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Laboratorio di scrittura della classe 1° E del Liceo Linguistico Marconi di Pescara
 

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Messaggi del 13/03/2013

Questa mattina a Jenin

Post n°293 pubblicato il 13 Marzo 2013 da Heathen_Pride
 

Una. Due. Tre esplosioni. Queste sono le uniche note che si sentono qui a Jenin, dove 19 anni fa sono nata e dove probabilmente a breve morirò.
Bombe, kamikaze, bambini che piangono e madri disperate senza più un filo di voce nè di speranza, non distinguo più niente in questo frastuono. Non ho intenzione di piangere, non mi piegherò al cospetto di Israele.
Il muro del salotto mi è crollato davanti, fornendomi un riparo sotto le rovine di quella che una volta era la mia casa. La guerra mi ha strappato via tutto: un tetto dove dormire, i miei genitori, i miei fratelli, la mia giovinezza...
Ho versato lacrime, le prime volte, quando ho visto gli occhi di mia madre spegnersi davanti all'esecuzione del mio fratellino più piccolo, Salim. Ho visto la schiena di mio padre spezzarsi quando tentava di portare via il gelido corpo già in decomposizione di Abdul, il mio fratello maggiore.
Ora sono completamente sola, non ho più nessuno per cui piangere, non avrebbe senso dato che nessuno saprà di questo geniocidio e nessuno porterà la tanto agognata giustizia. 
"Posso stare qui con te?" Mi giro e vedo farsi avanti tra la polvere e le macerie della mia baracca una piccola figura, esile, dai lunghi capelli neri e dagli occhi di un azzurro vitreo, degli occhi di ghiaccio, che lasciano trasparire la sofferenza ed il vuoto.
È una bambina, dice di chiamarsi Amal, speranza. Buffo, vista la situazione in cui ci troviamo. Amal è orfana, viveva in una baracca che fungeva da orfanotrofio, ha visto morire tutte le sue amichette e suor Anne, la donna che le accudiva e per la quale Amal provava una grande stima. Era come la madre che non aveva mai avuto.
Anche la bambina non osa disperarsi, probabilmente se lo facesse ancora le uscirebbe sangue da quei bellissimi occhietti luccicanti.
Nel frattempo gli Israeliani sono andati via, perchè si sentono degli altoparlanti affermare che possiamo uscire dalle nostre abitazioni. Butto ancora uno sguardo all'orfanella che nel mentre si stringe forte a me, ad una sconosciuta. Allora mi convinco. Devo salvarla. Devo alzarmi e devo farlo per lei, non è giusto che una piccolina del genere sprechi il dono della vita per colpa di quelle bestie.
Mi alzo di scatto per cercare tra le macerie di quel tugurio il passaporto e i soldi che mia madre mi aveva procurato, tentando invano di mandarmi in America grazie alla borsa di studio che ho vinto l'anno scorso, dopo aver preso il diploma.
Ed ecco lì tutti i documenti necessari, sotto il cumulo di un muro sgretolato. Li afferro velocemente, mi volto e mi stringo al petto Amal.
"Non possiamo rimanere qui, io sono Jasmine e da ora in poi saremo amiche...o sorelle? Se dico che siamo sorelle magari ci lasciano passare al posto di blocco! Va bene se mi autoproclamo tua sorella?"
"Sì" è la risposta della bambina. Lentamente i suoi occhi riacquistano vitalità e infilando la sua dolce manina nella mia siamo pronte ad attraversare quello spettacolo raccapricciante che c'è là fuori, pronte a lasciare per sempre questa terra che ci è stata rubata.
Mi lascio le macerie alle spalle, ricordando per un'ultima volta la mia vita prima dei bombardamenti, il mio passato, e capisco che qua a Jenin non c'è più niente da fare, ho bisogno di ricominciare da capo e per farlo è necessario cambiare aria, spero che un giorno Amal capisca che sarà solo merito suo se saremo sopravvissute.

 
 
 

Questa mattina a Jenin

Post n°292 pubblicato il 13 Marzo 2013 da marika_anonima
 

E' mattina, in un posto qualunque, no, Jenin non è un posto qualunque. Jenin è una terra di conflitti, che si trova nel bel mezzo della Palestina.
In una via non tanto affollata di Jenin, si vede dall'alto un'immagine orribile. La strada coperta da macerie, case senza tetto, persoe ammassate per terra senza più un briciolo di vita, tra quelle c'era Hamal.
Hamal, era una ragazza normale palestinese, con una famiglia dietro le spalle, anche se non erano i suoi veri genitori. Prima che morisse, lei era andata a studiare a Londra, con una borsa di studio che aveva ottenuto per il corso di giornalismo. Lei si era trovata benissimo a Londra, però le mancava qualcosa, anzi, qualcuno. Era innamorata di Assaf, un ragazzo palestinese costretto dai suoi genitori adottivi a sposare Shalah, una ragazza bellissima, non poteva competere con lei. 
Hamal purtroppo non poteva avere figli, perchè era stata violentata dal cugino quando aveva solo dieci anni, ed è per questo che aveva abbandonato la famiglia, con la paura negli occhi e la speranza che quel brutto sogno sparisse dalla sua mente.
Passarono due mesi prima che incontrò una famiglia vera e propria. Ma nel frattempo, lei conobbe Assaf, anche lui orfano, i suoi genitori erano morti durante un conflitto quando aveva otto anni.
Lui la trattò come una figlia, anche se vivevano per strada. E inoltre lui le trovò una famiglia e una casa. E lei nel frattempo si innamorò di lui, senza manco sapere cosa significasse la parola amore. Per lei era una parola sconosciuta, quasi le faceva schifo. Eppure provava un sentimento forte per quel ragazzo, quasi più forte di lei, ma non se ne voleva rendere conto.
Intanto anche Assaf aveva trovato una famiglia, ma non era una famiglia vera e propria. Loro volevano solo un ragazzo qualunque che sposasse la loro figlia, e lui era perfetto per loro. Assaf, invece, pensava che facevano tutto questo per il suo bene.
Hamal lo sapeva, lei sapeva tutto, ma non poteva dirgli niente, altrimenti il padre adottivo di Assaf L'avrebbe uccisa.
Passarono alcuni anni e Hamal vinse una borsa di studio, fece di tutto per vincerla, voleva andar via da quel posto, soprattutto voleva dimenticare Assaf.
Non sopportava il fatto di vederlo li con un' altra che non era lei. Allora lei partì, non sapeva quello che stava facendo, era troppo piccola per andare a vivere da sola, ma lei voleva dimenticare, voleva chiudere dentro un barattolo la sua sofferenza e sigillarlo per sempre. Passarono tre anni da quando era arrivata a Londra.
Arrivò il giorno in cui lei decise di tronare, voleva dimenticare, abbandonare i suoi ricordi ma non ci riuscì, lei in quegli anni soprì che la sua vita era lì, insieme ad Assaf, e anche se lui non ricambiava, le bastava anche starsene al sua fianco. La mattina Hamal fece le valigie e la sera partì.
Il viaggio viaggio fu lungo e stancante per lei. E il giorno dopo, ritornò a Jenin.
tutti i suoi progetti, la sua felicità di tornare a casa, la sua voglia di vedere Assaf e la sua famiglia, tutto questo, le svanì in un momento, la sua mente si riempì soltanto di immagini di guerra, persone che le morivano davanti agli occhi, gente che piangeva per la perdita di un parente o di un amico, i lamenti dei bambini vicini ai corpi delle loro madri; Hamal rimase ferma, immobile, poi corse alla ricerca di Assaf e della sua famiglia, se c'era qualcuno per cui correre quel giorno era Asssaf. Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, era perfino più importante della famiglia.
Hamal corse per le vie nascondendosi tra i palazzi, cercava assaf, "non dovevo partire" disse tra sè e sè, e lì, dopo qualche palazzo, trovò Assaf vicino al corpo della sua futura moglie, le teneva le mani strette a lui. Assaf si girò e vide Hamal in lacrime, con gli occhi rossi, la fissò per qualche minuto, e poi si accasciò per terra per il dolore di un proiettile sulla schiena. Hamal fece di tutto per non fargli chiudere gli occhi, bestemmiò qualche parol in arabo,e rimase in ginocchio vicino a lui, con le lacrime a gli occhi. Ma purtroppo, non passò molto tempo, che morì anche lei. E questa mattina a Jenin, Hamal ha scoperto cosa voleva dire amare, prima di morire. 

 
 
 

I ♥ Deutschland

Post n°291 pubblicato il 13 Marzo 2013 da Maggie.97

Il Reno :) 

Museo Della Tecnologia :)

Stazione di Francoforte 

Wurst und Brot

Io, Marika e il Pollo ahah

Starbucks *-*

Francoforte dall'alto <3

Hard Rock :)

La birreria ahaha

Marika e la sua macchinetta ahah

Io sotto la botte più grande d'Europa :P

Heidelberg :)

Con la Prof. :)

Passeggiata per Mannhaim <3

Museo della Tecnologia :)

Museo Della Tecnologia

Spayer *-*

Schitzel und brot ;)

 
 
 

Questa mattina a Jenin

Post n°290 pubblicato il 13 Marzo 2013 da HugoAntonio
 

Anche quella mattina mi svegliai nella solita baracca situata su una collina sotto il bagliore accecante del sole e i cecchini, che ovunque eri, erano pronti ad uccidere. Vedevo ovunque gente sofferente, bambini abbracciati alle loro mamme che non avevano più forza di andare avanti. Vivevo con mia madre e le mie due sorelle alle quali volevo un mondo di bene. Jenin era ormai un campo profughi, da cui gli abitanti potevano vedere le case in cui non avrebbero più abitato. La vita dei palestinesi era stata spazzata via dal concetto di diritto acquisito di un altro popolo, che si sarebbe impadronito del territorio. Ogni mattina, per me e la mia famiglia era una mattina di sofferenza, un inferno da cui tutti avremmo voluto uscirne al più presto. Ma noi eravamo sempre lì, nella nostra baracca, attaccati alla vita, in attesa di una svolta. Quella mattina mi svegliai con una strana sensazione, una sensazione bella come se finalmente la guerra stesse per finire. Non so perchè, ma alla fine era tutta un'illusione. Mi alzai dal letto senza far rumore e mi affacciai alla finestra della mia baracca. Il sole era di fronte a me, poggiato all'orizzonte. Le strade erano deserte. Non c'erano nè montagne nè rilievi, e il mare era alle spalle. Voltandomi rimasi colpito dall'inquietudine di una ragazza mai vista fino ad allora. Era bellissima e rimasi affascinato dal suo viso che mi trasmetteva una sensazione che non provavo ormai più da tempo. Il giorno dopo ci rincontrammo di nuovo e ci conoscemmo meglio, ma lei doveva vedersi con me di nascosto altrimenti il padre l'avrebbe picchiata perchè le aveva vietato di parlare con i ragazzi. Decidemmo di continuare la nostra storia per quattro mesi di nascosto, fino a quando un giorno, un gruppo di soldati portò via dalla loro baracca lei ed il padre. Da allora non la vidi più. Fu un colpo durissimo per me e in quei giorni avrei voluto fuggire da tutto questo inferno, ma ero troppo attaccato alla vita e l'amore verso mia sorella e mia mamma mi spingeva ad andare avanti in attesa che tutto questo finisse.

 
 
 

10 giorni ad Hidelberg, Deutschland.

Post n°289 pubblicato il 13 Marzo 2013 da marika_anonima

Questo è l'ostello dove abbiamo dormito io e margherita. 

In giro per Manheim

 

Visita giudata al castello

 

Il mio pranzo tedesco

 

In giro per Francoforte (di domenica con i negozi chiusi)

Visita a Rothenburg

 

Fine delle mie foto e della mia macchinetta 

 

 

 

 

 
 
 

QUESTA MATTINA A JENIN

Post n°288 pubblicato il 13 Marzo 2013 da biancoazzurro1997

30 Gennaio 2013.

"Questa mattina a Jenin ha un sapore strano. Uno strano sapore di libertà, che i palestinesi non assaporano da molto. Adesso devo partire, ma riscriverò presti, ve lo prometto. A presto, Sara"

Sara scriveva sul blog dopo alcune settimane. Si trovava in Palestina, sotto falso nome, per portare aiuti umanitari. Aveva deciso di scrivere quel messaggio sul blog perchè la sera precedente, qualcuno era entrato nella sua tenda e le aveva lasciato un biglietto con un indirizzo: Damasco, via Saladino n°25. Quando si era svegliata l'aveva letto e d'accordo con Jacob, suo cugino, erano partiti. Avevano pres ola jeep. Erano stati fermati al posto di blocco al confine con la Siria. Quando avevano chiesto qual era il motivo della loro visita, Sara con disivoltura aveva mostrato il biglietto. Il soldato la fissava. -Ora la riconosco- aveva pensato -è la ragazza di Jenin, quella che fu salvata dalla madre che poi morì-. Il soldato l'aveva fatta andare. Dopo un'ora erano finalmente arrivati a Damasco, via Saladino n°25. Era un palazzo. Al citofono a fianco al numero 25 c'era scritto 'Yehja Abulheja'. Quel nome già l'aveva sentito, ma certo, era il nome del suo bisnonno! -Che possa essere ancora vivo?- aveva pensato Sara. Suonò. -Chi è- aveva chiesto una voce rude. -Yehja Abulheja?- chiese Sara -Ma sei il mio bisnonno?-. -Cosa?-. Non capiva. Così l'uomo aveva sceso le scale e aveva aperto il portone. Sara era impallidita. Quel viso lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad altri mille. Non poteva essere, ma era lui, suo zio Yussef, il "terrorista". -Yussef?- aveva chiesto timidamente Sara. -Si, ok sono io Yussef, quello che per tutti ha fatto esplodere l'ambasciata americana nel 1983- aveva risposto nervoso -ma vi giuro che non sono stato io-. -Io sono Sara, figlia di Amal e lui è Jacob. A Yussef era caduta la pipa che aveva in bocca. -Entrate, veloci figlioli!- aveva detto mentre richiudeva la porta. Erano quasi le otto e Jacob e Sara erano affamati. Yussef aveva preparato loro una cena a base di pietanze arabe. Dopo che avevano mangiato e fumato il narghilè, Sara aveva raccontato a Yussef tutta la vita di sua madre, dal trasferimento in America e alla morte a Jenin. Alla fine della storia Yussef aveva pianto come un bambino. -Sara, io avrei un ultimo desiderio: morire nella mia Palestina- aveva chiesto Yussef a Sara implorandola. -Va bene zio, sarai accontentato- aveva risposto convinta Sara. Poichè il suo viso era ricercato in tutta la Palestina e la Siria avevano avvolto Yussef in un lenzuolo nero, ma era molto visibile. Quando si stava avvicinando un posto di blocco non potevano rischiare, così Jacob aveva accelerato, invece di fermarsi. I soldati spararono contro la macchina, senza però aver fatto danni rilevanti. Arrivati a Jenin, scoprirono che Yussef era stato colpito in piena fronte da un proiettile ed era morto sul colpo. La disperazione era serpeggiata tra gli abitanti di Jenin, che avevano aspettato di rivedere Yussef "il combattente". Lo avevano seppellito vicino al luogo dove avevano seppellito anche Amal. -Finalmente in cielo i fratelli si sarebbero incontrati- aveva pensato con un velo di tristezza Sara.

 
 
 

Questa mattina a Jenin

Post n°287 pubblicato il 13 Marzo 2013 da mettweflower
 

La terra sobbalza sotto ai nostri corpi, stanchi e deboli, distrutti dalla guerra e dall'orrore, dalle fatiche e dalle ingiustizie, la terra sobbalza e io e Yussef ci svegliamo improvvisamente, guardandoci l'un l'altro con uno sguardo colmo di terrore.
Gli ebrei riprendono ad attaccare e le grida sofferenti dei feriti, le urla delle donne e i pianti soffocanti dei bambini lo confermano.
Yussef corre da sua madre Dalia e sua sorella Amal, ordinando loro di restare barricate in casa o meglio ancora di nascondersi in cantina, mentre io mi affretto da Susan, mia sorella minore e unica mia parente rimasta, migliore amica di Amal.
<<Fa' ciò che ti dico, segui Dalia e non fare domande. Andrà tutto bene fidati!>> Ecco quello che ordino a mia sorella, cercando di rassicurarla, ma prima ancora avrei dovuto cercare di convincere me stesso.
E' impossibile che vada tutto bene, ma l'amore per lei mi costringe a mentirle.
Nel frastuono di bombe e spari, Yussef ed io ci dirigiamo in cucina e solleviamo alcune mattonelle sotto le quali sono nascoste abilmente rozze armi da guerra, fucili, bombe a mano e qualche pistola, che risultano giocattoli per poppanti, se messe a confronto con "l'artiglieria" degli ebrei.
Usciti di casa io e Yussef ci nascondiamo dietro una "trincea" di sacchi di mattoni, che avevamo preparato in previsione di un ennesimo attacco.
<<"Sahim! Non sei costretto a morire! Sei molto piccolo ancora!>>
Mi urla Yussef mentre schegge di legno e pietra si sollevano nello spazio che ci divide e una forte esplosione rimbomba nelle nostre orecchie.
<<Sahim corri via! Rientra dentro e nasconditi!>> aggiunge ancora.
Ma io non lo faccio e anzi, gli salvo la vita, uccidendo, con un colpo di fucile, un ebreo che da una finestra, come un cecchino, mirava certamente alle tempie di Yussef.
Mi guarda negli occhi, mentre una goccia di sudore, segna il suo volto come una lacrima e mi fa segno di sì con la testa, come ad indicare un eterno "grazie".
<<Dobbiamo andarcene da qui!>> ordino io con voce impetuosa.
Ora mi sento il capo, come se quel gesto mi avesse reso più sicuro, più forte, e soprattutto più coraggioso.
<<Seguimi Yussef! Ci apposteremo dentro casa di Shaquiry, spareremo dalle finestre!>>.
Ora è incredulo, mi guarda sconvolto ed esegue i miei ordini, come se veramente fossi diventato il "leader della coppia", nonostante io sia il più piccolo.
Attraversiamo quindi la strada con rapidità e scavalchiamo ciò che resta del muro del giardino di Shaquiry.
<<Non è tempo di cortesie!>> esclama Yussef con un particolare ghigno e così sfonda la porta ed entriamo in casa.
<<Ragazzi, finalmente siete arrivati!>> esulta Shaquiry, <<Pensavo che non ce l'avreste fatta!>>.
Detto questo, corriamo alle finestre e come abili cecchini spariamo a quegli sciocchi ebrei, che, come mosche nella ragnatela, cadono nella trappola da noi organizzata.
Chi avrebbe mai pensato che un trio di ragazzi avrebbe sparato dalle finestre di un vicolo abbandonato? Che imbecille che sono però, non mi rendo che nulla è immaginazione, che questa è realtà, che l'ebrei al quale ho sparato poco fa è morto veramente, come posso essere ancora convinto che sia solo un gioco? Forse perché ho solo dieci anni e le uniche guerre alle quali ho partecipato fin ora sono state quelle con zio Jacob, mio cugino Samir e io mio fratellone Assaf, le guerre con i bastoni di legno, le cosiddette guerre simulate. Mentre nella mia mente riaffiorano vecchi ricordi, dimentico ciò che mi circonda, solo quando una scossa costringe la casa ad oscillare, i miei occhi ritornano a vedere, purtroppo, la realtà.
In quel preciso istante una forte sensazione mi assale, la sensazione di camminare nel vuoto, quasi di volare.
Proprio in quell'istante, mi accorgo che i miei piedi non toccano più terra.
<<La casa sta crollando! Il pavimento cede! Reggetevi forte ragazzi!>> urla Yussef. Proprio così, il pavimento, come tutti noi, è caduto sotto le bombe degli ebrei.
Precipitiamo dunque nella stanza di sotto, in cucina.
Tra le polveri e il fumo un mattone cade sul mio ginocchio, probabilmente rompendomelo, ma il dolore è meno forte della preoccupazione di aver perso i miei amici, così mi affretto zoppicante a cercargli.
Shaquiry è morto sotto le macerie, vedo il suo braccio uscire dai mattoni, bagnato di sangue, ma Yussef è ancora vivo.
Un'altra bomba si abbatte sulla casa e un rumore assordante rimbomba nelle mie orecchie. Un forte vento mi costringe a ripararmi gli occhi.
Mi accascio sulle macerie di pietra mentre Yussef si avvicina e mi assiste, forse mi parla, forse mi urla, ma io non stento, troppo forte era stata l'esplosione precedente e ora le mie orecchie percepiscono solo un insopportabile sibilo.
Un ebreo sai avvicina con passo felpato a noi, ma non riesco a parlare, non riesco ad avvertire il mio amico del pericolo alle sue spalle, e così l'ebreo gli spara alla testa uccidendolo davanti ai miei occhi. Successivamente la vista mi si appanna e l'ultima immagine che ricordo, è quella offuscata di Yussef ucciso a sangue freddo e senza pietà.
Dopo, solo il buio.

 
 
 

Questa mattina a Jenin

Post n°286 pubblicato il 13 Marzo 2013 da cloud_1997
 

Ore 6.30 del mattino:l'alba si mostra timida agli ochi del cielo, i raggi di quel flebile sole illuminano debolmente i pochi tratti di strade abitate ed un leggero venticello aleggia nell'aria e penetra nelle tendine a fantasia delle finestre spalacate in camera di India, ragazza Palestinese di 16 anni, sempre allegra e vivace, ma sopratutto speciale: i suoi lunghi riccioli neri che ricadono morbidi sulla pelle olivastra; i suoi occhioni verdi come smeraldi scintilanti; il tutto addolcito da quel sorriso spontaneo e un pò malizioso suscitano in chi la guarda un sentimento i asoluta dolcezza e innocenza.

Ed è proprio quel fresco venticello a far spalancare gli occhi di India e a farla balzare giù dal letto per programmare una nuova giornata fatta di divertimenti, chiacchierate con le amiche e anche un pò di studio.

Dopo appena un'ora dal suo risveglio, la giovane si trova già catapultata in cucina dove sua madre Nikita si dedica a preparae la colaione, mentre suo padre Nassim legge il giornale di oggi con la sua solita aria da duro che nasconde la sua vera natura; perchè nei confronti di sua figlia è un padre mdoello: non ha mai osato sfiorarla nemmeno con un dito, per lui una parola vale più di mille scoppoloni, ma la cosa che rende ancor più special il loro rapporto sono le loro chiacchierate sul balcone, dove si raccontano le loro giornate, i loro picoli segreti ed  il momento della giornata preferito da India è quando si lascia cullare tra le braccia del padre che, fissando il sole scomparire dal cielo lasciando posto alla luna, le ripete sempre:-"Figlia mia, non lasciarti mai influenzare da niente e nessuno, raggiungi i tuoi obiettivi e fa sempre iò che ti piace!".

Questa frase riecheggia sempre nella mente della giovane che, dopo aver mangiato avidamente la sua colazione e dopo aver dato un bacino sulla guancia del padre, si catapulta fuori per andare a trovare il suo amico Amir per giocare ma, appena fuori dall'uscio della porta, qualcosa la blocca: sono loro, i soldati israeliani, con i loro carri armati e le loro armi, da anni in guerra con il popolo Palestinese, hanno deciso di stabilirsi a Jenin e dintorni per prendersi tutto e dominare la terra Palestinese.

Ma fortunatamente questo non è un problema che una ragazzina di sedici anni deve affrontare, quindi India senza curarsi della relatà che la circonda, si incammina verso casa dell'amico.

Ore 14.30: è ora di pranzo e i due ragazzi, dopo aver giocato a nascondino tra i campi d'ulivo, tornano verso casa quando uno sparo assordante rompe il silenzio: i due rimangono immobili finchè non sentono delle urla di donna provenire prorpio da caa di India.

La ragazza si precipita verso casa e le si presenta davanti la scena che per sempre le resterà impressa nella mente: vede sua madre urlare e piangere sul corpo insanguinato di un uomo, quell'uomo era suo padre Nassim.

India rimane impassibile, non riesce nemmeno ad urlare tutto il dolore che sente, una lacrima le scivola sul viso e, da quel giorno, il suo soriso si spegne completamente.

Pasano i giorni e il bagliore negli occhi di India scompare, così come il suo sorriso, non può credere che suo padre, la sua figura di riferimento, non ci sia più.
Senza di lui si sente smarrita e non è la sola: anche sua madre è cambiata, è diventata rigida e severa e, dopo solo un anno dalla morte del marito, decide che India è ormai abbastanza grande e deve trovare marito.

Questa scelta non viene assolutamente condivisa da India che vuole vivere la sua vita nella continua spensieratezza e, se proprio deve sposarsi, vuole farlo con la persona che ama davvero.

L'unica soluzione per scampare a tutto questo è quella di Stabilirsi di nascosto a casa del suo amico Amir per un pò.
L'unico rischio è quello di uscire fuori, con tutti quei soldati è impossibile oltrepasare il confine ma, nonostante tutto, India è determinata e, portando nel cuore il ricordo del padre, esce a notte inoltrata.

Appena fuori dalla porta la situazione sembra essere stabile, solo il silenzio incombe su Jenin, ma ad un tratto l'urlo di un uomo la fa tremare tuta, in seguito uno sparo e India, in preda al panico, si nasconde dietro un albero senza far rumore.

Passati pochi minuti, la ragazza decide di rincamminarsi verso casa dell'amico protetta dal buio e finalmente arriva a destinazione.

Bussa timidamente alla porta e Amir la ospita per alcuni giorni, durante i quali i due iniziano a conscersi meglio e iniziano a sentire che la loro amicizia si sta trasformando in qualcosa di più forte.

Passati solo due giorni la mamma di India si reca a casa del ragazzo immaginando che sua figlia si trovi lì e, con la rabbia nel cuore, la riporta a casa e le infligge la punizione più brutta e crudele he potesse capitare ad India: sua madre ha gia preparato il matrimonio e scelto lo sposo, senza che la giovane possa decidere o contestare.

Sarà costretta a sposarsi contro la sua volontà e questa sicuramente non è la fine che India desidera.
Arriva il giorno del matrimonio: India non ci vuole credere e, mentre lascia cadere una lacrima sul viso, si prepara per recarsi alla cerimonia.

In questo momento vorrebbe solo che suo padre fosse presente accanto a lei per darle coraggio, ma lui non c'è e lei è rimasta sola, senza nessuno che la possa salvare da quel tragico momento...tranne una persona, la persona che prova un sentimento profondo per lei e che presto fermerà la cerimonia per conquistare il suo amore.

Mancano pochi passi prima che India si possa ritenere sposata, ma ad un trato la porta si spalanca e lui fa capolino in casa.

In quel momento India sente un brivido salire su per la schiena e il cuore battere all'impazzata, quel sentimento è sicuramente amore, un amore che il ragazzo ricambia nei suoi confronti e che li terrà uniti per il resto dei loro giorni. 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Questa mattina a Jenin.

Post n°285 pubblicato il 13 Marzo 2013 da ickyGirl
 

"La guerra fa di me uno straccio. Nella mia vita ho solo vissuto dolori tremendi sia nella mente che nel corpo. Ho sempre trattenuto tutto, i pianti, le angoscie e ho sempre avuto prima di vivere. Mia madre era una donna meravigliosa. La sua vita è durata circa trent'anni, con una morte spietata che è rimasta impressa nei miei pensieri. Porto una cicatrice nel cuore e nella carne che trapassa il mio sena, fino ad arrivare all'addome. E' la cicatrice di un taglio di un israeliano, sono stata tra la vita e la morte. Ero distesa a terra, di fianco alla buon'anima di mio padre. Ci tenevamo la mano, quasi per ribadirci un'ultima volta il bene che l'uno provava per l'altro. Quel lurido voleva squarciarlo con un coltello che stringeva nelle mani con gran forza. Lo puntò dritto sul petto di mio padre, ma presi coraggio e mi misi tra lui e l'ebreo e il mio corpicino si lacerò in un attimo. Sentivo il dolore passarmi per le vene e l'urlo di sconforto che gettai lacerò il cuore di mio padre, inerme a terra. Purtroppo quel gesto così glorioso non servì a  nulla, perchè mio padre venne preso con forza e picchiato selvaggiamente e morì tra le braccia della sua bambina, insanguinata per lui. Io. Ho vissuto una vita pessima. Ho subito la morte dei miei genitori all'età di 14 anni e non ho mai conosciuta la mia famiglia. Vivo solo di racconti orridi, che porto sulle spalle, sono un peso tale da farmi cadere ad ogni passo. Adesso ho 19 anni, sono sposata, e ho un bambino di nome Yussef e altri due nipotini, Nadine e Majid i quali mi sono stati affidati dopo la morte della madre, mia cugina, e del padre. Devo accudire questi bambini, queste piccole vite." Questa è la storia che ho raccontato questa mattina ad un vecchio signore di Jenin, pestato e gettato a terra come uno straccio. L'ho visto e l'ho preso tra le braccia con tutta me stessa, trascinandolo nella mia casa, se così si può chiamare. Mentre lo curo mi chiede chi sono, come vivo la guerra e quanti anni ho, dato il mio viso giovanile. Finite le cure gli offro del cibo, ma rifiuta, sapendo le tante bocche che devo sfamare. Uscendo dalla porta vedo l'ombra del mio piccolo Yussef gettato nell'angolo della camera di fronte. Lo guardo attentamente, ma non parla e non dà segni di sè. Ha paura e si vede dal continuo tremolio delle gambe rannicchiate al petto. Ha sicuramente nella mente le urla, le bombe, gli spari che lo opprimono dopo l'ultimo attacco avvenuto all'alba di questa mattina. Lo fisso ancora, e penso ad un modo per rassicurarlo. Mi immedesimo nei suoi pensieri e sento la paura piegarmi le gambe, quasi da farmi perdere l'equilibrio del mio esile corpo. Mi avvicino lentamente e con un gesto materno lo prendo in braccio e lo stringo forte al petto. Nel frattempo i pensieri mi frullano nella mente, e mi faccio forza, per sembrare quasi indistruttibile agli occhi di Yussef di 3 anni, Nadine di 5 e Majid di 12. Sono piccoli, ma con la vita che le è stata data hanno dovuto crescere velocemente, tra dolore e violenza. Il più grande, Majid aiuta mio marito a lavorare come dottore nel campo profughi qui vicino. Mi giro lentamente con ancora Yussef tra le braccia e vedo mio marito Hassan e Majid che entrano dalla porta centrale. Lascio dolcemente Yussef alle cure del padre e dei cugini, mentre esco per prendere qualcosa da mangiare. Tornata a casa, volo subito per cucinare un po' di Blitze, e con la coda dell'occhio vedo mio fglio, ancora scosso, nelle dolci coccole dei cugini. Alle ore 16:00 un altro attacco ci abbatte sulle nostre case. Rinchiudo Nadine, Yussef e Majid nella buca sotto la cucina ed io e Hassan usciamo fuori per aiutare il vecchio signore di questa mattina, a camminare. L'odore della fuliggine, gli spari incessanti, la terra che volteggia nell'aria mi opprimono la vista. Questa guerra fa scaturire rabbia nel mio cuore. Cammino velocemente, tra le macerie che coprono il villaggio in fiamme. Vedo l'ebreo che mi blocca, mentre mio marito si accascia lentamente, lamentandosi con voce fioca per il proiettole che lo ha colpito alla gamba destra. L'ebreo mi punta l'arma gelata sulla fronte mentre un pianto silenzioso bagna nuovamente il mio viso giovane. In quell'istante l'unico pensiero sono i bambini. Non posso lasciarli soli, sono piccoli, ma la morte è ad un passo da me. Lo guardo lentamente negli occhi, così attenti e colmi di rabbia, Lo sento mentre cerca di premere il grilletto, ma i nostri sguardi s'incontrano tra paura e speranza e con una lacrima che scende lentamente, mi dice "Scappa!". Lo guardo stupita, mentre se ne va correndo. Prendo mio marito tra le braccia e corriamo nella polvere che vola nell'aria sporca. Apriamo la buca dove avevamo nascosti i nostri piccoli, ma sono immersi in una pozza di sangue che immerge i loro corpicini. Stoione che mi afflige l'anima. Sono morta dentro, sono morta nel cuore. I miei occhi neri sono immobili. Voglio morire.

 

 

 
 
 

Questa Mattina a Jenin

Post n°284 pubblicato il 13 Marzo 2013 da Maggie.97
 

Questa mattina a Jenin il sole splende nonstante le scintille di tensione che si sentono lungo le strade. Il ruggito dei carri armati israeliani ci hanno tenuti chiusi in casa per giorni, durante il quali restammo dello spazio più nascosto della casa. I rumori spaventosi dei colpi delle esplosioni prendevano forma in un silenzio quasi spettrale. Sentivamo case e baracche che venivano distrutte dai bulldozer. Ero talmente spaventata da non riuscire a smettere di piangere e di stringere mia madre quasi levandole la possibilità di respirare. Mio fratello era a fianco a noi, con la sua solita calma e indifferenza. Dai suoi occhi, però, riuscivo a vedere che era terrorizzato quanto me. Noi tre, chiusi in quella baracca, con il rumore degli elicotteri israeliani, eravamo accomunati dalla paura della morte. "Qualsiasi cosa accada, staremo sempre insieme. Io, tu e tuo fratello. Sempre". Mia madre lo ripeteva spesso negli ultimi anni. Non so perchè, ma non riuscivo mai a crederle. Nella mia testa non c'era spazio per la speranza. Avevo visto troppe famiglie che venivano divise dalle circostanze. Troppi coetanei che perdevano la madre tra le macerie. Troppi ragazzi che lasciavano la propria famiglia con l'obbiettivo di sistemare le cose. Ora, eccomi qui. Fuoti dalla baracca, nascosta dietro mia madre, vedo le prime lacrime scendere. Quelle di mio fratello. Non l'avevo mai visto piangere. Ho sempre pensato che il suo cuore fosse di ghiccio. Solo ora capisco che è il suo modo di affrontare le situazioni. Reprimere tutto in un angolo della sua vita. Mia madre, invece, ha il viso pietrificato. La perdita di molte delle persone a lei care l'aveva scombussolata più della perdita della nostra bellissima casa. Non immensa, non ricca, ma perfetta nella sua semplicità. Lei ci ripete sempre che le uniche motivazioni per cui va avanti siamo io e mio fratello. Non so come ci riesce, ma mi regala sempre un sorriso. Mi sento fortunata ad averla al mio fianco. La sua determinazione e la sua forza d'animo sono la mia roccia. Non è semplicemente mia madre, ma è anche la mia più cara amica. Le mie riflessioni sono bloccate da un urlo disumano. Mi volto e vedo mio fratello. Le sue grida sono spaventose. Si vedono le vene sul collo tirate e rigide per lo sforzo. I pugni serrati per la rabbia e le ginocchia che cedono fino a farlo accasciare sul suolo arido. Mia madre cerca di calmarlo e riportarlo al silenzio, ma inutilmente. Le urla di mio fratello sono lo specchio della mia anima. Anch'io provo lo stesso dolore, la sua rabbia, il suo senso di impotenza, ma non riesco a liberarmi da tutto questo come sta facendo lui adesso. Mia madre lo abbraccia e lui si lascia andare alla sua stretta. Io mi avvicino ad entrambi e mio fratello mi fa cenno di stringerlo. Sorpresa, lo assecondo e così, noi tre, rimaniamo in quell'abbraccio in un tempo che sembra infinito. Un minimo di speranza fiorisce nella parte più remota della mia mente e, con essa, anche la gioia di essere ancora viva con mia madre e mio fratello, la mia famiglia.

"Qualsiasi cosa accada, staremo sempre insieme. Io, tu e tuo fratello. Sempre".

 
 
 

Questa mattina a Jenin

Post n°283 pubblicato il 13 Marzo 2013 da Roberto_98
 

30 Gennaio 2013

 

Continua a stringere i denti e a mantenere la calma. Il sangue che gli cola dalla ferita sulla tempia, il sudore, il caldo… Sono queste le sensazioni che prova Omar. Due ore prima stava giocando con suo figlio di tre anni nella piazzetta del campo profughi di Sambon e guardava sua moglie Sara, erano le otto di mattina. Ora si trova nascosto dentro un palazzo semidistrutto, sporco, sudato e sanguinante, cercando di scappare dagli Israeliani e dalle bombe dei loro KFC-7 (cacciabombardieri in forza ad Israele dal 1982). Omar è uno dei combattenti Palestinesi di un gruppo legato all’O.L.P. e due settimane prima aveva eliminato tre estremisti Israeliani con un fucile da cecchino. Era appena scappato da una delle prigioni di “questi sporchi usurpatori” e aveva rubato l’arma ad una guardia. Ora i suoi carcerieri lo cercano senza sosta, desiderosi di piantargli un proiettile in testa.

-“ Non fermarti stupido, stupido! Pensa a correre e a rivedere la tua famiglia! “ Questo è l’unico pensiero che ha in mente. Quindi si rialza, ricarica il Barret-50 che aveva da due settimane e ricomincia a correre, cercando un buon punto dove nascondersi per fermare le ricerche dei suoi aguzzini. Omar, dopo più di un’ora  di fuga, riesce a trovare un nascondiglio. Un’altra palazzina, ma ancora in piedi. Entra dentro.

-“ E’ una vecchia biblioteca”- dice.
A terra ci sono molti libri alcuni crivellati dai proiettili, altri carbonizzati. Omar si guarda intorno e comincia a girare per la vecchia biblioteca. Molte sono vuote, in altre ci sono degli scaffali. Ora gli manca solo una porta da aprire. La apre e trova il corpo di un uomo, morto, con un buco sulla fronte. Sopra di lui c’è un fagottino. Lo prende e trova un bambina di pochi mesi. Sta piangendo. Intanto i soldati Israeliani dopo poche ore abbandonano le ricerche.
Uscito dal palazzo, Omar si imbatte in un gruppo di medici che stanno tornando verso la loro Jeep.
-“ Aiutateci”- grida, attirando l’attenzione di quel gruppo di quattro persone due uomini e due donne. Senza esitazione, gli dicono di salire. L’uomo e la bambina vengono accompagnati fino al vecchio campo profughi di Jenin dove vengono fatti entrare in una tenda allestita da altri dottori.
Il primo pensiero di Omar va a sua moglie Sara e a suo figlio Isma’il e prega Dio che non siano morti dopo il bombardamento del campo profughi di Sambon.

Gli viene curata la ferita sulla tempia, poi va a visitare la bambina, spaventata ma sana e salva.

Uno dei medici dli chiede:” E’ tua figlia?”
Omar ci pensa su. Poi fa cenno di “Si”.

 
 
 

SALAMANCAA

Post n°282 pubblicato il 13 Marzo 2013 da chiara_hakunamatata

MADRID!! =D

 

Visita guidata di Salamanca <3 il giardino di Callixto e Melibea.

Un giardino dedicato all'opera che narra dell'amore tra due giovani: Callixto e Melibea

Visita alla Torre della Cattedrale di Salamanca <3

 

Serata karaoke <3

 

 

Gimkana cultural (caccia al tesoro) <3

Avevamo una lista da completare, ed uno dei punti era quello di fare foto ai luoghi indicati sul foglio

Fiesta!!!! =D

 

Rally fotografico <3

Dovevamo fare 4 foto originali, le più originali vincevano, questa è una foto del nostro gruppo =D

Serata libera... TAPAS!!

Tapas: piccoli "aperitivi" con i quali noi abbiamo cenato, erano molto buoni e particolari!

 

Churros con cioccolata calda <3

 

La Piazza Principale di notte *.* BELLISSIMA!

 

 

Il ritorno a casa =(

dormiamoci sopra...

 
 
 

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