Creato da snoopymarconi il 01/02/2012
Laboratorio di scrittura della classe 1° E del Liceo Linguistico Marconi di Pescara
|
Area personale
Tag
Menu
I miei Blog Amici
Messaggi del 12/03/2013
Post n°281 pubblicato il 12 Marzo 2013 da gaiaaaa97
Ecco la prima foto scattata all'aeroporto di Fiumicino prima di prendere il volo per Salamanca :D Prima tappa Madrid, Plaza Mayor :D A Madrid :D Finalmente a Salamanca :D Nel "Huerto de Calixto y Melibea" :) Plaza Mayor de Salamanca di notte ** Lezioni di salsa :) Karaoke :'D Sulla torre della cattedrale :D Una serata di "Tapas", prosciutto spagnolo a volontà :D Cioccolata con churros *-* Un "dolcetto" al volo :D Una leggenda narra che sotto una di queste conchiglie sia L'orologio della Plaza Mayor :D
|
Anche questa mattina,come tutte le altre, mi sono svegliata nel solito squallido posto nel quale stiamo da mesi, ma soprattutto con lo stesso stato d'animo di sempre da quando mi trovo qui. Passo le mie giornate con la tristezza, la rabbia, l'angoscia e la frustrazione che mi lacerano la mente e il cuore, pensando e ripensando a quello che sto vivendo con la mia famiglia, a come era prima, a quello che potrebbe essere e a quella che invece è la realtà. Nella mente ho sempre le stesse immagini, gli stessi suoni, gli stessi odori, le stesse sensazioni di quell'orribile mattina. ricordo perfettamente le facce dei quattro soldati che fecero irruzione in casa nostra per portarci via. Ricordo mia madre ferma, pietrificata, col terrore che le si leggeva negli occhi; Mio padre che urlava, mia sorella che piangeva, mio fratello che si era nascosto sotto il tavolo, le bombe, gli spari. In un attimo erano stati capaci di sottrarci ogni cosa. Avevano raso al suolo ogni cosa che si trovava intorno alla nostra casa: gli alberi, le piante, i fiori, l'erba verde...era tutto sparito. Le rose, gli ulivi, che mia madre adorava e curava con tanto amore e delicatezza erano spariti tutti, in quell'attimo che mi sembrò un'eternità. Poco dopo ci siamo ritrovati in una folla di gente che era nelle stesse nostre condizioni: bambini e donne che piangevano o cercavano i propri figli e mariti, uomini che tentavano di consolare le proprie mogli terrorizzate dicendo che sarebbe andato tutto bene, ma in realtà non ne erano sicuri nemmeno loro. Iniziammo un lungo viaggio e adesso eccomi qui, al campo profughi di Jenin insieme alla mia famiglia a rimpiangere il passato felice. << Judit! vieni qui>>. I miei pensieri sono bloccati da Sarah, mia sorella minore, che mi riporta alla realtà <<papà sta leggendo il giornale>>. come ogni mattina mio padre legge il giornale ad alta voce mentre tutti gli si accalcano intorno per ascoltare. è diventato un rito. Il resto della giornata trascorre sempre allo stesso modo: chi gioca a carte, i bambini che corrono da una parte all'altra, chi prega, chi fuma, chi parla. Io passo le mie giornate con la mia amica Muha; un pó parliamo, un pó scherziamo, un pó preghiamo e un pó giochiamo a carte anche noi. Lei è l'unica persona veramente capace di farmi sorridere e di non farmi pensare a quello che ci circonda e all'assurda situazione che stiamo vivendo. Abbiamo fatto di tutto per non separarci da quando ci siamo ritrovate in mezzo alla folla di gente che era stata strappata dalle proprie case e dalla propria terra perché eravamo consapevoli che avevamo bisogno l'una dell'altra. Ci siamo conosciute all'età di sette anni e, dopo dodici anni passati insieme, è impossibile separarci; è come una sorella per me e la sua presenza nella mia vita è indispensabile quanto la mia nella sua, soprattutto in un periodo così buio e triste. Fortunatamente alcune sere gli adulti decidono di passare la fine della giornata un po più allegramente. Infatti, dopo cena, si mettono a suonare e dopo aver formato quasi un cerchio attorno ai "musicisti" passiamo la serata in tranquillità parlando e scherzando con un bel sottofondo musicale, che ti fa dimenticare per un attimo ogni cosa facendoti rilassare almeno un momento dopo un'angosciante e stressante giornata. Questa è una di quelle sere, quindi sono andata a dormire senza il solito senso di tristezza e sconforto che mi perseguita, ma sempre con la consapevolezza che il giorno dopo ricomincerà tutto da capo. |
Mi sveglio con l'odore forte del Quahweh. Dopo la scomparsa di mio padre, mamma è solita preparare il caffè arabo. Ancora intontita dal recente risveglio, seguo la scia profumata che mi porta tra le sue braccia. Stringo forte la thobe rossa, la sua preferita. Ha dei ricami sulle maniche e odora di affetto materno;quel profumo inconfondibile che una volta respirato, si dirige verso il cuore, portando alla mente ricordi d'infanzia. Mi bacia sui capelli e mi accompagna dolcemente con la mano a fare colazione. Finisco in fretta, poiché ho sentito i passi di Karim venire verso la cucina. Mi nascondo dietro il muro, voglio spaventarlo, non per dispetto, bensì perché ogni volta che gli metto paura lui finge di spaventarsi e mi stringe in un caloroso abbraccio. Oggi, come da programma, mi avvolge del suo amore e senza fare colazione, mi porta fuori a giocare. Karim ha 14 anni, due in più di me. Mi insegna tante cose sul nostro mondo, mi racconta della nostra libertà perduta, una liberta che forse non ritroveremo mai più. Corriamo insieme verso il frutteto dei peschi. Lì non va mai nessuno, ormai gli israeliani l'hanno reso uno dei tanti "luoghi proibiti". Noi però, ci andiamo lo stesso. E' l'unico posto tranquillo e solitario dove Karim può parlarmi di nostro padre, Amed. <<Sara corri! Ho trovato "il nostro albero"!>> mi urla da sotto un ramo in fioritura. Ci sediamo tra l'erba, abbastanza comodi per poter parlare; e prendendo un respiro profondo, Karim inizia a raccontare: <<Sai, papà era un uomo forte, unico. Non ricordo tanto di lui, avevo solo 5 anni quando l'hanno ucciso. Però ricordo i suoi abbracci e la sua saggezza, dovuta al passere degli anni. Voleva bene alla mamma. Voleva bene a tutti noi. Quando tornava dal lavoro, ricordo che ti prendeva in braccio e ti sussurrava all'orecchio "Ti voglio bene Habibti". Io invece, stringevo la sua gamba sinistra mentre mi accarezzava i capelli.>> Cullata dal suono delle parole di Karim, chiudo li occhi e cerco di immaginare mio padre che mi stringe a sé, e mi sussurra "Habibti". Vengo riportata alla realtà da un botto improvviso e da uno scatenarsi di urla. Karim mi prende il braccio e mi trascina verso un albero lontano. Ci nascondiamo, dobbiamo capire che è successo prima di poter tornare a casa. Delle jeep piene di soldati israeliani si avvicinano a Jenin. Ci attaccano. Ci attaccano senza motivo. Bombe, proiettili, urla di donne e bambini riempiono il silenzio, ormai inesistente. La gente cerca di nascondersi nella speranza di salvarsi, ma non tutti hanno questa fortuna, purtroppo. Rimaniamo nascosti per un lungo periodo di tempo. Un pensiero affiora contemporaneamente nelle nostre menti: "Mamma è a casa da sola!" Karim mi guarda negli occhi: <<Devo tornare da mamma! Devo dirle che stiamo bene!>> <<Ti uccideranno! Non andare!>> lo imploro. <<Tornerò a riprenderti. Lo giuro.>>così dicendo, inizia a correre il più veloce possibile verso Jenin. Il mio sguardo non si stacca dal suo corpo in movimento; sta iniziando ad avere il fiato affannato, ma continua a correre. E' a più di metà strada, ma all'improvviso si blocca. Non capisco perché si è fermato. Sto per andare da lui quando cade a terra, inerte. Giro velocemente la testa e vedo un cecchino che dalla torre di controllo gli ha sparato un colpo in piena testa. Non posso raggiungerlo, devo aspettare e soffocare le mie lacrime, ingoiando la rabbia e la disperazione che tentano di uscire. Rimango fino a tarda sera ad attendere. Finalmente gli israeliani se ne vanno. Mi precipito verso quello che poche ore prima era mio fratello. Gli occhi spalancati in uno sguardo incredulo, il corpo freddo, il tutto immerso in una pozza rossa. Mi bagno del suo sangue piangendo lacrime amare, nel ricordo di Karim. Hanno ucciso una parte di me. Hanno ucciso me. Mi faccio carico del suo corpo, pesante come non mai. Arrivo a Jenin. Per le strade morti, nelle case morti, ovunque ci sono morti. Percorro quelle vie nella speranza che mia madre sia sulla soglia di casa ad aspettarmi. E sento il profumo dell'affetto materno, che ad ogni risveglio mi inebria. Casa mia è rasa al suolo. Mia madre è seduta sulle macerie, un urlo di disperazione per il suo figlio, misto ad uno di felicità per me, mi trapassa il cuore. Appoggio Karim al suolo e stringo mamma. Passiamo tutta la notte a pregare davanti ai calcinacci, invocando l'aiuto di Allah per Karim, perché nulla lo riporterà in vita.
|
Inviato da: esternoluce
il 29/12/2015 alle 16:47
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:49
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:43
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:41
Inviato da: liufty
il 20/09/2013 alle 08:41