Creato da snoopymarconi il 01/02/2012
Laboratorio di scrittura della classe 1° E del Liceo Linguistico Marconi di Pescara
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Messaggi del 13/03/2013
Una. Due. Tre esplosioni. Queste sono le uniche note che si sentono qui a Jenin, dove 19 anni fa sono nata e dove probabilmente a breve morirò. |
E' mattina, in un posto qualunque, no, Jenin non è un posto qualunque. Jenin è una terra di conflitti, che si trova nel bel mezzo della Palestina. |
Post n°291 pubblicato il 13 Marzo 2013 da Maggie.97
Il Reno :) Museo Della Tecnologia :) Stazione di Francoforte Wurst und Brot Io, Marika e il Pollo ahah Starbucks *-* Francoforte dall'alto <3 Hard Rock :) La birreria ahaha Marika e la sua macchinetta ahah Io sotto la botte più grande d'Europa :P Heidelberg :) Con la Prof. :) Passeggiata per Mannhaim <3 Museo della Tecnologia :) Spayer *-* Schitzel und brot ;) |
Anche quella mattina mi svegliai nella solita baracca situata su una collina sotto il bagliore accecante del sole e i cecchini, che ovunque eri, erano pronti ad uccidere. Vedevo ovunque gente sofferente, bambini abbracciati alle loro mamme che non avevano più forza di andare avanti. Vivevo con mia madre e le mie due sorelle alle quali volevo un mondo di bene. Jenin era ormai un campo profughi, da cui gli abitanti potevano vedere le case in cui non avrebbero più abitato. La vita dei palestinesi era stata spazzata via dal concetto di diritto acquisito di un altro popolo, che si sarebbe impadronito del territorio. Ogni mattina, per me e la mia famiglia era una mattina di sofferenza, un inferno da cui tutti avremmo voluto uscirne al più presto. Ma noi eravamo sempre lì, nella nostra baracca, attaccati alla vita, in attesa di una svolta. Quella mattina mi svegliai con una strana sensazione, una sensazione bella come se finalmente la guerra stesse per finire. Non so perchè, ma alla fine era tutta un'illusione. Mi alzai dal letto senza far rumore e mi affacciai alla finestra della mia baracca. Il sole era di fronte a me, poggiato all'orizzonte. Le strade erano deserte. Non c'erano nè montagne nè rilievi, e il mare era alle spalle. Voltandomi rimasi colpito dall'inquietudine di una ragazza mai vista fino ad allora. Era bellissima e rimasi affascinato dal suo viso che mi trasmetteva una sensazione che non provavo ormai più da tempo. Il giorno dopo ci rincontrammo di nuovo e ci conoscemmo meglio, ma lei doveva vedersi con me di nascosto altrimenti il padre l'avrebbe picchiata perchè le aveva vietato di parlare con i ragazzi. Decidemmo di continuare la nostra storia per quattro mesi di nascosto, fino a quando un giorno, un gruppo di soldati portò via dalla loro baracca lei ed il padre. Da allora non la vidi più. Fu un colpo durissimo per me e in quei giorni avrei voluto fuggire da tutto questo inferno, ma ero troppo attaccato alla vita e l'amore verso mia sorella e mia mamma mi spingeva ad andare avanti in attesa che tutto questo finisse. |
Post n°289 pubblicato il 13 Marzo 2013 da marika_anonima
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Post n°288 pubblicato il 13 Marzo 2013 da biancoazzurro1997
30 Gennaio 2013. "Questa mattina a Jenin ha un sapore strano. Uno strano sapore di libertà, che i palestinesi non assaporano da molto. Adesso devo partire, ma riscriverò presti, ve lo prometto. A presto, Sara" Sara scriveva sul blog dopo alcune settimane. Si trovava in Palestina, sotto falso nome, per portare aiuti umanitari. Aveva deciso di scrivere quel messaggio sul blog perchè la sera precedente, qualcuno era entrato nella sua tenda e le aveva lasciato un biglietto con un indirizzo: Damasco, via Saladino n°25. Quando si era svegliata l'aveva letto e d'accordo con Jacob, suo cugino, erano partiti. Avevano pres ola jeep. Erano stati fermati al posto di blocco al confine con la Siria. Quando avevano chiesto qual era il motivo della loro visita, Sara con disivoltura aveva mostrato il biglietto. Il soldato la fissava. -Ora la riconosco- aveva pensato -è la ragazza di Jenin, quella che fu salvata dalla madre che poi morì-. Il soldato l'aveva fatta andare. Dopo un'ora erano finalmente arrivati a Damasco, via Saladino n°25. Era un palazzo. Al citofono a fianco al numero 25 c'era scritto 'Yehja Abulheja'. Quel nome già l'aveva sentito, ma certo, era il nome del suo bisnonno! -Che possa essere ancora vivo?- aveva pensato Sara. Suonò. -Chi è- aveva chiesto una voce rude. -Yehja Abulheja?- chiese Sara -Ma sei il mio bisnonno?-. -Cosa?-. Non capiva. Così l'uomo aveva sceso le scale e aveva aperto il portone. Sara era impallidita. Quel viso lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad altri mille. Non poteva essere, ma era lui, suo zio Yussef, il "terrorista". -Yussef?- aveva chiesto timidamente Sara. -Si, ok sono io Yussef, quello che per tutti ha fatto esplodere l'ambasciata americana nel 1983- aveva risposto nervoso -ma vi giuro che non sono stato io-. -Io sono Sara, figlia di Amal e lui è Jacob. A Yussef era caduta la pipa che aveva in bocca. -Entrate, veloci figlioli!- aveva detto mentre richiudeva la porta. Erano quasi le otto e Jacob e Sara erano affamati. Yussef aveva preparato loro una cena a base di pietanze arabe. Dopo che avevano mangiato e fumato il narghilè, Sara aveva raccontato a Yussef tutta la vita di sua madre, dal trasferimento in America e alla morte a Jenin. Alla fine della storia Yussef aveva pianto come un bambino. -Sara, io avrei un ultimo desiderio: morire nella mia Palestina- aveva chiesto Yussef a Sara implorandola. -Va bene zio, sarai accontentato- aveva risposto convinta Sara. Poichè il suo viso era ricercato in tutta la Palestina e la Siria avevano avvolto Yussef in un lenzuolo nero, ma era molto visibile. Quando si stava avvicinando un posto di blocco non potevano rischiare, così Jacob aveva accelerato, invece di fermarsi. I soldati spararono contro la macchina, senza però aver fatto danni rilevanti. Arrivati a Jenin, scoprirono che Yussef era stato colpito in piena fronte da un proiettile ed era morto sul colpo. La disperazione era serpeggiata tra gli abitanti di Jenin, che avevano aspettato di rivedere Yussef "il combattente". Lo avevano seppellito vicino al luogo dove avevano seppellito anche Amal. -Finalmente in cielo i fratelli si sarebbero incontrati- aveva pensato con un velo di tristezza Sara. |
La terra sobbalza sotto ai nostri corpi, stanchi e deboli, distrutti dalla guerra e dall'orrore, dalle fatiche e dalle ingiustizie, la terra sobbalza e io e Yussef ci svegliamo improvvisamente, guardandoci l'un l'altro con uno sguardo colmo di terrore. |
Ore 6.30 del mattino:l'alba si mostra timida agli ochi del cielo, i raggi di quel flebile sole illuminano debolmente i pochi tratti di strade abitate ed un leggero venticello aleggia nell'aria e penetra nelle tendine a fantasia delle finestre spalacate in camera di India, ragazza Palestinese di 16 anni, sempre allegra e vivace, ma sopratutto speciale: i suoi lunghi riccioli neri che ricadono morbidi sulla pelle olivastra; i suoi occhioni verdi come smeraldi scintilanti; il tutto addolcito da quel sorriso spontaneo e un pò malizioso suscitano in chi la guarda un sentimento i asoluta dolcezza e innocenza. Ed è proprio quel fresco venticello a far spalancare gli occhi di India e a farla balzare giù dal letto per programmare una nuova giornata fatta di divertimenti, chiacchierate con le amiche e anche un pò di studio. Dopo appena un'ora dal suo risveglio, la giovane si trova già catapultata in cucina dove sua madre Nikita si dedica a preparae la colaione, mentre suo padre Nassim legge il giornale di oggi con la sua solita aria da duro che nasconde la sua vera natura; perchè nei confronti di sua figlia è un padre mdoello: non ha mai osato sfiorarla nemmeno con un dito, per lui una parola vale più di mille scoppoloni, ma la cosa che rende ancor più special il loro rapporto sono le loro chiacchierate sul balcone, dove si raccontano le loro giornate, i loro picoli segreti ed il momento della giornata preferito da India è quando si lascia cullare tra le braccia del padre che, fissando il sole scomparire dal cielo lasciando posto alla luna, le ripete sempre:-"Figlia mia, non lasciarti mai influenzare da niente e nessuno, raggiungi i tuoi obiettivi e fa sempre iò che ti piace!". Questa frase riecheggia sempre nella mente della giovane che, dopo aver mangiato avidamente la sua colazione e dopo aver dato un bacino sulla guancia del padre, si catapulta fuori per andare a trovare il suo amico Amir per giocare ma, appena fuori dall'uscio della porta, qualcosa la blocca: sono loro, i soldati israeliani, con i loro carri armati e le loro armi, da anni in guerra con il popolo Palestinese, hanno deciso di stabilirsi a Jenin e dintorni per prendersi tutto e dominare la terra Palestinese. Ma fortunatamente questo non è un problema che una ragazzina di sedici anni deve affrontare, quindi India senza curarsi della relatà che la circonda, si incammina verso casa dell'amico. Ore 14.30: è ora di pranzo e i due ragazzi, dopo aver giocato a nascondino tra i campi d'ulivo, tornano verso casa quando uno sparo assordante rompe il silenzio: i due rimangono immobili finchè non sentono delle urla di donna provenire prorpio da caa di India. La ragazza si precipita verso casa e le si presenta davanti la scena che per sempre le resterà impressa nella mente: vede sua madre urlare e piangere sul corpo insanguinato di un uomo, quell'uomo era suo padre Nassim. India rimane impassibile, non riesce nemmeno ad urlare tutto il dolore che sente, una lacrima le scivola sul viso e, da quel giorno, il suo soriso si spegne completamente. Pasano i giorni e il bagliore negli occhi di India scompare, così come il suo sorriso, non può credere che suo padre, la sua figura di riferimento, non ci sia più. Questa scelta non viene assolutamente condivisa da India che vuole vivere la sua vita nella continua spensieratezza e, se proprio deve sposarsi, vuole farlo con la persona che ama davvero. L'unica soluzione per scampare a tutto questo è quella di Stabilirsi di nascosto a casa del suo amico Amir per un pò. Appena fuori dalla porta la situazione sembra essere stabile, solo il silenzio incombe su Jenin, ma ad un tratto l'urlo di un uomo la fa tremare tuta, in seguito uno sparo e India, in preda al panico, si nasconde dietro un albero senza far rumore. Passati pochi minuti, la ragazza decide di rincamminarsi verso casa dell'amico protetta dal buio e finalmente arriva a destinazione. Bussa timidamente alla porta e Amir la ospita per alcuni giorni, durante i quali i due iniziano a conscersi meglio e iniziano a sentire che la loro amicizia si sta trasformando in qualcosa di più forte. Passati solo due giorni la mamma di India si reca a casa del ragazzo immaginando che sua figlia si trovi lì e, con la rabbia nel cuore, la riporta a casa e le infligge la punizione più brutta e crudele he potesse capitare ad India: sua madre ha gia preparato il matrimonio e scelto lo sposo, senza che la giovane possa decidere o contestare. Sarà costretta a sposarsi contro la sua volontà e questa sicuramente non è la fine che India desidera. In questo momento vorrebbe solo che suo padre fosse presente accanto a lei per darle coraggio, ma lui non c'è e lei è rimasta sola, senza nessuno che la possa salvare da quel tragico momento...tranne una persona, la persona che prova un sentimento profondo per lei e che presto fermerà la cerimonia per conquistare il suo amore. Mancano pochi passi prima che India si possa ritenere sposata, ma ad un trato la porta si spalanca e lui fa capolino in casa. In quel momento India sente un brivido salire su per la schiena e il cuore battere all'impazzata, quel sentimento è sicuramente amore, un amore che il ragazzo ricambia nei suoi confronti e che li terrà uniti per il resto dei loro giorni.
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"La guerra fa di me uno straccio. Nella mia vita ho solo vissuto dolori tremendi sia nella mente che nel corpo. Ho sempre trattenuto tutto, i pianti, le angoscie e ho sempre avuto prima di vivere. Mia madre era una donna meravigliosa. La sua vita è durata circa trent'anni, con una morte spietata che è rimasta impressa nei miei pensieri. Porto una cicatrice nel cuore e nella carne che trapassa il mio sena, fino ad arrivare all'addome. E' la cicatrice di un taglio di un israeliano, sono stata tra la vita e la morte. Ero distesa a terra, di fianco alla buon'anima di mio padre. Ci tenevamo la mano, quasi per ribadirci un'ultima volta il bene che l'uno provava per l'altro. Quel lurido voleva squarciarlo con un coltello che stringeva nelle mani con gran forza. Lo puntò dritto sul petto di mio padre, ma presi coraggio e mi misi tra lui e l'ebreo e il mio corpicino si lacerò in un attimo. Sentivo il dolore passarmi per le vene e l'urlo di sconforto che gettai lacerò il cuore di mio padre, inerme a terra. Purtroppo quel gesto così glorioso non servì a nulla, perchè mio padre venne preso con forza e picchiato selvaggiamente e morì tra le braccia della sua bambina, insanguinata per lui. Io. Ho vissuto una vita pessima. Ho subito la morte dei miei genitori all'età di 14 anni e non ho mai conosciuta la mia famiglia. Vivo solo di racconti orridi, che porto sulle spalle, sono un peso tale da farmi cadere ad ogni passo. Adesso ho 19 anni, sono sposata, e ho un bambino di nome Yussef e altri due nipotini, Nadine e Majid i quali mi sono stati affidati dopo la morte della madre, mia cugina, e del padre. Devo accudire questi bambini, queste piccole vite." Questa è la storia che ho raccontato questa mattina ad un vecchio signore di Jenin, pestato e gettato a terra come uno straccio. L'ho visto e l'ho preso tra le braccia con tutta me stessa, trascinandolo nella mia casa, se così si può chiamare. Mentre lo curo mi chiede chi sono, come vivo la guerra e quanti anni ho, dato il mio viso giovanile. Finite le cure gli offro del cibo, ma rifiuta, sapendo le tante bocche che devo sfamare. Uscendo dalla porta vedo l'ombra del mio piccolo Yussef gettato nell'angolo della camera di fronte. Lo guardo attentamente, ma non parla e non dà segni di sè. Ha paura e si vede dal continuo tremolio delle gambe rannicchiate al petto. Ha sicuramente nella mente le urla, le bombe, gli spari che lo opprimono dopo l'ultimo attacco avvenuto all'alba di questa mattina. Lo fisso ancora, e penso ad un modo per rassicurarlo. Mi immedesimo nei suoi pensieri e sento la paura piegarmi le gambe, quasi da farmi perdere l'equilibrio del mio esile corpo. Mi avvicino lentamente e con un gesto materno lo prendo in braccio e lo stringo forte al petto. Nel frattempo i pensieri mi frullano nella mente, e mi faccio forza, per sembrare quasi indistruttibile agli occhi di Yussef di 3 anni, Nadine di 5 e Majid di 12. Sono piccoli, ma con la vita che le è stata data hanno dovuto crescere velocemente, tra dolore e violenza. Il più grande, Majid aiuta mio marito a lavorare come dottore nel campo profughi qui vicino. Mi giro lentamente con ancora Yussef tra le braccia e vedo mio marito Hassan e Majid che entrano dalla porta centrale. Lascio dolcemente Yussef alle cure del padre e dei cugini, mentre esco per prendere qualcosa da mangiare. Tornata a casa, volo subito per cucinare un po' di Blitze, e con la coda dell'occhio vedo mio fglio, ancora scosso, nelle dolci coccole dei cugini. Alle ore 16:00 un altro attacco ci abbatte sulle nostre case. Rinchiudo Nadine, Yussef e Majid nella buca sotto la cucina ed io e Hassan usciamo fuori per aiutare il vecchio signore di questa mattina, a camminare. L'odore della fuliggine, gli spari incessanti, la terra che volteggia nell'aria mi opprimono la vista. Questa guerra fa scaturire rabbia nel mio cuore. Cammino velocemente, tra le macerie che coprono il villaggio in fiamme. Vedo l'ebreo che mi blocca, mentre mio marito si accascia lentamente, lamentandosi con voce fioca per il proiettole che lo ha colpito alla gamba destra. L'ebreo mi punta l'arma gelata sulla fronte mentre un pianto silenzioso bagna nuovamente il mio viso giovane. In quell'istante l'unico pensiero sono i bambini. Non posso lasciarli soli, sono piccoli, ma la morte è ad un passo da me. Lo guardo lentamente negli occhi, così attenti e colmi di rabbia, Lo sento mentre cerca di premere il grilletto, ma i nostri sguardi s'incontrano tra paura e speranza e con una lacrima che scende lentamente, mi dice "Scappa!". Lo guardo stupita, mentre se ne va correndo. Prendo mio marito tra le braccia e corriamo nella polvere che vola nell'aria sporca. Apriamo la buca dove avevamo nascosti i nostri piccoli, ma sono immersi in una pozza di sangue che immerge i loro corpicini. Stoione che mi afflige l'anima. Sono morta dentro, sono morta nel cuore. I miei occhi neri sono immobili. Voglio morire.
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Questa mattina a Jenin il sole splende nonstante le scintille di tensione che si sentono lungo le strade. Il ruggito dei carri armati israeliani ci hanno tenuti chiusi in casa per giorni, durante il quali restammo dello spazio più nascosto della casa. I rumori spaventosi dei colpi delle esplosioni prendevano forma in un silenzio quasi spettrale. Sentivamo case e baracche che venivano distrutte dai bulldozer. Ero talmente spaventata da non riuscire a smettere di piangere e di stringere mia madre quasi levandole la possibilità di respirare. Mio fratello era a fianco a noi, con la sua solita calma e indifferenza. Dai suoi occhi, però, riuscivo a vedere che era terrorizzato quanto me. Noi tre, chiusi in quella baracca, con il rumore degli elicotteri israeliani, eravamo accomunati dalla paura della morte. "Qualsiasi cosa accada, staremo sempre insieme. Io, tu e tuo fratello. Sempre". Mia madre lo ripeteva spesso negli ultimi anni. Non so perchè, ma non riuscivo mai a crederle. Nella mia testa non c'era spazio per la speranza. Avevo visto troppe famiglie che venivano divise dalle circostanze. Troppi coetanei che perdevano la madre tra le macerie. Troppi ragazzi che lasciavano la propria famiglia con l'obbiettivo di sistemare le cose. Ora, eccomi qui. Fuoti dalla baracca, nascosta dietro mia madre, vedo le prime lacrime scendere. Quelle di mio fratello. Non l'avevo mai visto piangere. Ho sempre pensato che il suo cuore fosse di ghiccio. Solo ora capisco che è il suo modo di affrontare le situazioni. Reprimere tutto in un angolo della sua vita. Mia madre, invece, ha il viso pietrificato. La perdita di molte delle persone a lei care l'aveva scombussolata più della perdita della nostra bellissima casa. Non immensa, non ricca, ma perfetta nella sua semplicità. Lei ci ripete sempre che le uniche motivazioni per cui va avanti siamo io e mio fratello. Non so come ci riesce, ma mi regala sempre un sorriso. Mi sento fortunata ad averla al mio fianco. La sua determinazione e la sua forza d'animo sono la mia roccia. Non è semplicemente mia madre, ma è anche la mia più cara amica. Le mie riflessioni sono bloccate da un urlo disumano. Mi volto e vedo mio fratello. Le sue grida sono spaventose. Si vedono le vene sul collo tirate e rigide per lo sforzo. I pugni serrati per la rabbia e le ginocchia che cedono fino a farlo accasciare sul suolo arido. Mia madre cerca di calmarlo e riportarlo al silenzio, ma inutilmente. Le urla di mio fratello sono lo specchio della mia anima. Anch'io provo lo stesso dolore, la sua rabbia, il suo senso di impotenza, ma non riesco a liberarmi da tutto questo come sta facendo lui adesso. Mia madre lo abbraccia e lui si lascia andare alla sua stretta. Io mi avvicino ad entrambi e mio fratello mi fa cenno di stringerlo. Sorpresa, lo assecondo e così, noi tre, rimaniamo in quell'abbraccio in un tempo che sembra infinito. Un minimo di speranza fiorisce nella parte più remota della mia mente e, con essa, anche la gioia di essere ancora viva con mia madre e mio fratello, la mia famiglia. "Qualsiasi cosa accada, staremo sempre insieme. Io, tu e tuo fratello. Sempre". |
30 Gennaio 2013
Continua a stringere i denti e a mantenere la calma. Il sangue che gli cola dalla ferita sulla tempia, il sudore, il caldo… Sono queste le sensazioni che prova Omar. Due ore prima stava giocando con suo figlio di tre anni nella piazzetta del campo profughi di Sambon e guardava sua moglie Sara, erano le otto di mattina. Ora si trova nascosto dentro un palazzo semidistrutto, sporco, sudato e sanguinante, cercando di scappare dagli Israeliani e dalle bombe dei loro KFC-7 (cacciabombardieri in forza ad Israele dal 1982). Omar è uno dei combattenti Palestinesi di un gruppo legato all’O.L.P. e due settimane prima aveva eliminato tre estremisti Israeliani con un fucile da cecchino. Era appena scappato da una delle prigioni di “questi sporchi usurpatori” e aveva rubato l’arma ad una guardia. Ora i suoi carcerieri lo cercano senza sosta, desiderosi di piantargli un proiettile in testa. -“ Non fermarti stupido, stupido! Pensa a correre e a rivedere la tua famiglia! “ Questo è l’unico pensiero che ha in mente. Quindi si rialza, ricarica il Barret-50 che aveva da due settimane e ricomincia a correre, cercando un buon punto dove nascondersi per fermare le ricerche dei suoi aguzzini. Omar, dopo più di un’ora di fuga, riesce a trovare un nascondiglio. Un’altra palazzina, ma ancora in piedi. Entra dentro. -“ E’ una vecchia biblioteca”- dice. Gli viene curata la ferita sulla tempia, poi va a visitare la bambina, spaventata ma sana e salva. Uno dei medici dli chiede:” E’ tua figlia?” |
Post n°282 pubblicato il 13 Marzo 2013 da chiara_hakunamatata
MADRID!! =D
Visita guidata di Salamanca <3 il giardino di Callixto e Melibea. Un giardino dedicato all'opera che narra dell'amore tra due giovani: Callixto e Melibea Visita alla Torre della Cattedrale di Salamanca <3
Serata karaoke <3
Gimkana cultural (caccia al tesoro) <3 Avevamo una lista da completare, ed uno dei punti era quello di fare foto ai luoghi indicati sul foglio Fiesta!!!! =D
Rally fotografico <3 Dovevamo fare 4 foto originali, le più originali vincevano, questa è una foto del nostro gruppo =D Serata libera... TAPAS!! Tapas: piccoli "aperitivi" con i quali noi abbiamo cenato, erano molto buoni e particolari!
Churros con cioccolata calda <3
La Piazza Principale di notte *.* BELLISSIMA!
Il ritorno a casa =( dormiamoci sopra... |
Inviato da: esternoluce
il 29/12/2015 alle 16:47
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:49
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:43
Inviato da: ilaria.b97
il 20/09/2013 alle 08:41
Inviato da: liufty
il 20/09/2013 alle 08:41