

PETIZIONE:
CONSIDERANDO che la pubblica interpretazione degli attentati dell’11/9 da parte dell'amministrazione Bush-Cheney ha avuto conseguenze radicali, in gran parte negative, per gli Stati Uniti d'America e il mondo intero;
CONSIDERANDO che le indagini ufficiali su questi attacchi effettuate finora sono state guidate da persone strettamente allineate all’amministrazione Bush-Cheney, o perfino da essa assunte;
CONSIDERANDO che le conclusioni di tali indagini differiscono radicalmente da quelle raggiunte da ricercatori indipendenti con vari tipi di esperienza professionale;
CONSIDERANDO che le organizzazioni dei ricercatori - Firefighters for 9/11 Truth, Lawyers for 9/11 Truth, Pilots for 9/11 Truth, Scholars for 9/11 Truth and Justice, and Veterans for 9/11 Truth - hanno fatto appello a un’indagine nuova, veramente indipendente;
CONSIDERATO che riteniamo che sia passato molto tempo per i leader politici affinché prestassero attenzione a questi appelli;
PER TUTTE QUESTE RAGIONI, i sottoscritti membri di Political Leaders for 9/11 Truth, chiedono che il governo degli Stati Uniti d'America autorizzi un’indagine nuova, veramente indipendente, volta a determinare quel che è accaduto l’11/9.

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IL MORBO DI ASHCROFT

Post n°14 pubblicato il 08 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79

Alghero: nel suo studio medico, un dottore ha appena finito di scrivere la ricetta per un suo paziente. Napoli: l'impiegato in una ditta di scarpe sta andando a mangiare in sala mensa. Bologna: uno studente di architettura è stato fermato da un vigile per aver fatto un'inversione a "u".

Dieci minuti dopo: il paziente che ha avuto la ricetta è ancora nello studio medico, poichè il dottore gli sta mostrando un DVD che parla dell'aereo che ha colpito il Pentagono. L'impiegato di Napoli ha raccolto intorno a sè un gruppetto di colleghi, e gli sta mostrando un volantino sull'11 settembre. Dopo aver preso la multa, lo studente di Bologna si è messo a chiacchierare con il vigile, e gli sta ora raccontando che le Torri Gemelle non sono affatto cadute da sole.

Sono tre persone afflitte dal cosiddetto morbo di Ashcroft. Malattia scoperta di recente, in rapida diffusione, pare mietere vittime soprattutto fra i maschi adulti...

... di età compresa fra i 17 e i 55 anni. Rari i casi oltre i 60, mentre le statistiche cominciano ad indicare diffusione anche fra gli adolescenti. Le donne non sono immuni, ma in loro la malattia si manifesta quasi sempre in forma più blanda.

Nel maschio invece il morbo esplode di colpo, con virulenza insospettata, e senza aver dato nessun sintomo di preavviso. Nel primo stadio, all'udire soltanto le parole "Torri Gemelle", anche da lontano, il malato viene colto da un irrefrenabile bisogno di avvicinarsi ed inserirsi nella conversazione ad ogni costo.

Frequenti i casi in cui il paziente si avvicina ad un gruppo che stava parlando invece di frittelle, di bretelle, o di caramelle. Egli allora si scusa e torna indietro, poi si ferma un attimo, come a riflettere, infine scuote la testa e si allontana definitivamente dal gruppo.

Spesso il malato viene scoperto dalla moglie che parla col televisore, e cerca di convincere l'annunciatore del TG che quello che va dicendo è una bugia colossale. "Ma come fanno a essere crollate, testa di cazzo! - gli urla inviperito a dieci centimetri dallo schermo - ma lo sai almeno a che temperatura fonde l'acciaio?" E quando la moglie gli dice "vieni a letto caro che è tardi", lui normalmente risponde "ma come faccio? Ma non le senti le puttanate che sta dicendo questo?"

Le mogli più abili riescono di solito a riportare il marito a letto durante la pausa pubblicitaria. Le altre invece debbono attendere fino alle previsioni meteo o all'estrazione del lotto, per convincere il marito che anche quella sera il commentatore TG non cambierà opinione.

Mentre il primo stadio limita i suoi effetti alla sfera privata, il secondo comincia ad intaccare anche il tessuto sociale. Il malato perde visibilmente colpi rispetto al suo normale ritmo di vita, altera le sue decennali abitudini, ed usa ogni minuto libero per scrivere a tutti i giornali d'Italia, dal Foglio di Castellamare alla Gazzetta della Val Venosta. E quando non scrive, impreca scandalizzato contro i loro direttori, e contro la cecità inaccettabile "della gente" in genere. Fa tardi al lavoro, appare sempre più distratto, si isola psicologicamente e, nel caso in cui ne abbia, inizia a perdere clienti a velocità impressionante.

I tre malati che abbiamo descritto all'inizio sono invece al terzo stadio. Costoro sono considerati non solo irrecuperabili, ma pericolosi per la società stessa, poichè sono diventati "attivi". Vere e proprie mine vaganti, girano con le tasche imbottite di DVD sui crolli delle Torri, di audiocassette con la voce dei pompieri che parlano di esplosioni, e di ogni altro materiale illustrativo sull'11 Settembre che sia reperibile in Internet. Non si accontentano più della già molte occasioni che il caso gli procura normalmente, e sono perennemente alla ricerca di una vittima su cui infierire senza pietà. Hanno perso ogni ritegno, trascurano i convenevoli ed ogni altra forma di buona educazione, ed aggrediscono la vittima non appena gli rivolga la parola per il motivo più banale. Basta ad esempio che uno gli chieda:

- Mi scusi, che ora è?

E loro rispondono:

- Lei non crederà mica che sia stato bin Laden a buttare giu le Torri, per caso?

- Ma che c'entra, scusi?

- C'entra, c'entra. Lei non lo sa, che TUTTO quello che avviene a partire dall'11 Settembre va fatto risalire agli eventi di quel giorno?

- Sì, sarà anche, ma io volevo solo sapere che ora è…

- Ah, mi scusi, non avevo sentito bene. Dunque, sono ... le nove. Le nove e zero-due, per la precisione.

- Grazie.

- Ma lei lo sa che esattamente a quest'ora, quattro anni e tre giorni fa, il secondo aereo si schiantava nella Torre Sud?

- Quale Torre Sud?

- Le Torri Gemelle, no? Manhattan, 11 Settembre...

- Ah, quelle. Macchè aereo, ma cosa dice? - risponde la vittima guardandolo schifato - Guardi che quello era una bomba volante, caro amico, altro che "aereo"! Come minimo quello era un tanker 767, di quelli per il rifornimento in volo, senza finestrini, stracolmo di carburante e di esplosivo, …

- Ma lei come fa a saperlo, scusi?

- Come faccio a saperlo? L'ho letto in Internet! Vada ad informarsi, caro amico, vada ad informarsi, invece di andare in giro a far perdere tempo alla gente.

Dimenticavamo di dire che il morbo di Ashcroft è altamente contagioso. Prima o poi...

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Avvisaglie di rivolta

Post n°15 pubblicato il 08 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79

Da Londra a Strasburgo, dal G20 dell’economia ai ventotto della NATO. In entrambe, la cornice di circa cinquantamila manifestanti. Pacifisti, ma non sempre pacifici. E poi botte e botti, vetri spaccati, arresti, feriti, e anche un morto. Sono oramai decenni che i vertici internazionali, oltre a radunare un’élite di paesi autoeletti, suscitano estese e vigorose adunate di piazza. Da qualche tempo però il termometro dei movimenti dava segnali di stanchezza. Quel tempo ora sembra finito, sulla scia di una recessione che tende a saldare le diverse istanze di protesta, sdoganando al contempo la possibilità di violenza.

A Londra i promotori della manifestazione si aspettavano diecimila persone al massimo, ne sono giunte almeno quattro volte tanto. Un livello di partecipazione inusuale per i britannici, con operai, contadini e famiglie intere giunti da ogni angolo del paese. A favorire il successo collettivo è stata del resto una coalizione senza precedenti tra le organizzazioni di base. La marcia di fine marzo, sotto il motto di Put People First (“mettete le persone al vertice all’agenda”), era stata mobilitata da un’“alleanza arcobaleno” senza precedenti, annoverando centocinquanta entità, tra sindacati, gruppi cristiani, associazioni ambientaliste, ong di cooperazione internazionale, movimenti pacifisti, sigle politiche e anarchiche.

Tutti a rivendicare la stessa cosa: “lavoro, giustizia e clima”. E tutti a intonare slogan esplicitamente anticapitalisti. Operatori umanitari di Save The Children che urlavano contro la logica del profitto, ecologisti di Friends of the Earth che se la prendevano con le agenzie di credito. Dopo vent’anni di assenza, la politica ha rifatto irruzione anche in ambienti per definizione a-politici. Ed è successo a partire dal riconoscimento del fatto che l’opposizione alla guerra non è un’istanza diversa dalla rivendicazione dei diritti sociali, né dalla lotta per un’economia a minor dispendio energetico. Sono enunciazioni alternative di una medesima problematica, che viene oramai riconosciuta nella richiesta condivisa di una svolta di sistema.

Altro che “usual stuff”, come hanno commentato la manifestazione parecchi politici ed editorialisti d’oltremanica. A Londra è andata in scena una ribellione collettiva quanto radicale. Di più, è tornata la violenza, raccogliendo sottilmente un esteso consenso. Quasi tutti i gruppi presenti invocavano ufficialmente un fermo no a ogni proposito di scontri o saccheggi, per non dividere il movimento e non offuscare i contenuti della protesta. Sta di fatto che perfino docenti universitari, come l’antropologo Chris Knight (poi prontamente sospeso dalla East London University), erano giunti nei giorni precedenti a ipotizzare il “linciaggio” e l’“impiccagione” dei banchieri.

E sta di fatto che i dimostranti hanno poi tenuto per ore sotto assedio le sedi delle banche, arrivando anche a irrompere e a innescare un rogo nella Royal Bank of Scotland, icona della crisi e dell’aiuto di Stato accompagnato da laute buonuscite per i dirigenti. La stessa Scotland Yard ha del resto giocato col fuoco, alimentando nei giorni precedenti l’allarme di una manifestazione “molto violenta”, per poi rivendicare il merito del suo successivo contenimento e giustificare i propri eccessi. D

alla polizia anche l’allerta, su cui aveva ironizzato Knight, per l’incolumità degli impiegati della City: su questo nulla di fatto, naturalmente, proprio in ragione della radicalità della protesta; a differenza dei governi, i manifestanti non ce l’avevano contro una “finanza cattiva” distinta da una “buona”: ce l’hanno col modello finanziario nel suo insieme, a partire dai meccanismi debitori di orientamento politico imposti dal Fondo Monetario Internazionale, al quale il summit londinese ha concesso una nuova linfa da mille miliardi di dollari.

I tafferugli, comunque, ci sono stati, con manganelli e lacrimogeni, e una trentina di arresti. E poi Ian Tomlinson, “morto per un malore”, anche se decine di testimoni raccontano di una situazione di “omicidio colposo”, ovvero del decesso avvenuto durante la fuga da un’immotivata carica della polizia contro un assembramento pacifico.

La morte di Tomlinson ha contribuito a scaldare gli animi nella successiva adunata qualche giorno più tardi a Strasburgo. Il rigetto della versione ufficiale dei fatti si è accompagnato al sentimento che con una manifestazione pacifica c’è poco da perdere in termini di rischi di incolumità personale e poco da guadagnare in termini di capacità di influenzare i vertici della più grande alleanza militare al mondo. Lo aveva avvertito la storica francese Sophie Wahnich dalle colonne di «Le Monde»: il contesto che precedette la violenza della rivoluzione francese è significativamente analogo a quello odierno. La Francia resta la patria degli individui, col più basso tasso di sindacalizzazione in Europa, e questo, ai fatti, non inibisce ma scatena il potenziale di irruenti ed estese manifestazioni di piazza. I sindacati, così come gli altri movimenti associativi, hanno poi un’essenziale capacità di “auto-trattenimento della violenza”, ma questa capacità viene meno quando è l’autorità a rendersene protagonista in modo indiscriminato, e quando il disagio sociale è tale da coinvolgere il ceto medio. Tutte condizioni che, almeno nella percezione dei dimostranti, sono ora riemerse in modo lampante, e Strasburgo ne è stata la conseguenza esemplare.

Le strade della riunione della NATO sono state un vero e proprio campo di battaglia. Ordigni artigianali, pallottole di gomma, sassaiole, idranti, offensive dei manifestanti verso i poliziotti e viceversa, autobus e tram bloccati, vetrine di banche e negozi sventrate, un albergo del centro messo a fuoco, assalti (vani) a un ponte e alle strade percorse dai capi di Stato e di governo allo scopo di bloccare il vertice stesso. Quel vertice che ha poi sancito l’allargamento dell’Alleanza Atlantica nei Balcani, con l’ingresso di Croazia e Albania, e il rafforzamento dell’offensiva lanciata oltre sette anni fa in Afganistan attraverso l’invio di altre migliaia di soldati.

«Da noi solo vetri rotti», giustificavano diversi manifestanti, che hanno del resto sofferto parecchie decine di feriti e centinaia di arresti, oltre al blocco di molti alla frontiera franco-tedesca prima ancora che il summit iniziasse. A ritenere lo scontro un'opzione ineluttabile, in ragione della sproporzione delle forze in campo e delle azioni belliche ordinate dalla Nato, non era solo qualche frangia “black-bloc”: spaccature e litigi tra dimostranti violenti e non-violenti ci sono state, ma il fronte dei primi andava ben oltre la cerchia abituale dei cosiddetti “anarco-insurrezionalisti”. Secondo «il manifesto» ha coinvolto addirittura la metà del corteo.

Ogni tentativo, giornalistico o poliziesco, di dividere il dissenso isolando i bellicosi è del tutto saltato a Strasburgo. Come a Londra, le categorie ideologiche e le appartenenze di gruppo si sono confuse le une con le altre. In manette sono finiti perfino quieti ecologisti, colpevoli di cercare di conquistare il citato ponte sul Meno tuffandosi nelle acque gelide del fiume. E mentre Obama raccoglieva ovazioni nel Palazzo dello Sport tra l'élite studentesca accuratamente selezionata dal governo francese assieme all'amministrazione regionale, la rabbia della strada raccoglieva il consenso dei “banlieusards” del posto.

Lontano dai riflettori dei summit e dalla quiete delle sedi europee, la periferia della capitale alsaziana è del resto terreno quotidiano di scontri, sassaiole e gomme tagliate. Segnali drammatici di un disagio crescente, che avvicina progressivamente le decine di centri sociali cittadini col proletariato locale. Ed è una saldatura che trova sempre più riscontro nella protesta dilagante in tutta Europa.

Le manifestazioni di piazza hanno fatto crollare nelle ultime settimane i governi in Islanda, in Lettonia e in Ungheria. Dublino è stata attraversata da cortei senza precedenti con centinaia di migliaia di operai e impiegati a protestare contro gli ennesimi tagli di bilancio che hanno frantumato il potere d’acquisto irlandese fino a portare il paese sull’orlo della bancarotta. A Vilnius i dimostranti hanno preso addirittura d’assalto il Parlamento dopo l’annuncio di un rialzo delle imposte per i lavoratori dipendenti.

E si muove ora anche la Confederazione dei Sindacati Europei, storicamente confinata a funzioni di rappresentanza presso le istituzioni dell’Unione. Per metà maggio sta mobilitando quattro “manifestazioni europee”, il 14 a Madrid, il 15 a Bruxelles, il 16 a Berlino e Praga. Segnali di una protesta che oramai varca i confini nazionali, oltre che quelli tematici e ideologici. Ed è un disagio che, armato di pietre e bastoni, non esita a definirsi «resistenza».

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Terremoto in Abruzzo, catastrofismo e tranquillismo

Post n°16 pubblicato il 08 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79
Foto di unnickqualsiasi79

Come dice Marco Travaglio, carta canta. Riporto senza commentare perchè si commenta da sè.

Se il sensore prevede il terremoto, Sole 24 ore , 10 giugno 2005

«Un giorno dell'ottobre 2002, poco prima del drammatico terremoto di San Giuliano di Puglia, Gioacchino Giuliani osserva segnali intensi e anomali: convinto che si tratti di un evento eccezionale, avverte i colleghi che invece pensano a un guasto e consigliano di spegnere la macchina.

Ma Giuliani non spegne, e anzi registra picchi sempre più rapidi e violenti. Quando infine arriva il terremoto, i quattro si guardano negli occhi, spaventati e confusi sul da farsi: questa esperienza convince la società Caen — leader nella produzione di dispositivi elettronici per i maggiori esperimenti di fisica del mondo - a investire uomini e mezzi nell'impresa, che sembra aprire nuove prospettive nella difficile sfìda dalla previsione dei terremoti.»

Qui c'è aria di terremoto, Club 3, ottobre 2008

terremoto«Giuliani e il suo staff previdero anche il terremoto del Molise del 2002, dove persero la vita 27 bambini: fu comunicato l’allarme alla Protezione civile, ma allora tutto il sistema era ancora in fase sperimentale. [...]

«Abbiamo investito tutto in questo progetto», conclude il tecnico. «Adesso il mio sogno è che venga potenziato, migliorato e utilizzato su vasta scala nelle zone sismiche, per poter salvare quante più vite umane possibili»

Lettera della società SCS
alla protezione civile del 15 maggio 2006

«Egregio dr. G. Bertolaso,

desidero portare alla Sua attenzione un progetto costituito da una rete di sensori del tipo PM-4 e PM-2 che si propone come obiettivo principale la rivelazione di precursori sismici, ottenuti dal monitoraggio di gas Radon, nonché il controllo sull’ inquinamento ambientale prodotto dallo stesso Radon, su vaste aree.[...]

L’intero sistema, la metodologia di rivelazione e l’algoritmo di analisi dati, è protetto da brevetto depositato dall’autore di questa nuova procedura, Sig. Gioacchino Giuliani.

Risultato test: dal 27 Dicembre 2003 al 8 Gennaio 2004, sono stati generati 12 Allarmi ed osservati 9 terremoti, pari ad una efficienza del 75 %, poichè tre ripetute dopo scosse principali, non calcolate.»

Niente allarmismo i terremoti non sono prevedibili, Abruzzo 24 ore , 1 aprile 2009 (purtroppo non è un pesce d'aprile)

Intorno al tavolo c'erano i massimi esperti italiani in materia di terremoti, che hanno rassicurato: lo sciame sismico che interessa l'Aquila da circa tre mesi è un fenomeno geologico tutto sommato normale, che non è il preludio ad eventi sismici parossistici, anzi il lento e continuo scarico di energia, statistiche alla mano, fa prevedere un lento diradarsi dello sciame con piccole scosse non pericolose. Rassicurazioni che fanno davvero bene a tutti gli aquilani, sull'orlo di una crisi di nervi, e al sindaco Massimo Cialente.
Sottolineano poi gli esperti: uno specifico evento sismico non può essere previsto, chi lo fa procura solo ingiustificato allarme. Il riferimento è ovviamente allo studioso aquilano Gioacchino Giuliani, che grazie ad un sensore afferma poter prevedere di  24 ore gli eventi sismici studiando i raggi gamma del Radon emesso dalla crosta terrestre. Giuliani è stato denunciato ieri per procurato allarme, perchè ha  telefonato al sindaco di Sulmona, per avvertirlo che era in arrivo un forte terremoto nel pomeriggio di domenica.»

L'uomo che dice di prevedere i terremoti ora rischia una denuncia, Abruzzo 24 ore , 31 marzo 2009
«Dice infatti di aver previsto una scossa domenica a Sulmona, dopo quella della mattina, per il pomeriggio; scossa che in realtà non c'è mai stata. Telefonò subito alla polizia municipale, poi al sindaco Federico per annunciarla, prevista con più intensità della precedente.

"Non è possibile che si vada in giro a creare allarmismi", evidenzia il sindaco Federico, "domenica ho passato la giornata più brutta della mia vita perché dopo aver parlato con quel signore, che mi aveva annunciato un sisma devastante, molto più forte di quello che c’era stato in mattinata, mi sono trovato in una situazione difficilissima. [...]  trovando rassicurazioni solo dopo aver parlato con il Centro nazionale di sismologia di Roma, dove hanno ribadito che le possibilità che si verificasse un terremoto a Sulmona erano le stesse di un altro territorio a rischio sismico in giro per il mondo. [grassetto nell'originale]»

Il terremoto è avvenuto 8 giorni dopo, un centinaio di km a nord di Sulmona, ma è avvenuto. Qui leggete l'intervista rilasciata oggi da Giuliani. Per il tranquillismo vedi qui. A proposito di tranquillismo, potete leggere qui .

 
 
 

Il capitalismo globalizzato: dal dollaro al tunnel

Post n°17 pubblicato il 10 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79
Foto di unnickqualsiasi79

Postille al vertice del G-20 di Londra, numero due di una serie che si annuncia lunga, ma anche travagliata. Queste hanno l’aria di essere le convulsioni del capitalismo globalizzato, quello che, secondo Giorgio Ruffolo, ha “i secoli contati”. Solo che viene il dubbio a usare la parola “capitalismo”, perché quello che sta avendo le convulsioni non sembra neanche un lontano parente di quello di cui trattarono Adam Smith e Karl Marx. Che non c’è più.

In questo, nei guai, le leggi del mercato non regnano, e comunque, anche se a parole le si richiama, non funzionano. Se si sta nazionalizzando tutto è, per esempio, perché la mano invisibile del mercato non ha funzionato. Era, ed è, una struttura parossistica, e un po’ folle, basata su assunti palesemente falsi, a cominciare dal più assurdo di tutti, consistente nell’illusione di una crescita indefinita dell’economia e del profitto. Assurda come l’idea che un sistema finito di risorse, qual è il nostro pianeta, sia in grado di crescere indefinitamente in forma geometrica.
 
Queste convulsioni avvengono nel corso della nostra vita, la segneranno indelebilmente. Ci tocca, purtroppo, di assistervi in diretta lasciando da parte – per chi l’ha avuta - ogni nostalgia per i trionfi di quella globalizzazione che avremmo dovuto guardare con angoscia, se vi avessimo visto gli effetti mortali, per l’Uomo e per la Natura, che essa implicava.
L’avverbio “purtroppo” va usato perchè queste convulsioni ci minacciano. Minacciano i più deboli, che saranno i primi a pagarne gli effetti.
Le cifre fornite dalla Banca Mondiale dicono che, come conseguenza della depressione in corso,  “altri” 22 bambini  moriranno, in più, ogni ora, nel corso del 2009. Morti addizionali. Per soprammercato.

Adesso, a vertice londinese appena concluso, il coro del mainstream è unanime: la crisi, se non è finita, sta per finire. Si ricomincia daccapo.
Ma non è vero. È un disperato tentativo, inutile e sbagliato, di tranquillizzare gl’investitori e le opinioni pubbliche ormai in bilico tra l’angoscia e la furia.
E non è facile discernere se lo facciano perchè non hanno capito quello che sta succedendo, oppure se hanno capito ma non vogliono dircelo e nemmeno dirselo. I 20 protagonisti del disastro, chi più chi meno, si sono messi d’accordo per inscenare uno spettacolo. Lo si vede dalle cifre, anch’esse truccate – la classica montagna che partorisce il classico topolino – che parlano di un accordo per un trilione, mille miliardi di dollari, per parare il disastro delle economie emergenti. Ma questo equivale a una goccia nel mare.

bugiarassicuranteSi danno, cioè si stampano, altri trilioni di di dollari per sostenere un sistema bancario che è paralizzato da quadrilioni di dollari di titoli “tossici”, di derivati-finzione che hanno sommerso l’economia reale in un mare di carta. Sono ordini di grandezza incomparabili, come di chi vorrebbe svuotare il mare con un secchiello.

Qualcuno – come Stiglitz e Krugman, due premi Nobel per l’economia – grida avvertimenti inascoltati. Ma lo spettacolo deve andare avanti ad ogni costo, anche se dovrebbe essere evidente che l’impero del dollaro sta finendo, insieme all’impero degli Stati Uniti. Obama non può già più decidere da solo.

Tutti i parametri di riferimento si stanno modificando in contemporanea. Europa e Stati Uniti non sono più sulla stessa lunghezza d’onda. E non sono i rivoluzionari marxisti (che non esistono più) a contrapporre il modello europeo a quello americano, ma i conservatori di Francia e Germania.

Obama ragiona per salvare il servizio bancario mondiale di Wall Street, in fallimento. L’Europa comincia adesso a capire, con fatica, che la famosa “strategia di Lisbona”, con cui la si voleva portare agli stessi approdi dell’America, è defunta. E deve difendere – contro il temibile riapparire della lotta di classe – il suo ancora semi-funzionante, per semi-fortuna, sistema di ammortizzatori sociali rappresentato da quel welfare state su cui fino a ieri tutti sputavano come su un residuato storico inutile.

La Cina è avvinghiata a un’America che – come Obama stesso dice – consuma con tragica voracità (con i denari cinesi). Quindi sta con Obama appoggiando l’inevitabile follia della stimolazione fiscale alle imprese per aumentare di nuovo i consumi (americani, cinesi e nostri) .

Ma la Cina sta anche con l’Europa perché, come l’Europa, esporta e risparmia. Ma non è uno stare comodo in mezzo al guado, perché presto si vedrà che gli Stati Uniti di Obama devono “consolidare” il loro debito fantastrilionico. E lo farnno svalutando il dollaro, cioè svalutando i due trilioni di dollari che i cinesi hanno accumulato comprando il debito americano.
Non a caso i cinesi hanno messo sul tavolo, prima di Londra, la “sacrilega” questione se il dollaro possa ancora essere, da solo, la moneta di riserva mondiale. Ma potrà Obama mettere in discussione il pilastro su cui si è retto il potere imperiale?
Una gigantesca frattura si è aperta tra l’America e il resto del mondo. E, nove anni dopo il suo inizio trionfale, si vede ora con chiarezza che non sarà un “secolo americano”. Cosa sarà non lo sa nessuno, perché nessuno ha la ricetta per salvarlo senza tragedie. Londra lo ha dimostrato.

La crisi che si è aperta non finirà domani, e nemmeno dopodomani. Ci aspettano lunghi anni di travaglio. E all’uscita dal tunnel si presenteranno, a riscuotere il conto, i limiti che ora appena si affacciano e di cui tutti preferiscono non parlare: limiti energetici, limiti climatici, limiti degli scarti, limite dell’acqua.
Ci dicono una semplice cosa: crescere, con i sistemi che ci siamo lasciati alle spalle, sarà impossibile.

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G 20. E la NATO. E il MONDO

Post n°18 pubblicato il 11 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79

A Londra , i difensori di Wall Street bianchi, alti, anglo-americani, hanno vinto: ma Lula aveva torto sul colore azzurro degli occhi e uno di loro era nero.
Nessun “giro di boa” (Obama) fra i 29 punti, ma:

* un trilione, il riscatto in denaro per l’economia finanziaria, nessuno stimolo per l’economia reale, protezione alle banche sbagliate anziché alle persone giuste, oltre ai 9 trilioni degli USA per gli USA;
* dollari, dollari ovunque, come se non fossero problematici: non c’è verso che quei dollari stampati con disinvoltura non cadano ancora più in basso;
* principalmente per il Fondo Monetario Internazionale, con le altre istituzioni di Bretton-Woods uno dei grandi pilastri del mal-sviluppo;
* senza puntare il dito, “una crisi globale esige una soluzione globale”, nulla di specifico su Wall Street, dove pure è saltata la diga che ha allagato molti, nessuna citazione delle peggiori banche, né dei peggiori fondi e dei loro padroni, neppure la natura precisa di quel che è andato storto (facendo espiare Madoff per tutti loro), neppure nominando i paradisi fiscali (su richiesta di Obama, ma l’ha fatto l’OECD);
* nessuna menzione dei meno colpiti: cioè le banche islamiche e l’economia reale cinese con crescita stimata al 5% quest’anno (10% sulla costa, 0% all’interno) – ma per altre ragioni; né di quanto possiamo imparare da loro;
* nessun piano regolatore dettagliato noto, per timore che le pecche del sistema diventino note e facilmente utilizzabili per identificare le istituzioni responsabili. Piazzare burocrati statali nei consigli d’amministrazione non servirà granché;
* identificato un solo colpevole: il protezionismo;
* e, in tutta onestà, un piccolo aiuto d’emergenza per alcune vittime dell’inondazione fra i poveri dei paesi poveri.

Ma nessuna riparazione alla diga. Il G20 combina il peggio del capitalismo e il peggio del socialismo USA, togliendo ai poveri per dare ai ricchi, accumulando denaro al di sopra di economie reali stagnanti, invitando la speculazione, non l’investimento, preparando la prossima, peggiore, crisi.
Partono dall’estremità sbagliata. L’economia reale soffre di sotto-produzione di beni indispensabili accessibili e sovra-produzione di articoli comuni per l’enorme ceto medio mondiale, il cui potere d’acquisto e credito sta calando, mentre le classi alte sono in buona forma. Un commercio privo di regolamentazione favorirà i beni di lusso.
Come ha stimato l’Oxfam, l’interesse di una settimana sul denaro del riscatto renderebbe sicuro il parto delle gestanti ovunque nel mondo, per un anno. Ma quel denaro non è disponibile. Impariamo dai cinesi, facendo cooperare il settore pubblico e privato per far sì che i più bisognosi producano da sé ciò di cui hanno maggiore necessità, cibo e abitazione, sanità e istruzione, infrastrutture che comprendono l’energia verde, e combinando il consumo dei beni necessari prodotti in proprio, in modo sostenibile, con un maggiore potere d’acquisto. Aggiungiamo a tutto ciò un keynesismo massiccio, sino ad arrivare agli strati più bassi del ceto medio, e si creerà una domanda che può far decollare l’economia reale. Le classi alte non potrebbero mai fare altrettanto da sole.
Questo costerebbe denaro che si potrebbe stornare dalle enormità dei riscatti e dagli stupidi bilanci militari. Alle persone colpite dalle banche che stanno affondando bisognerebbe offrire posti di lavoro e beni indispensabili da sovvenzionare con tasse sul lusso, contro un consenso di Washington morto da tempo. Più importante della regolamentazione è la (ri)costruzione di banche decenti, con un solido sostegno dell’economia reale per le loro transazioni finanziarie, separando le banche di risparmio da quelle d’investimento (leggi: speculazione), non assicurando le seconde, e lasciando fiorire valute regionali, non qualche formula cinese. Non siamo pronti, né mai lo siamo stati, per una valuta globale e particolarmente non per dare a un solo paese il privilegio di pagare i suoi debiti stampando altra moneta in proprio.
L’indice Dow Jones salirà in risposta al G20, contemporaneamente alla previsione del FMI di crescita mondiale solo al 2%, probabilmente già troppo alta. Il G20 riprodurrà la vecchia asincronia fra i tassi di crescita della finanza e dell’economia reale. Benvenuta quindi la prossima crisi economica, made in London.
E poi la NATO, disperatamente in cerca di reinventarsi; in colloqui segreti, probabilmente tali per nascondere il segreto di non avere segreti. Una scelta davvero scialba quel danese. Il punto non era la sua insistenza sulla libertà d’espressione, ma la sua mancanza di comprensione fra la libertà e l’umiliazione e il suo coerente rifiuto di dialogo con i musulmani danesi, gli ambasciatori arabi e il segretario generale dell’ Organizzazione della Conferenza Islamica. Averlo d’ora in poi a capo di quell’enorme macchina militare schierata contro l’Islam più che contro qualsiasi altra cosa, è un grave errore, a prescindere da quale merce di scambio sia stata data alla Turchia. Il valore simbolico di non eleggerlo sarebbe stato enorme, e positivo. La tavola è apparecchiata per la prossima crisi militare, made in Strasbourg.
Forse dovrebbero prestare più attenzione a un Obama pensoso in un’intervista in cui si esprimeva più liberamente, pensando ad alta voce sul non voler assumere alcun monopolio della verità ma impegnandosi nel dialogo, senza forzare gli altri ad alcuna posizione ma ascoltando, negoziando, per arrivare a compromessi. Con tale modalità il mandato divino e l’eccezionalismo sono finiti e l’impero USA sta declinando e cadendo man mano che il potere culturale e politico diventano più simmetrici.
Bene, bello, andiamo avanti. Ma c’è ancora il potere economico da ridisegnare per un beneficio mutuo e uguale, non solo fra i vari paesi, ma anche fra le élite e la gente. Il G20 è stato carente in questo. E c’è il potere militare da riprogettare, e non solo riducendo l’eccesso di capacità letale nucleare di un terzo, o tagliando le 761 basi in 158 paesi. Arriverà il momento in cui tutto ciò finirà nella pattumiera della storia, sostituito dalla capacità di risoluzione del conflitto. In nessun punto dei comunicati del G-20 e della NATO-28 c’è una qualche indicazione di come potrebbe configurarsi una soluzione accettabile da tutte le parti.
L’Occidente è ormai indietro. Non sorprendiamoci se il resto del mondo non aspetta, ma cerca una propria strada.

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Keynes a Pechino

Post n°19 pubblicato il 11 Aprile 2009 da unnickqualsiasi79

In un recente intervento, Zhou Xiaochuan, governatore della Banca Centrale della Repubblica Popolare Cinese (People’s Bank of China), ha rilanciato ancora una volta il tema della riforma del sistema monetario internazionale, proponendo l’istituzione di una moneta mondiale (global currency) svincolata da qualsiasi rapporto con una entità statale emittente. Qualche giorno prima il premier cinese Weng Jiabao aveva espresso preoccupazione sulla crescita del debito pubblico americano. Se le due dichiarazioni si leggono sinotticamente l’interpretazione è univoca: i cinesi temono il collasso del dollaro e sono terrorizzati dall’idea  di polverizzare i proventi dei loro surplus commerciali, investiti, come è noto, prevalentemente in titoli di stato USA (Treasury Bond), dei quali sono diventati il maggior detentore.

Che Pechino stia ormai elaborando da tempo una strategia di uscita dalla dipendenza dal dollaro è noto (dal 2005 lo yuan renmimbi è ancorato ad un paniere di monete e non più alla sola divisa Usa), ma è una novità che la Cina abbia indicato con estrema chiarezza le linee di riforma dell’ordine monetario internazionale che proporrà in sede internazionale, dichiarando di puntare alla costituzione di una moneta mondiale svincolata dalla sovranità statale e affidata interamente al controllo del Fondo Monetario Internazionale (IMF), opportunamente rinnovato e potenziato. Una posizione che spiazza la proposta di riforma oggi più accreditata, avanzata qualche anno fa dal premio Nobel Ernest Mundell che punta alla costituzione di una moneta internazionale “paniere” (basket currency), indicata come DEY (dollaro, euro, yen),  che dovrebbe  essere composta da diverse monete con la partecipazione essenziale di quelle oggi dominanti (appunto dollaro, euro, yen), e che dovrebbe essere istituita con un percorso istituzionale simile a quello che ha caratterizzato la nascita dell’euro, cioè individuando, in una prima fase di attuazione, bande di oscillazione controllate tra le tre monete aderenti, per poi giungere nella fase finale alla definizione di parità fisse. L’assetto dell’ordine monetario internazionale, secondo questa proposta di Mundell, dovrebbe prevedere l’esistenza di un nucleo di monete forti legate tra loro da accordi di currency peg (cambio fisso) intorno al quale si muoverebbe una periferia di divise più deboli mantenute entro bande di oscillazione più o meno ristrette (con meccanismi di parità mobile - Crawling peg – o di fluttuazione manovrata Manged floating). L’approdo definitivo dovrebbe essere l’istituzione dell’INTOR, una moneta paniere mondiale basata per il 50% sulle cinque divise più forti (il cui peso verrebbe così ripartito: 22,5 % dollaro USA, 14,5% euro, 7,5% yen, 5,5% sterlina inglese) e per il 50% legata all’oro. Accordi di cambio fisso generalizzati regolerebbero poi il rapporto tra l’INTOR e le altre monete. L’INTOR sarebbe sostanzialmente controllato dai paesi con maggior peso economico e quindi ricondotta agli interessi di specifiche sovranità nazionali. Per questo non sfuggirebbe al noto Dilemma di Triffin, secondo cui il paese che emette moneta internazionale deve accettare crescenti disavanzi delle partite correnti al fine di soddisfare la domanda mondiale di moneta di riserva, ma nello stesso tempo i crescenti deficit indeboliscono la fiducia nella solidità della moneta nazionale usata come standard internazionale. Pertanto: o il sistema monetario internazionale crolla per una crisi di fiducia nella moneta di riserva internazionale, o l’economia mondiale si trova di fronte ad una grave deflazione per l’insufficienza di mezzi di pagamento internazionali. La proposta di Mundell non elimina questa contraddizione, ma la divide tra diversi centri di responsabilità, configurando soltanto la prospettiva una politica monetaria internazionale più condivisa. Il peso del 50% del valore dell’INTOR affidato all’oro, aggraverebbe inoltre la situazione, in quanto reintrodurrebbe nel sistema monetario internazionale tutti i problemi legati all’uso di una moneta merce (commodity money) con fluttuazioni del suo valore che finiscono per essere esogenamente determinate.

La soluzione per evitare le contraddizioni generate dall’uso di una moneta nazionale come standard internazionale fu fornita dallo stesso Triffin già all’inizio degli anni Sessanta (quando con estrema lucidità aveva previsto la fine del sistema basato sulla convertibilità aurea del dollaro) con la proposta di istituire una moneta mondiale indipendente da ogni sovranità nazionale sul modello del bancor, l’unità di conto che Keynes aveva definito nel suo piano presentato alla conferenza di Bretton Woods (1944), che appunto doveva configurarsi come una moneta sovranazionale.

Per il governatore Zhou Xiaochuan, il modello ideale di moneta mondiale, “capace di rimanere stabile nel lungo periodo”, resta ancora il bancor keynesiano, ma riproporre la sua attuazione in tempi brevi, richiederebbe una coraggiosa e “straordinaria visione politica” che oggi non è ancora maturata. E allora  Zhou Xiaochuan propone un percorso intermedio, di breve periodo, che punti ad una riforma dei diritti speciali di prelievo (DSP, Special Drawing Right, SDR nell’acronimo inglese). Istituiti nel 1969 per individuare uno strumento di liquidità internazionale alternativo al dollaro,  proprio sulla base  della critica di Triffin,  i DSP sono particolari unità di conto, il cui valore è basato su un basket delle cinque principali valute (secondo i seguenti pesi: 45% dollaro USA, 29% euro, 15% yen, 11% sterlina inglese) e sono assegnati a ciascuno dei 185 paesi aderenti all’IMF in proporzione alle loro quote di partecipazione. Il legame dei DSP con le monete che ne costituiscono il valore è solo indiretto, poiché la loro esistenza è determinata soltanto in base ad un accordo associativo (le quote di partecipazione). La loro gestione è affidata alle autorità dell’IMF che così dispongono di uno strumento di liquidità internazionale interamente sotto il loro controllo e che è utilizzabile  per correggere gli squilibri tra i paesi membri. Qualsiasi paese dell’IMF che registri un deficit può cedere i DSP di cui è in possesso ad un altro paese che è obbligato ad accettali, cedendo in cambio propria valuta. Entro certi limiti (pari a tre volte la quota netta assegnata) gli squilibri commerciali possono essere corretti da un paese senza far ricorso alle riserve accumulate o all’indebitamento estero e i DSP nella sostanza hanno lo stesso ruolo che riveste un’apertura di credito da parte di una banca. Con la loro istituzione l’IMF accettò sostanzialmente il principio che la creazione e la gestione della liquidità internazionale non possono essere affidate interamente alle politiche dei paesi che per determinate circostanze si trovano ad emettere la moneta accettata come riserva internazionale, ma devono essere governate da istituzioni internazionali che rispondono ad una logica di cooperazione.

Zhou Xiaochuan riconosce che i DSP possono costituire, per le caratteristiche che posseggono, il nucleo da cui è possibile gradualmente sviluppare un vera e propria moneta mondiale (nello stesso senso si è espressa recentemente anche una Commissione di Esperti dell’Onu). Per raggiungere questo scopo egli propone innanzitutto di consentire ai privati  l’uso dei  DSP come mezzo di pagamento nelle transazioni commerciali e finanziarie, abolendo la regola restrittiva che fino ad oggi ha impedito la loro trasformazione  in una vera e propria  moneta internazionale. Per questa limitazione i DSP rappresentano attualmente  soltanto l’1% delle riserve in valuta dei paesi membri dell’IMF. Propone poi l’approvazione immediata del cosiddetto IV Emendamento al Trattato costitutivo dell’IMF (Articles of Agreement), proposto nel 1997, durante la crisi “asiatica”, che prevede il raddoppio dei DSP in circolazione (portandoli al valore nominale di 42,8 miliardi) e la loro utilizzazione su criteri paritari da parte di tutti i membri (attualmente i paesi che hanno aderito all’IMF dopo il 1981, circa un quinto del totale, ne sono rimasti esclusi. La proposta è stata già in parte recepita dal recente vertice londinese dei G20).  Un ulteriore passo dovrebbe essere la creazione di assetti finanziari denominati in DSP per incentivare la loro utilizzazione. Ovviamente l’istituzione dei nuovi DSP sarebbe accompagnata da una riforma dei pesi con i quali attualmente è calcolato il loro valore. Per Zhou Xiaochuan è necessario innanzitutto allargare il paniere di riferimento includendo “le monete di tutte le maggiori economie”, e senza dirlo direttamente il governatore della People’s Bank of China di fatto candida la divisa cinese, lo yuan renmimbi, ad assumere un ruolo fondamentale nel nuovo sistema monetario internazionale.  L’IMF dovrebbe poi accentuare il suo carattere di deposito (pool) di riserve monetarie utilizzabili dai vari paesi per far fronte ai propri squilibri senza far ricorso al mercato dei cambi, evitando così di generare instabilità sistemica. Insomma l’IMF in prospettiva dovrebbe assumere il ruolo di una stanza di compensazione (così come Keynes stesso aveva inizialmente proposto), dotata di una propria unità di conto, i DSP appunto, utilizzata esclusivamente per le transazioni internazionali. Sarebbe così superata quella che Zhou Xiaochuan definisce una situazione eccezionale, poiché  l’uso di una moneta fiduciaria sotto il controllo e la responsabilità di un’unica autorità statale, così come avviene dal 1971 (data della dichiarazione di inconvertibilità del dollaro) costituisce un evento unico nella storia monetaria.

È evidente che con questa proposta la Cina intende assumersi un ruolo decisivo nel nuovo ordine monetario internazionale, senza però passare attraverso le incertezze del mercato dei cambi. Da sempre, infatti, le autorità cinesi temono che l’abbandono del controllo politico del cambio possa incentivare attività di speculazione portando alla destabilizzazione della loro l’economia. Del resto hanno fino ad ora avuto ragione, visto che l’economia cinese è rimasta immune dall’ultima tempesta valutaria che nel 1997-1998 ha colpito l’Est asiatico e la Russia.

Il peso che i cinesi ormai ricoprono nell’economia mondiale e il ruolo che essi hanno assunto, come principali detentori di riserve valutarie internazionali (1950 miliardi di dollari), rendono estremamente rilevanti queste affermazioni per le scelte sul futuro assetto dell’ordine monetario internazionale.

 
 
 

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