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LIBERTA'...SEMPRE E COMUNQUE!
La libertà è un dovere prima che un diritto
(Oriana Fallaci)
UNA CASA EDITRICE LIBERA E DI QUALITA'
"Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere." Gustave Flaubert
NON CI RESTA...CHE RIDERE
IL NAPOLETANO...IN EUROPA
di Simone Schettino
MAMMA VOGLIO VIVERE...NON ABORTIRE
Ho sempre pensato che l'aborto rappresentasse una grande conquista delle donne, che le lasciava libere di scegliere o meno una gravidanza, che non le costringeva ad accettare umiliazioni, compromessi, vite a metà...Poi sono rimasta incinta ed ho sentito nel mio grembo crescere la vita, ho sentito pulsare il cuore della mia creatura nel mio respiro, ho sognato le sue manine, il suo viso e la sua voglia di vivere.
La prima gravidanza è un toccasana di amore e tenerezza...poi è arrivata la seconda gravidanza e con lei i dubbi, le paure, il peso delle responsabilità....sono stati giorni duri ed ho pensato di abortire, ma c'era una vocina dentro di me che diceva: mamma voglio vivere! Dammi questa occasione! Non ho potuto abortire e benedico sempre il giorno che ho deciso di far nascere il mio bambino! La vita è davvero una cosa meravigliosa e prima di eliminarla bisogna riflettere, pensare, forse anche dannarsi. Ma ora so per certo che la vita, anche quella di pochi giorni, è un'occasione che non può essere cancellata.
Lettera pubblicata su Il Foglio (8-2-2008)
MAGIE....ESTIVE
...I REMEMBER....
Il calore della terra sibarita ti avvolge subito e non ti lascia più. Saranno gli aromi di resina sparsi tra le dune infuocate, sarà quel raggio di sole che penetra il cappello di pini e regala un magico e sognante pulviscolo. Sarà il blu del suo mare o la salsedine che trasuda dalla pelle, saranno l’ospitalità e l’intelligenza di chi gestisce un tale tesoro o l’amicizia che tra i pini secolari, si rinnova e si rinforza. Saranno i sorrisi divertiti dei miei figli per la riacquistata libertà, il vento che scrive parole sulla mia pelle o le serate spensierate con gli amici tra balli e sketch comici… Grazie Antonietta e Gaetano!!!
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AFORISMI
Signori si nasce, cuochi si diventa. E poeti? Poeti si stenta!
(di Andrea Marchesani, Piccoli tappeti volanti)
LA VITA E' UN DONO
di essere forte per eseguire progetti grandiosi:
egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute
per realizzare grandi imprese:
egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto:
mi ha fatto povero per non essere egoista.
perché gli uomini avessero bisogno di me:
egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita:
mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.
Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
ma mi hai dato tutto quello
di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore,
fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che ho io!
(di Kirk Kilgour, nazionale americano e Campione d'Italia con la squadra romana dell'Ariccia: una brillante carriera spezzata da un tragico incidente che avvenne nel 1976. Durante alcuni esercizi di riscaldamento cadde, provocandosi la lussazione di una vertebra cervicale con conseguente totale paralisi degli arti).
BOCCA BACIATA!!
Bocca baciata non perde ventura.
Anzi rinnova come fa la luna.
Falstaf, Libretto di Boito musicato da G. Verdi
........MI SPECCHIO........
Mi specchio nei pensieri e nelle parole che non ho
saputo dire, nei ricordi che sfuggono al presente
e al tempo che ancora mi resta da vivere...
riposo nei sogni miei: è un angolo di mondo che
nessuno può cancellare o resettare!!!
elenucciavaria
BUON SOGNO A TUTTI...
NON SMETTETE MAI DI SOGNARE!
« LEGAME INDISSOLUBILE!!! | UN LIBRO DA LEGGERE!!!! » |
RISULTATI DI PUBBLICA CON NOI!
Post n°184 pubblicato il 06 Ottobre 2008 da cercodiogene
Ecco i risultati del concorso Pubblica con noi 2008 per la sezione racconto (per la sezione poesia v. qui). I giurati che, come il sottoscritto, si complimentano con i vincitori e i segnalati ringraziando anche tutti i partecipanti, hanno così deliberato: Vincitori (le cui opere saranno prossimamente pubblicate da Fara Editore e di cui proponiamo qui sotto alcuni brevi estratti) 1° – Quasi amore di Luigina Sgarro (Roma) «La rabbia e la forza delle parole di questo autore giungono immediatamente a destinazione. Dovrei dire: missione compiuta. Tre racconti, tre vite descritte sapientemente, ognuna con stile differente, a ciascun personaggio la propria voce. Il coraggio di essere crudo, l’abilità dell’ironia e la sorpresa di un romanticismo brillante, completano quest’autore dalla scrittura felice e ricca di sorprese. Ho faticato a condividere la malvagità di Marco in “Obbligo immorale”, ma l’esagerazione che accompagnava ogni gesto, ogni azione, mi ha obbligata ad andare avanti, mi ha costretta ad un’avventura al limite. “L’espediente”: quante volte ci siamo sentite “Marisa”?! Esilarante e geniale. Mai sottovalutare una donna… Ero pronta ad affrontare l’ultima storia, ma mai mi sarei aspettata un epilogo del genere. Sono stata una settimana nel freddo d’Irlanda, e sono stata bene. Avrei potuto essere io, avrebbe potuto essere chiunque: innamorata persa e decisa ad andare in fondo. “A terribile beauty”: in viaggio cercando sé stessi, scoprendo cose fantastiche, svegliando un’anima pigra che stentava a vedere lontano.» (Laura Bonalumi) «Un modo di scrivere moderno, fluido e ricco allo stesso tempo, con il quale l’Autore sviluppa soggetti originali e interessanti; una lettura resa piacevole dalla scorrevolezza, dalla vivacità del lessico, dalla profondità dell’introspezione, dalle grandi doti di ironia ed autoironia. Davvero ben scritto oltre che molto, molto “simpatico”.» (Marco Bottoni) «Love is noise, cantano i redivivi Verve, e poco importano le caratteristiche di quel rumore. Può essere assordante come un concerto di musica tecno; sublime e appena palpabile come un concerto di musica classica; caotico e dispersivo come un concerto di musica sperimentale; aggressivo ed istintivo come una danza tribale. Non è questo l’importante, ognuno di noi sente come vuole e come può. L’importante, forse, è solo nel percepire quel rumore, senza ritirarsi in uno spazio bianco e neutro, sicuramente più riposante, sicuramente meno entusiasmante. L’Amore non è – o almeno, non dovrebbe essere – vendetta, senso di rivalsa o di possesso, nervosismo traslato su terzi, ma in fondo siamo esseri umani e qualche sbaglio è necessario, se non utile. Per migliorare il nostro (possibile) futuro. Per tutelare i nostri (sicuri) rimpianti.» (Stefano Martello) da A TERRIBLE BEAUTY Taccuino Di Una Settimana On The Road Lunedì, 1 agosto. Io parto lo stesso. Quando l’ho detto a mia madre ha sgranato gli occhi e mi ha detto che sono pazza. Ma per mia madre sono pazza qualunque cosa faccia. Sono sempre stata pazza. Sono partita ugualmente. Ho tutto, la maledetta guida, le cartine di merda, l’itinerario del... Lasciamo perdere. Troppo turpiloquio per un taccuino solo. E’ triste quando un amore finisce, ma è ancora più triste quando finisce prima delle vacanze. Gli amori dovrebbero finire a settembre quando la città si riempie di nuovo, gli uffici vibrano di vita e le palestre riaprono: Technogym, Acquagym, Kickboxing, GAG, Gurgle e Spatapunf. Gli amori non dovrebbero finire mai intorno al 25 di luglio. Altrimenti la cosa assume connotati di perversione. Soprattutto mai dovrebbero finire se abbiamo già prenotato l’aereo, a tariffa scontata, scontatissima, la crème del low cost. Prenotato a inizio febbraio, quattro ore su internet, Ryanair, Virgin, Air Europe, Easyjet, la Giàcisiamoschiantati (quindi la statistica è dalla nostra) airline: otto ore per trovare la migliore combinazione “fly and drive”, mezz’ora a parlare in inglese con una tipa per poi scoprire che era una ragazza di Foggia in stage a Dublino e che avevo perso dieci anni di vita e tre chili di sudore per niente. Prenotato quando ancora ti amavo e vibravo di emozione al solo pensiero di vederti. Ed ogni volta che sul cellulare vedevo il tuo nome sussultavo. (I vari stadi dell’amore sul cellulare: Sean Boschi cell., Sean B. ufficio, Sean casa, Mylove cell pers. Cancella tutto. Cancella memoria agenda. Cambio numero - guai a te se mi chiami.). Prenotato quando credevo che sarebbe durata per sempre, lo so che ci conoscevamo da poco, ma c’era un feeling. E poi mi piacevi da morire. Accento nordico, aria spersa. Andiamo in Irlanda, ti voglio far vedere dove sono cresciuto, ti faccio conoscere i miei amici. Ad agosto le giornate sono lunghe, a Galway i gabbiani grigi si gettano nell’acqua color giada, il cielo alle dieci di sera è bianco e lo stridore dei gabbiani riempie l’aria, tanto che ti viene da piangere e vorresti ormeggiare l’anima accanto ad un due alberi. Prenotato e pagato con la mia carta di credito. Il tuo biglietto, tariffa scontatissima, “no fringe” che se ti fossi portato un pigiama in più avresti dovuto pagare quindici euro di soprappeso. Ovviamente non me lo hai pagato, ovviamente non te lo do. Faccio la signora, del biglietto buttato me ne infischio. Credevi che non ne sarei stata capace? Credevi che sarei rimasta a casa, avrei fatto al massimo escursioni sul litorale di Ostia, pagando la sedia sdraio uno sproposito, con un libro di Saramago aperto sulla pancia: tanto le mie amiche avevano prenotato da tempo due settimane a Formentera ed erano partite. Invece eccomi qui, stanca morta ho trovato un Bed & Breakfast grazie ad una guida in carta lucida verde che mi ha dato l’ente per il turismo. Mi ha aperto la porta una signora con le guance spigolose ed il naso puntuto. Quando l’ho vista mi è venuto in mente l’aggettivo “sfiorita”. Ma non è giusto, in fondo mi sento più vicina a lei che alle ragazzine del college che viaggiavano davanti a me in aereo. (…) 2° – Dei vizi e delle virtù di Renzo Cremona (Chioggia, VE) «Una scrittura densa, a tratti fortemente concettuale, nella quale le parole vengono usate per far fondere immagini con sensazioni e i pensieri, in una continua ricerca di assonanze e di evocazioni. Da leggere e rileggere.» (Marco Bottoni) «Il racconto, suddiviso nella scansione di brevi brani, raccoglie narrazioni sui vizi capitali antichi e nuovi e sulle antiche e nuove virtù cardinali. Una scrittura di notevole eleganza stilistica, immaginifica e lussureggiante, impreziosita dal dono d’una intensa musicalità. Luoghi del nostro mondo e luoghi della psiche sono riuniti in un impasto linguistico di inconsueta efficacia.» (Subhaga Gaetano Failla) da VIZI CAPITALI ANTICHI ira lo sentite, vero? sentite come scalpita impaziente battendo alla porta? si direbbe che ci sia un demonio, dall'altra parte, che abbiano aperto ogni tanica di benzina rimasta e ne sia stato rovesciato il contenuto, che si sia spanto e sia poi filtrato fino nelle commessure più interne dell'assito, fino a conturbare i reticoli dell'impalcato. c'è voluto un grande sforzo, certo, ho dovuto affilare armi e tendere trappole, scavare buche e coprirle di foglie, ma alla fine l'ho chiuso di là, nell'altra stanza. l'ho fatto pur sapendo bene che da allora avrei dovuto usare una mano in meno, camminare con una gamba sola, vedere a metà. ne conoscevano alla perfezione i tempi sconquassati due di loro: la mia voce e le mie ginocchia. sobbalzava l'una in un sussulto tellurico, quasi dovesse incendiarsi per un improvviso rigurgito di zolfi infernali; fremevano le altre, per indecifrata connessione con quella, e ribolliva l'acqua, bruciavano i paioli. lo chiusi di là, il senza nome, e da allora ne dovetti contare i passi: avanti e indietro, giorno e notte, pesanti come metallo, irrisolti e grevi come questa cicatrice che sanguina e reclama l'altra metà. a nulla sono serviti i tentativi di fare seccare gli umori sovrapponendo un lembo di pelle con l'altro; il giorno continua a non rimarginarsi, e la temperatura non accenna a scendere. esce luce rossa dalla stanza, quasi purpurea, e le assi del pavimento tremano ancora al ricordo di quel giorno: si schiantarono d'un tratto le porte, e si spalancarono, taglienti come lame, i baratri. quel pomeriggio ci calpestammo fino a sera, le mani si aggrapparono fino ai margini, quasi a strappare capelli, mentre le esplosioni fumavano scardinanti e il mondo, attorno, si era fatto dello stesso ferro e di un fuoco non dissimile da quello affilato e acerbo della devastazione. accidia fluttuavano, in quei giorni, i momenti di silenzio. ma non era silenzio quello in cui vivevamo, o, meglio, trascinavamo le reti dei minuti; era piuttosto l'assenza gelatinosa di appigli che si animava dentro di noi e si appiccicava, con perseverante disordine, alle membrane sottili della volontà. erano le direzioni confuse a scoraggiarci, ma anche le tante strade, e le nebbie protratte che si addensavano come colla fumosa dentro le vene. erano, i mattini, delle derive incostanti, e nulla valeva davvero la pena; tutto, per noi, fu troppo. quale che fosse il significato della forza che vedevamo negli altri, non fummo mai capaci di ritrovarlo dentro di noi, se non in forma di congegno inceppato che anche le molle aveva pigre. era la fine del mondo e noi non lo sapevamo. bevevamo, da giorni che erano ormai vecchi, l'acqua dello scompiglio. fu così che il tempo ci sfuggì di mano, fu così che rimanemmo con i palmi colti dallo stupore; e qualcun altro visse al posto nostro, qualcuno che nell'acqua ebbe l'accortezza di guardare e riuscì a vedere, in lontananza, mattini lucenti. il giorno non sapeva più da che parte volgersi, ormai. era la fine del mondo, dunque; e noi non ce ne accorgemmo. (…) 3° ex aequo – Un sottile filo di inquietudine di Katia Brentani (Bologna) i racconti di Katia hanno contemporaneamente vinto un altro concorso e saranno pubblicati autonomamente dalla casa editrice Tespi di Roma. «Come fotografie, le storie raccolte e descritte da quest’autore sono quadri dalle pennellate minuziose e precise. Scorrevole e ben articolata la scrittura, le parole scivolano districandosi con facili mosse tra i particolari ben distribuiti e piacevolmente posizionati. Le trame, originali e creative, mi hanno trascinata in una lettura attenta e minuziosa regalandomi il tempo per gustarne via via sapori e umori. Il “noir” che accomuna queste storie ha un sapore dolciastro, un aroma morbido, quasi vellutato. La scelta che l’autore ha fatto di non cadere nella trappola del macabro, di evitare il dettaglio della violenza, lo shock dell’orrore, premia sicuramente il risultato di un’opera nuova e inconsueta. Da sottolineare la grande capacità di equilibrare sintesi e analisi nella velocità del primo racconto.» (Laura Bonalumi) UNO SCONOSCIUTO NEL LETTO I portici trasudavano il calore accumulato durante la giornata. La camicia aderiva al suo corpo come una seconda pelle e la giacca sudario gli avvolgeva le spalle. Percorreva il portico, affondando le mani, strette a pugno, nelle tasche dei pantaloni e i suoi passi rimbombavano nel silenzio della notte. Si ritrovò nella piazzetta senza neppure accorgersene. Doveva aver camminato tanto mentre tentava di ricordare le parole che lei gli aveva vomitato addosso. Sedette ai piedi del Generale, sul piedistallo di marmo sporco degli escrementi dei piccioni. Gli zoccoli del cavallo imbizzarrito incombevano su di lui. La statua possedeva un fascino particolare. Il cavallo maestoso sembrava sfidare la sorte, incurante delle leggi della fisica. Il Generale lo cavalcava impettito con la spada sguainata a colpire il cielo e il petto rilucente di medaglie. Tolse le mani dalle tasche, aprendo e richiudendo le dita indolenzite. Sui polpastrelli avvertiva ancora il calore della pelle di lei e il suo lieve profumo di violetta. Le parole? La sua mente pareva averle scordate. Avvertì l’esigenza di camminare ancora anche se la stanchezza si annidava in ogni fibra del suo corpo. La luna, alta nel cielo, diffondeva una luce argentea e un cane abbaiava in lontananza. La finestra aperta apparve all’improvviso e, come le sirene di Ulisse, lo attrasse verso sé Appoggiare le mani sul davanzale ed entrare nella stanza richiese il tempo di un battito d’ali. I fianchi della ragazza, sdraiata sul letto, erano morbidi come quelli di lei e rilucevano alla luce della luna. I capelli strisciavano, come un serpente sinuoso, sulle sue spalle. Dormiva su un fianco, come lei, con le mani raccolte sotto il cuscino. Il desiderio di trovare un po’ di pace diventò impellente. Svitò le lampadine del lampadario e della abajour attento a non fare rumore. Appoggiò i vestiti sulla sedia che, come lei, anche la ragazza teneva ai piedi del letto. Il respiro regolare della ragazza lo accompagnò mentre si sdraiava al suo fianco. Si illuse di trovarsi al fianco di lei, nel loro letto, ad ascoltare il suo lieve russare e ad annusare il profumo di violetta. Quali erano le parole che aveva pronunciato? La mancanza di risposta lo innervosì e più frugava nei meandri della memoria più le parole scivolavano via come anguille di fiume. Forse fece un movimento brusco o il suo respiro divenne irregolare, la ragazza si alzò di scatto a sedere sul letto e fissò stupita la figura sconosciuta sdraiata accanto a lei. Immaginò la sua bocca formare una O perfetta. L’istinto fece allungare alla ragazza la mano verso l’interruttore della abajour e quando la luce non inondò la stanza urlò, un urlo acuto e prolungato, richiamando la madre. Lui si alzò dal letto, afferrò le scarpe e i vestiti osservando il volto della ragazza illuminato dalla luna. Era più giovane di lei e i suoi capelli più biondi. La madre entrò nella stanza nell’attimo in cui si calava dal davanzale. Gli urli della donna lo accompagnarono mentre si allontanava, unica forma di vita nella strada deserta, escluso un gatto randagio che rovistava fra i rifiuti. L’alba lo colse esausto ai confini della città ancora addormentata. Sul viso della ragazza aveva letto lo stesso terrore di lei e improvvisamente aveva ricordato le parole. “Aspetto un figlio ma non è tuo”. 3° ex aequo – Racconti della mente di Giuseppe Perciabosco «Idee originali supportate da una costruzione lineare e coerente per un Autore che si cimenta nel difficile impegno della “fantascienza”.» (Marco Bottoni) «Un extraterrestre parla con Gaudì a Barcellona. Una tempesta elettromagnetica trasforma l’impiegato Edward Wood in un genio. Un astronauta, prima di partire per lo spazio, incontra sua figlia, nata da un matrimonio ormai in frantumi. Questi tre “Racconti della mente” (bel titolo) hanno una scrittura lieve e nitida che sa sorprendere. Le storie ci conducono in un territorio sensoriale fragile e suggestivo simile a quello del dormiveglia. Ricordano il fascino delicato della famosa serie televisiva “Ai confini della realtà” e alcuni racconti di Robert Sheckley.» (Subhaga Gaetano Failla) da Una guida per le stelle La foto nella pagina interna di Le Figaro gli balzò immediatamente agli occhi, come fosse stata scagliata da una molla compressa. Abel era seduto su una panchina dei Jardin des Tuileries vicino al Louvre, godendosi i caldi raggi del sole di quella mattinata di fine maggio. Non poteva sbagliarsi. Non aveva più visto il Grande Palazzo del Governo di Mul da molto, troppo tempo, ma conosceva molto bene quella guglia che si stagliava alta nel cielo purpureo del suo pianeta. Non aveva dubbi: quella era la guglia del Palazzo del Governo di Mul. Certo, ancora incompleta, mancava infatti il segmento terminale che si assottigliava verso l’alto, esile dito proteso verso le stelle. Quella chiesa in costruzione a Barcellona era opera senza dubbio di un Muliano, tuttavia l’articolo che accompagnava la foto non aiutava a fare chiarezza: la costruzione era iniziata nel 1883, trent’anni prima dell’arrivo di Abel sulla Terra. Se si fosse trattato di un’opera di un altro Muliano, avrebbe dovuto essere più recente. E poi non era lui l’unico in missione sul continente europeo? E non c’erano state astronavi muliane in quel sistema solare prima della Kontin, la sua nave. Di questo ne era sicuro. Chi era dunque questo personaggio che riproduceva un pezzo di Mul lì sulla Terra? Abel si alzò dalla panchina: la sua visita a Parigi doveva interrompersi. Doveva recarsi a Barcellona. Subito. Era ancora presto quella mattina, in un’assolata giornata di giugno, quando Abel lasciò il suo albergo sulla Passeig Colom. Era giunto a Barcellona il giorno prima, dopo un lungo e faticoso viaggio in treno che da Parigi lo aveva portato, attraverso i Pirenei, prima a Madrid e quindi sulla costa mediterranea. Seguendo le istruzioni ricevute in albergo, giunse al cantiere della chiesa in costruzione a metà mattina. L’edificio si ergeva nel mezzo di un ampio piazzale, all’interno di un recinto realizzato con assi di legno inchiodate fra loro che impediva l’accesso ai passanti. Buona parte del corpo della chiesa non era ben visibile a causa della recinzione, ma la guglia si stagliava maestosa puntando orgogliosamente verso il cielo. A quella distanza la somiglianza con il palazzo di Mul, anche nelle dimensioni, appariva ancora più sorprendente. (…) 3° ex aequo – Il bianco e il rosso di Alessandra Carlini (Rimini) «Ricco e generoso, questo racconto avrebbe potuto continuare all’infinito, diventare romanzo raccogliendo gli spunti e gli innumerevoli stimoli che la vicenda propone. Sarei rimasta più a lungo alla trattoria Roma, con Aride, a godere di quello stare sospesi “tra la terra che è in basso, e il mare, che è bagnato”. Posso dire di conoscere bene ogni angolo di quel locale, di riconoscere il carattere e la fisionomia di ogni singolo personaggio, anche se solo in poche pagine, anche se solo decifrando parole, lettere, io ora conosco Fernanda, anzi, la vedo con il suo grembiule; riconosco il fascino di Ines, sento il suo “odore molto buono”; colgo il sentimento di quegli anni duri e crudeli. La storia si snoda attraverso parole semplici, come la vita e le ambizioni delle gente di quegli anni; la narrazione è onesta quanto la realtà che espone, che subito appare chiara e nitida: speranze spezzate, serenità impossibili, disperazioni come cicatrici profonde. Nutrimento amaro per una vita dalle magre soddisfazioni, perfetto però per sostenere, mantenere la paura della solitudine. Eccola la paura, negli “occhi come pozzanghere” di Dora, nel sogno che sembra realtà, nella realtà che magari fosse sogno!» (Laura Bonalumi) « da Il bianco e il rosso Aride Belloni, tra la terra, che è in basso, e il mare, che è bagnato, per guadagnarsi da vivere scelse di stare in mezzo, e, durante un difficile inverno del 1920, aprì a Rimini una trattoria dove si mangiava il pesce. In cucina era aiutato (ma su questo verbo forse lui non sarebbe stato d’accordo) da Fernanda, sua sorella, la quale però, con l’inizio della stagione estiva, preferiva andava a fare la stagione in albergo. Era allora che Aride osava apportare qualche modifica al menù, modifica che Fernanda in autunno studiava con una smorfia della bocca e infine bocciava con un autoritario gesto della mano. La vicinanza con il mercato del pesce gli garantiva le sogliole più fresche, le canocchie più zampettanti, le vongole ancora decorate dal bottone dei loro parassiti. Per pranzo, agli impiegati della Questura, portava in tavola il brodetto con i rigatini, i granchi, le canocchie e le vongole. Ai commessi delle vicinanze che avevano finito il lavoro serviva per cena sardoncini grigliati e seppie con i piselli. Guarda caso non mancava mai del pane fresco, comprato al mercato nero dove aveva i suoi buoni contatti. Fernanda adorava cucinare in umido e affogare il pesce nel rosso del sugo dei pomodori, ma Aride la frenava, con la motivazione – che Fernanda trovava stupida – che fossero più piacevoli alla vista e al gusto quei piatti in bianco che da bambino pensava fossero da signori: i merluzzi lessati, il risotto profumato di vino bianco, i formaggi freschi. Sosteneva di fronte alla sbeffeggiante sorella che il bianco fosse il colore della raffinatezza, della signorilità, del lusso, perché era il colore delle cataste di lenzuola, delle porcellane, perfino dei teli che coprivano i mobili delle case dei signori dove la loro madre andava a pulire, stirare, riordinare. A quel ricordo Fernanda taceva ma i pomodori, inesorabili, continuavano a scivolare dal tagliere alla padella. In realtà la mamma di questi due, a suo tempo, si procurava di che vivere facendo una serie di lavoretti, non tutti socialmente accettabili. Una volta Aride l’aveva seguita in una delle sue “spedizioni”, e si era trovato all’interno di una villetta di ricconi che vivevano lontano, a Roma, si diceva. Dentro un vecchissimo armadio puzzolente aveva trovato, e sottratto a tempo indeterminato, un’incantevole statuina sensibile alle mutazioni meteorologiche, che segnalava cambiando dolcemente di colore. La teneva su una specie di comodino fatto con un’asse poggiata su mattoni, e la trovava somigliante a sua madre. Questo perché si stava avvicinando alla pubertà e tutte le femmine, tranne una ragazzina alla quale aveva sollevato la sottana con il coltellino facendola strillare, avevano la muta consistenza della ceramica. A dodici anni, l’età in cui decise di essere diventato grande, Aride aveva un quaderno di scuola senza infamia e senza lode, quattro cicatrici da caduta, un padre nullafacente, ma, soprattutto, Aride aveva un coltellino. Nei campi che circondavano la via Lagomaggio, dominati da una enorme quercia, Aride imponeva la sua presenza cupa e malvista tirando fuori il coltellino, che brillava qualche secondo nell’aria tesa prima di, oplà, sbucciare una mela renetta conservata per l’occasione. Attorno, gli sterminati orti che s’accostavano senza recinzioni si tramutavano in spiaggia là dove sorgevano i primi hotel. (…) **************** Opere selezionate Il punto di non ritorno di Elena Varriale (Napoli) «Siamo tutti sull’orlo di un punto di non ritorno. E non parlo dell’insicurezza professionale; di figli che arrivano tardi sotto la tutela economica dei nonni; di rapporti sentimentali che cadono perché a lui piace il tennis e a lei la pittura. No, non è solo questo il punto di non ritorno che segna indelebile il nostro tempo storico. È piuttosto l’assenza di una realtà condivisa che rechi per tutti gli stessi tratti distintivi. A vantaggio di una realtà frammentaria che si adegua a tempi, bisogni, obiettivi reconditi. Un simulacro di realtà pronto a fornire solo gli elementi e le percezioni che richiediamo, nascondendo altri elementi che al momento non riusciamo/non vogliamo prendere in considerazione. La comunicazione – intendendo con essa tutti gli strumenti e le condotte tese a declinare all’esterno un qualsiasi tipo di messaggio – smarrisce, così, la propria essenza di “facilitatore sociale”, assumendo un ruolo parziale e per questo inefficace di “costruttrice di realtà”, tante e non necessariamente uguali. Perché l’importante non è più la trasmissione di un contenuto omogeneo, quanto le trasmissioni targhettizzate di più contenuti. Tutti importanti e veritieri, per carità. Siamo tutti sull’orlo di un punto di non ritorno. Che, forse, non guasterà il gusto del nostro caffè, ma che sicuramente ci renderà meno consapevoli ed attenti.» (Stefano Martello) ****** È giusto così di Manuela Avakian «Il racconto richiama subito alla memoria il libro di Antonia Arslan La masseria delle allodole (e l’omonimo film dei fratelli Taviani). Le vicende raccontate in “È giusto così” sono immerse nelle atmosfere del secondo evento storico cruciale del genocidio armeno. In una narrazione commovente e misurata, seguiamo i giorni della giovane Anoush, spinta dalla vita a divenire rapidamente adulta. Osserviamo con lei i piccoli gesti quotidiani, le tradizioni e i rituali, la tragedia dei massacri e dell’esodo. Uno sguardo femminile di grande sensibilità e forza, un’accettazione profonda, religiosa, dell’essenza della vita.» (Subhaga Gaetano Failla) ****** La ricerca della verità di Leonardo Nolè (Torino) «Provo sempre un senso di disagio quando finisco di scrivere qualcosa; l’impressione di non poter più scrivere nulla, se non rischiando la banalità di parole scontate. Ma poi, passato qualche minuto a non fare nulla, mi viene alla mente il momento in cui mi sono seduto al tavolo accompagnato dai miei feticci letterari (tazza di caffè + pacchetto di sigarette intonso); il momento in cui ho iniziato a pensare alla struttura del discorso; la scelta dei vocaboli; i ricordi che si affacciano; le nozioni che devo possedere; la perfezione imperfetta di una frase che capisci solo tu e qualcun altro che è lontano, dalla testa e dal cuore. E allora ti ricordi che scrivere è la tua passione, prima del tuo lavoro; ti ricordi che prima di pagarci le bollette, risparmi i soldi di un analista. E che la fase terapeutica non è nella lettura di ciò che hai scritto, ma solo ed esclusivamente nella scrittura. Ho ritrovato questo, nel lavoro meticoloso di Ives Aware, e non è mai troppo scontata come verità. Servirebbe ripetersela almeno una volta al giorno.» (Stefano Martello) |
INFO
IL PREMIO....E LA FRASE
Ho ricevuto da sasacineman (vedi il suo blog mondocinema) il premio dieci e lode....gli sono molto grata, soprattutto per la motivazione!!! Eccola:
"Per il modo originale, simpatico, critico con cui tratta argomenti di politica e attualità".
Ora però tocca a me dare il Premio...lo darei a Sasà, ma mi hanno preceduta...così ho deciso di darlo ad unaluceblu, il blog che io definisco dell'amore...quello vero, che va oltre la vita ed il presente!!
La vita è lunga se è piena (Seneca)
LA PRIMA PAROLA DEL MIO LESSICO
(A Vincenzo)
Sarà il tocco delle tue dita,
le parole che sussurri,
o il tempo che mi regali.
Sarà il sapore dei tuoi sì,
il vigore dei tuoi fianchi,
o il bagliore dei tuoi occhi.
Sarà l'odore dei tuoi baci,
questa pioggia di carezze,
o il cuore mio che detta versi.
Sarà l'amore che mi porto dentro,
la trama dei sogni che rincorro...
ma l'attimo,oggi, risuona d'immenso.
(Elena Varriale, Lo so che sbaglio, Edizioni Tracce, 2007)
APOFTEGMI DI DIOGENE DI SINOPE
Gli apoftegmi di Diogene di Sinope
VOTO DI SCAMBIO...TRA I RAGAZZINI
L'ESEMPIO DEGLI ADULTI!!!!
Voto di scambio anche tra i bambini. Si tratta della “corruzione baby” organizzata da un ragazzino candidato a sindaco del consiglio comunale dei ragazzi. Il baby corruttore per avere i voti dei compagni di scuola elargiva ricariche telefoniche, merendine e soldi. Il fatto è successo nella scuola media Balbi Valier, a Pieve di Soligo, nel Trevigiano.
Il ragazzino, naturalmente, è stato escluso dalla competizione che, a sua volta è stata annullata. L'iniziativa, promossa dall' amministrazione comunale con i due istituti del territorio, il Toniolo, complesso pubblico e il Balbi Valier, collegio vescovile privato, mirava ad avvicinare i ragazzi alla politica…l’obiettivo educativo era quello di responsabilizzarli ai doveri del buon cittadino!!! Un monito per i politici: siate d'esempio per i vostri figli!!!
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PENSIERINO DEL GIORNO
Vivere vuol dire incominciare da capo ogni giorno, cioé ritornare ogni giorno a finire.
(Miguel de Unamuno)
Quando i selvaggi della Louisiana vogliono dei frutti, tagliano l'albero alla radice e li colgono. Così il governo dispotico.
(Charles Louis Montesquieu)
Oh, l'amore farebbe uggiolare in rima un cane.
(Francis Beaumont e Phineas Fletcher)
Inviato da: cercodiogene
il 10/01/2010 alle 10:54
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il 07/01/2010 alle 19:42
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il 09/06/2009 alle 09:22
Inviato da: cercodiogene
il 21/03/2009 alle 13:13
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il 21/03/2009 alle 09:30