NELLA FOTO L'EX MINISTRO PISANU
L'ARTICOLO DI MARCO TRAVAGLIO
"Buongiorno a tutti.
Finalmente, si fa per dire, riparte la commissione parlamentare
antimafia. Voi sapete che è dall'inizio degli anni Sessanta che il
Parlamento italiano si costituisce in commissione bicamerale antimafia
per combattere la mafia, soprattutto nei suoi rapporti tra mafia e
politica.
C'è una contraddizione: la politica che combatte i rapporti tra mafia e
politica è come dire la mafia che combatte i rapporti fra mafia e
politica.
E
infatti non li ha, almeno negli ultimi quindici anni, mai combattuti;
da quando, cioè, non c'è più un'opposizione forte a chi sta al governo
ma ci sono, sulle questioni che contano, finte divisioni fra
maggioranza e opposizione e poi una sostanziale unanimità. Infatti,
come sappiamo, negli ultimi quindici anni tutte le normative serie in
materia di lotta alla criminalità organizzata sono quelle che erano
contenute nel papello di Totò Riina. Sono state abolite le carceri
nelle isole con l'isolamento del 41bis serio, Pianosa e Asinara; sono
stati di fatto aboliti i pentiti, nel senso che nell'anno 2000 destra e
sinistra insieme hanno messo mano alla riforma che aveva voluto Falcone
all'inizio degli anni Novanta e hanno deciso di togliere tutti i
benefici che rendevano conveniente, per un mafioso, schierarsi dalla
parte dello Stato tradendo la mafia. Per cui i mafiosi hanno capito
l'antifona, quelli che avevano qualche intenzione di pentirsi se la
sono fatta passare, quelli che si erano già pentiti si sono pentiti di
essersi pentiti e hanno ritrattato.
In più sono state ridotte di
molto le scorte ai magistrati e ai testimoni antimafia. E' stato
svuotato dall'interno il 41bis per cui quando il cosiddetto ministro
Alfano racconta che non è mai stato così efficace sa benissimo - spero
per lui - di raccontare favole perché lo sanno tutti che il 41bis è
diventato una specie di barzelletta da quando è stato stabilizzato per
legge.
Quando voi sentite il presidente del Senato Schifani dire:
"noi nella legislatura del governo Berlusconi II abbiamo stabilizzato
un provvedimento che prima era provvisorio e veniva attuato dal
ministro della Giustizia di sei mesi in sei mesi, abbiamo stabilizzato
per sempre il 41bis", spero che anche lui - ma credo che lo sappia -
sia conscio di raccontare favole. Perché il 41bis quando era
provvisorio era molto più efficace che oggi quando è diventato legge
definitiva. Per quale motivo?
Per un motivo molto semplice: quando
un provvedimento viene rinnovato di sei mesi in sei mesi i tempi
burocratici necessari per il mafioso recluso per chiedere la revoca
dell'isolamento, sono talmente lunghi che di solito la risposta alla
sua domanda non arriva in tempo in sei mesi, quindi quando gli
rispondono c'è già stato un nuovo provvedimento semestrale, contro il
quale deve di nuovo ricorrere.
I ricorsi, quindi, contro il 41bis
non venivano quasi mai accolti perché non si faceva in tempo.
Praticamente il 41bis durava molto a lungo ed era molto difficile
revocarlo. Ora che è diventato un provvedimento che vale per sempre,
preso una volta vale per sempre - o almeno fino a che non ce ne sono i
presupposti - i ricorsi sono molto facili perché anche se durano 7-8
mesi ne basta uno perché la persona possa vincerlo, allora si va alla
discrezionalità del magistrato singolo il quale ogni volta che riceve
il ricorso deve valutare se la persona sia ancora socialmente
pericolosa, collegata con l'organizzazione mafiosa. E come fai a
saperlo? Come fai a sapere se una persona è potenzialmente pericolosa?
Come fai a sapere se ha ancora legami dopo anni che è in carcere? Lo
puoi presumere ma se non lo puoi dimostrare, spesso puoi concedere la
revoca del 41bis senza alcun rischio e senza alcuna formale
irregolarità.
Quindi molti detenuti mafiosi, anche stragisti, che
stavano al 41bis hanno ottenuto, in buona o cattiva fede dei magistrati
di sorveglianza, il trattamento carcerario normale.
Quindi adesso incontrano quando gli pare avvocati, parenti eccetera.
Non raccontiamoci balle: le commissioni antimafia sono un paravento per
far finta che lo Stato ancora combatte la mafia. Non sono più le
commissioni antimafia degli anni Sessanta e Settanta che addirittura
anticipavano il lavoro della magistratura.
La magistratura negli anni Sessanta e Settanta, soprattutto in Sicilia
e a Roma in Cassazione, era quella magistratura che proclamava la non
esistenza della mafia oppure scambiava la mafia per un'accozzaglia di
bande che, scompostamente e senza alcun vertice, agivano per i campi.
La commissione antimafia, molto più avanzata di quella magistratura, già faceva i nomi e i cognomi dei personaggi.
Salvo Lima era citato decine di volte nelle relazioni di minoranza
della commissione antimafia come referente della mafia ben prima che
venisse assassinato e ben prima che nel processo Andreotti e nel
processo sull'assassinio Lima i magistrati poi stabilissero nero su
bianco che Lima era un noto mafioso.
Negli ultimi anni la commissione antimafia è diventata un ente inutile,
anzi dannoso, proprio perché ha diffuso la sensazione che il Parlamento
continuasse a occuparsi dei rapporti fra mafia e politica, mentre non
ha mai avuto il coraggio di mettere le mani sul caso Dell'Utri.
Non ha mai avuto il coraggio di mettere le mani sul caso Berlusconi.
Non ha mai avuto il coraggio di mettere le mani sul caso Andreotti,
nemmeno dopo che la magistratura aveva già squadernato, sotto gli occhi
dei commissari e del Parlamento, le carte necessarie e indispensabili
per poter tirare almeno le conclusioni politiche di quei rapporti ormai
accertati.
Io ricordo che, con Elio Veltri, scrivemmo il libro "L'odore dei soldi"
nel 2001 con gli editori riuniti proprio perché Veltri faceva parte
della commissione antimafia.
Venne da me e mi disse: "abbiamo fatto arrivare dal Tribunale di
Palermo le carte del processo Dell'Utri, le perizie sui finanziamenti
ambigui della Fininvest negli Settanta e Ottanta,
i rapporti sui finanziamenti delle varie finanziarie del gruppo Berlusconi.
Quando io ho chiesto di discuterne in commissione, eravamo alla fine
della legislatura del centrosinistra, mi hanno tutti guardato come un
matto e abbiamo votato.
Ho votato da solo per parlare del caso Dell'Utri - Berlusconi in
commissione antimafia e tutti mi hanno votato contro, compresi persone
oneste della sinistra come Beppe Lumia dei DS e Giovanni Russo Spena di
Rifondazione".
Allora facemmo il libro.
Ora perché vi racconto tutto questo? Perché si sta reinsediando la commissione parlamentare antimafia.
Se voi andate sul sito della Camera, andate nella finestra che riguarda
le commissioni, andate nelle commissioni bicamerali e trovate
"Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno di mafia e sulle
altre associazioni criminali anche straniere".
Poi trovate la legge istitutiva, è una legge nuova ogni volta, rispetto a quella vecchia.
Di solito ricopiata, questa volta - sono anche spiritosi - hanno voluto
scrivere che questa commissione antimafia indagherà anche sui rapporti
tra mafia e politica con particolare riferimento al periodo delle
stragi del '92-'93. Quindi mandanti occulti, trattative fra Stato e
mafia eccetera. Speriamo che sia vero. Alla voce presidente,
vicepresidenti e segretari c'è il bianco, perché non hanno ancora
designato il presidente.
Ci sono invece i cinquanta componenti, venticinque deputati e venticinque senatori.
Buona notizia: non ci sono pregiudicati. Ve lo dico perché nella scorsa
legislatura ce n'erano due: Vito Alfredo e Paolo Cirino Pomicino.
Questa volta hanno pensato di non metterceli.
In compenso abbiamo dei personaggi che forse, valutate voi, non sono proprio il non plus ultra per la commissione antimafia.
Soprattutto il presidente: pare il che il favorito alla presidenza dell'antimafia sia Beppe Pisanu.
Premetto che Beppe Pisanu è persona estremamente seria ed è uno dei
migliori, o dei meno peggio a seconda della visuale, di Forza Italia.
Ma più per demerito degli altri che non per merito suo!
Voi sapete che Pisanu è completamente uscito dall'orbita di Berlusconi: nessuno ne parla più.
L'avete mai più visto in televisione, l'avete mai più sentito nominare?
Eppure era il ministro dell'Interno durante le elezioni del 2006.
Secondo alcuni, Enrico Deaglio, è il ministro dell'Interno che si
oppone ai tentativi golpistici di broglio ventilati dal Cavaliere e per
questo è protagonista di una rissa memorabile a Palazzo Grazioli.
Da allora - noi non sappiamo se è vero, Deaglio con alcuni indizi l'ha
sostenuto nella sua inchiesta sui presunti brogli nel 2006 - sta di
fatto che Pisanu non ha più avuto alcun incarico di prestigio ed è
stato posato, anche se è rimasto in Forza Italia.
Adesso pare che, proprio per questo suo ruolo non più fidato per
Berlusconi, stia diventando una figura di garanzia che piace anche
all'opposizione per fare il presidente dell'antimafia.
Purtroppo, però, Pisanu non è un pivellino appena uscito dalle Università.
E' un signore nato a Sassari nel 1937.
Ha un anno in meno di Berlusconi, ne ha 71. Laureato in scienze
agrarie, era nella DC - nella sinistra DC - amicissimo di Cossiga.
E' stato nella segreteria di Zaccagnini, capo della segreteria di Zaccagnini negli anni del compromesso storico.
Poi è stato sottosegretario al Tesoro e alla Difesa nei governi Forlani, Fanfani, Spadolini, Goria e Craxi.
Nel 1994 era vice capogruppo di Forza Italia alla Camera e nel 1996 è
stato nominato capogruppo quando hanno cacciato Vittorio Dotti perché
era fidanzato di Stefania Ariosto, che aveva il grave torto di avere
parlato di Previti.
Nel 2001 ministro per la verifica del programma nel governo Berlusconi
II e poi ministro dell'Interno dopo che Scajola ebbe la splendida idea
di definire "rompicoglioni, avido" il povero Marco Biagi dopo
l'assassinio.
Insomma, è in Parlamento da dieci legislature.
Questa è la sua undicesima.
Perché dico che forse non è l'uomo giusto al posto giusto? Perché nel 1983 era sottosegretario al Tesoro nel governo Fanfani V.
Cosa successe? Il caso Ambrosiano.
Andiamo con ordine: Pisanu è sottosegretario al Tesoro e il Tesoro ha
il dovere di sorveglianza, insieme alla Banca D'Italia, sulle banche,
soprattutto sull'Ambrosiano che era un'enorme banca.
Bene, lui, che avrebbe dovuto vigilare come sottosegretario al Tesoro,
in realtà era amicissimo di Roberto Calvi, il bancarottiere, e di tutti
gli uomini che gli avevano dato una mano a fare bancarotta, a
cominciare da Flavio Carboni.
Flavio Carboni non era coinvolto tanto negli aspetti finanziari del
caso Ambrosiano quanto piuttosto nella fuga di Calvi in Svizzera e poi
in Inghilterra, tant'è che è stato addirittura imputato per l'omicidio
Calvi, assolto in primo grado ma adesso credo ci sarà il processo di
appello.
Insieme a Licio Gelli, ad esponenti della banda della Magliana, un bel giro.
Pisanu ci andava in barca, in Sardegna con Flavio Carboni, e sulla
barca - che si chiamava la "Punto Rosso", 22 metri - c'era anche un
omino: il nostro presidente del Consiglio attuale, Berlusconi.
Sempre sulla barca, in Costa Smeralda.
A un certo punto condannano Calvi per reati valutari, lo mettono in libertà provvisoria.
Va anche Calvi in barca, dopo essere stato condannato in primo grado,
arrestato e messo in libertà provvisoria, va in barca pure lui con
Pisanu e il resto della compagnia.
Poi nel 1982 arrestano Carboni per la fuga di Calvi, che poi è stato
trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra; Carboni
viene arrestato e Pisanu viene interrogato sulle sue frequentazioni con
Carboni e risponde al magistrato Pierluigi Dell'Osso: "incontravo
Carboni perché era un interlocutore valido per le forze politiche
richiamantisi all'ispirazione cattolica".
Carboni era un'anima pia: parlavano di teologia, probabilmente, in barca nei giorni del crack Ambrosiano.
Carboni, aggiunge Pisanu riuscendo a rimanere serio, "mi disse che
Berlusconi aveva interesse a espandere Canale5 in Sardegna, tal che lo
stesso Carboni si stava interessando per rilevare, a tal fine, la più
importante rete televisiva sarda, Videolina, e mi disse di essere in
affari col signor Berlusconi anche a riguardo di un grosso progetto
edilizio denominato "Olbia 2"".
Era quando Berlusconi e Carboni volevano rovesciare una colata di cemento sulla costa Smeralda.
Questo pio sodalizio si estende poi al Banco Ambrosiano perché, come vi
ho detto, il sottosegretario al Tesoro, anziché vigilare su quello che
stava facendo Calvi, già condannato per reati valutari, incontra Calvi
quattro volte, in quei giorni.
Subito dopo viene chiamato a rispondere alla Camera da
un'interrogazione parlamentare delle opposizioni che, allarmate per il
crack dell'Ambrosiano, del quale già si parla anche se non è stato
ancora ufficializzato, chiedono notizie al governo, al sottosegretario
al Tesoro.
Pisanu, l'8 giugno del 1982, risponde alla Camera. Già all'epoca c'era
un enorme buco, c'era il buco del banco Andino, affiliato al Banco
Ambrosiano, che stava rischiando di trascinare anche l'Ambrosiano nel
crack.
Ma Pisanu rassicura: niente paura: è tutto sotto controllo, nessun
allarme. Dice: "le indagini condotte all'estero sull'Ambrosiano non
hanno dato alcun esito".
Non tanti giorni dopo, un giorno dopo, il 9 giugno Pisanu va di nuovo a cena con Flavio Carboni.
Un altro giorno dopo, il 10 giugno, Calvi scappa dall'Italia per finire, come sappiamo, sotto il Ponte dei Frati Neri, appeso.
Nove giorni dopo l'uscita di Pisanu in Parlamento - tutto sotto
controllo, nessun problema per l'Ambrosiano - il governo suo, Fanfani,
mette l'Ambrosiano in insolvenza.
Lo dichiara insolvente e manda sul lastrico migliaia di risparmiatori, che perdono tutto quello che avevano.
Poi, sia l'Ambrosiano, sia l'Andino fanno la loro regolare bancarotta.
La commissione P2, presieduta da Tina Anselmi, convoca Pisanu perché
Angelo Rizzoli, editore, all'epoca proprietario del Corriere della
Sera, P2, poi coinvolto in un crack, anche lui arrestato, racconta: "a
proposito del Banco Andino, Calvi disse a me e a Tassandin - l'uomo
della P2 al vertice del Corriere della Sera - che il discorso
dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui - Calvi.
Qualcuno mi aveva detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800
milioni da Flavio Carboni".
Quest'accusa, che poi verrà riesumata anche dal portaborse di Calvi,
Pellicani, non ha mai trovato conferma, quindi possiamo ritenerla falsa
o non provata.
Ma il problema è politico: Pisanu è il signore che ha messo la faccia,
è andato in Parlamento a dire che il Banco Ambrosiano era una
meraviglia mentre era alla vigilia del crack.
Il tutto a causa dei suoi conflitti di interessi, cioè dei suoi rapporti con Carboni, con Calvi e con Berlusconi.
In commissione P2 si scatenano le opposizioni: i più accesi sono
Teodori, dei Radicali, e Tremaglia, del Movimento Sociale, che ne
dicono di tutti i colori di Pisanu.
Se volete trovate in "Se li conosci li eviti", la biografia di quei
giorni terrificanti, tant'è che urlano "dimissioni, dimissioni,
dimissioni!" e alla fine, il 21 gennaio del 1983, Pisanu si dimette da
sottosegretario al Tesoro.
Poi rientrerà in un altro governo e verrà riciclato da Forza Italia, perché sapete che in Italia non si butta via niente!
Lo ritroviamo, Pisanu - ve lo racconto di nuovo il suo possibile ruolo
di presidente della commissione antimafia - nel 2004, 10 gennaio, in
una telefonata.
Non è lui al telefono: al telefono ci sono Berlusconi, presidente del
Consiglio, e Cuffaro, all'epoca governatore della Sicilia per il
centrodestra.
Cuffaro, sapete, era preoccupato perché c'era un'indagine per
favoreggiamento alla mafia da parte della Procura di Palermo,
Berlusconi lo rassicura e gli dice: "io ho saputo qui, la ragione
perché ti telefono, il ministro dell'Interno mi ha parlato e mi ha
detto che tutta la... è sotto controllo, è tutto sotto controllo".
Chi era ministro degli Interni in quel periodo? Pisanu.
A che titolo Pisanu sapeva notizie o controllava notizie su un'indagine
segreta della magistratura a Palermo, un'indagine di mafia che
coinvolgeva anche il governatore?
E a che titolo informava Berlusconi di queste eventuali notizie segrete di cui aveva saputo?
E a che titolo Berlusconi informava Cuffaro?
C'è, per caso, un reato di favoreggiamento in questo comportamento? Lo
domando perché Cuffaro è stato condannato per avere avvertito dei
mafiosi su notizie riservate su indagini in corso.
Se fosse vero quello che dice Berlusconi al telefono, forse ci sarebbe
qualcosa di illecito anche nel comportamento di un ministro
dell'Interno che si procura notizie su un'indagine segreta, che le
rivela al presidente del Consiglio, che le rivela all'interessato, cioè
all'indagato, cioè a Totò Cuffaro.
Perché non sono stati chiamati a risponderne penalmente? Perché in quel
periodo la procura di Palermo adottava una linea morbida nei confronti
dei politici.
Pisanu fu sentito come testimone, Berlusconi non fu nemmeno sentito.
La procura, presieduta da Piero Grasso, chiese e ottenne la distruzione
di quei nastri, anziché mandarli al Parlamento per ottenere
l'autorizzazione a utilizzarli per valutare eventuali reati da parte di
Berlusconi e Pisanu.
Tutti da dimostrare, naturalmente, ma la telefonata è quanto mai
inquietante, soprattutto perché Cuffaro non si è mai saputo da chi
sapesse le notizie riservate che poi passava ai mafiosi.
Qui abbiamo un piccolo indizio: "il ministro dell'Interno mi ha
parlato, e mi ha detto che tutta la... è tutto sotto controllo, tutto
sotto controllo".
Perché dico questo? Perché è evidente che una commissione parlamentare
antimafia seria, che volesse occuparsi dei rapporti mafia-politica,
potrebbe per esempio cominciare dal caso Cuffaro.
E nel caso Cuffaro domandarsi se c'erano deviazioni istituzionali.
E magari convocare Berlusconi e Pisanu.
Ma se il presidente dell'antimafia fosse Pisanu, potrebbe convocare se
stesso? Si, dovrebbe guardarsi allo specchio e farsi le domande e darsi
le risposte.
Passate parola!
Ps. La scorsa settimana ho citato l'ex onorevole Publio Fiori a proposito della Loggia P2.
Fiori mi prega di precisare che il suo nome figurava, sì, nelle liste
ritrovate nel 1981 negli uffici di Gelli a Castiglion Fibocchi.
Ma poi una sentenza definitiva del Tribunale di Roma (come pure
l'Avvocatura Generale dello Stato) hanno stabilito che la presenza del
suo nome nelle liste non dimostra la sua adesione alla Loggia.
Il suo nome, insomma, potrebbe essere stato inserito abusivamente negli elenchi." Marco Travaglio
I
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