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Creato da: fabiana.giallosole il 18/02/2012
COPDUS - Coordinamento Provinciale Docenti Utilizzati di Sassari

Messaggi del 26/11/2015

 

Alternanza

Post n°4182 pubblicato il 26 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “OrizzonteScuola”


Alternanza scuola lavoro cancellerà ore di didattica nelle scuole superiori


di redazione

 

Anief - Nella scuola superiore, il Governo ha intenzione di rivedere il piano di ore d’insegnamento settimanale per dare più spazio alle attività di formazione presso le aziende.

Il piano, che ha già incassato il sì dalla Conferenza Stato-Regioni, è stato presentato alle parti sociali, nel corso del tavolo di lavoro avviato nella sede del Partito Democratico avviato in questi giorni: illustrando la delega fornita al Governo per l’attuazione della Legge 107/2105 sulla “Revisione dei percorsi di istruzione professionale e attuazione dell'alternanza scuola lavoro”, il piano è stato illustrato dalla relatrice Cristina Grieco (Pd), membro della Conferenza Stato-Regioni.

Sulla nuova alternanza scuola-lavoro, prevista dal comma 33 in poi della legge di riforma approvata lo scorso luglio, l’idea di fondo è imporre la dualità dell'alternanza scuola lavoro attraverso il sistema dell’apprendistato, in modo che i giovani studenti, anche al di sotto dei 16 anni possano anch'essi essere avviati al mondo del lavoro tramite la costituzione di imprese simulate. Alla luce della frammentazione dei percorsi professionali, dovuta alla multidisciplinarità dei settori, il rappresentante Pd ha quindi spiegato che è necessario revisionare il monte ore della didattica e incrementare le ore laboratoriali, anche attraverso il potenziamento dell'alternanza scuola lavoro già previsto per legge, secondo il principio di sussidiarietà, e confermato dalla riforma della Buona Scuola approvata a luglio.

La proposta non ha raccolto i consensi attesi. Anief, in particolare, è contraria al principio di sussidiarietà tra gli obblighi formativi, perché porterebbe inevitabilmente ad una nuova stagione di tagli ai monte ore della didattica in aula, con conseguente perdita di posti cattedra a favore della formazione in azienda. L'alternanza scuola lavoro è, invece, uno strumento potente di avviamento professionale. Che merita momenti di riflessione più intensi e più meditati.

Il giovane sindacato ha spiegato al partito di maggioranza che questi obiettivi sono decisamente spostati rispetto alle reali esigenze formative dei nostri giovani: lo statuto dei lavoratori, il D.M. 300 del 1977, nonostante alcune modifiche recentemente apportate, prevede ancora, all'articolo 10, che il lavoratore è un soggetto avente titolo a completare un percorso di studi. Allo stesso modo lo statuto degli studenti e delle studentesse del 1998 accorda il diritto degli studenti alla partecipazione alle attività extracurricolari organizzate dalla scuola.

“Premesso che le ore settimanali di insegnamento non devono essere ulteriormente decurtate, ma tornare al monte presente prima della riforma Gelmini, l'alternanza scuola lavoro prevista dai commi 7, 33 e a seguire della la Legge 107/2015, individua una nuova figura a cavallo tra le due e non sufficientemente normata”, spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal. “Basti pensare quanto tale mancanza sia rilevante sul piano della sicurezza, perché quando lo studente opera all'interno dell'istituto scolastico è soggetto attivo/passivo del servizio di prevenzione e protezione della stessa scuola; viceversa, in azienda è soggetto al medesimo servizio della struttura ospitante”.

“Si tratta di una passaggio normativo fondamentale. Non dimentichiamoci – continua Pacifico - che il flusso previsto di lavoratori-studenti, a regime, quando la riforma sarà attuata nel triennio finale di tutte le scuole superiori, riguarderà un numero superiore al milione di studenti dai 16 anni in su. Appare pertanto ineludibile regolamentare, con un apposito statuto, questa nuova figura di studente lavoratore, mai stata così numerosa sul mercato del lavoro. Occorre poi integrare, con opportune modifiche legislative, sia il Testo Unico sulla sicurezza, il D.L. 81 del 2008, sia i piani sulla sicurezza delle scuole organizzatrici e delle aziende ospitanti gli allievi. Per tutte queste ragioni, gli studenti fanno bene a protestare in piazza e a rivendicare il rispetto dei loro diritti: il sindacato condivide le loro preoccupazioni”.

Anief, pertanto, chiede l’approvazione delle linee guida, dello statuto dello studente-lavoratore: perché occorre emettere con celerità i decreti che individuano gli enti convenzionati, tra cui enti pubblici, con le scuole prima dell’approvazione del nuovo Piano dell’offerta formativa. E senza le linee-guida, le scuole, ma soprattutto gli studenti, vivranno questa esperienza con notevole disagio.

“Le scuole superiori stanno vivendo una contraddizione, perché pur senza il decreto specifico contenente le regole organizzative degli stage e gli enti accrediti presso la Camera di Commercio sono state comunque chiamate, sin dallo scorso mese di settembre, compresi i licei, a pianificare le attività in azienda. E come se non bastasse, altro controsenso, come si fa a - chiede Pacifico - programmare il tutto se il nuovo Piano dell’offerta formativa sarà pronto solo a gennaio?”.

Un’altra criticità da superare, sempre sul fronte degli stage, deriva dalla imposta di bollo fatta gravare dal Governo sulle aziende ospitanti per l'iscrizione all'albo unico presso la Camera di Commercio. “Le probabilità di una deriva mercantilistica delle disponibilità da parte delle aziende – spiega Gianmauro Nonnis, che ha seduto al tavolo allestito dal Pd - sono davvero alte, essendo lo studente lavoratore un ‘peso’ per l'azienda, la quale per ospitarlo deve pure pagare una tassa. Va da sé che la disponibilità ad accogliere nuovi gruppi si potrebbe esaurire in fretta creando un eccesso di domanda da parte delle scuole che hanno l'obbligo di indire l'alternanza Scuola-lavoro e, di contro, una contrazione dell'offerta da parte delle aziende che non hanno il medesimo obbligo e per assolvere il quale devono pure pagare un bollo”.

“Lo scenario che si delinea è rischioso: le scuole, tramite le convenzioni con le aziende, potrebbero essere portate ad alzare la ‘posta’ pur di offrire questo servizio agli studenti”, conclude il sindacalista Anief.

 

 
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Laurea breve

Post n°4181 pubblicato il 26 Novembre 2015 da fabiana.giallosole
 

Da “Corriere della sera”


Italia, la laurea breve che non c’è. Fanno (quasi) tutti il master


Fanalino di coda nell'OCSE per numero di laureati in generale, abbiamo però più diplomati nella specialistica e nel ciclo unico. Mancano i percorsi professionalizzanti

Orsola Riva

Nella marea di dati contenuti nelle 568 pagine dell’ultima edizione di «Education at a glance», la mappatura dei sistemi educativi di tutto il mondo effettuata ogni anno dall’Ocse, uno su tutti rischia di condannare l’Italia a un lento ma inarrestabile arretramento economico. Quello sulle università, in cui purtroppo restiamo molto distanti dall’obiettivo europeo per il 2020: laureare 4 giovani su 10. Solo il 42 per cento dei diplomati si iscrive all’università (peggio di noi fanno solo il Granducato del Lussemburgo - dove però molti ragazzi vanno a studiare all’estero - e il Messico), mentre il tasso di laurea atteso oggi per i 25-34enni è appena del 34% (contro il 50% della media Ocse).

Poveri di semplici «dottori» ma ricchi di master

Poveri di laureati in generale, siamo invece ricchi di laureati in possesso di un titolo equivalente al master (laurea specialistica o laurea a ciclo unico tipo medicina): la media italiana è 20% contro il 17% Ocse. I due dati non sono in contraddizione, ma strettamente collegati. Se abbiamo pochi dottori è anche perché da noi laurearsi vuol dire imbarcarsi in un percorso lungo e selettivo, mentre l’equivalente del bachelor (la cosiddetta laurea breve) esiste quasi solo sulla carta, come gradino intermedio in vista della «vera» laurea Spiega Francesco Avvisati, senior analyst presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico di Parigi: «La riforma del 3 +2 purtroppo non si è tradotta nella costruzione di percorsi di laurea professionalizzanti come avrebbe dovuto. Esistono - è vero - gli Istituti tecnici superiori che però stentano a decollare (0,2% contro una media Ocse dell’11%, ndr), mentre in Francia ad esempio tutti gli informatici escono dagli Istituti universitari di tecnologia dopo un percorso di studi lungo solo due anni». Mancano insomma i quadri intermedi di cui le aziende tanto avrebbero bisogno mentre l’università, nonostante la riforma Berlinguer, sembra non aver modificato più di tanto la sua vocazione storica che è quella di selezionare la classe dirigente più che di formare figure adatte al mercato del lavoro. «Senza nulla togliere alla qualità dei nostri laureati magistrali, in un momento di stagnazione come questo - dice ancora Avvisati - l’università dovrebbe fare da polmone attivando le competenze ricercate dalle imprese».

Università italiane poco attraenti per gli studenti stranieri

Le nostre università continuano ad attrarre pochi studenti stranieri: 16 mila in tutto (greci in testa) contro i 46 mila della Francia e i 68 mila della Germania. E si tratta di un dato sovrastimato perché noi conteggiamo anche gli immigrati che già risiedevano in Italia mentre Francia e Germania contano solo chi si è trasferito specificamente per ragioni di studio. A monte c’è il problema della barriera linguistica, anche se ormai un ateneo su 5 ha attivato almeno un programma di studi in inglese: più dei francesi (16%) ma comunque molto meno dei tedeschi (43%).

Spesa universitaria gravemente insufficiente

Disattente agli esiti lavorativi, le nostre università si rivelano insufficienti anche sul fronte delle competenze di base. Il livello medio di literacy dei nostri giovani laureati è uno dei più bassi dell’Ocse (ce la battiamo con spagnoli e irlandesi): molti studenti universitari hanno difficoltà a sintetizzare informazioni provenienti da testi lunghi e complessi. «La priorità dei nostri atenei - spiega Avvisati - resta quella di formare belle menti. Non c’è l’idea di concentrare gli sforzi per elevare le competenze medie dei ragazzi usciti dalle superiori. Naturalmente non è certo colpa solo dell’università. Purtroppo, mancano le risorse economiche e umane per elaborare una diversa didattica». La nostra spesa universitaria è l’altro dato drammatico del rapporto: essa rappresenta lo 0,9% del Pil, come in Brasile e in Indonesia. La metà del Regno Unito (1,8%) ma comunque molto meno anche di Germania e Francia (1,2% e 1,4%). La spesa per studente equivale a 10.071 dollari (PPP): circa due terzi della media Ocse.

Gli stipendi bassi dei prof

Anche la spesa pubblica per la scuola è molto bassa: il 3% del Pil contro 3,7% della media Ocse, ma i dati della rilevazione non tengono conto per ovvie ragioni della riforma della scuola approvata a luglio e del relativo investimento economico (1 miliardo quest’anno, circa 3 miliardi di euro a regime). Anche i dati di sistema andranno riletti alla luce delle nuove immissioni in ruolo, sia per quanto riguarda la proporzione docenti-studenti che per l’età media degli insegnanti che è (o almeno era) la più alta dell’Ocse: 51 anni. Se da un lato infatti la stabilizzazione di circa 100 mila prof provenienti dalle graduatorie a esaurimento non è esattamente un’iniezione di giovinezza (l’età media delle Gae è 41 anni), il prossimo concorso da 60 mila posti potrebbe dare un’ulteriore svecchiata: anche se i neolaureati resteranno esclusi da questo giro, essendo il concorso riservato solo ai docenti di seconda fascia già in possesso di un’abilitazione. Sugli stipendi invece vale il dato del 2013: in media un insegnante di scuola media italiano guadagna 2/3 di un collega Ocse. Né i 400 milioni stanziati dalla legge di Stabilità per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici sono destinati a modificare le cose se vale il calcolo dei sindacati per cui di fatto si tradurranno in 10 euro lordi (7 euro netti) in più in busta paga al mese.

Il saluto del ministro

In apertura del convegno di presentazione del rapporto oggi alle 11 al Miur, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha rivolto un messaggio di saluto ai presenti in cui ha rivendicato le novità contenute nella Buona Scuola. «Numerose delle sfide che il Rapporto “Education at a glance” dell’Ocse propone all’Italia sono state raccolte attraverso le innovazioni messe in campo con la legge 107. La valutazione di dirigenti e docenti diventa strutturale da quest’anno. Grazie al Piano scuola digitale, presentato di recente, abbiamo finalmente una policy complessiva sul digitale a scuola che prevede un investimento da 1 miliardo di euro in cinque anni. Stiamo lavorando al rinnovamento della classe docente, cui si sta provvedendo con un grande concorso nazionale che sarà bandito a breve. Stiamo lavorando, inoltre, per arricchire le competenze teoriche e pratiche dei nostri studenti attraverso l’ampliamento dell’offerta formativa e finanziamenti specifici sui progetti di alternanza scuola-lavoro».

Laureati di prima generazione svantaggiati rispetto ai «figli di»

Quanto agli esiti lavorativi, in Italia la laurea paga meno che altrove: da noi il vantaggio remunerativo (rispetto a chi è in possesso di un semplice diploma) è del 143% contro una media Ocse del 160%. Né le cose vanno meglio con il tasso di impiego:62% contro la media Ocse dell’82% (siamo al livello della Grecia). Un tasso addirittura più basso di chi ha solo il diploma di maturità (mentre negli altri Paesi il vantaggio della laurea ai fini di trovare un posto di lavoro è di 7 punti percentuali). Ma quel che è peggio è il tasso di occupazione dei giovani «dottori» che provengono da famiglie senza la laurea. Mentre negli altri Paesi Ocse laureati di prima generazione e «figli di» se la battono alla pari (88% contro 90%), da noi la percentuale è inferiore di 12 punti. «Un’ingiustizia sociale - commenta Avvisati - per rimediare alla quale le università dovrebbero responsabilizzarsi maggiormente sugli esiti lavorativi dei laureati con un servizio di orientamento e placement. Attivando per esempio la rete degli ex alunni, altrimenti continuerà a funzionare solo il placement in famiglia. Ma è chiaro che anche per questo ci vorrebbero delle risorse economiche mirate che invece non ci sono».

In Italia più ingegneri donna della media Ocse

Unica consolazione il superamento del vecchio gap di genere: oggi le laureate sono addirittura più dei laureati:59%. Un risultato non sorprendente visto che già alle superiori i maschi (come dappertutto nell’Ocse) vanno peggio sia in matematica e scienze che nella lettura. La pattuglia femminile però si assottiglia man mano che i sale di livello: 52% di donne in possesso del dottorato e solo 37% dei prof (contro il 41% della media Ocse). Con un dato a sorpresa: le laureate nelle materie tecniche come ingegneria, sono un terzo del totale: sempre in minoranza ma il 5% in più della media Ocse.

 
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Il Coordinamento provinciale dei Docenti Utilizzati di Sassari (COPDUS), si è costituito ufficialmente nel mese di settembre 2011, in seguito alla necessità di fronteggiare il nefasto articolo 19 della Legge 111 del 15 luglio 2011 col quale si dispone la messa in mobilità intercompartimentale dei docenti inidonei o il declassamento a personale ATA con conseguente riduzione stipendiale.

Esserci costituiti in gruppo è stato per tutti noi fondamentale in quanto ci ha dato da subito la forza e la determinazione, entrambe importanti, per intraprendere tutte quelle azioni di lotta civile allo scopo di trovare soluzioni al problema che ci ha visti coinvolti, assieme ad altri quasi 4000, a livello nazionale.

Ritrovarci con cadenza settimanale ci fa sentire, non solo più uniti e aggiornati sull'evolversi della nostra situazione, ma soprattutto più sicuri e positivi nell'affrontarla.

Per questo motivo, e non solo, abbiamo col tempo sentito il bisogno di creare questo BLOG ossia uno spazio per informarci ed informare anche coloro che trovandosi nella nostra situazione pur non facenti parte del coordinamento di Sassari, avranno piacere di visitarci e saranno i benvenuti.

Al tempo stesso vogliamo che questo sia uno spazio oltre che di informazione anche di incoraggiamento al "ce la faremo" e al "non smettere" e quindi non vuole avere e non avrà aspetti e contenuti sterili o "istituzionalizzati".


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