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ciò che si può fare con una biro in mano

 

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La donna

Post n°73 pubblicato il 28 Febbraio 2008 da anna.rebaioli
 

Lo sentiva fra le sue mani.
Profumato come la torba che sazia la terra.
Lo aspettava nella linea sfumata del creepuscolo.
Non lo chiamava.
Era certa del suo esistere.
Il fiore apre l'abbraccio dei petali quando il tempo è giunto, non prima.
L'uomo è così.
Nascosto.
Prezioso.
Fragile.
Petalo di magnolia.
Carne di diamante.
Il seme vola quando il guscio muore.
E allora genera vita.

 
 
 

L'uomo

Post n°72 pubblicato il 28 Febbraio 2008 da anna.rebaioli
 

"Sei bella.
Vorrei accompagnarti nel tuo attraversare il mondo, con serietà e leggerezza.
Insegnami l'alfabeto del tuo cuore, parlami anche se ancora non capisco.
Cosa vedi quando appoggi ila tua vita nei miei occhi?
Dammi le tue mani.
In silenzio.
Che germogli la terra, la nostra sostanza.
Sei benedetta, mi hai salvato dal silenzio del nulla".
Se solo sapessi dirglielo!

 
 
 

la donna

Post n°71 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da anna.rebaioli
 

La donna.
Accarezza le parole e chiude il quaderno.
Sorride.
Si alza.
Deve andare.
E' lontana come può esserlo un ricordo.
Attraversa la sala da pranzo.
Nuvole basse nel cielo.
E' nuda nel suo esporsi.
Pochi sanno leggere il libro del suo corpo.

 
 
 

La donna scrive...

Post n°70 pubblicato il 21 Febbraio 2008 da anna.rebaioli
 

La donna.
Una borsa di tela color amaranto.
Un quaderno e una matita.
China lo sguardo dentro di sè, nel buio.
E scrive:" giorno dopo giorno,
attimo dopo attimo,
il ventre delle donne,
di tutte ledonne,
si prepara.......
carne sapiente,
sangue fecondo
ad accogliere il figlio.
Così sono le donne,
mani pazienti,
sguardi caldi,
parole che uniscono, intrecciano.
Non cambiano.
Le uccide il poco amore e un bisturi.

 
 
 

La donna

Post n°69 pubblicato il 21 Febbraio 2008 da qatia
 

Volevano mettere distanza fra loro e gli affanni di Parigi, aggiungere come rinforzo la barriera di una lingua straniera. Due settimane in Italia. Niente Roma, Firenze o Napoli. Non volevano fare i turisti, ma starsene un po’ per conto loro. Un piccolo uliveto vicino al mare. Trovato per caso via internet. Il posto ideale per rintanarsi dal quotidiano.

Quella mattina stava leggendo nel prato, dopo aver fatto colazione. Alzò gli occhi dal giornale incuriosita da un mugolio insistente, intrecciato a un fluire di parole di cui capiva solo i ‘no, no’ fermi e sicuri. Il bambino aveva strappato dell’erba per mangiarla e la madre glielo impediva con gesti precisi e sapienti, come fatti un milione di volte. Mathieu le toccò la mano: ‘Tutto bene?’ ‘Sì’ rispose lei, più per sè che per lui ‘sì, non ti proccupare’. Restò a guardarli. Non poteva farne a meno.

Vedeva sè stessa china a fermare la mano del figlio, togliergli l’erba dalla bocca e ripetere quei no no no. Ce li avrà sette anni quel bambino? Forse sì.

E di nuovo si ricomposero le immagini del suo dolore.

La prima cosa che vide al risveglio fu il polsino bianco del camice verde che indossava. Il primo pensiero fu che quei colori stavano proprio bene insieme. La seconda cosa fu Mathieu seduto accanto al suo letto. ‘Ciao’ gli aveva detto ‘ciao’ le aveva sorriso lui. Intorpidita dall’anestesia faticava a tenere gli occhi aperti. Era ancora lì. Ancora viva. Era finito tutto. Una settimana disperata finita in meno di un’ora.

Una settimana prima erano arrivati i risultati delle analisi. Il dottore aveva voluto che fossero presenti tutti e due per consegnarli. Già questo l’aveva messa in agitazione. ‘Ma no, vedrai che è la prassi’ faceva Mathieu ‘in fin dei conti è un esame importante.’

Un esame importante, sì. Il più importante. Avevano deciso di farlo dopo averci pensato a lungo. Poi avevano scelto di sapere, piuttosto che farsi masticare dall’incertezza.

Prenotò l’esame a malincuore e la notte prima di farlo pianse in silenzio, tutta rannicchiata mentre Mathieu dormiva tranquillo.

E poi l’attesa del referto. Non ne parlavano mai. Si erano già detti tutto.Tenevano a bada l’ansia facendosi compagnia.

Infine li chiamarono.

Prima di bussare alla porta dello studio si guardarono: sarebbero usciti da lì con animo ben diverso.

 Il dottore cercò le parole migliori, ma lei sentì solo il ‘purtroppo’ iniziale. Poi fu solo un rombo nelle orecchie, bocca secca, respiro mozzato e lacrime che non potevano uscire. La mano di Mathieu che tremava dentro la sua. Li lasciarono soli per un po’. Quando tornò nello studio,  il medico le disse che poteva tornare a casa e pensarci ancora per un po’di giorni. Se avesse deciso di affrontare l’intervento, le avrebbe riservato un posto nella sua clinica. ‘Mi chiami Giovedì prossimo. Si dovrà trattenere da noi per quarantott’ore, niente più. Mi faccia sapere, qualunque cosa decida’.

Aveva cercato di prepararsi immaginando quel giorno, le parole del medico. Con  Mathieu avevano già deciso cosa fare dopo. Ma l’atrocità di quel momento no, non l’aveva immaginata. Non avrebbe potuto, perchè mai aveva conosciuto tanto dolore in vita sua. Sentiva il cuore esploderle al pensiero che il peggio, in ogni caso, sarebbe venuto dopo. Lei e Mathieu ripresero discorsi fatti mille volte; furono pianti, abbracci, urla e disperazione. Occhi gonfi e notti insonni, a chiedersi il perchè di tanto male proprio a loro, così sani, così attenti. A domandarsi cosa fare, perchè la mente straziata non lo sapeva più.Alla fine lei si arrese. Fra due dolori scelse quello che non si allargava ad altri. Chiamò il dottore. ‘Venga domattina alle 8. A digiuno. Coraggio, signora, sta facendo la cosa giusta’.

Ma non era vero. La giustizia qui non c’entrava niente.

Le infermiere si presero cura di lei con garbo, ma senza calore. Rassegnata, senza dire una parola, si lasciò depilare e preparare per l’intervento. Mathieu la vide, distesa sul lettino, entrare nella sala operatoria. Si scambiarono uno sguardo e un sorriso triste.

Lui sapeva che malgrado l’amore che li univa, lì dentro lei era sola. Non c’era modo di  attenuare la forza devastante del peso che le stava crollando addosso. Ebbe paura di perderla, in qualche modo.

La loro vita non si sarebbe raddrizzata più, come un ulivo torto e spaccato dagli anni.

Quando uscì dalla clinica lui la portò al mare, da sempre la sua consolazione.

Non dissero nulla lungo il viaggio, che le parole non servivano più. La radio riempì il silenzio con le voci di mondi lontanissimi. Lei era come pietrificata. Ammutolita dal bisogno di proteggersi, salvare quel che restava di sè.

Passeggiarono sulla spiaggia deserta. Il cielo di Novembre gli fece la grazia di un poco di sole. L’andare e tornare delle onde era così semplice e profondo insieme, così vero, così eterno che lei sentì di colpo tutta la violenza inesorabile della vita. Piegata su sè stessa, il viso stravolto, si lasciò andare a un pianto dal suono animalesco più che umano. Pianse sul suo corpo straziato, sul ventre inutilmente gonfio e svuotato di ogni promessa, sulla condanna che s’era scelta per non condannare un innocente.

 Pianse su quella creatura che avrebbe portato sempre dentro di sè, nella perenne gestazione dei figli mai nati.

 

 

 

 
 
 
 
 

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Un blog di: raccontare
Data di creazione: 16/11/2006
 

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